Cass. Sez. III n. 31388 del 10 luglio 2018 (Ud 27 apr 2018)
Presidente: Di Nicola Estensore: Ramacci Imputato: Serio
Urbanistica.Installazione di prefabbricato in legno su basamento in cemento
La installazione di una costruzione prefabbricata in legno su basamento in cemento destinato all’esposizione vendita ed esecuzione di test di collaudo per i prodotti artigianali realizzati da un’azienda richiede il permesso di costruire, dovendosi escludere, in ragione non solo della presenza del basamento, ma anche della duratura destinazione funzionale, che l’intervento rientri tra quelli diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee di cui all’art. 3, lettera e5 del d.P.R. 380/01 o tra gli interventi c.d. precari in genere.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Palermo, con sentenza dell’11/9/2017 ha parzialmente riformato la decisione in data 18/5/2016 del Tribunale di quella città, appellata da Francesca SERIO e dal Procuratore Generale, subordinando il concesso beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto abusivo entro 90 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza, confermando nel resto la decisione del primo giudice.
All’imputata era stata contestata la violazione degli artt. 44, lett. b), 64, 65, 71, 72, 93, 94 e 95 d.P.R. 380/2001 per la realizzazione, in assenza dei prescritti titoli abilitativi, in zona sismica, di un battuto cementizio dello spessore di circa 20 centimetri, sul quale risultava poggiato e tassellato con viti un manufatto in legno lamellare modulare pre-assemblato delle dimensioni di metri 15 X 7,50 circa (fatti accertati in Palermo, sino al 8/4/2013).
Avverso tale pronuncia l’imputata propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un primo motivo di ricorso, formulate ampia premessa in fatto, deduce l’erronea applicazione della legge, lamentando che i giudici del gravame avrebbero omesso di valutare le allegazioni difensive, nonché di considerare la qualificazione del manufatto come “nuova costruzione” ai sensi degli artt. 3 e 10 del d.P.R. 380/2001, considerando anche la eventuale destinazione a finalità abitative o ad altre finalità indicate nell’art. 3, lett. e5 del T.U. dell’edilizia e non prendendo neppure in considerazione la natura precaria dell’intervento.
3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla subordinazione della sospensione condizionale alla demolizione delle opere abusive, che la Corte territoriale avrebbe giustificato con la necessità di porre un vincolo alla fruizione del beneficio in funzione di una più incisiva tutela del bene protetto ed allo scopo di contrastare la diffusa inclinazione a conservare la situazione illegale determinata dalla realizzazione dell’abuso, non fornendo, quindi, una adeguata motivazione.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Va preliminarmente osservato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che, dall’esame della sentenza di primo grado e di quella impugnata, risulta accertata in fatto la realizzazione, da parte dell’imputata, indicata come proprietaria committente, delle opere descritte nell’imputazione.
Quanto realizzato, secondo la difesa, avrebbe esclusivo scopo espositivo e, nella sentenza di primo grado, si ritiene verosimile che la destinazione del manufatto fosse quella di esporre i prodotti artigianali della ditta del figlio della ricorrente, richiamando, a tal fine, la perizia giurata prodotta in giudizio nella quale il manufatto sarebbe un prototipo di bio architettura utilizzato “per test di collaudo e di esposizione per il raggiungimento di certificazioni per i lavori artigianali della ditta”.
Sulla base della descritta destinazione il primo giudice ha escluso la precarietà del manufatto in legno, evidenziando, inoltre, la presenza della piattaforma in cemento ed espressamente rilevando come la tesi difensiva, secondo la quale l’imputata si sarebbe limitata a ripristinare il battuto cementizio realizzato dal predente proprietario, non avesse trovato alcun riscontro.
Nel giudizio di appello tali considerazioni hanno trovato piena conferma ed i giudici del gravame, sulla base anche di una autonoma analisi della documentazione fotografica e delle altre emergenze processuali, hanno ribadito la qualificazione delle opere come “nuova costruzione” realizzata in assenza dei necessari titoli abilitativi, evidenziandone l’impatto sul territorio, confutando la diversa lettura delle dichiarazioni di un teste prospettata nell’atto di appello e ricordando come la destinazione del manufatto alla esposizione e vendita fosse stata confermata dalla stessa imputata in sede di esame, sicché era da escludere la dedotta precarietà dell’intervento non soltanto in ragione della sua destinazione, ma anche per la presenza della piattaforma in cemento.
