Cass. Sez. III n. 35008 del 18 settembre 2024 (CC 12 giu 2024)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Leva
Urbanistica.Esecuzione della demolizione e principio di proporzionalità
Il principio di proporzionalità presuppone la cogenza dell’ordine di demolizione dell’opera abusivamente realizzata e la sua inderogabile funzione ripristinatoria di un “ordine urbanistico” tuttora violato, non potendo essere utilizzato per eludere tale funzione con il rischio di legittimare ‘ex post’, nei fatti, condotte costituenti reato e di consolidarne il relativo prodotto/profitto. Il principio di proporzionalità si frappone all’esecuzione dell’ordine di demolizione per ragioni estranee alla adozione dell’ordine stesso; esso non incide nella fase deliberativa dell’ordine stesso, bensì in quella esecutiva. Per questo i fatti addotti a sostegno del rispetto del principio di proporzionalità devono essere allegati (e accertati) in modo rigoroso, dovendosene far carico (quantomeno sul piano dell’allegazione) chi intende avvalersene per paralizzare il ripristino di un ordine violato, tanto più se si stratta dello stesso autore dell’abuso. Né tali fatti possono dipendere dall’inerzia o dalla volontà dell’autore dell’abuso o del destinatario dell’ordine. Va, al riguardo, ricordato (e sottolineato) che l’ordine di demolizione ingiunto dal pubblico ministero costituisce esecuzione (provvisoriamente a spese della collettività) dell’ordine già irrevocabilmente impartito dal giudice con sentenza pronunciata all’esito di un giusto processo svolto nel contraddittorio tra le parti. Il condannato (o i suoi aventi causa) non può “lucrare” sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza perché l’ingiunzione del pubblico ministero è causata proprio dalla sua inerzia, né può successivamente invocare il principio di proporzionalità allegando (colpevoli) inerzie o fatti da lui stesso posti in essere nella piena consapevolezza della natura abusiva dell’immobile, della precarietà della propria situazione abitativa, della persistente violazione dell’ordine. In altri termini: il principio di proporzionalità non può essere indiscriminatamente e genericamente dedotto e utilizzato per legittimare la violazione dell’ordine di demolizione irrevocabilmente impartito dal giudice, poiché a tanto si arriverebbe opponendo sempre e comunque la violazione del domicilio.
RITENUTO IN FATTO
1. Luigi Leva ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 30 gennaio 2024 del Tribunale di Napoli che, pronunciando in sede esecutiva, ha rigettato l’istanza di revoca/annullamento dell’ordine di demolizione disposto con sentenza di condanna del 30 settembre 1999 del Pretore di Napoli e di revoca dell’ingiunzione a demolire emessa dal Pubblico ministero in esecuzione della stessa.
1.1. Con il primo motivo deduce la mancanza di prova della irrevocabilità della sentenza.
1.2. Con il secondo motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 39 legge n. 724 del 1994, osservando che: a) gli abusi edilizi non facevano capo ad un unico centro di interessi, bensì ad una pluralità di centri, se non altro perché si trattava di abusi posti in essere in tempi diversi riguardanti un immobile realizzato su appezzamento di terreno di proprietà dei coniugi Leva/Frappoli e consistiti in distinti e autonomi ampliamenti del piano terra e del primo piano, con conseguente autonoma legittimazione a proporre distinte domande di condono da parte dei due coniugi senza che ciò possa essere considerato un artificioso frazionamento della domanda; b) il Giudice dell’esecuzione ha sommato la volumetria complessiva lorda dell’immobile, senza distinguere tra volumi tecnici/accessori e volumi per i quali è necessaria la concessione in sanatoria e senza considerare che si tratta di abuso di necessità, siccome anche attualmente destinato a soddisfare esigenze abitative dei singoli e delle relative famiglie.
1.3. Con il terzo motivo deduce la violazione del principio di proporzionalità sancito dall’art. 8 CEDU e la mancanza di motivazione sull’esistenza di un interesse pubblico alla demolizione del bene prevalente su quello privato alla sua conservazione, essendo il ricorrente affetto da gravi patologie per le quali è stato dichiarato invalido al 100% ed avendo 92 anni di età.
1.4. Con il quarto motivo deduce la violazione degli artt. 38 e 39 legge n. 724 del 1994 avendo corrisposto per intero l’oblazione in epoca anteriore alla sentenza di condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è inammissibile.
