Cass. Sez. III n. 45587 del 11 dicembre 2024 (CC 14 nov 2024)
Pres. Ramacci Est. Scarcella Ric. Marro
Urbanistica.Giudice penale e titolo abilitativo
Il giudice penale non è vincolato nella valutazione ad esso spettante e relativa alla configurabilità del reato urbanistico, alla esistenza e persistente validità di un titolo abilitativo ove, fattualmente, ne emerga la illegittimità, non trattandosi di procedere alla sua disapplicazione. Inoltre, si è più volte affermato che in tema di reati edilizi, il giudice penale ha il potere-dovere di verificare in via incidentale la legittimità del permesso di costruire in sanatoria e la conformità delle opere agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi ed alla disciplina legislativa in materia urbanistico-edilizia, senza che ciò comporti l'eventuale "disapplicazione" dell'atto amministrativo ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E, atteso che viene operata una identificazione in concreto della fattispecie con riferimento all'oggetto della tutela, da identificarsi nella salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio regolati dagli strumenti urbanistici
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 3 maggio 2024, il Tribunale del riesame di Benevento rigettava l’istanza di riesame proposta nell’interesse di Pierluigi Marro, confermando per l’effetto il provvedimento con cui era stato disposto il sequestro preventivo avente ad oggetto un’area di cantiere delimitata, dell’estensione di circa 1.480 mq., meglio descritta catastalmente in atti, nonché i beni strumentali nella stessa rinvenuti, ipotizzandosi il reato di cui all’art. 44, TU Edilizia.
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Marro, a mezzo del proprio difensore, articolando due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173, disp. att., cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 31, TU Edilizia con riferimento all’art. 44, comma 1, lett. b), TU Edilizia e 321 cod. proc. pen. in ordine alla ritenuta sussistenza del fumus.
In sintesi, si sostiene come, già in sede di impugnazione davanti ai giudici del riesame, si era contestato che il provvedimento di sequestro si sarebbe fondato su un’erronea prospettazione dei fatti ed un’illegittima valutazione delle norme giuridiche da parte degli uffici comunali, in quanto il sequestro era disposto per violazione dell’art. 31, TU Edilizia, disciplinante gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, laddove, diversamente, il comune si sarebbe limitato ad affermare che i lavori oggetto del sequestro risultavano effettuati mediante titoli edilizi (segnatamente due permessi di costruire ed una SCIA dichiarata improcedibile) perché realizzati in area priva di potenzialità edificatoria. Contestato quindi il modus procedendi del Comune – che, in tale ipotesi, avrebbe dovuto attivare il contraddittorio tra le parti e all’esito eventualmente disporre l’annullamento dei titoli abilitativi – sostiene la difesa del ricorrente che, quanto alla presunta inedificabilità, il piano urbanistico, approvato con delibera CC n. 33 del 2012, e in particolare gli API approvati con delibera CC n. 46 del 2012, avevano riclassificato l’area in questione come zona elementare B2 con la disciplina specifica della zona B2, mentre, in ordine al c.d. volume tombato – che secondo il comune avrebbe assunto di fatto le caratteristiche di un corpo di fabbrica parzialmente interrato con potenzialità di costituire un volume edilizio – il ricorrente sosteneva trattarsi di una mera intercapedine, inaccessibile ed utilizzabile a fini abitativi, che non dava luogo ad incremento volumetrico, osservando come la tombatura delle fondamenta rientra nell’attività edilizia libera. Richiamata, ancora, giurisprudenza di questa Sezione (il riferimento è a Cass. pen., Sez. 3, n. 37475/2019) secondo cui ai fini della configurabilità del reato di esecuzione di lavori "sine titulo" di cui all'art. 44, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, non può ritenersi sufficiente che il permesso di costruire in base al quale sono state realizzate le opere sia stato successivamente revocato o annullato, in sede amministrativa o giurisdizionale, dovendosi invece accertare se