Consiglio di Stato Sez. VI n. 10000 del 11 dicembre 2024
Urbanistica.Mutamento di destinazione d’uso di locali previsti nel progetto come cantina o garage mediante la creazione di nuovi volumi residenziali

In tema di mutamento di destinazione d’uso di locali, previsti nel progetto concessionato come cantina o garage, mediante la creazione di nuovi volumi residenziali, non meramente accessori o tecnici, premesso che gli standard urbanistici hanno una funzione di equilibrio dell’assetto territoriale e di salvaguardia dell’ambiente e della qualità di vita la destinazione di un piano interrato, ma analogo discorso vale per il sottotetto, ad abitazione determina un incremento delle volumetrie e delle superfici ‘utili’ – ossia utilmente fruibili – con conseguente aggravio del carico urbanistico, secondo quanto previsto dall’art. 32, comma 1 lett. a) D.P.R. n. 380/2001, a norma del quale costituisce ‘variazione essenziale’ ogni ‘mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968”. Da ciò consegue che non è possibile ritenere urbanisticamente irrilevante la trasformazione di un locale cantina in un vano abitabile; a differenza dell’ipotesi in cui un garage venga trasformato - con o senza opere- in magazzino o deposito, rimanendo quindi spazio accessorio, senza permanenza di persone, la trasformazione in vano destinato alla residenza, anche a tralasciare i profili igienico-sanitari di abitabilità, si configura come un ampliamento della superficie residenziale e della relativa volumetria autorizzate con l’originario permesso di costruire.

Pubblicato il 11/12/2024

N. 10000/2024REG.PROV.COLL.

N. 10102/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10102 del 2020, proposto da
Giuseppe Cappetta e Anna Rubino, rappresentati e difesi dagli avvocati Francesco Accarino e Federico Acocella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Federico Tedeschini in Roma, largo Messico 7;

contro

Comune di Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandra Barone e Anna Attanasio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Graziano Carucci, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda) n. 576/2020, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Salerno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2024 il Cons. Gudrun Agostini e uditi per le parti gli avvocati Paolo Accarino in sostituzione degli avvocati Francesco Accarino e Federico Acocella e Nicola Comunale in sostituzione dell'avvocato Anna Attanasio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. E’ appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – sede di Salerno, Sez. II n. 576/2020 che dopo aver dichiarato improcedibile il primo ricorso (RG 1800/2014) proposto dai Sig.ri Giuseppe Cappetta e Anna Rubino per l’annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 35 del 21.5.2014 (prot. n. P-82247) del Comune di Salerno, del rapporto dell’Ufficio Verifiche di Conformità e Demolizioni Edilizie (prot. n. P-78182 del 15.5.2014) e della comunicazione di avvio del procedimento del 12 luglio 2012 (prot. n. 136143) ha respinto il successivo ricorso (RG 666/2015) proposto per l’annullamento del diniego di accertamento di conformità n. 44 del 22.12.2014 (prot. n. P-203012) e successiva ordinanza di demolizione n. 8 dell’11.2.2015 (prot. n. P-21825).

2. Dalle esposizioni delle parti e dei documenti versati nei fascicoli processuali di primo grado le pregresse vicende in fatto possono essere così riassunte:

- con nota del 12.7.2012 il Comune di Salerno avviava nei confronti degli odierni appellanti, in qualità di proprietari degli immobili siti in via Castelluccio n. 1, particella n. 1093 sub 7 (locale cantina) e sub. 3 (locale box), un procedimento repressivo per violazioni urbanistico-edilizie accertate dall’Ufficio Verifiche di Conformità e Demolizioni edilizie in seguito al sopralluogo eseguito su richiesta di accertamento da parte del Comando di P.M. del 2.2.2012;

- l’ente comunale con richiamo al rapporto dell’Ufficio Verifiche di Conformità e Demolizioni Edilizie prot. n. 78182 del 15.05.2014 contestava agli odierni appellanti le seguenti difformità edilizie riscontrate tra stato dei luoghi e la concessione edilizia originaria n. 114/1986: 1. il locale originariamente assentito come deposito/cantina di mq. 52 circa e di altezza mt. 2,60, risultava dotato di angolo cottura e locale bagno, di impianti idrico ed elettrico e corredato da arredi domestici; tale locale risultava collegato mediante scala interna in cemento armato all’abitazione sovrastante; 2. realizzazione di un locale box-auto in muratura e con copertura piana in c.a., di superficie mq. 22 circa e di altezza interna di mt. 2,20 circa, sull’area pertinenziale condominiale, originariamente assentita per posti auto scoperti; il lastrico solare del manufatto risultava sistemato a terrazzo posto a servizio dell’appartamento e da questo direttamente accessibile, in quanto collegato a mezzo di una rampa di scale dal giardino sottostante; 3. realizzazione di un manufatto con struttura in muratura e copertura piana in c.a., di superficie di mq. 70 circa, con altezza di mt. 1,80, adibito a deposito e posto in aderenza al box auto; il lastrico solare risultava sistemato a terrazzo di pertinenza dell’appartamento ed accessibile dal locale cantina/deposito di cui al punto 1) tramite una rampa di scale;

- in seguito, gli appellanti inviavano osservazioni al Comune di Salerno per rappresentare la loro estraneità alla realizzazione delle riscontrate difformità;

- non ritenendo meritevoli di accoglimento le giustificazioni fornite, il Comune notificava l’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi n. 35 del 21.05.2014 ove con richiamo agli art. 27 e 33 del D.P.R. 380/2001 diffidava di provvedere entro 60 gg. con il preavviso che, in mancanza, avrebbe provveduto d’ufficio in danno;

- gli atti sopra indicati venivano impugnati al T.A.R. Campania (R.G. 1800/2014);

- in pendenza di giudizio, gli appellanti presentavano per le opere oggetto di ingiunzione una domanda di accertamento di conformità ex art. 36 D.P.R. n. 380/01 (prot. n. 121438 del 24/07/2014) per richiedere il permesso in sanatoria;

- con nota del 29.9.2014 (prot. n. 151536 del 30/09/2014) l’Ufficio Permessi di Costruire comunicava i motivi ostativi al rilascio del titolo richiesto per contrasto con le previsioni del P.U.C. del R.U.E.C., riportati come segue: (i) perché le opere hanno determinato un aumento di volume e di superficie non ammesso in zona omogenea “B”, (ii) perché non rispettano i parametri per i vani residenziali e risultano edificate, in parte, su aree condominiali, assentite per la collocazione di posti auto scoperti; (iii) grave carenza documentale; (iv) l’unità immobiliare ricade in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ex art. 157, comma 1 lett. c) D.Lgs. n. 42/2004 “(D.M. del 15.07.1971 “dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona “Masso Della Signora” sottoposta ai vincoli della L. 29.06.1939 n. 1497 e D.M. del 31.08.1993 con proposta di estensione del Vincolo individuato con D.M. 15.09.1971)”;