3. Le considerazioni svolte dai giudici del merito sono giuridicamente corrette ed adeguatamente motivate.
Occorre a tale proposito ricordare che l’art. 10, lett. a) del d.P.R. 380\01 individua, tra gli interventi edilizi soggetti a permesso di costruire, quelli di nuova costruzione, la cui descrizione viene fornita dall’articolo 3 dello stesso T.U. nella lettera e), ove si specifica che si intendono come tali tutti gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti (che riguardano, lo si ricorda, gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia).
La stessa disposizione specifica, poi, che sono comunque da considerarsi come interventi di nuova costruzione tutta una serie di opere singolarmente indicate in un elenco la cui natura è meramente esemplificativa e ricavata utilizzando le qualificazioni operate dalla giurisprudenza, come emerge dalla semplice lettura della della relazione illustrativa al T.U.
Ai suddetti interventi vanno poi aggiunti quelli eventualmente individuati con legge dalle regioni ai sensi del comma terzo del menzionato articolo 3 e che pertanto, in relazione all’incidenza sul territorio e sul carico urbanistico, sono sottoposti al preventivo rilascio del permesso di costruire.
Sono dunque soggetti a permesso di costruire, sulla base di quanto disposto dal T.U., tutti gli interventi che, indipendentemente dalla realizzazione di volumi, incidono sul tessuto urbanistico del territorio, determinando una trasformazione in via permanente del suolo inedificato (cfr. Sez. 3, n. 1308 del 15/11/2016 (dep.2017), Palma, Rv. 268847; Sez. 3, n. 4916 del 13/11/2014 (dep.2015), Agostini, Rv. 262475; Sez. 3, n. 8064 del 2/12/2008 (dep. 2009), P.G. in proc. Dominelli e altro, Rv. 242741; Sez. 3, n. 6930 del 27/1/2004, Iaccarino, Rv. 227566; Sez. 3, n. 6920 del 21/01/2004, Perani, Rv. 227565; Sez. 3, n. 38055 del 30/9/2002, Raciti, Rv. 222849 ed altre prec. conf.).
Tra gli interventi di nuova costruzione indicati dall’art. 3 alla lettera e5, citata dalla ricorrente, sono elencati, nella attuale stesura, “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore”.
La medesima disposizione, che ha subito nel tempo diverse modifiche, era così formulata all’epoca dei fatti per cui è processo: “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Le differenze, per quel che qui interessa, non rilevano, essendo chiara la finalità della norma di considerare interventi di nuova costruzione, quindi soggetti a permesso di costruire, tutte le strutture, di qualsiasi genere, tra le quali sono comprese quelle elencate a titolo di esempio, che siano destinate ad una stabile utilizzazione, non meramente transitoria.
L’esplicita menzione di detta tipologia di interventi nel Testo Unico ha, di fatto, codificato la figura giuridica di “costruzione” elaborata dalla giurisprudenza prima dell'entrata in vigore del T.U. e nella quale rientravano tutti quei manufatti che, comportando una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale, modificavano lo stato dei luoghi in quanto, difettando obiettivamente del carattere di assoluta precarietà, erano destinati almeno potenzialmente a perdurare nel tempo, non avendo peraltro alcun rilievo a riguardo la distinzione tra opere murarie e di altro genere, né il mezzo tecnico con cui fosse assicurata la stabilità del manufatto al suolo (o al muro perimetrale di quello esistente), in quanto la stabilità non va confusa con l’ irrevocabilità della struttura o con la perpetuità della funzione ad essa assegnata dal costruttore, ma si estrinseca nell’oggettiva destinazione dell’opera a soddisfare un bisogno non temporaneo (così Sez. 3, n. 9138 del 7/7/2000, P.M. in proc. Migliorini T ed altro, Rv. 217217 ed altre prec. conf.).
Si è successivamente avuto modo di precisare che, ai fini della individuazione della nozione di costruzione urbanistica, non è determinante l’incorporazione nel suolo indispensabile per identificare, a norma dell’art. 812 c.c., il bene immobile, essendo sufficiente la destinazione del bene ad essere utilizzato come bene immobile, con la conseguenza che l'elencazione contenuta nel menzionato articolo 3, lettera e) non può considerarsi esaustiva, giacché i parametri indicati possono essere analogicamente applicati ad opere simili (Sez. 3, n. 37766 del 7/7/2005, Terrin, non massimata).