quel titolo fosse già in origine illegittimo per il contrasto con la disciplina normativa e di pianificazione del territorio, sostiene la difesa che i giudici non avrebbero considerato l’assoluta buona fede del ricorrente, idonea sul piano dell’elemento soggettivo ad escludere il fumus, alla luce del fatto che l’attività edilizia era stata assentita da regolari titoli edilizi rilasciati ad altri soggetti e della voltura del PDC n. 3510/2022, disposta in data 14/1/2023 dal comune di Benevento in suo favore. Quanto al periculum, era stato rappresentato che le valutazioni comunali erano all’evidenza viziate e che lo stesso da ritenersi insussistente non giustificandosi l’intervento penale in quanto la vicenda avrebbe dovuto essere valutata solo in sede amministrativa e risolta con gli ordinari strumenti anche inibitori nella disponibilità del Comune, considerato l’interesse del ricorrente a realizzare un’opera regolare. In sede di sviluppo del primo motivo, poi, il ricorrente provvedeva a ritrascrivere integralmente il ricorso al TAR presentato avverso il provvedimento comunale, dando atto dei profili di doglianze mossi, delle difese svolte dall’Amministrazione comunale e delle censure svolte avverso a tali difese, evidenziando come il TAR non avesse adottato alcun provvedimento in fase cautelare, rinviando per la trattazione del merito all’udienza pubblica di “aprile 2025”, ed aggiungendo, infine, come il Comune, disattendendo il parere dell’Avvocatura comunale che in data 30/05/2024 aveva suggerito di revocare in autotutela il provvedimento impugnato, non avesse agito di conseguenza. Quanto, poi, alle censure svolte nei confronti del provvedimento reso dal Tribunale del riesame, la difesa del ricorrente contestava la soluzione cui erano pervenuti i giudici del riesame, i quali avevano ritenuto i titoli edilizi rilasciati tra il 2020 ed il 2023 come illegittimi perché relativi ad un’area dichiarata a far data dal 2012 priva di potenzialità edificatoria dal momento che la volumetria residenziale era già stata assorbita dai titoli edilizi rilasciati in precedenza. I giudici del riesame avevano osservato come la difesa non si fosse adeguatamente confrontata con il rilievo del Comune secondo cui l’area in sequestro era assimilabile ad una zona satura, affermazione che sarebbe stata resa dai giudici del riesame ignari del comportamento tenuto dal Comune davanti al giudice amministrativo, in quanto, per giustificare il sequestro, aveva invocato la valenza e vigenza degli API che avrebbero escluso l’edificabilità dell’area, salvo poi mutare idea affermando gli API non erano applicabili al caso di specie, in quanto alla data di presentazione della domanda di rilascio del permessi di costruire sarebbe stata ancora vigente la disciplina urbanistica convenzionale del piano di lottizzazione, ciò che avrebbe determinato l’inapplicabilità delle disposizioni degli API che non contemplavano l’area in questione tra i comparti residenziali attivabili nel primo triennio, con la conseguenza, per il Comune, che l’area in oggetto risultava destinata alla realizzazione di un impianto sportivo ad uso privato con relativi accessori e, dunque, non suscettibile di edificazione. Quanto alla tombatura, i giudici del riesame avevano ritenuto che la sproporzione rispetto alla sagoma del manufatto sovrastante, di cui avrebbe dovuto costituire la struttura di fondazione, ne faceva assumere di fatto, data l’ortografia dell’area, le caratteristiche di un corpo di fabbrica parzialmente interrato con potenzialità di costituire un volume edilizio. Infine, con riferimento alla asserita mancanza dell’elemento soggettivo, i giudici del riesame avevano escluso la buona fede del ricorrente rimarcando la macroscopica illegittimità dei titoli abilitativi, e comunque evidenziando l’opacità dell’intera vicenda che avrebbe determinato la pendenza di un procedimento penale che vedrebbe potenzialmente coinvolte altre persone oltre al ricorrente anche per reati diversi da quello contestato al Marro. Tanto premesso, gli approdi cui sarebbero pervenuti i giudici del riesame sarebbero erronei, in quanto, anzitutto, non sarebbe configurabile il fumus del reato edilizio, in quanto i titoli abilitativi