3. Il primo motivo è inammissibile sia perché generico (e intrinsecamente contraddittorio), sia perché deduce una questione, relativa alla formazione ed alla esistenza del titolo esecutivo, nuova siccome non oggetto dell’istanza presentata al giudice dell’esecuzione.
3.1. Innanzitutto, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, non è necessaria, ai fini della formazione del titolo esecutivo, l'attestazione del cancelliere in calce alla sentenza circa l'avvenuto passaggio in giudicato di essa, allorché tale fatto non sia controverso, poiché l'efficacia esecutiva è una caratteristica intrinseca della sentenza divenuta irrevocabile e l'attestazione di cancelleria un mero adempimento amministrativo di carattere interno, previsto a tutt'altri fini dall'art. 27 del Regolamento di esecuzione del codice di procedura penale, approvato con D.M. 30 settembre 1989 n. 334 (Sez. 1, n. 44236 del 13/05/2014, Rv. 260714 - 01; Sez. 1, n. 32301 del 03/07/2003, Musci, Rv. 225119 - 01; Sez. 6, n. 21925 del 05/03/2002, Formisano, Rv. 225415 - 01; Sez. 1, n. 1230 del 09/02/1999, Di Martino, Rv. 212970 - 01).
3.2. In secondo luogo, il ricorrente non deduce di aver impugnato la sentenza di condanna in esecuzione della quale è stata emessa l’ingiunzione opposta né, come detto, ha adito il giudice dell’esecuzione proponendo questioni sul titolo esecutivo.
4. Il secondo motivo è manifestamente infondato e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimità.
4.1. Risulta dalla sentenza di condanna allegata al ricorso che i coniugi Leva Luigi/Frappoli Carolina (deceduta nelle more dell’incidente di esecuzione) avevano abusivamente completato, nell’estate del 1996, un immobile di loro proprietà ultimandone i quattro appartamenti al primo piano e il terrazzino del piano rialzato (anch’esso abusivo) in violazione, peraltro, dei sigilli precedentemente apposti.
4.2. Risulta, inoltre, dal provvedimento impugnato, che il volume del fabbricato è superiore a 750 mc. e che per le singole porzioni dello stesso erano state presentate sei domande di condono proposte ex lege n. 724 del 1994 positivamente esitate a favore di Galiero Denise, Leva Antonietta, Leva Rosaria, Leva Maria che risultano proprietarie delle singole porzioni giuste donazioni e compravendite effettuate tra il 2001 e il 2018 in epoca, cioè, successiva persino alla instaurazione dell’incidente di esecuzione.
4.3. E’ stato precisato e deve essere ribadito che: a) l’operatività dell’ordine di demolizione non può essere esclusa dalla alienazione a terzi della proprietà dell'immobile, con la sola conseguenza che l'acquirente potrà rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell'avvenuta demolizione (Sez. 3. n. 37120 del 11/05/2005, Morelli, Rv. 232175 - 01); b) l'ordine di demolizione del manufatto abusivo è legittimamente adottato nei confronti del proprietario dell'immobile indipendentemente dall'essere egli stato anche l’autore dell'abuso, salva la facoltà del medesimo di far valere, sul piano civile, la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del proprio dante causa (Sez. 3, n. 39322 del 13/07/2009, Berardi, Rv. 244612 - 01); c) l’esecuzione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo impartito dal giudice a seguito dell'accertata violazione di norme urbanistiche non è esclusa dall'alienazione del manufatto a terzi, anche se intervenuta anteriormente all'ordine medesimo, atteso che l'esistenza del manufatto abusivo continua ad arrecare pregiudizio all’ambiente (Sez. 3, n. 22853 del 29/03/2007, Coluzzi, Rv. 236880 - 01, che ha ribadito che il terzo acquirente dell'immobile potrà rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell'avvenuta demolizione; nello stesso senso, Sez. 3, n. 16035 del 26/02/2014, Attardi, Rv. 259802 - 01; Sez. 3, n. 45848 del 01/10/2019, Cannova, Rv. 277266 - 01).
4.4. Di certo il ricorrente, in buona sostanza, non è più proprietario dell’immobile se non del locale deposito a pian terreno, con conseguente mancanza di interesse concreto e attuale a coltivare il ricorso sulle restanti porzioni dell’immobile.