A conclusioni analoghe è pervenuta anche la giurisprudenza amministrativa, secondo la quale i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale (Cons. Stato Sez. VI n. 2842 del 3/6/2014).
4 Tali considerazioni coincidono, peraltro, con la nozione di precarietà dell’intervento edilizio in genere, individuata dalla giurisprudenza di questa Corte.
Gli interventi edilizi precari, categoria già individuata dalla giurisprudenza e dalla dottrina con inequivocabile indicazione delle specifiche caratteristiche, sono ora espressamente menzionati dall’art. 6 del d.P.R. 380/01 che, nell’attuale formulazione, li descrive al comma 1, lett. e-bis) come opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni, previa comunicazione di avvio lavori all'amministrazione comunale.
In precedenza, il testo unico dell’edilizia conteneva riferimenti indiretti, che riguardavano gli interventi di cui all’articolo 3, comma primo, lettera e.5 e quelli per le attività di ricerca descritti nell’articolo 6.
L’opera precaria, per la sua stessa natura e destinazione, non comporta effetti permanenti e definitivi sull’originario assetto del territorio tali da richiedere il preventivo rilascio di un titolo abilitativo e la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che l’intervento precario deve necessariamente possedere alcune specifiche caratteristiche: la sua precarietà non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dall'utilizzatore; sono irrilevanti le caratteristiche costruttive i materiali impiegati e l’agevole amovibilità; deve avere una intrinseca destinazione materiale ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo; deve essere destinata ad una sollecita eliminazione alla cessazione dell’uso (cfr. ex. pl. Sez. 3, n. 36107 del 30/6/2016, Arrigoni e altro, Rv. 267759;Sez. 3, n. 6125 del 21/1/2016, Arcese, non massimata; Sez. 3, n. 16316 del 15/1/2015, Curti, non massimata; Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014 (dep. 2015), Manfredini, Rv. 261636; Sez. 3, n. 25965 del 22/06/2009, Bisulca, non massimata).
5. Ciò posto, deve rilevarsi, sulla base di quanto accertato nei precedenti gradi del presente giudizio, che la natura non precaria dell’intervento e la necessità, per la sua realizzazione, del permesso di costruire, è stata adeguatamente ritenuta non soltanto per la realizzazione della piattaforma in cemento su cui poggia la costruzione in legno, riconducibile, secondo i giudici del merito, alla persona dell’imputata, ma anche per la destinazione dell’intervento, risultante dalle dichiarazioni della stessa e dalla perizia giurata acquisita agli atti, alla esposizione per la vendita ed alla effettuazione di test di collaudo dei prodotti realizzati dall’azienda del figlio dell’imputata.
Tale ultimo aspetto risulta, peraltro, chiaramente indicativo di una presenza del manufatto per un tempo indeterminato, conseguente alla stabile destinazione al soddisfacimento delle esigenze della vicina azienda.
6. I principi sopra ricordati, pienamente condivisi dal Collegio, vanno dunque richiamati, affermando conseguentemente che la installazione di una costruzione prefabbricata in legno su basamento in cemento destinato all’esposizione vendita ed esecuzione di test di collaudo per i prodotti artigianali realizzati da un’azienda richiede il permesso di costruire, dovendosi escludere, in ragione non solo della presenza del basamento, ma anche della duratura destinazione funzionale, che l’intervento rientri tra quelli diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee di cui all’art. 3, lettera e5 del d.P.R. 380/01 o tra gli interventi c.d. precari in genere.
Va poi aggiunto che, nel caso in esame, i giudici del merito hanno anche posto in evidenza le non indifferenti dimensioni del manufatto e che la realizzazione dell’intervento edilizio non sarebbe rimasta comunque sottratta alla disciplina antisismica, alla quale la ricorrente non fa alcun riferimento.
7. Anche la manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso risulta di macroscopica evidenza.
Occorre ricordare, a tale proposito, che è ormai pacificamente riconosciuta la possibilità, per il giudice penale, di subordinare l’applicazione della sospensione condizionale alla demolizione delle opere abusive.