- a seguito delle osservazioni presentate con nota prot. n. 174497 del 05/11/2024, ritenute inidonee a superare le ragioni ostative, l’Ufficio comunale adottava il diniego n. 44/2014 (prot. n. 203012 del 24/12/2014 con cui respingeva l’istanza di sanatoria;

- veniva quindi adottata l’ordinanza n. 8 del 09/02/2015 (prot. n. 21825) con cui il Comune di Salerno, con richiamo ai pregressi atti e alla precedente ordinanza n. 35/2014 rimasta inevasa, ingiungeva il ripristino dello stato dei luoghi;

- l’ordinanza n. 8 del 09/02/2015, il diniego di sanatoria n. 44 del 24/12/2014 e il pregresso verbale della Polizia Municipale prot. n. 127333 del 05/08/2014 di accertamento dell’inottemperanza alla prima ordinanza di demolizione n. 35/2014 venivano impugnati con un ulteriore ricorso, affidato a plurimi motivi di censura, innanzi al T.A.R. Salerno R.G. n. 666/2015;

3. Nel giudizio di primo grado, con il secondo ricorso, i ricorrenti hanno dedotto i seguenti vizi: l’ordinanza n. 8/2015 risulterebbe emessa ad eccessiva e irragionevole distanza temporale dalla comunicazione di avvio del procedimento del 2012; l’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001 sanziona le ipotesi di ristrutturazione edilizia abusiva e non la qui contestata difformità dal titolo edilizio; l’addebito di mutamento di destinazione d’uso del locale deposito-cantina non troverebbe riscontro nella concreta conformazione di quest’ultimo, preesistente all’acquisto da parte dei proponenti; i locali adibiti ad autorimessa e a deposito sarebbero interrati e, di essi, il primo sarebbe preesistito all’acquisto ed il secondo rappresenterebbe una mera intercapedine, cosicché non sarebbero sanzionabili in via demolitoria, trattandosi, rispettivamente, di un parcheggio pertinenziale realizzabile in deroga agli strumenti pianificatori e di un volume tecnico non computabile sotto il profilo urbanistico-edilizio; il Comune non avrebbe valutato se le opere abusive contestate fossero o meno rimuovibili senza pregiudizio per le porzioni legittime dell’edificio, e, quindi, se sussistessero presupposti applicativi della sanzione alternativa pecuniaria, ai sensi dell’art. 33, comma 2, ovvero dell’art. 34, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001; non sarebbe stato ponderato l’interesse pubblico alla rimozione delle opere abusive contestate, consolidatesi nell’arco temporale trascorso dalla loro esecuzione; il vincolo paesaggistico sarebbe sopravvenuto all’edificazione; omessa verifica sulla sanabilità degli illeciti edilizi.

4. Con la sentenza n. 576/2020 il T.a.r. Campania – Salerno ha disposto la riunione dei due ricorsi, ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse il ricorso proposto avverso la prima ordinanza n. 35/2014 e ha deciso nel merito il ricorso riguardante il diniego di sanatoria, la seconda ordinanza n. 8/2015 e il verbale di accertamento d’inottemperanza riferito alla prima ordinanza n. 35/2014 giudicando infondate le censure come sopra riportate.

5. Ne è seguito l’odierno appello affidato a dodici motivi di censura che verranno nel prosieguo nel dettaglio esaminati.

6. Nel giudizio d’appello si è costituito in data 21.05.2021 il Comune di Salerno.

7. Nei termini di rito sia gli appellanti sia il Comune hanno depositato memorie ex art. 73 c.p.a. per illustrare ulteriormente le rispettive posizioni.

8. All’udienza pubblica del 5 dicembre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Passando al merito, l’appello è infondato.

2. Con un primo motivo di impugnazione, rivolto avverso tutte le statuizioni della sentenza, intitolato “Errores in procedendo ed in iudicando - Violazione e falsa applicazione artt. 1, 2, 29, 33 e 34 D.Lgs 02.07.2010, n. 104 - Violazione art. 112 c.p.c. - Violazione artt. 1, 2, 3 e 88 D.Lgs 02.07.2010, n. 104 - Omesso esame di un punto decisivo per la controversia - Omesso esame della documentazione del giudizio - Violazione artt. 118 disp. Att. al CPC - Violazione del principio dello stare decisis e del c.d. precedente influente - violazione della tutela dell’affidamento e della ragionevole prevedibilità - Violazione art. 41 della Costituzione Repubblicana e art. 832 del Codice Civile, nonché art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20.03.1952”, gli appellanti deducono il contrasto della sentenza del T.a.r. Campania con un proprio precedente di cui alla sezione Salerno n. 1348/2015 che in un caso identico, relativo ad un’ordinanza emessa in per la stessa area, nei confronti dei proprietari acquirenti in buona fede non esecutori dell’abuso, per opere simili realizzate nella medesima epoca molto addietro, ha disposto l’annullamento dell’atto per omessa motivazione sulla ricorrenza di specifiche esigenze di interesse pubblico che rendano necessario l’intervento repressivo a danno del proprietario estraneo alla realizzazione dell’abuso.

2.1. Il motivo non può trovare accoglimento.

La sentenza impugnata, pur discostandosi da un precedente del T.a.r. Campania-Salerno, ha sostanzialmente anticipato l’orientamento che è stato poco dopo confermato dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato con la nota decisione n. 9 del 17.10.2017 che in presenza di violazioni edilizie ha affermato l’irrilevanza sia del tempo in cui è stato commesso l’abuso con riferimento al momento in cui la P.A. ha adottato la doverosa misura sanzionatoria, sia della estraneità del proprietario del bene alla realizzazione delle opere contestate dall’amministrazione. Infatti, pur in presenza delle suddette circostanze, l’ente territoriale non è obbligato a fornire una particolare motivazione sulle ragioni di pubblico interesse, che giustifichino l’adozione dell’ordine di demolizione: “Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso neanche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino” (CdS, Ad. Plen., 9/2017).

Il Collegio ritiene quindi non affetto dal censurato vizio il pronunciamento assunto in prime cure, in quanto conforme alla giurisprudenza successivamente consolidatasi che fa leva sulla natura reale dell’ordinanza di demolizione, sul carattere permanente dell’abuso e sulla vincolatività dell’obbligo di rimozione.

3. Il secondo gruppo di censure si dirige contro le pronunce sul diniego di sanatoria.

3.1. Con il motivo 2A, rubricato “Errores in procedendo ed in iudicando - Violazione e falsa applicazione artt. 1, 2, 29, 33 e 34 D.Lgs 02.07.2010, n. 104 - Violazione art. 112 c.p.c. in relazione art. 3 L. 07.08.1990, n. 241 e art. 36 DPR 06.06.2001, n. 380 - Violazione art. 41 della C-stituzione Repubblicana e art. 832 del Codice Civile, nonché art. 1 del Protocollo addizionale alla Conv. Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20.03.1952”, si deduce che il primo giudice, illegittimamente sostituendosi all’amministrazione comunale, avrebbe individuato in via del tutto autonoma le disposizioni delle N.T.A. del P.U.C. di Salerno con cui le opere oggetto della richiesta di sanatoria si pongono in contrasto, per il fatto che né la comunicazione di preavviso né il diniego n. 44/2014 conterrebbero l’indicazione della norma urbanistica ostativa al rilascio del permesso richiesto; proprio l’estrema genericità del provvedimento era stata sollevata nel ricorso originario. Proseguono gli appellanti che il T.a.r. avrebbe, comunque, anche errato nella qualificazione delle opere contestate considerandoli interventi di nuova costruzione.

