Cass. Sez. III n. 30614 del 3 agosto 2022 (CC 1 giu 2022)
Pres. Ramacci Est. Aceto Ric. Varrone
Urbanistica.Criteri di priorità nella esecuzione delle demolizioni

Che il pubblico ministero debba seguire criteri di priorità nell’esecuzione degli ordini di demolizione è fatto tutt’altro che notorio, alcuna legge li prevede e di certo la violazione di tali criteri (ove mai esistenti e redatti in base a protocolli o intese interne agli uffici requirenti o convenzioni tra questi ultimi ed enti pubblici), in disparte l’eventuale rilevanza disciplinare interna (espressamente prevista dal cd. d.d.l. Falanga, presentato nel corso della nella XVII legislatura ma mai approvato), non rende di per sé illegittimo l’ordine di demolizione dell’immobile, quand’anche di scarso impatto ambientale, incidendo l’ordine di priorità sul quando dell’esecuzione, non di certo sull’an


RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

        1. Il sig. Giuseppe Verrone ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 31/01/2022 del Tribunale di Salerno che, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza di revoca o sospensione dell’ingiunzione a demolire del 29/06/2020 del pubblico ministero emessa in esecuzione della sentenza del 28/11/2001 del Tribunale di Salerno (irr. il 19/01/2022) che aveva applicato alla sig.ra Dora Verrone la pena concordata di un mese e dieci giorni di arresto e £. 27.000.000 di multa per il reato, tra gli altri, di cui all’art. 20, lett. c), legge n. 47 del 1985, e aveva ordinato la rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
            1.1. Con il primo motivo deduce il vizio di mancanza di motivazione in ordine alle seguenti questioni devolute al giudice dell’esecuzione: a) l’immobile oggetto di ingiunzione non è stato realizzato dal ricorrente, ma dalla sua dante causa, sig.ra Dora Verrone, non essendo egli mai stato condannato; b) non è di conseguenza chiaro se il titolo dell’ingiunzione sia costituito dalla sentenza di condanna o da altro provvedimento ignoto al ricorrente; c) trattandosi di immobile realizzato oltre trenta anni orsono, il PM non ha indicato i criteri di priorità in virtù dei quali ha ritenuto che il manufatto in questione rientri tra quelli a maggior impatto ambientale che, come tali, vanno demoliti anche se è passato più di un ventennio e il ricorrente, facendo affidamento sull’inerzia dell’AG, ha nel frattempo adibito l’immobile a deposito per le attrezzature agricole.
            1.2. Con il secondo motivo deduce la prescrizione dell’ordine, rimasto ineseguito per oltre venti anni.
            1.3. Con il terzo motivo deduce la mancata valutazione della sanabilità dell’opera siccome di scarso impatto ambientale.
            1.4. Con il quarto motivo deduce l’omessa ammissione dei testimoni che avrebbero dovuto riferire sullo scarso impatto ambientale di cui al motivo che precede.