Tale possibilità, secondo un primo orientamento, confermato anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 1 del 10/10/1987 (dep.1988 ), Bruni, Rv. 177318 ), non era originariamente ammessa. Tuttavia, una successiva pronuncia delle medesime Sezioni Unite (Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 (dep. 1997), Luongo, Rv. 206659) ha fornito un condivisibile indirizzo interpretativo, ammettendo la legittimità della sospensione condizionale subordinata alla demolizione, che appare, peraltro, giustificata dalla circostanza che la presenza sul territorio di un manufatto abusivo rappresenta, indiscutibilmente, una conseguenza dannosa o pericolosa del reato, da eliminare (cfr. Sez. 3, n. 32351 del 1/7/2015, Giglia e altro, Rv. 264252; Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013 (dep.2014), Russo, Rv. 258517; Sez. 3, n. 28356 del 21/5/2013, Farina Rv. 255466; Sez. 3, n. 38071 del 19/9/2007, Terminiello, Rv. 237825 ; Sez. 3, n. 18304 del 17/1/2003, Guido, Rv. 22471; Sez. 3, n. 4086 del 17/12/1999 (dep. 2000), Pagano, Rv. 216444 ).
Inoltre, l'ordine di demolizione impartito dal giudice è previsto dalla legge, in quanto l’articolo 31 stabilisce, al nono comma, che il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 44, ordini la demolizione delle opere se ancora non sia stata altrimenti eseguita. L’ordine giudiziale di demolizione, inoltre, ha natura di sanzione amministrativa di tipo ablatorio che costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio autonomo e non residuale o sostitutivo rispetto a quello dell'autorità amministrativa, assolvendo ad una autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso (v. Sez. 3, n. 37120 del 11/5/2005, Morelli, Rv. 232172).
Il discorso non muta con riferimento alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, cui pure può essere subordinata la sospensione condizionale della pena, atteso che la non autorizzata immutazione dello stato dei luoghi, in zona sottoposta a vincolo, può comportare conseguenze dannose o pericolose e che la sanzione specifica della rimessione ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso (Sez. 3, n. 48984 del 21/10/2014, Maresca, Rv. 261164; Sez. 3, n. 38739 del 28/5/2004, Brignone, Rv. 229612; Sez. 3, n. 29667 del 14/6/2002, Arrostuto S, Rv. 222115; Sez. 3, n. 23766 del 23/3/2001, Capraro A, Rv. 219930).
Va peraltro osservato che, in altra occasione, una pronuncia di questa Corte ha ritenuto che il giudice del merito non può limitarsi a prendere atto della astratta possibilità di subordinare la sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’intervento abusivo, poiché l'esercizio discrezionale di tale facoltà deve essere effettuato (e necessariamente motivato) alla luce del giudizio prognostico di cui all'art. 164, cod. pen. e coniugarsi con la funzione special – preventiva dell'istituto, spiegando quindi perché si ritenga necessario porre l'esecuzione di tale ordine come condizione per la fruizione del beneficio della sospensione condizionale della pena, poiché, altrimenti, verrebbe meno ogni differenza tra l'ipotesi, facoltativa, di cui all'art. 165 cod. pen., comma 1, e quella, obbligatoria, di cui all'art. 165 cod. pen., comma 2 (Sez. 3, n. 17729 del 10/3/2016, Abbate e altro, Rv. 267027).
Tale ultimo principio è stato seguito, senza ulteriori specificazioni, da successive pronunce (Sez. 3, n. 43576 del 30/09/2014, Principalli; Sez. 3, n. 30123 del 20/12/2016 (dep. 2017), Tuttoilmondo; Sez. 3, Sentenza n. 50767 del 08/11/2016, Schettino, tutte non massimate), mentre in altre occasioni la questione non è stata presa in considerazione, limitandosi a richiamare i principi precedentemente affermati e dei quali si è già dato conto (ex pl. Sez. 3, n. 55515 del 08/11/2017, Alfarano; Sez. 3, n. 52644 del 25/10/2017, Morsello Sez. 3, n. 45968 del 20/7/2017, Caputo; Sez. 3, n. 28712 del 19/04/2017, Imperato; Sez. 7, n. 24390 del 05/04/2017, Giardina; Sez. 7, n. 20796 del 15/7/2016 (dep 2017), Minolfo; Sez. 3, Sentenza n. 6037 del 24/11/2016, (dep. 2017), Viola, Sez. 7, Ordinanza n. 15367 del 21/10/2016 (dep. 2017), Tranchina, tutte non massimate).