3.2. Anche questa doglianza non ha pregio.

Da una lettura del provvedimento di diniego emerge che l’amministrazione ha chiaramente rappresentato che l’immobile de quo ricade in zona omogenea “B” del P.U.C., in cui gli interventi consentiti sono solo quelli di ristrutturazione edilizia sull’edificato esistente, mentre sono vietati quelli di nuova costruzione. Il Comune ha inoltre contestato che il cambio di destinazione d’uso del deposito-cantina in ambiente residenziale, configurante un incremento di volume e superficie utile, non rispetta i parametri previsti dall’art. 190 del vigente R.U.E.C. (per insufficienza dell’altezza), mentre il volume definito da controparte “vuoto tecnico” non è riconducibile alla definizione offerta dall’art. 27 del regolamento comunale. L’ente comunale ha, infine, evidenziato la presenza del vincolo paesaggistico sull’area di intervento (D.M. del 15.07.1971 - dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona “Masso Della Signora” sottoposta ai vincoli della L. 29.06.1939 n. 1497 e D.M. del 31.08.1993 con proposta di estensione del Vincolo individuato con D.M. 15.09.1971). La violazione di tali specifiche disposizioni risulta essere rappresentata anche nel preavviso prot. n. 151535/2014.

Non è pertanto ravvisabile l’estrema genericità del provvedimento e neppure la denunciata sostituzione del primo giudice alla P.A., essendosi il T.a.r., invero, limitato a riepilogare i fatti e dati rappresentati nel provvedimento e a valutare, alla luce dei sopra evidenziati motivi ostatiti, la legittimità delle determinazioni negative assunte, valutazioni che il Collegio intende confermare, per il fatto che non vi sono dubbi sul fatto che le opere considerate nel verbale di accertamento rappresentano interventi di nuova costruzione, eseguiti in difformità “essenziale” dalla concessione edilizia n. 114/86, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico. A nulla rileva la diversa qualificazione attribuita agli interventi contestati nella domanda di sanatoria presentata con richiamo all’art. 36 D.P.R. n. 380/01 che, a tutta evidenza, contrasta con quanto rappresentato nelle planimetrie e nelle foto allegate alla stessa.

4. I motivi 2B e C, entrambi rubricati “Errores in procedendo ed in iudicando - Violazione e falsa applicazione artt. 1, 2, 29, 33 e 34 D.Lgs 02.07.2010, n. 104 - Violazione art. 112 c.p.c. - Omessa pronuncia in relazione ai motivi di I grado – Violazione artt. 3 L. 07.08.1990, n. 241 e art. 36 DPR 06.06.2001, n. 380 - Violazione art. 41 della Costituzione Repubblicana e art. 832 del Codice Civile, nonché art. 1 del Protocollo addizionale alla Conv. Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20.03.1952”, sono invece tesi a censurare oltre all’omessa pronuncia su alcuni motivi di primo grado che vengono riproposti in esame l’insufficienza motivazionale della sentenza impugnata che, a dire dei ricorrenti, fonda il giudizio sulla rilevanza urbanistica delle trasformazioni oggetto di sanatoria unicamente sulle (errate) qualificazioni giuridiche delle stesse, senza alcun riferimento in ordine alla sussistenza o meno della c.d. dedotta “doppia conformità” urbanistica. A tale riguardo, espongono, che per il “locale deposito-cantina” la pronuncia sulla rilevanza urbanistica si fonda unicamente sulla presenza di una scala interna di collegamento e di un bagno, che sarebbero già esistenti fin dall’acquisto, e su alcuni impianti normalmente funzionali ad un uso abitativo, che, tuttavia, avrebbero rilievo solo ai fini del titolo edilizio, nella specie, del permesso di costruire, ma che in realtà non avrebbero rilevanza per la sanatoria in sé per il fatto che si tratterebbe di “opere interne”, come tali sempre assentibili e per le quali non hanno richiesto il cambio di destinazione d’uso nella domanda di sanatoria mancando, a tale fine, i requisiti anche di altezza minimi di cui al D.M. Sanità del 1975.

Con riguardo alla “autorimessa”, che originariamente era area scoperta di parcheggio, il giudizio di rilevanza, a dire dei ricorrenti, erroneamente si basa sulla presenza di superfice e volumetria senza tenere in debita considerazione la natura prevalentemente interrata di questo vano e il regime derogatorio premiale di cui alla L. 122/1989 e L.R.C. n. 19/2001 in materia di parcheggi pertinenziale che farebbe venir meno qualunque contrasto con le norme del PUC.

Quanto, infine, riguardo al c.d. “vuoto tecnico”, gli appellanti sostengono che il T.a.r. avrebbe del tutto irragionevolmente escluso la natura di mera intercapedine considerando solo i dati di superficie e altezza, ma tale vano in realtà, per la sua conformazione e le caratteristiche geometriche, non utilizzabile, costituirebbe una intercapedine e assolve la funzione di areazione e ventilazione nonché di isolamento dell’adiacente locale cantina e garage dal retrostante terrapieno, come tale perfettamente rientrante nella definizione dell’art. 27 del RUEC. Su tutti questi aspetti chiedono l’assunzione di una consulenza tecnica.

4.1. La censura nella sua complessa articolazione non merita accoglimento.

Preliminarmente, il Collegio rileva che incombe sul proprietario l’onere di dimostrare puntualmente la conformità urbanistico-edilizia delle opere oggetto di sanatoria, con riferimento sia al momento della loro realizzazione che a quello di presentazione dell’istanza ex art. 36 T.U. Edilizia: “Il procedimento per la verifica di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001 sfocia in un provvedimento di carattere assolutamente vincolato, il quale non necessita di altra motivazione oltre a quella relativa alla corrispondenza (o meno) dell'opera abusiva alle prescrizioni urbanistico-edilizie (e a quelle recate da normative speciali in ambito sanitario e/o paesaggistico) sia all'epoca di realizzazione dell'abuso sia a quella di presentazione dell'istanza ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001. Ciò determina che in sede di accertamento di conformità è interamente a carico della parte l'onere di dimostrare la c.d. doppia conformità necessaria per l'ottenimento della sanatoria edilizia ordinaria ai sensi dell'art. 36 d.P.R. n. 380/2001 (già, art. 13 l. n. 47/1985 ), attesa la finalità dell'istituto, secondo il quale il rilascio del permesso in sanatoria presuppone indefettibilmente la c.d. doppia conformità, vale a dire la non contrarietà del manufatto abusivo alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria” (Cons. Stato, Sez. VI, 14/03/2023, n. 2660).