4.5. In ogni caso, correttamente il Giudice dell’esecuzione ha ritenuto l’artificioso frazionamento delle domande.
4.6. Va in primo luogo ricordato che l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall'art. 31, comma nono, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l'edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all'esercizio dell'azione penale e/o alla condanna, atteso che l'obbligo di demolizione si configura come un dovere di "restitutio in integrum" dello stato dei luoghi e, come tale, non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell'originaria costruzione (Sez. 3, n. 6049 del 27/09/2016, dep, 2017, Molinari, Rv. 268831 - 01; Sez. 3, n. 38947 del 09/07/2013, Amore, Rv. 256431 - 01; Sez. 3, n.21797 del 27/04/2011, Apuzzo, Rv. 250389 - 01; Sez. 3, n. 2872 dell’11/12/2008, dep. 2009, Corimbi, Rv. 242163 - 01; Sez. 3, n. 10248 del 18/01/2001, Vitrani, Rv. 218961 - 01; Sez. 3, n. 33648 del 08/07/2022, n.m.; Sez. 3, n. 41180 del 20/10/2021, n.m.; Sez. 3, n. 30298 del 02/07/2021, n.m.; Sez. 3, n. 19112 del 10/06/2020, n.m.).
4.7. In secondo luogo il Giudice ha fatto buon governo dell’insegnamento costante della Corte di cassazione secondo il quale, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario che faccia capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad una unica concessione in sanatoria, onde evitare la elusione del limite di settecentocinquanta metri cubi attraverso la considerazione di ciascuna parte in luogo dell'intero complesso (Sez. 3, n. 44596 del 20/05/2016, Boccia, Rv. 269280 - 01; Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2014, dep. 2014, Cantiello, Rv. 259292 - 01; Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2013, Cantiello, Rv. 259292 - 01; Sez. 3, n. 20161 del 19/05/2005, Merra, Rv. 231643 - 01; Sez. 3, n. 8584 del 26/04/1999, La Mantia, Rv. 214280 - 01).
4.8. Tale principio è stato confermato anche in tema di condono edilizio previsto dal d.l. 30 novembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, essendo stato affermato che la presentazione di plurime istanze di sanatoria relative a distinte unità immobiliari, ciascuna di volumetria non eccedente i 750 mc., costituisce artificioso frazionamento della domanda, in caso di nuova costruzione di volumetria inferiore a 3.000 mc., la cui realizzazione sia ascrivibile ad un unico soggetto (Sez. 3, n. 2840 del 18/11/2021, dep. 2022, Vicale, Rv. 282887 - 01, in fattispecie relativa a nuova costruzione avente volumetria complessiva di circa 2.200 mc., composta da quattro unità immobiliari, rispetto alla quale risultavano presentate, da soggetti diversi dall'autore dell'edificazione, due istanze di condono per unità di volumetria inferiore a 750 mc).
4.9. L’unitarietà del complesso immobiliare deve essere riferita al centro di imputazione di interessi cui esso fa riferimento, dovendosi intendere per tale non l’unicità della persona fisica titolare di tali interessi bensì la unicità della situazione giuridica soggettiva attiva della quale il bene è oggetto, ancorché facente capo a più persone; nel caso di comproprietà, quello che rileva è il rapporto tra il bene e il diritto del quale è oggetto non tra il bene e la pluralità di persone che possono disporne.
4.10. Nel caso di specie, l’immobile è unico ed all’epoca degli abusi era oggetto del diritto di (com)proprietà del ricorrente e della moglie; solo successivamente è stato frazionato in tante parti quanti erano gli appartamenti e i locali che ne sono stati ricavati molti dei quali peraltro ceduti a terze persone.
4.11. Il calcolo della volumetria computabile ai fini del limite di 750 mc. stabilito dall’art. 39, comma 1, legge n. 724 del 1994, costituisce questione di fatto non deducibile per la prima volta in sede di legittimità.
4.12. Al riguardo, va comunque ribadito che ai fini della sanatoria prevista dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 - secondo cui, tra l'altro, le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993 e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale, un ampliamento superiore a 750 metri cubi - la realizzazione di un piano interrato rientra tra gli interventi computabili ai fini della determinazione della cubatura dell'edificio, dovendo detto calcolo essere riferito, salvo che non viga una disposizione contraria, ad ogni elemento dell'opera idoneo ad incidere sull'assetto del territorio ed a aumentare il carico urbanistico (Sez. 3, n. 23474 del 08/04/2019, Perillo, Rv. 275796 - 01).