sulla cui base l’intervento edilizio era stata realizzato, non erano stati annullati dal Comune e dunque l’area in questione, per effetto degli stessi, era classificata con zona elementare B2 con la disciplina edilizia specifica prevista per tale zona. I giudici sarebbero in particolare stati indotti in errore dal comune che non avrebbe indicato la data esatta della vigenza della convenzione di lottizzazione, sottoscritta il 5 febbraio 2009 con conseguente superamento del limite di efficacia dei dieci anni, né il Comune avrebbe rappresentato che gli interventi di cui ai permessi di costruire rilasciati, e quindi l’intero piano di lottizzazione, erano stati definiti con certificato di collaudo emesso in data 15/11/2014, agli atti del Comune. Quanto alla tombatura, sarebbe una condizione da verificare alla fine dell’intervento edilizio senza che si possa prefigurare l’utilizzo non consentito del volume tecnico.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge ed il correlato vizio di motivazione mancante od apparente in relazione agli artt. 111, comma 6, Cost., 125, comma 3, cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 31 e 44, lett. b), TU Edilizia, e con riferimento agli artt. 323, 328 e 481, cod. pen., la cui violazione risulterebbe “adombrata” nel provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza del fumus.
In sintesi, premessa sul punto la censurabilità di tale vizio in sede di legittimità ai sensi dell’art. 325, cod. proc. pen., si contesta l’esercizio del potere integrativo del provvedimento impugnato da parte del tribunale del riesame che avrebbe “puntellato” il provvedimento di sequestro richiamando la pendenza di un procedimento penale per reati diversi che vedrebbero coinvolti altri soggetti oltre al ricorrente, con ciò contravvenendo a quanto più volte affermato da questa Corte. Vi sarebbe, poi, una mancanza della motivazione del provvedimento laddove nega la buona fede del ricorrente in quanto i titoli abilitativi sarebbero affetti da macroscopiche illegittimità, senza tener conto che sulla compatibilità urbanistica dell’intervento edilizio si sarebbero espressi sia tecnici pubblici che privati, nel rilascio dei vari titoli abilitativi.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 28 ottobre 2024, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso perché manifestamente infondato.
Quanto al primo motivo, con riferimento al fumus commissi delicti, il Tribunale ha fatto applicazione del principio giurisprudenziale consolidato secondo cui, in tema di reati edilizi, la contravvenzione sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico - edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione (Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv. 275565; Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Cerra Srl, Rv. 275850, massimata su altri punti; Sez. 3, n. 49687 del 07/06/2018, Bruno, non mass.). In tali decisioni, che sono state successivamente richiamate da numerose pronunce conformi della Corte (si vedano, Sez. 4, n. 2324 del 29/11/2022, dep. 2023, Elefante, n.m.; Sez. 3, n. 39753 del 16/9/2021, Strafella e a., n.m.; Sez. 3, n. 22832 del 23/04/2021, Schirinzi e a, n.m.), si è argomentato come la giurisprudenza di legittimità si sia attestata sulla posizione che l'attività svolta dal giudice penale, in presenza di un titolo abilitativo edilizio illegittimo, consiste nel valutare la sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie e non nel disapplicare l'atto amministrativo o effettuare comunque valutazioni proprie della pubblica amministrazione (per l'affermazione di questo principio, cfr. anche, ex multis, in motivazione: Sez. 3, n. 50500 del 23/11/2023, Vacchi, Rv. 285625; Sez. 3, n. 3577 del 01/10/2020, dep. 2021, Fabbrocino, n.m.; Sez. 3, n. 46477 del 13/07/2017, Menga, Rv. 273218). In sostanza, può dirsi da tempo consolidato l'orientamento secondo cui, in tema di reati edilizi, il rilascio del permesso di costruire non esclude l'affermazione della penale responsabilità per i reati di edificazione abusiva o di lottizzazione abusiva ove emerga una difformità tra la normativa urbanistica ed edilizia e l'intervento realizzato, né impone l'eventuale "disapplicazione" dell'atto