Parte appellante non ha fornito alcun elemento idoneo a confutare i rilievi opposti dal Comune in relazione a ciascuna opere sopra elencate, considerati corretti dal T.a.r. e che, per le ragioni che seguono, meritano di essere confermati anche in questa sede di riesame.

4.2. Quanto al locale interrato, concessionato come vano cantina, emerge dalla documentazione prodotta a corredo dei provvedimenti impugnati che è stato trasformato con un insieme sistematico di opere in un vano residenziale (e non solo accessorio pertinenziale) collegato all’appartamento al piano rialzato. Il vano è stato munito di un ambiente wc, di un angolo cottura, di impianti idrico ed elettrico, quindi di una serie di opere funzionali ad un effettivo uso abitativo, come rilevabile dalle riproduzioni fotografiche allegate alla domanda di sanatoria (doc. 11 parte ricorrente in primo grado). Correttamente, pertanto, il primo giudice ha richiamato a riguardo la costante giurisprudenza che qualifica questo tipo di trasformazioni edilizie rilevanti, equiparabili alle nuove volumetrie, per il fatto che determinano un illegittimo aggravio del carico urbanistico.

Al riguardo anche il Collegio non può che richiamare, quanto affermato dalla recente e costante giurisprudenza anche del Consiglio di Stato, a titolo esemplificativo nella sentenza n. 954/2024, con riguardo a casi analoghi a quello in esame, aventi ad oggetto l’accertato mutamento di destinazione d’uso di locali, previsti nel progetto concessionato come cantina o garage, mediante la creazione di nuovi volumi residenziali, non meramente accessori o tecnici. Secondo il predetto orientamento, premesso che gli standard urbanistici hanno una “funzione di equilibrio dell’assetto territoriale e di salvaguardia dell’ambiente e della qualità di vita” (Cons. Stato, sez. II, n. 9614 del 2022; Cons. Stato, sez. IV, n. 4068 del 2019), “la destinazione del piano in questione (interrato, ma analogo discorso vale per il sottotetto) ad abitazione ha determinato un incremento delle volumetrie e delle superfici ‘utili’ – ossia utilmente fruibili – con conseguente aggravio del carico urbanistico, secondo quanto previsto dall’art. 32, comma 1 lett. a) D.P.R. n. 380/2001, a norma del quale costituisce ‘variazione essenziale’ ogni ‘mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968” (Cons. Stato, sez. II, n.6085 del 2023).

Da ciò consegue che non è possibile ritenere urbanisticamente irrilevante la trasformazione di un locale cantina in un vano abitabile; a differenza dell’ipotesi in cui un garage venga trasformato - con o senza opere- in magazzino o deposito, rimanendo quindi spazio accessorio, senza permanenza di persone, “la trasformazione in vano destinato alla residenza, anche a tralasciare i profili igienico-sanitari di abitabilità, si configura come un ampliamento della superficie residenziale e della relativa volumetria autorizzate con l’originario permesso di costruire” (CdS, n. 835 del 2023).

Facendo applicazione dei predetti principi al caso di specie è, quindi, evidente che le opere realizzate al piano interrato determinano un cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante con le correlate conseguenze in termini di qualificazione dell’intervento e delle connesse conseguenze sanzionatorie, ove a nulla rileva il fatto che in sede di domanda di sanatoria non è stata richiesta la trasformazione d’uso, posto che il mutamento è già stato funzionalmente realizzato e, in questo caso, non compatibile con le norme del piano urbanistico che nella siffatta zona urbanistica non ammette nuove volumetrie e nuovi usi abitativi.

4.3. Il vano autorimessa parimenti non è sanabile, in quanto non è completamente interrato, come confermato dagli stessi appellanti e visibile negli elaborati grafici e dalla documentazione fotografica a corredo dell’istanza di sanatoria. La parziale fuoriuscita del vano dal piano di campagna determina la rilevanza plano-volumetrica dello stesso ed è ostativa all’invocata operatività del regime derogatorio-premiale in materia di parcheggi pertinenziali, come correttamente affermato dal T.A.R. Salerno.

Infatti, l’art. 9, comma 1, L. n. 122/1989 consente la realizzazione di parcheggi pertinenziali in deroga agli strumenti urbanistici esclusivamente quando essi siano completamente realizzati nel sottosuolo. Sul punto si richiama il precedente di questa Sezione espresso con sentenza n. 483 del 18 gennaio 2019. Come correttamente affermato dal T.a.r. il tassativo regime legale richiamato non può ritenersi derogato dall’art. 6 della L. Reg. Campania n. 19/2001, in quanto a tale ultima norma, pur avendo ampliato la portata della norma nazionale sotto il profilo soggettivo e oggettivo, analogamente a quella statale, parla esclusivamente di “parcheggi in aree libere”, ovvero “nel sottosuolo di fabbricati o al pianterreno di essi” e non prevede la realizzazione di nuovi vani ad uso posteggio. Non le si può quindi attribuire la funzione di derogare i principi fondamentali della L. n. 122/1989, che richiede che i parcheggi pertinenziali debbano essere realizzati nel sottosuolo ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati preesistenti. In materia di parcheggi, l'art. 9 della legge Tognoli detta i principi fondamentali, nel cui quadro il legislatore regionale è legittimato ad intervenire. Per tali motivi, laddove si pretendesse di accreditare una interpretazione estensiva del comma 2 dell'art. 6, l. rg. n. 19 del 2001, idonea a consentire la realizzazione di immobili da destinare a parcheggi anche al di là dei ristretti presupposti individuati dalla Tognoli, si conferirebbe alla norma una ulteriore potestà derogatoria, che la stessa non reca, ben più ampia di quella concessa dalla legge statale, che andrebbe in contrasto anche con quelli contenuti del d.P.R. n. 380 del 2001, che espressamente all'art. 2 prevede che le Regioni esercitano in questa materia la potestà legislativa «nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico».

Le disposizioni dettate dall'art. 6, l. rg. Campania n. 19 del 2001 vanno, dunque, interpretate nel senso di consentire la realizzazione di parcheggi pertinenziali in deroga, esattamente come prescritto dalla legge Tognoli, solo nel sottosuolo o nei locali siti al piano terreno dei fabbricati già esistenti. Mentre per le nuove costruzioni fuori terra, anche se destinate a parcheggio, devono essere rispettate le disposizioni dettate dalla strumentazione urbanistica.

4.4. Anche la pronuncia di prime cure con riguardo al “vano-deposito” realizzato in adiacenza al garage, chiamato dagli appellanti vuoto tecnico, è da ritenersi priva dei vizi censurati. Tale vano, per le sue dimensioni (superficie pari a circa mq. 70,00 ed altezza pari a m. 1,80) e per la sua conformazione strutturale e funzionale, come evincibile dalle riproduzioni fotografiche confluite nel fascicolo processuale, non può configurarsi come “intercapedine” riconducibile ai volumi tecnici contemplati dall’art. 27 del R.U.E.C. di Salerno, perché ivi si prevede che: «Sono volumi tecnici quelli strettamente necessari a contenere ed a consentire l’accesso di quelle parti degli impianti tecnici (idrico, termico, elevatorio, televisivo, di parafulmine, di ventilazione e condizionamento, ecc.) che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare luogo entro il corpo dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme. A puro titolo esemplificativo, sono considerati volumi tecnici quelli strettamente necessari a contenere i serbatoi idrici, l’extracorsa degli elevatori, i vasi di espansione dell’impianto di termosifone, le canne fumarie e di ventilazione, il vano scala al di sopra della linea di gronda, i sottotetti non accessibili asserviti alla costruzione quale spazio vuoto utile all’isolamento termico ecc. Non sono considerati volumi tecnici gli stenditoi - ancorché aperti su tutti i lati - le soffitte, i locali di sgombero e simili...».