In altra pronuncia, invece, l’obbligo di specifica motivazione è stato espressamente escluso, ricordando come detta motivazione debba ritenersi implicita nella stessa emanazione dell’ordine di demolizione contenuto nella sentenza ed in base al presupposto che detto ordine ha natura di provvedimento accessorio alla condanna ed è emesso sulla base dell'accertamento della persistente offensività dell'opera nei confronti dell'interesse tutelato (Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 (dep.1997), Luongo, Rv. 206659), con la conseguenza che, quando il giudice del merito subordina la concessione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva, egli non fa altro che rafforzare il contenuto della statuizione accessoria, esaltando contemporaneamente la funzione sottesa alla ratio dell'articolo 165 del codice penale finalizzata all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato, persistenti nel caso di ostinata inottemperanza all'esecuzione dell'ordine di demolizione, circostanza che rende perciò il condannato immeritevole della sospensione condizionale della pena (così Sez. 7, n. 9847 del 25/11/2016 (dep.2017), Palma, Rv. 269208. In senso conforme Sez. 3, n. 7283 del 9/1/2018, Mistretta, non massimata).
Il Collegio ritiene di dare continuità al principio appena richiamato, osservando come la sentenza 17729\2016, nell’affermare l’obbligo della motivazione in caso di subordinazione della sospensione condizionale alla demolizione delle opere abusive, non tiene conto della possibilità di motivazione implicita quale quella di cui si è appena detto e, richiamando la necessità di una giustificazione da effettuarsi “alla luce del giudizio prognostico di cui all'art. 164, cod. pen.” che deve “coniugarsi con la funzione special – preventiva dell'istituto”, non offre ulteriori elementi per individuare entro quale ambito argomentativo possa formularsi una esplicita prognosi positiva di non recidività.
Del resto, quando un simile giudizio è stato materialmente espresso, ciò è avvenuto facendo riferimento, ad esempio, alla “particolare spregiudicatezza" ed al "totale spregio per i beni giuridici protetti dalla fattispecie incriminatrice" manifestati dagli imputati, ritenendo quindi che solo con la subordinazione del beneficio si potesse realizzare una presa di coscienza del fatto e di conseguenza un effettivo ravvedimento (lo evidenzia Sez. 4, n.40713 del 19/04/2017, Chirico, non massimata, giudicando in sede di rinvio a seguito dell’annullamento disposto dalla sentenza n. 43576\2014, cit.), oppure riconoscendo soddisfatto l’obbligo di motivazione quando la subordinazione condizionale della pena è giustificata “con l'esigenza di assicurare una efficace tutela al bene protetto e di incentivare la acquisizione della consapevolezza della illiceità delle condotte, anche allo scopo di dissipare ogni dubbio in ordine alla indispensabile prognosi positiva circa le future condotte dell'imputato” (Sez. 7, n. 14336 del 20/1/2017, Como, non massimata).
Tale valutazione, pertanto, oltre a poter essere implicitamente espressa nei termini di cui si è detto in precedenza, può anche ricavarsi aliunde nella complessiva motivazione effettuata dal giudice del merito, laddove questi abbia comunque espresso un giudizio di gravità del reato e di capacità a delinquere dell’imputato desunta attraverso i criteri specificati dall’art. 133 cod. pen. che l’art. 164 cod. pen. richiama.
8. Ciò premesso, si osserva che, nel caso di specie, la Corte di appello ha comunque adeguatamente motivato sul punto, in quanto, dopo aver formulato un giudizio di disvalore della condotta posta in essere dall’imputata, in considerazione delle caratteristiche costruttive e delle dimensioni dell’intervento edilizio abusivo, ha posto in evidenza come, in generale, la condizione apposta alla fruizione del beneficio non soltanto assicuri una efficace tutela del bene protetto, rafforzando la possibilità di rimediare al danno provocato al regolare sviluppo dell’assetto del territorio, ma incentivi anche la presa di consapevolezza dell’illiceità di condotte peraltro assai diffuse ed ha richiamato l’attenzione sul fatto che la disposta subordinazione del beneficio alla demolizione (demolizione che, evidentemente, dovrà riguardare tanto il manufatto in legno che il basamento in cemento su cui poggia) fa sì che l’interessata dimostri di aver concretamente meritato il beneficio dissipando ogni dubbio in ordine alla positiva prognosi di non recidività.
9. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 27/4/2018