amministrativo, limitandosi il giudice ad accertare la conformità del fatto concreto alla fattispecie astratta descrittiva del reato, prescindendo da qualunque giudizio su detto atto amministrativo (Sez. 3, n. 33051 del 10/05/2017, Puglisi, Rv. 270644; Sez. 3, n. 36366 del 16/06/2015, Faiola, Rv. 265034; Sez. 3, n. 21487 del 21/03/2006, Tantillo e a., Rv. 234469). Dopo aver correttamente individuato il principio di diritto applicabile al caso di specie, il tribunale ha considerato le doglianze difensive relative al modus procedendi, asseritamente illegittimo, dell'amministrazione comunale, che non avrebbe annullato i titoli edilizi, peraltro ritenuti dagli uffici preposti dell’ente locale “inammissibili e improcedibili” per mancanza di requisiti di legge con formali provvedimenti; il collegio, poi, ha indicato le ragioni sulla base delle quali ha ritenuto che i lavori siano stati realizzati in forza di titoli illegittimi, considerando con precisione le deduzioni difensive addotte, ritenute inidonee a escludere la sussistenza del fatto. Rispetto ad una simile motivazione, che appare precisa ed accurata, non presenta un particolare rilievo la proposizione di un ricorso al Tribunale amministrativo regionale, su cui insiste lungamente il ricorrente, tanto che è stato integralmente riprodotto nel ricorso per Cassazione: a quanto pare di comprendersi, la decisione del ricorso al TAR è stata rinviata alla prima udienza pubblica di aprile 2025, dunque, allo stato, non ne è stata ritenuta la fondatezza, mentre la sollecitazione all'amministrazione comunale per l’emanazione di un provvedimento di annullamento in autotutela degli atti adottati nel procedimento sanzionatorio attivato non è stata raccolta.
In merito al secondo motivo, ad avviso del PG, il tribunale del riesame ha motivato in modo sintetico, ma sufficiente, la sussistenza del periculum in mora, facendo riferimento al pericolo di prosecuzione della condotta vietata e di aggravamento delle conseguenze della stessa. Il relativo passaggio dell'ordinanza impugnata, infatti, va interpretato alla luce dell'ampia descrizione dell'opera illegalmente posta in essere, essendo stato descritto un intervento edilizio illegittimo in una “zona satura”, perché con precedenti permessi era stata assorbita tutta la volumetria assentibile, comunque un intervento idoneo a dar luogo a nuovi volumi edilizi con palese incidenza sul carico urbanistico dell'area.
4. In data 5 novembre 2024 è pervenuta memoria di replica alla requisitoria del PG, con cui il difensore di fiducia del ricorrente ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, trattato cartolarmente in assenza di richiesta di discussione orale, è inammissibile.
2. Il primo motivo è inammissibile perché generico e manifestamente infondato.
2.1. È generico perché ripropone, senza alcuna apprezzabile novità critica, le stesse doglianze svolte avverso il provvedimento di sequestro del primo giudice, in questo modo esponendosi ad inammissibilità per aspecificità.
È pacifico, infatti, nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 comma 1 lett. c), all'inammissibilità (tra le tante: Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000, Rv. 216473 – 01).
2.2. Il motivo è, poi, inammissibile perché manifestamente infondato.
Ed infatti, i giudici del riesame hanno chiarito le ragioni per le quali la vicenda processuale era sussumibile nella astratta previsione di cui all’art. 44, lett. b) in relazione all’art. 31, TU Edilizia. Si legge nell’ordinanza impugnata, infatti, che ai fini della configurabilità dell’illecito edilizio in esame non assumeva alcun rilievo l’erroneo modus procedendi del Comune, rilevando infatti solo la circostanza che i titoli edilizi sulla cui base erano stati eseguiti gli interventi si pongano in contrasto con la disciplina edilizia, peraltro dovendosi ribadire che è insindacabile in sede di legittimità la regolarità dei procedimenti amministrativi seguiti per il rilascio di titoli abilitativi edilizi, essendo altresì precluso alla Corte di cassazione procedere all'accertamento di eventuali errori di fatto commessi in sede di merito nel verificare detta regolarità (Sez. 3, n. 20571 del 28/04/2010, Rv. 247189 – 01).