In conclusione, anche questo volume ad uso deposito, analogamente al volume destinato a garage, è stato correttamente ritenuto non sanabile dall’amministrazione comunale prima e dal T.a.r. poi, in quanto non compatibile con le norme urbanistiche della zona.

5. Con il motivo 2D, che reca: “Errores in procedendo ed in iudicando - Violazione e falsa applicazione artt. 1, 2, 29, 33 e 34 D.Lgs 02.07.2010, n. 104 - Violazione art. 112 c.p.c. - Omesso esame di un punto decisivo per la controversia - Omesso esame della documentazione del giudizio in relazione artt. 1, 3 e 10bis L. 07.08.1990, n. 241 e art. 36 DPR 06.06.2001, n. 380 - Violazione art. 24 Costituzione Repubblicana e art. II-101 Costituzione Europea – Violazione del trattato di Lisbona del 13.12.2007 - Violazione art. 41 della Costituzione Repubblicana e art. 832 del Codice Civile, nonché art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20.03.1952”, i ricorrenti contestano le motivazioni con cui il T.a.r. ha decretato l’infondatezza della violazione delle garanzie partecipative nell’ambito del procedimento repressivo in questione, laddove in prime cure avevano lamentato che dopo la presentazione delle proprie deduzioni nel settembre 2012, il Comune non ha assunto alcuna determinazione fino a maggio del 2014, dove è stata emessa l’ordinanza di demolizione n. 35/2014. Affermano gli appellanti che il fatto che l’amministrazione abbia espresso motivazioni identiche nel preavviso e nel diniego di sanatoria darebbe dimostrazione della mancata considerazione dell’apporto procedimentale da loro fornito nell’ambito dei procedimenti.

5.1. Il motivo è inammissibile per carenza di interesse oltre che infondato.

Il procedimento repressivo non è un procedimento ad iniziativa di parte, per cui non si applicano i termini procedimentali previsti dalla legge sul procedimento amministrativo. L’attività repressiva degli illeciti edilizi viene esercitata d’ufficio, ha natura vincolata e dalla giurisprudenza ormai granitica non è ritenuto obbligatorio – ma solo opportuno - l’invio di una comunicazione di avvio del procedimento. Non è, in questi casi degli abusi edilizi, configurabile un interesse giuridicamente protetto del proprietario ad una sollecita chiusura del procedimento, che al più conduce all’emissione di un ordine di demolizione a suo carico, per il fatto che qui rileva la natura comunque permanente dell’abuso edilizio in ragione del quale l’amministrazione non perde il potere di emettere il doveroso atto sanzionatorio anche dopo il decorso di un certo lasso di tempo dal momento dell’accertamento.

Anche il rilievo sulla motivazione analoga presente nel preavviso e nel diniego è privo di consistenza sia per il fatto che gli appellanti non specificano quale sarebbe in concreto il problema sia perché nel diniego di sanatoria n. 44/2014 risulta specificato che il Comune ha visto e valutato le osservazioni di controparte e di aver ritenuto che esse non potevano determinare una diversa valutazione dell’istanza, in quanto non avevano apportato nuovi elementi di valutazione tali da superare le ragioni ostative rappresentate nel parere n. 176/2014. Sul punto, il T.A.R. Salerno, richiamando copiosa giurisprudenza, ha correttamente quindi statuito: “… Ciò posto, e tenuto conto della congrua interlocuzione procedimentale avutasi nella vicenda in esame, le garanzie partecipative ex art. 10 bis della l. n. 241/1990 non avrebbero potuto tradursi – a discapito dei principi procedimentali di efficacia e celerità – in un interminabile confronto dialettico con l’interessata e in un’analitica confutazione degli elementi da quest’ultima forniti nelle deduzioni del 5 novembre 2014 (prot. n. 174497), essendo sufficienti, per la loro osservanza, il compiuto apprezzamento e la perspicua esplicazione dei presupposti fattuali e delle ragioni giuridiche che, in positivo, ossia in logica e insuperata antitesi alle anzidette deduzioni, hanno giustificato la determinazione assunta…”.

Conclusivamente, il Collegio ritiene l’operato dell’amministrazione incensurabile sotto il profilo della motivazione per il fatto che non sussiste alcun obbligo di analitica e puntigliosa confutazione delle osservazioni presentate dagli istanti ma è sufficiente che l’atto definitivo rechi una motivazione complessivamente idonea a rappresentarne le ragioni di adozione (Cons. Stato, Sez. VII, 29/03/2023, n. 3283). Anche sotto questo profilo la sentenza del T.a.r. è immune da vizi.

6. Con la censura 2E, rubricata “Errores in procedendo ed in iudicando - Violazione e falsa applicazione artt. 1, 2, 29, 33 e 34 D.Lgs 02.07.2010, n. 104 - Violazione art. 112 c.p.c. in relazione art. 3 L. 07.08.1990, n. 241 e art. 36 DPR 06.06.2001, n. 380 - Omesso esame delle censure di I grado e omessa pronuncia - Violazione art. 41 della Costituzione Repubblicana e art. 832 del Codice Civile, nonché art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20.03.1952”, gli appellanti si dolgono del fatto che il Comune di Salerno abbia adottato il diniego nonostante gli fosse stato richiesto, con le deduzioni ex art. 10bis L. 241/1990, di quale documentazione integrativa necessitassero i competenti uffici. Ritengono che in questo caso avrebbe avuto l’obbligo di sospendere il procedimento ai sensi dell’art. 6 della L. 241/1990.

6.1. Il motivo oltre ad essere inammissibile per carenza di interesse è anche privo di fondamento. Come evidenziato dalla difesa comunale, la documentazione mancante e ritenuta necessaria ai fini della completezza documentale della pratica risulta essere elencata nel preavviso di diniego (parere 176/2014). Si tratta di undici documenti chiaramente descritti con la conseguenza che non vi poteva essere spazio alcuno per motivi di incertezza o fraintendimenti e neppure per obblighi sospensivi, per il fatto che era evidente l’obbligo della loro presentazione sin dal momento della domanda.

La censura è però principalmente inammissibile per il fatto che i motivi ostativi, come evidenziato anche dal primo giudice, sono plurimi. La carenza documentale costituisce solo uno dei motivi di diniego, essendo il motivo principale fondato sulla accertata carenza della conformità urbanistica ed edilizia delle opere il cui effetto non avrebbe potuto essere eliminato o paralizzato dalla produzione dell’ulteriore documentazione.