4.13. Quanto al diverso limite volumetrico di 3000 mc. previsto dall’art. 32, comma 25, d.l. n. 269 del 2003, cit., premesso che nel caso di specie le concessioni in sanatoria sono state chieste e ottenute ai sensi della legge n. 724 del 1994, tale limite postula la legittimità delle singole istanze, legittimità che nel caso di specie deve essere esclusa a causa dell’artificioso frazionamento delle singole istanze.
4.14. Le deduzioni difensive che sostengono il contrario (anche in punto di computo della volumetria complessiva dell’immobile) sono inammissibili perché sollecitano un’indagine sul fatto che è preclusa in sede di legittimità, tanto più che il ricorrente non deduce nemmeno il travisamento degli elementi di prova indicati dal Giudice a sostegno della propria decisione.
5. Il terzo motivo è inammissibile per carenza di interesse e per genericità.
5.1. Il ricorrente, come anticipato, è attualmente titolare del solo locale deposito a pian terreno, essendo gli appartamenti abitati dai figli, sicché non si vede in che modo la demolizione del fabbricato violi il diritto all’abitazione del ricorrente.
5.2. Secondo l’insegnamento della Corte di cassazione, in tema di reati edilizi, il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità come elaborato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, e Corte EDU, 04/08/2020, Kaminskas c. Lituania, considerando l'esigenza di garantire il rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, di cui all'art. 8 della Convenzione EDU, e valutando, nel contempo, la eventuale consapevolezza della violazione della legge da parte dell'interessato, per non incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell'ambiente, nonché i tempi a disposizione del medesimo, dopo l'irrevocabilità della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile ovvero per risolvere le proprie esigenze abitative (così Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Rv. 280270 - 01; nello stesso senso, Sez. 3, n. 48021 dell’11/09/2019, Rv. 277994 - 01, secondo cui il diritto all'abitazione, riconducibile agli artt. 2 e 3 Cost. e all'art. 8 CEDU, non è tutelato in termini assoluti, ma è contemperato con altri valori di pari rango costituzionale, come l'ordinato sviluppo del territorio e la salvaguardia dell'ambiente, che giustificano, secondo i criteri della necessità, sufficienza e proporzionalità, l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo, sempre che tale provvedimento si riveli proporzionato rispetto allo scopo che la normativa edilizia intende perseguire, rappresentato dal ripristino dello status preesistente del territorio).
5.3. E’ stato precisato che il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, deve valutare la disponibilità, da parte dell'interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilità di far valere le proprie ragioni dinanzi a un tribunale indipendente, l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonché l'eventuale consapevolezza della natura abusiva dell'attività edificatoria (Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, D’Auria, Rv. 282950 - 01, che ha ritenuto corretta la decisione di rigetto dell'istanza di revoca dell'ingiunzione a demolire un immobile abusivo, rilevando che i ricorrenti avevano commesso numerose contravvenzioni urbanistiche e paesaggistiche e più delitti di violazione dei sigilli, avevano potuto avvalersi di plurimi rimedi per la tutela in giudizio delle proprie ragioni, avevano beneficiato di un congruo tempo per individuare altre situazioni abitative e non avevano indicato specifiche esigenze che giustificassero il rinvio dell'esecuzione dell'ordine di demolizione onde evitare la compromissione di altri diritti fondamentali; nello stesso senso, Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Leoni, Rv. 280270 - 01).
5.4. Come spiegato in motivazione dalla citata Sez. 3, D’Auria, «[a]i fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalità, la Corte EDU ha (…) valorizzato essenzialmente: la possibilità di far valere le proprie ragioni davanti ad un tribunale indipendente; la disponibilità di un tempo sufficiente per "legalizzare" la situazione, se giuridicamente possibile, o per trovare un'altra soluzione alle proprie esigenze abitative agendo con diligenza; l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui verrebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola. Inoltre, ai medesimi fini, un ruolo estremamente rilevante è stato attribuito alla consapevolezza della illegalità della costruzione da parte degli interessati al momento dell'edificazione ed alla natura ed al grado della illegalità realizzata (…) La maggior parte delle decisioni di legittimità ha ritenuto rispettato il principio di proporzionalità valorizzando il tempo a disposizione del destinatario dell'ordine di demolizione per «cercare una soluzione alternativa» (così Sez. 3, n. 48021 del 11/09/2019, Giordano, Rv. 277994-01, e Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Ferrante, Rv. 273368-01, la quale ha escluso rilievo a situazioni di salute «solo "cagionevole"») o la gravità delle violazioni (cfr. Sez. 3, n. 43608 del 08/10/2021, Giacchini, che ha valorizzato le dimensioni del fabbricato e la violazione di più disposizioni penali, anche in tema di paesaggio, conglomerato cementizio e disciplina antisismica), o entrambe le circostanze (Sez. 3, n. 35835 del 03/11/2020, Santoro ed altro, non massimata)».