2.3. Sul punto, i giudici del riesame hanno chiarito: 1) che i lavori oggetto di esecuzione si basavano su titoli sostanzialmente illegittimi perché relativi ad un’area dichiarata a far data dal 2012 priva di potenzialità edificatoria dal momento che la volumetria residenziale era già stata assorbita da vari titoli edilizi rilasciati in precedenza (i tre PdC n. 1264/2009, n. 1501/2010 e n. 2529/2014); 2) il volume tombato previsto per fini geologici-geotecnici tale da consentire, come riportato nella relazione tecnica di variante, il raggiungimento di uno strato di terreno idoneo su cui poggiare le fondazioni delle villette, oltre ad essere sproporzionato alla sagome del manufatto sovrastante, di cui avrebbe dovuto costituire la struttura di fondazione, data l’orografia dell’area, assumeva id fatto le caratteristiche di un corpo di fabbrica parzialmente interrato con potenzialità di costituire di un volume edilizio.
2.4. I giudici si sono, inoltre, presi carico di confutare le argomentazioni sviluppate dalla difesa, precisando, quanto al punto 1), che quest’ultima non si era adeguatamente confrontata con il rilievo secondo cui l’area sequestrata, in base al PUC ed agli API, è assimilabile a zona satura, in quanto la volumetria residenziale era già stata interamente assorbita dai PPDDCC in precedenza rilasciati. Quanto al punto 2), i giudici disattendono le argomentazioni difensive in merito alla tombatura (secondo cui non si sarebbe considerato che, secondo la giurisprudenza amministrativa, l'operazione di "tombatura”, consistente in termini generali nella chiusura totale con muratura di locali in modo da renderli inaccessibili e costituente oggetto della SCIA 38-2024, non è idonea a determinare un incremento di volumetria o superficie da computarsi a fini urbanistici), questo perché – si legge nel provvedimento impugnato - il Comune non aveva censurato tout court la previsione della realizzazione di un locale tombato, ma che il locale tombato previsto, oltre ad essere sproporzionato rispetto alla sagoma del manufatto sovrastante, di cui avrebbe dovuto costituire la struttura di fondazione, assumeva di fatto, data l'orografia dell’area, le caratteristiche di un corpo di fabbrica parzialmente interrato con potenzialità di costituire un volume edilizio: in altri termini, per i giudici del riesame, l'oggetto della censura era rappresentato dalla circostanza che quello che è apparentemente descritto nella relazione tecnica come locale tombato aveva, a ben guardare, caratteristiche tali da farne presumere l'attitudine a determinare un incremento volumetrico.
2.5. Quanto, poi, al versante soggettivo, richiamano i giudici del riesame la giurisprudenza di questa Corte secondo cui in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al "fumus" del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata; ne consegue che lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell'elemento soggettivo del reato, purchè esso emerga "ictu oculi" (tra le tante: Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Rv. 266896 – 01). Sul punto, i giudici del riesame disattendono l’analoga doglianza esposta in questa sede di legittimità, osservando come le risultanze finora acquisite, deponessero nel senso della ravvisabilità di profili di colpa in capo all'odierno ricorrente (richiamando a tal proposito la "macroscopica illegittimità" dei titoli edilizi sulla cui base egli stava eseguendo i lavori edili, in quanto a partire dal 2012, la disciplina urbanistico-edilizia di riferimento assimilava l'area sequestrata a una "zona satura”, in cui non era possibile costruire alcunché; ancora, richiamando le anomalie riscontrate in relazione alla SCIA 38-2024 da lui presentata con riferimento al volume tombato; ancora, da ultimo, l'opacità dell'intera vicenda, che avrebbe determinato l’avvio di un procedimento penale tuttora pendente, che vede potenzialmente coinvolte, oltre al MARRO, numerose altre persone, non solo per il reato di cui all'art 44 T.U. edilizia, ma anche per i reati di cui agli artt. 323 e 328 c.p., in relazione al rilascio del PdC n. 3168/2020 e del PdC n.3510/2022, e per il reato di cui all'art. 481 c.p., in relazione alle false asseverazioni alla base del rilascio dei PdC illegittimi e della presentazione della SCIA 38-2024).