7. Il motivo 3A, rivolto avverso le statuizioni attinenti il potere sanzionatorio esercitato, intitolato “Errores in procedendo ed in iudicando - Violazione e falsa applicazione artt. 1, 2, 29, 33 e 34 D.Lgs 02.07.2010, n. 104 in relazione artt. 1 e ss. ed, in particolare, 27, 31, 33 e 34 DPR 06.06.2001, n. 380 – Violazione e falsa applicazione artt. 31, 32 e 33 DPR 06.06.2001, n. 380 - Violazione art. 112 c.p.c. - in relazione art. 3 L. 07.08.1990, n. 241 e art. 36 DPR 06.06.2001, n. 380 – Violazione artt. 6, 8 e 13 CEDU e art. 1 del Prot. Add. C.E.D.U. Parigi, 20.III.1952 - Violazione art. 41 della Cost. e art. 832 del Codice Civile”, è teso a denunciare che il T.a.r., esercitando un potere riservato solo nei casi di giurisdizione estesa al merito, per entrambe le ordinanze di demolizioni, si sarebbe sostituito alle valutazioni espresse dal Comune per aver qualificato i poteri repressivi esercitati dal Comune ex art. 31 TUE, qualificando gli abusi in termini di “variazioni essenziali” ex art. 32 medesimo TU e quindi in termini maggiormente afflittivi (con l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale) rispetto alla sanzione meno afflittiva ex art. 33 prevista per le mere ristrutturazioni, andando così a violare anche il principio di proporzionalità della misura sanzionatoria.

7.1. La censura non ha pregio. La materia edilizia rientra nella giurisdizione esclusiva del G.A., a cui è attribuito il potere di esaminare la natura degli interventi edilizi abusivi eseguiti e contestati al fine di valutare la legittimità e correttezza del potere amministrativo in concreto esercitato.

Nel caso che ci occupa emerge chiaramente dalla documentazione confluita nel procedimento di sanatoria e repressivo che le opere contestate comportano variazioni essenziali di cui all’art. 32 T.U. Edilizia, attenendo alla creazione di nuovi volumi e superfici e ad un mutamento della destinazione d’uso incidente sugli standard previsti dal D.M. 1444/1968 rispetto ai parametri urbanistico-edilizi del progetto concessionato. E’ quindi da ritenersi corretto il rilievo del T.a.r. laddove ha precisato che la valutazione degli atti amministrativi debba essere eseguita in ragione del contenuto degli stessi ed al potere in concreto esercitato dall’autorità promanante e che si può prescindere dalle qualificazioni contenute nei provvedimenti stessi.

Le tipologie di abusi edilizi codificati ex art. 32, comma 1, lett. a), b) e c), del d.p.r. n. 380/2001, qui riscontrati, sono assoggettati dall’art. 31, comma 2, solo alla misura demolitoria. Per questa ragione il Collegio ritiene che sia corretta la misura ripristinatoria in concreto disposta dal Comune di Salerno, non essendo possibile, in questa fattispecie, applicare la sanzione pecuniaria invocata dagli appellanti, per il fatto che la misura ripristinatoria è sempre quella prevista in via principale dall’ordinamento per tutti i tipi di abuso edilizi realizzati in assenza di permesso di costruire. Solamente in caso di oggettiva e dimostrata impossibilità di attuare la misura ordinaria della riduzione in pristino, può essere applicata – in via sostitutiva - la misura residuale della sanzione pecuniaria, occorrendo in tal caso, una congrua motivazione che dia adeguatamente conto delle valutazioni effettuate dalla P.A.

La possibilità di irrogare della sanzione pecuniaria costituisce, infatti, solo un’eventualità, molto remota, della fase esecutiva, che è successiva a quella dell’adozione dell’ingiunzione a demolire e a ripristinare lo stato dei luoghi, che rappresenta la prima ed obbligatoria fase del procedimento repressivo, in cui va effettuato solo un giudizio di tipo analitico-ricognitivo dell’abuso commesso.

Va precisato che nel caso dell’adozione di provvedimenti sanzionatori edilizi previsti dal D.P.R. n. 380/01 non è mai configurabile la violazione del principio di proporzionalità, come delineato dalla Corte E.D.U., a causa della natura doverosa e vincolata degli stessi, così come prevista dal Legislatore: “…Il principio di proporzionalità non è applicabile in questo caso, poiché l'azione dell'Amministrazione è vincolata dalla legislazione e dagli atti di programmazione urbanistica. Anche se si tratta di un cambio di destinazione d'uso senza opere, se comporta un significativo aumento del carico urbanistico, è rilevante indipendentemente dalla legge regionale applicabile (Cons. Stato, 904/2024).

Infatti, questa Sezione a riguardo ha avuto modo di chiarire che: “Il principio di proporzionalità è invocabile laddove l'Amministrazione possa modulare la propria azione in base a scelte discrezionali; mentre nel caso di specie (attinente ad una ordinanza di demolizione di opere abusive) l'agire dell'Amministrazione è vincolato dalle scelte consacrate nella legislazione e negli atti di programmazione urbanistica - queste effettivamente ampiamente discrezionali - la cui attuazione costituisce atto dovuto” (Cons. Stato, Sez. VI, 20/12/2011, n. 6756).

Il capo decisionale di prime cure è quindi corretto anche sotto il profilo in esame e va confermato.

8. Con il motivo 3B, intitolato “Errores in procedendo ed in iudicando - Violazione e falsa applicazione artt. 1, 2, 29, 33 e 34 D.Lgs 02.07.2010, n. 104 in relazione artt. 1 e ss. ed, in particolare, 27, 31, 33 e 34 DPR 06.06.2001, n. 380 – Violazione e falsa applicazione artt. 31, 32 e 33 DPR 06.06.2001, n. 380 - Violazione art. 112 c.p.c. - in relazione art. 3 L. 07.08.1990, n. 241 e art. 36 DPR 06.06.2001, n. 380 – Violazione artt. 6, 8 e 13 CEDU e art. 1 del Prot. Add. C.E.D.U. Parigi, 20.III.1952 - Violazione art. 41 della Cost. e art. 832 del Codice Civile”, si deduce che il T.a.r. avrebbe errato anche laddove, in mera subordine, ha valutato l’ordine demolitorio alla luce dell’art. 33 TUE. A tale riguardo evidenziano gli appellanti che il primo giudice ha rinviato a giurisprudenza che avrebbe stabilito che l’art. 33 TUE in subordine, come previsto al comma 2, consente l’irrogazione di una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile “qualora, sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile”, facendone derivare l’alternatività delle diverse sanzioni de quibus e “così valorizzando il momento decisionale, induce a ritenere che vi sia una ambito di “scelta” nella determinazione dirigenziale.” (Cons. Stato, Sez. VI, 04.05.2018, n. 2649).

8.1. Il motivo di appello è inammissibile per carenza di interesse.

Gli abusi contestati, come già sopra meglio evidenziato, non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 33 TUE e per questa ragione le osservazioni aggiuntive a tale riguardo formulate dal primo giudice, che il Collegio comunque condivide, non meritano di essere nel dettaglio analizzate.