5.5. Non va peraltro dimenticato che l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all'art. 8 Conv. EDU, posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto "assoluto" ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio violato (Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Ferrante, Rv. 273368 - 01; Sez. 3, n. 18949 del 10/0372016, Contadini, 267024; Sez. 3, n. 3704 del 09/11/2022, dep. 2023, n.m.; Sez 3, n. 1668 del 29/09/2022, n.m.).
5.6. Del resto, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, con effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l'autore dell'abuso, con la conseguenza che non può ricondursi alla nozione convenzionale di “pena", nel senso elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU, e non è soggetto a prescrizione (Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Rv. 275850 - 02; Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Rv. 267977 - 01; Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Rv. 265540 - 01; Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Rv. 264736 - 01; Sez. 3, n. 19742 del 14/04/2011, Rv. 250336 - 01). Come diffusamente spiegato da Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Delorier, Rv. 265540, già con la sentenza Sez. 3, n. 48925 del 22/10/2009, Viesti e altri, Rv. 245918, la Corte di cassazione, in base alle argomentazioni sviluppate dalla stessa Corte e.d.u. (in essa richiamate), aveva chiaramente affermato che la demolizione, a differenza della confisca, non può considerarsi una «pena» nemmeno ai sensi dell'art. 7 della CEDU, perché «essa tende alla riparazione effettiva di un danno e non è rivolta nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge».
5.7. Né rileva l’affidamento che il titolare del bene da demolire possa fare sull’inerzia della AG: il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento (Cons. St., Ad. Plen., n. 9 del 17/10/2017).
5.8. Per queste ragioni, l'ordine demolitorio, diversamente dalla pena, non si estingue per morte del reo sopravvenuta alla irrevocabilità della sentenza (Sez. 3, n. 3861 del 18/1/2011, Baldinucci, Rv. 249317; Sez. 3, n. 3720 del 24/11/1999 - dep. 2000, Barbadoro, Rv. 215601), ma si trasmette agli eredi del responsabile (v., ad es., Consiglio di Stato, Sez. 6, n. 3206 del 30/5/2011) e dei suoi aventi causa che a lui subentrino nella disponibilità del bene (v., ad es. Consiglio di Stato, Sez. 4, n.2266 del 12/4/2011; Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 6554 del 24/12/2008).
5.9. Non va nemmeno dimenticato che la demolizione ordinata dal giudice penale costituisce atto dovuto, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell'autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione (cfr. Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258518; Sez.3, n.37906 del 22/5/2012, Mascia ed altro, non massimata; Sez. 6, n. 6337 del 10/3/1994, Sorrentino Rv. 198511; cfr., altresì, Sez. U, n. 15 del 19/6/1996, RM. in proc. Monterisi, Rv. 205336; Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 (dep.1997), Luongo, Rv. 206659), un potere che si pone a chiusura del sistema sanzionatorio amministrativo (cfr. Corte Cost. ord. 33 del 18/1/1990; ord. 308 del 9/7/1998; Cass. Sez. F, n. 14665 del 30/08/1990, Di Gennaro, Rv. 185699).
5.10. Il principio di proporzionalità, dunque, presuppone la cogenza dell’ordine di demolizione dell’opera abusivamente realizzata e la sua inderogabile funzione ripristinatoria di un “ordine urbanistico” tuttora violato, non potendo essere utilizzato per eludere tale funzione con il rischio di legittimare ‘ex post’, nei fatti, condotte costituenti reato e di consolidarne il relativo prodotto/profitto.
5.11. Il principio di proporzionalità si frappone all’esecuzione dell’ordine di demolizione per ragioni estranee alla adozione dell’ordine stesso; esso non incide nella fase deliberativa dell’ordine stesso, bensì in quella esecutiva. Per questo i fatti addotti a sostegno del rispetto del principio di proporzionalità devono essere allegati (e accertati) in modo rigoroso, dovendosene far carico (quantomeno sul piano dell’allegazione) chi intende avvalersene per paralizzare il ripristino di un ordine violato, tanto più se si stratta dello stesso autore dell’abuso.