3. Alla luce del predetto compendio argomentativo, le doglianze difensive non hanno pregio.
3.1. Ciò vale anzitutto, con riferimento alla sussistenza del fumus del reato addebitato, su cui all’evidenza non può certamente incidere la querelle – peraltro ancora in corso davanti al Giudice amministrativo ad oggi non pronunciatosi con alcun provvedimento tendente a rilevare l’illegittimità del provvedimento comunale – avviata dalla difesa del ricorrente circa l’asserito illegittimo modus procedendi dell’Amministrazione comunale di Benevento nel caso in esame. Sul punto, infatti, è sufficiente evidenziare come il giudice penale non è vincolato nella valutazione ad esso spettante e relativa alla configurabilità del reato urbanistico, alla esistenza e persistente validità di un titolo abilitativo ove, fattualmente, ne emerga la illegittimità, non trattandosi di procedere alla sua disapplicazione. Inoltre, si è più volte affermato che in tema di reati edilizi, il giudice penale ha il potere-dovere di verificare in via incidentale la legittimità del permesso di costruire in sanatoria e la conformità delle opere agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi ed alla disciplina legislativa in materia urbanistico-edilizia, senza che ciò comporti l'eventuale "disapplicazione" dell'atto amministrativo ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E, atteso che viene operata una identificazione in concreto della fattispecie con riferimento all'oggetto della tutela, da identificarsi nella salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio regolati dagli strumenti urbanistici (tra le tante: Sez. 3, n. 46477 del 13/07/2017, Rv. 273218 – 01).
3.2. Ne consegue, pertanto, che la valutazione espressa dai giudici del riesame in ordine alla configurabilità del fumus sia in termini di macroscopica illegittimità dei titoli abilitativi medio tempore rilasciati, sia in ordine alle anomalie riscontrate in relazione alla SCIA 38-2024 da lui presentata con riferimento al volume tombato, sia infine, in ordine alla complessiva “opacità” del procedimento in esame, trattandosi di valutazioni riguardanti gli elementi probatori in atti, costituiscono un giudizio di merito che, in quanto adeguatamente e congruamente motivato, sfuggono al sindacato di questa Corte. In tale contesto, dunque, le censure difensive tendenti a criticare la ricostruzione giuridica e fattuale del tribunale del riesame tradiscono, in realtà, sotto l’apparente censura del vizio di violazione di legge per apparente violazione degli artt. 31 e 44, lett. b), Tu Edilizia (sulla cui applicabilità non può dubitarsi, essendo l’ipotesi accusatoria volta a far valere l’illegittimità complessiva dell’attività edificatoria in quanto contrastante con la disciplina urbanistico – edilizia, neutralizzando l’apparente “copertura” rappresentata dal rilascio dei titoli abilitativi che, nella prospettazione difensiva, avrebbero assentito regolarmente gli interventi edilizi eseguiti), in realtà tradiscono il tentativo di trascinare questa Corte sul terreno del fatto, sottoponendo a questa Corte la tesi di un’asserita illegittimità del modus procedendi comunale da cui sarebbe scaturita l’adozione del provvedimento poi oggetto di impugnazione davanti al TAR, così dunque cercando di introdurre davanti a questa Corte di legittimità, giudice ordinario, doglianze invece proprie di un plesso giurisdizionale diverso, su cui questa Corte non è abilitata a pronunciarsi. Sul punto, anche il riferimento alla “giravolta” comunale tenuta davanti ai giudici amministrativi, risulta all’evidenza davanti a questa Corte del tutto irrilevante, essendo il Collegio tenuto a valutare esclusivamente i temi oggetto di esame davanti al giudice del riesame, né essendo ipotizzabile una valutazione del merito delle questioni prospettate, quali quelle relative alla asserita difformità delle date riguardanti la convenzione di lottizzazione da cui discenderebbe l’inefficacia della stessa per superamento del limite decennale.