    2. Il ricorso è inammissibile.

    3. Osserva il Collegio:
        3.1. il primo motivo è intrinsecamente contraddittorio (nella parte in cui lo stesso ricorrente mostra di ben conoscere quale sia l’immobile oggetto di ingiunzione, chi lo aveva realizzato e il titolo della demolizione) e manifestamente infondato, essendo noto il principio che l'ordine di demolizione, avendo carattere reale, si trasmette agli eredi del responsabile e ai suoi aventi causa che subentrino nella disponibilità del bene ed è comunque efficace nei confronti di chiunque vanti su di esso un diritto reale o personale di godimento (Sez. 3, n. 45848 del 01/10/2019, Rv. 277266 - 01; Sez. 3, n. 35309 del 10/05/2016, Rv. 267645 - 01; Sez. 3, n. 42699 del 07/07/2015, Rv. 265193 - 01; Sez. 3, n. 16035 del 26/02/2014, Rv. 259802 - 01; Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009, Rv. 245403 - 01; si vedano, altresì, Consiglio di Stato, Sez. 4, n.2266 del 12/04/2011; Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 6554 del 24/12/2008), sicché è irrilevante che l’odierno ricorrente (cui l’immobile fu donato nel 2004) non sia stato condannato;
        3.2. che il pubblico ministero debba seguire criteri di priorità nell’esecuzione degli ordini di demolizione è fatto tutt’altro che notorio (secondo quanto sostiene genericamente il ricorrente), alcuna legge li prevede e di certo la violazione di tali criteri (ove mai esistenti e redatti in base a protocolli o intese interne agli uffici requirenti o convenzioni tra questi ultimi ed enti pubblici), in disparte l’eventuale rilevanza disciplinare interna (espressamente prevista dal cd. d.d.l. Falanga, presentato nel corso della nella XVII legislatura ma mai approvato), non rende di per sé illegittimo l’ordine di demolizione dell’immobile, quand’anche di scarso impatto ambientale, incidendo l’ordine di priorità sul quando dell’esecuzione, non di certo sull’an (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 26523 del 24/06/2020, Rv. 279915 - 01, secondo cui i protocolli di intesa tra uffici di Procura, finalizzati alla regolamentazione delle procedure di demolizione di un manufatto abusivo, costituiscono mere direttive interne prive di qualunque rilevanza esterna, non vincolanti per gli uffici destinatari e per il giudice penale, con la conseguenza che deve ritenersi infondata qualsiasi censura fondata sulla violazione di tali atti; cfr., altresì, Sez. 3, n. 28781 del 16/05/2018, Rv. 273359 - 01; Sez. 3, n. 30679 del 20/12/2016, Rv. 270230 - 01);
        3.3. costituisce ormai principio consolidato di diritto quello secondo il quale l'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, con effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l'autore dell'abuso, con la conseguenza che non può ricondursi alla nozione convenzionale di "pena" nel senso elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è soggetto a prescrizione (Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Rv. 275850 - 02; Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Rv. 267977 - 01; Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Rv. 265540 - 01; Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Rv. 264736 - 01; Sez. 3, n. 19742 del 14/04/2011, Rv. 250336 - 01);
        3.4. né rileva l’affidamento che il titolare del bene da demolire possa fare sull’inerzia della AG: il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento (Cons. St., Ad. Plen., n. 9 del 17/10/2017), tanto più che nel caso di specie lo stesso ricorrente afferma di aver ricevuto in donazione il bene dopo che la sentenza di condanna era passata in giudicato e di averlo persino ulteriormente modificato;
        3.5. la mancata presentazione della domanda di sanatoria osta in radice alla sospensione dell’ordine di demolizione, non rilevando la astratta sanabilità dell’immobile che ne è oggetto;
        3.6. secondo il costante insegnamento della Corte di cassazione, l'ordine di demolizione delle opere abusive emesso con la sentenza passata in giudicato può essere sospeso solo qualora sia ragionevolmente prevedibile, sulla base di elementi concreti, che in un breve lasso di tempo sia adottato dall'autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con detto ordine di demolizione (Sez. 3, n. 42978 del 17/10/2007, Rv. 238145 - 01; Sez. 3, n. 23702 del 27/04/2007, Rv. 237062 - 01; Sez. 3, n. 43878 del 30/09/2004, Rv. 230308 - 01; Sez. 7, n. 40175 del 17/09/2021, n.m.; Sez. 3, n. 33817 del 03/06/2021, n.m);
        3.7. non rileva che l’immobile sia di “scarso impatto ambientale” (affermazione autoreferenziale, in evidente contrasto con la descrizione degli abusi edilizi oggetto della sentenza di cui al § 1 che precede), nemmeno ai fini dell’applicazione dell’art. 33, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001, il cui presupposto applicativo è costituito dalla natura dell’intervento abusivo (interventi di ristrutturazione edilizia), non dall’impatto dell’immobile o delle opere sull’ambiente; nel caso di specie si tratta di nuove opere realizzate in totale assenza di titolo, con conseguente impossibilità di “fiscalizzazione” degli abusi (Sez. 3, n. 16548 del 16/06/2016, Rv. 269624 - 01; Sez. 3, n. 24661 del 15/04/2009, Rv. 244021 - 01).
        3.8. alla luce delle considerazioni che precedono, è superfluo l’esame dell’ultimo motivo.

        4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 01/06/2022.