9. Il motivo 3C, rubricato “Errores in procedendo ed in iudicando - Violazione e falsa applicazione artt. 1, 2, 29, 33 e 34 D.Lgs 02.07.2010, n. 104 in relazione artt. 1 e ss. ed, in particolare, 27, 31, 33 e 34 DPR 06.06.2001, n. 380 e artt. 1, 3 e 6 L. 07.08.1990, n. 241 – Violazione e falsa applicazione artt. 31, 32 e 33 DPR 06.06.2001, n. 380 - Violazione art. 112 c.p.c. - in relazione art. 3 L. 07.08.1990, n. 241 e art. 36 DPR 06.06.2001, n. 380 – Violazione artt. 6, 8 e 13 CEDU e art. 1 del Prot. Add. C.E.D.U. Parigi, 20.III.1952 - Violazione art. 41 della Costituzione Repubblicana e art. 832 del Codice Civile”, è rivolto a criticare il passo decisionale in cui il T.a.r. ha ritenuto esaurientemente motivata l’ordinanza con cui si ingiunge la misura repressivo-ripristinatoria. Il T.a.r., a giudizio degli appellanti, erra per il fatto che l’ingiunzione richiede imprescindibili attività di istruttoria e di qualificazione giuridica, basata sulle previsioni del d.P.R. n. 380 del 2001, che sanziona, sul piano amministrativo, la condotta di realizzazione di manufatti edilizi abusivi in una pluralità di disposizioni incriminatici (art. 27, 31, 32 comma 3, 33, 34, 35, 37), ciascuna delle quali corrispondente ad un'autonoma fattispecie di illecito, caratterizzata da propri presupposti e per esse, in relazione alla gravità dell'abuso, prevede tre tipi diversi di sanzione: la demolizione, la sanzione pecuniaria, l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale o anche la confisca amministrativa, tutte strumentali rispetto alla precipua funzione riparatoria, e per questo ritiene l’attività complessa e sussistere un obbligo di motivazione non solo generico.

9.1. Anche questo motivo di gravame è privo di pregnanza. Il Collegio ritiene che gli ordini di ripristino emessi dal Comune di Salerno siano adeguatamente motivati in quanto contengono, anche mediante i necessari richiami, una sufficiente descrizione dei presupposti di fatto e di diritto legittimanti. Le ordinanze impugnate descrivono con molto dettaglio il luogo e gli interventi edilizi nella loro natura e conformazione, specificandone le dimensioni plano-volumetriche, essi richiamano la concessione edilizia originaria 114/1986 e individuano, altresì, la zona urbanistica di riferimento (zona omogenea B del P.U.C.) nonché il vincolo (paesaggistico) ivi presente, assolvendo in maniera esaustiva all’onere di motivazione previsto dalla L. n. 241/90.

L’Amministrazione non è tenuta a munire il provvedimento repressivo dell’abuso edilizio di una particolare e puntigliosa motivazione. E’ sufficiente che sia descritto l’intervento illegittimo accertato e risulti rappresentata e accertata la carenza dell’idoneo titolo edilizio: “Il provvedimento con cui viene ingiunta la demolizione di un immobile abusivo non assistito da alcun titolo, non richiede motivazione diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata, che impongono la rimozione dell'abuso” (ex plurimis CdS, Sez. VI, 03/06/2021, n. 4278; CdS, Sez. VII, 09/01/2023, n. 239 ).

10. Il motivo n. 4 è rivolto avverso la statuizione inerente l’acquisto in buona fede e si intitola “Errores in procedendo ed in iudicando - Violazione e falsa applicazione artt. 1, 2, 29, 33 e 34 D.Lgs 02.07.2010, n. 104 in relazione artt. 1 e ss. ed, in particolare, 27, 31, 33 e 34 DPR 06.06.2001, n. 380 e artt. 1, 3 e 6 L. 07.08.1990, n. 241 – Violazione e falsa applicazione artt. 31, 32 e 33 DPR 06.06.2001, n. 380 - Violazione art. 112 c.p.c. - in relazione art. 3 L. 07.08.1990, n. 241 e art. 36 DPR 06.06.2001, n. 380 – Violazione artt. 6, 8 e 13 CEDU e art. 1 del Prot. Add. C.E.D.U. Parigi, 20.III.1952 - Violazione art. 41 della Costituzione Repubblicana e art. 832 del Codice Civile”. Con questa doglianza i ricorrenti deducono che avevano richiesto al T.a.r. di accertare e dichiarare la loro estraneità e l’assenza di responsabilità a loro carico in relazione agli abusi rilevati dalla P.A., il loro acquisto in buona fede dell’immobile di via Castelluccio n. 1 e il diritto di conservare le opere acquistate. Ritengono che questa richiesta andava garantita attraverso la declaratoria di illegittimità dell’ordine demolitorio emesso nei loro confronti stante la vetustà delle contestazioni e la necessità di specifiche esigenze di natura pubblica a fronte del carattere incolpevole del loro affidamento. Ritengono non pertinente l’Adunanza Plenaria n. 9/2017.

10.1. La censura è inammissibile e infondata.

La domanda di accertamento sulla buona fede nell’acquisto dell’immobile e sull’assenza agli abusi edilizi esula dalla cognizione del giudice amministrativo. A tale riguardo stabilisce l’art. 7 c.p.a. “Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni. Non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell'esercizio del potere politico.”. La domanda di accertamento contenuta nel ricorso introduttivo andava pertanto dichiarata inammissibile e quindi correttamente è stata affrontata solo di riflesso.

Quanto al rilievo sulla necessità di dichiarare illegittimo l’ordine di demolizione emesso nei confronti degli appellanti nella loro veste di proprietari acquirenti in buona fede che si dichiarano estranei alla realizzazione degli abusi, si rinvia a quanto già esposto in precedenza con riguardo al primo motivo di appello, dando atto che il T.a.r., nei limiti dei poteri allo stesso riconosciuti, si è sul punto pronunciato in conformità all’orientamento giurisprudenziale granitico, che afferma che gli ordini di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi hanno carattere reale e, pertanto, prescindono dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile.

Il provvedimenti sanzionatori sono, pertanto, legittimamente adottati anche a carico di chi si trovi in un rapporto con il bene tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato, quand’anche questi non sia responsabile dell’abuso contestato: “L'ordine di demolizione costituisce una misura di carattere reale, finalizzata a reprimere un illecito di natura permanente, di conseguenza deve ritenersi legittima l'individuazione del proprietario tra i soggetti su cui incombe l'onere di rimuovere un simile illecito” (Cons. Stato, Sez. VI, 25/11/2022, n. 10373). Infatti, la responsabilità dell’autore dell’abuso concorre con quella del proprietario, essendo quest’ultimo il soggetto posto nella condizione di eseguire l’ordine di ripristino impartito dalla P.A.: “Gli ordini di demolizione di costruzioni abusive, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario o dell'occupante l'immobile (l'estraneità agli abusi assumendo comunque rilievo sotto altri profili), applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell'irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell'ordine giuridico violato. Detto principio non elide la responsabilità dell'esecutore dell'opera che concorre con quella del proprietario. Il testo delle norme sanzionatorie (artt. 27, 31, 33, 35 del d.P.R. n. 380 del 2001) giammai esclude la responsabilità del materiale esecutore dell'opera che, appunto, si aggiunge a quella di colui che, trovandosi in una relazione di immediata disponibilità dell'opera, è nelle migliori condizioni per poter eseguire la demolizione” (T.A.R. Campania-Napoli 70/2020).