3.3. Quanto, poi, al fumus del reato, i giudici del riesame hanno già chiarito le ragioni per cui, almeno nell’incidente cautelare reale, non ricorressero le condizioni per poter escludere l’elemento soggettivo della “colpa”, normativamente richiesto per la punibilità del reato contravvenzionale, essendo evidente come lo stesso non possa escludersi ”ictu oculi” alla luce della complessiva vicenda, che, anzi, come motivato dai giudici del riesame, è caratterizzata da una macroscopica illegittimità dei titoli abilitativi rilasciati, da anomalie riguardante la SCIA in relazione alla questione della “tombatura” e, in generale, alla luce della descritta opacità della vicenda complessivamente considerata che merita senz’altro maggiori approfondimenti di merito.
Ne discende, dunque, l’inammissibilità del motivo proposto.
4. Anche il secondo motivo è inammissibile.
4.1. I giudici del riesame non hanno certamente “puntellato” il provvedimento di sequestro (il riferimento difensivo è alla questione della complessiva opacità della vicenda che avrebbe dato vista ad un procedimento pendente per reati diversi e coinvolgente anche soggetti diversi dal ricorrente), ma si sono limitati a svolgere una riflessione circa la natura complessa della vicenda che, a giudizio degli stessi, merita maggiore attenzione anche in relazione a profili diversi da quelli oggetto di attuale contestazione da parte del PM. Nessun illegittimo esercizio del potere integrativo è stato quindi svolto da parte dei giudici del riesame.
4.2. Quanto alla buona fede, si è già detto a proposito del precedente motivo. Vi è solo da rilevare, sul punto, come la circostanza che l’intervento edilizio fosse assistito da titoli abilitativi e che della vicenda si fossero occupati sia tecnici pubblici che privati, non è di per sé risolutivo, posto che in tema di elemento soggettivo del reato, quando, in riferimento a fatti di indiscutibile disvalore sociale, quali i fenomeni di violazione edilizia, l'agente abbia chiara la possibilità che il suo comportamento sia o, anche semplicemente, possa essere antigiuridico, non è invocabile la buona fede, dovendo l’agente porre in essere tutto quanto è nelle sue possibilità per conformare la propria azione alle regole che governano la materia, non essendo sufficiente la mera presenza di provvedimenti amministrativi (nella specie, titoli abilitativi) apparentemente legittimanti l’azione del privato, che, tuttavia, ad una non superficiale (o, come sembrerebbe nel caso di specie, assente) valutazione – imprescindibile ove si debbano porre in essere condotte dalle conseguenze potenzialmente irreversibili, impattanti sull’assetto del territorio - appalesino all’evidenza la loro macroscopica illegittimità, come nel caso in esame.
4.3. A ciò va aggiunto come il tribunale del riesame ha motivato in modo sintetico, ma sufficiente, la sussistenza del periculum in mora, facendo riferimento al pericolo di prosecuzione della condotta vietata e di aggravamento delle conseguenze della stessa. Il relativo passaggio dell'ordinanza impugnata, infatti, va interpretato alla luce dell'ampia descrizione dell'opera illegalmente posta in essere, essendo stato descritto un intervento edilizio illegittimo in una “zona satura”, perché con precedenti permessi era stata assorbita tutta la volumetria assentibile, comunque un intervento idoneo a dar luogo a nuovi volumi edilizi con palese incidenza sul carico urbanistico dell'area.
5. Il ricorso deve conclusivamente essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella sua proposizione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 14/11/2024