Cass. Sez. III n. 40694 del 29 settembre 2016 (Cc. 14 lug 2016)
Presidente: Fiale Estensore: Andreazza Imputato: P.M. in proc. Pyramis S.r.l.
Urbanistica Limiti di distanza fra fabbricati e ragguaglio all'altezza del fabbricato più alto
In tema di reati edilizi, la disposizione di cui al comma terzo dell'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 - secondo cui le distanze fra fabbricati devono corrispondere alla altezza del fabbricato più grande, ammettendo distanze inferiori nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni plano volumetriche - si applica anche agli edifici posti nelle "altre zone" diverse dalla zona A e dalla zona C espressamente richiamate dai nn. 1 e 3 del comma primo del predetto art. 9. (Fattispecie relativa a fabbricati costruiti in zona D, nella quale la S.C. ha censurato la decisione di annullamento del sequestro preventivo, adottata dal Tribunale del Riesame sull'erroneo presupposto che gli edifici insistenti nelle "altre zone" soggiacciano all'unico limite minimo di metri 10 previsto dall'art. 9, n. 2 del D.M. citato).
RITENUTO IN FATTO
1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno ha proposto ricorso avverso l'ordinanza in data 16/09/2015 del Tribunale di Salerno che, in accoglimento dell'istanza di riesame, ha annullato il decreto di sequestro preventivo del G.i.p. del 13/08/2015 di due fabbricati in corso di costruzione per i reati di cui all'art. 323 c.p. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b). In particolare l'addebito edilizio muove dal presupposto della illegittimità delle opere edili per il fatto che i fabbricati sarebbero stati realizzati a 10,60 metri di distanza tra loro come assentito dal permesso di costruire, mentre avrebbero dovuto essere realizzati ad una distanza di 22 metri pari alla loro altezza in forza della disposizione di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9.
Con un unico motivo contesta l'assunto del provvedimento impugnato secondo cui il ragguaglio della distanza tra edifici, che comunque non può mai essere inferiore a 10 metri, alla altezza massima raggiunta dagli stessi troverebbe applicazione unicamente con riferimento ai nuovi fabbricati da costruire nelle zone territoriali omogenee di tipo C, mentre nelle altre zone l'unico limite sarebbe quello appunto di 10 metri previsto dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, n. 2 indipendentemente dall'altezza degli edifici. Al contrario, secondo il ricorrente, l'obbligo di osservare tale distanza dovrebbe trovare applicazione con riferimento alla zona A, alla zona C, e anche per i nuovi edifici, nella specie tali essendo quelli oggetto di sequestro situati in zona D, ricadenti in altre zone. Aggiunge che la possibilità di applicazione di distanze inferiori sarebbe previsto dall'art. 9 unicamente nel caso di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni plano-volumetriche, mentre nel Comune di Pontecagnano non sono stati ancora approvati i piani particolareggiati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L Il ricorso è fondato.
Il D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, riguardante i "limiti di distanza tra i fabbricati", prevede, al comma 1, che per le zone A le distanze tra gli edifici non possano essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, per i nuovi edifici ricadenti in altre zone la distanza debba essere quella minima assoluta di metri 10 tra pareti finestre e pareti di edifici antistanti, e per le zone C, sia "altresì prescritta" la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto. Al comma 3, poi, prevede che "qualora le distanze fra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa", essendo "ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni plano volumetriche".
Ciò posto, ed incontestato che, nella specie, si abbia riguardo a costruzioni effettuate in zona D (e dunque ed edifici posti, secondo la dizione dell'art. 9, comma 1, n. 2, "in altre zone" nel senso di zone appunto diverse dalla zona A e dalla zona C espressamente richiamate rispettivamente dai nn. 1 e 3 del comma 1), appare coerente con il dato normativo l'assunto del P.M. ricorrente secondo cui la disposizione dell'u.c. sopra evidenziata debba applicarsi anche a tali diverse zone: da un lato la formulazione generale di una disposizione posta "a chiusura" dell'articolo e riferita testualmente alle distanze "come sopra computate", ivi dovendo intendersi dunque (anche in ragione dell'ulteriore espresso richiamo ai "precedenti commi" sia pure ai fini di chiarire lo spazio di operatività della deroga prevista per i piani particolareggiati o le lottizzazioni convenzionate) in esse comprese anche le distanze per le "altre zone", non può lasciare dubbi sulla sua portata onnicomprensiva e, dall'altro, anche sotto il profilo sistematico, non si comprenderebbe perchè, come sostenuto dall'ordinanza impugnata, per le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati (tale essendo le zone D come definite dall'art. 2 del D.M. cit.), tale norma di chiusura (che ragguaglia come detto la distanza a quella raggiunta in altezza dal fabbricato più alto) non dovrebbe essere applicabile.
Del resto il censurato, dal Tribunale, risultato di omogeneità cui si giungerebbe per effetto della generalizzata applicazione dell'u.c., lungi dall'essere il frutto di una distorsione interpretativa (secondo l'ordinanza impugnata erroneamente propugnata dal consulente del P.M.), sarebbe a ben vedere, in realtà, l'esito della stessa volontà del legislatore che a tale omogeneità ha peraltro derogato laddove, come già visto, ha previsto la possibilità di distanze inferiori a quelle indicate nei commi 1 e 2 nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni plano-volumetriche.
Nè in senso contrario possono condurre le citata, dal Tribunale, sentenze del T.a.r. Lombardia n. 671 e 1429 del 2012 posto che anzi, secondo quanto affermato dal Cons. di Stato nella più recente pronuncia di Sez. 4, n. 2130 del 17/03/2015, l'art. 9 cit. prevede, segnatamente in ipotesi di costruzione di nuovi edifici ricadenti in altre zone, che "la distanza minima assoluta tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti corrisponde a 10 metri, con obbligo di aumento della distanza sino all'altezza del fabbricato finitimo più alto, se questo sia maggiore di 10 metri", restando così confermata la valenza generale dell'art. 9, comma 2 cit..
3. In conclusione, l'ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio, restando conseguentemente fermo il provvedimento di sequestro preventivo disposto dal G.i.p. del Tribunale di Salerno in data 13/08/2015.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata fermo restando il sequestro preventivo disposto dal G.i.p. di Salerno il 13/08/2015.
Così deciso in Roma, il 14 luglio 2016.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2016