5.12. Né tali fatti possono dipendere dall’inerzia o dalla volontà dell’autore dell’abuso o del destinatario dell’ordine. Va, al riguardo, ricordato (e sottolineato) che l’ordine di demolizione ingiunto dal pubblico ministero costituisce esecuzione (provvisoriamente a spese della collettività) dell’ordine già irrevocabilmente impartito dal giudice con sentenza pronunciata all’esito di un giusto processo svolto nel contraddittorio tra le parti. Il condannato (o i suoi aventi causa) non può “lucrare” sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza perché l’ingiunzione del pubblico ministero è causata proprio dalla sua inerzia, né può successivamente invocare il principio di proporzionalità allegando (colpevoli) inerzie o fatti da lui stesso posti in essere nella piena consapevolezza della natura abusiva dell’immobile, della precarietà della propria situazione abitativa, della persistente violazione dell’ordine.
5.13. In altri termini: il principio di proporzionalità non può essere indiscriminatamente e genericamente dedotto e utilizzato per legittimare la violazione dell’ordine di demolizione irrevocabilmente impartito dal giudice, poiché a tanto si arriverebbe opponendo sempre e comunque la violazione del domicilio.
5.14. La circostanza, pertanto, che l’immobile da demolire costituisca l’unico domicilio del condannato, oltre a non essere vera, non è di per sé dirimente poiché tale circostanza non influisce nemmeno sulla configurabilità del reato di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001. Secondo il consolidato insegnamento della Corte di cassazione, non è configurabile l'esimente dello stato di necessità in quanto, pur essendo ipotizzabile un danno grave alla persona in cui rientri anche il danno al diritto all'abitazione, difetta in ogni caso il requisito dell'inevitabilità del pericolo, posto che tale pericolo è evitabile chiedendo, in caso di terreno edificabile, il relativo permesso, mentre, in caso di terreno non edificabile, il diritto del cittadino a disporre di un'abitazione non può prevalere sull'interesse della collettività alla tutela del paesaggio e dell'ambiente (Sez. 3, n. 2280 del 24/11/2017, dep. 2018, Lo Buono, Rv. 271769 - 01; Sez. 3, n. 35919 del 26/06/2008, Savoni, Rv. 241094 - 01; Sez. 3, n. 41577 del 20/09/2007, Ferraioli, Rv. 238258 - 01).
5.15. Orbene, se l’esigenza abitativa è irrilevante non solo ai fini della sussistenza del reato, ma anche dell’ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna, non si vede come questo argomento possa di per sé essere utilizzato per sterilizzare “ex post” l’ordine stesso.
5.16. Che l’art. 39, comma 14, legge n. 724 del 1994, prevede la riduzione dell’oblazione in caso di opera abusiva destinata ad abitazione principale onde ovviare a situazioni di estremo disagio abitativo è circostanza che non prova nulla se non il fatto che l’autore dell’abuso ha diritto alla riduzione della somma dovuta. E’ piuttosto vero che il fatto espressamente contemplato dal comma 13 dell’art. 39 («le opere realizzate al fine di ovviare a situazioni di estremo disagio abitativo») non è contemplato quale motivo di rilascio del condono edilizio nemmeno se l’opera è destinata ad abitazione principale. Ne consegue che la deduzione difensiva che vorrebbe trarre dall’art. 39, commi 13 e 14, legge n. 724 del 1994 argomento a sostegno del diritto all’abitazione in caso di abuso di necessità è assolutamente infondato, a prescindere dalla genericità della deduzione stessa.
5.16.1. E’ piuttosto vero che dopo la sentenza di condanna il ricorrente, invece di trovare una sistemazione alternativa e conformarsi all’ordine di demolizione irrevocabilmente impartito dal giudice, ha posto in essere nel tempo condotte elusive dell’ordine onde consolidare il frutto dell’illecito perseverando in una condizione di mala fede ostativa alla applicazione del principio di proporzionalità.
6. Non è infine deducibile in sede esecutiva l’estinzione del reato avvenuta prima della sentenza irrevocabilmente pronunciata trattandosi di questione preclusa dal giudicato (e ciò a prescindere dalle considerazioni già svolte al § 4 che precede).
7. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., essendo essa ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente nella misura di € 3.000,00.
Il Collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. 1, comma 64, legge n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 12/06/2024.