11. In relazione al regime vincolistico di zona gli appellanti con il motivo n. 5 censurano: “Errores in procedendo ed in iudicando - Violazione e falsa applicazione artt. 1, 2, 29, 33 e 34 D.Lgs 02.07.2010, n. 104 in relazione artt. 1 e ss. ed, in particolare, 27, 31, 33 e 34 DPR 06.06.2001, n. 380 e artt. 1, 3 e 6 L. 07.08.1990, n. 241 e artt. 1 e ss. D.LGs 42/2004 – Violazione e falsa applicazione artt. 31, 32 e 33 DPR 06.06.2001, n. 380 - Violazione art. 112 c.p.c. - in relazione art. 3 L. 07.08.1990, n. 241 e art. 36 DPR 06.06.2001, n. 380 – Violazione artt. 6, 8 e 13 CEDU e art. 1 del Prot. Add. C.E.D.U. Parigi, 20.III.1952 - Violazione art. 41 della Cost. Repubblicana e art. 832 del Codice Civile”. A riguardo sostengono che l’art. 27 D.P.R. n. 380/01 non potrebbe costituire norma fondante del potere repressivo della P.A. e che le ordinanze n. 35/2014 e n. 8/2015 non conterrebbero alcuna valutazione sulla eventuale ed effettiva incidenza delle opere abusive sui valori paesaggistici tutelati e meritevoli di conservazione.

11. Entrambe le argomentazioni sono erronee ed infondate.

L’art. 27 T.U. Edilizia è la norma generale su cui si fonda il potere di repressione degli abusi edilizi eseguiti in aree vincolate: “Relativamente al tema edilizio, l'art. 27 d.P.R. n. 380/2001 impone di adottare un provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano, comunque, costruite senza titolo in aree sottoposte a vincolo paesistico” (Cons. Stato, Sez. VII, 06/11/2023, n. 9557). L’orientamento giurisprudenziale in merito è assolutamente consolidato: “L'art. 27, comma 2, d.P.R. n. 380/2001 riconosce all'Amministrazione comunale un generale potere di vigilanza e controllo su tutta l'attività urbanistica ed edilizia, imponendo l'adozione di provvedimenti di demolizione in presenza di opere realizzate in zone vincolate, in assenza dei relativi titoli abilitativi, al fine di ripristinare la legalità violata dall'intervento edilizio non autorizzato. E ciò mediante l'esercizio di un potere-dovere del tutto privo di margini di discrezionalità, in quanto rivolto solo a reprimere gli abusi accertati, da esercitare anche in ipotesi di opere assentibili con d.i.a., prive di autorizzazione paesaggistica” (Cons. Stato, Sez. VI, 17/02/2023, n. 1660).

Per il resto il Collegio ritiene i provvedimenti sufficientemente motivati.

12. Con l’ultimo motivo di cui al punto 6, rivolto avverso l’accertamento di inottemperanza alla prima ingiunzione, rubricato “Errores in procedendo ed in iudicando - Violazione e falsa applicazione artt. 1, 2, 29, 33 e 34 D.Lgs 02.07.2010, n. 104 in relazione artt. 1 e ss. ed, in particolare, 27, 31, 33 e 34 DPR 06.06.2001, n. 380 e artt. 1, 3 e 6 L. 07.08.1990, n. 241 e artt. 1 e ss. D.LGs 42/2004 – Violazione e falsa applicazione artt. 31, 32 e 33 DPR 06.06.2001, n. 380 - Violazione art. 112 c.p.c. - in relazione art. 3 L. 07.08.1990, n. 241 e art. 36 DPR 06.06.2001, n. 380 – Violazione artt. 6, 8 e 13 CEDU e art. 1 del Prot. Add. C.E.D.U. Parigi, 20.III.1952 - Violazione art. 41 della Costituzione Repubblicana e art. 832 del Codice Civile” gli appellanti sostengono che sia errata la sentenza laddove la stessa ha sancito che l’improcedibilità del ricorso avverso la primigenia ingiunzione avrebbe l’effetto di rendere improcedibile anche qualsivoglia statuizione in ordine all’accertamento di inottemperanza alla medesima. Ritengono non condivisibile la pronuncia per il fatto che il Comune non ha annullato e/o dichiarato superato tale illegittimo accertamento al momento (e con l’adozione) della successiva ordinanza del 2015.

12.1. Il rilievo è inammissibile per carenza di interesse e comunque infondato.

Come riconosciuto dalla stessa parte appellante, l’accertamento di inottemperanza inerisce la successiva ordinanza che a sua volta si richiama alla prima, sostituita da quest’ultima.

Rimane comunque corretto il pronunciamento del T.a.r. laddove ha statuito che l’adozione della successiva ordinanza di ripristino n. 8/2015, a seguito del diniego di sanatoria n. 44/2014, abbia assorbito e sostituito l’ordinanza n. 35/2014. Correttamente il T.a.r. ha altresì dato atto della inoppugnabilità del verbale di accertamento di inottemperanza, stante la sua natura endo-procedimentale, in conformità alla consolidata giurisprudenza secondo cui: “Il verbale di accertamento della inottemperanza all'ordinanza di demolizione ha valore di atto endoprocedimentale, strumentale alle successive determinazioni dell'ente comunale, ed ha efficacia meramente dichiarativa delle operazioni effettuate dalla Polizia Municipale, alla quale non è attribuita la competenza all'adozione di atti di amministrazione attiva, all'uopo occorrendo che la competente autorità amministrativa faccia proprio l'esito delle predette operazioni attraverso un formale atto di accertamento; ne discende che, in quanto tale, detto verbale non assume quella portata lesiva che sia in grado di attualizzare l'interesse alla tutela giurisdizionale, portata lesiva invece ravvisabile soltanto nell'atto formale di accertamento ex art. 31, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001 con cui l'autorità amministrativa recepisce gli esiti dei sopralluoghi effettuati dalla Polizia Municipale e forma il titolo ricognitivo idoneo all'acquisizione gratuita dell'immobile al patrimonio comunale” (Cons. Stato, Sez. VI, 27/10/2022, n. 9150).

Per le ragioni tutte esposte l’appello deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna Cappetta Giuseppe e Rubino Anna al pagamento, in solido tra loro, delle spese di lite della presente fase di appello, che si liquidano nella misura complessiva di € 3.000,00 (oltre oneri accessori, se dovuti), in favore del Comune di Salerno.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2024 con l'intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente

Giordano Lamberti, Consigliere

Stefano Toschei, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Gudrun Agostini, Consigliere, Estensore