Cass. Sez. III n. 15404 del 13 aprile 2016 (Ud 21 gen 2016)
Pres. Ramacci Est. Liberati Ric. Bagliani ed altri
Urbanistica.Lottizzazione e autorizzazione a lottizzare postuma
L'eventuale autorizzazione a lottizzare, concessa "in sanatoria", non estingue il reato di lottizzazione abusiva, non essendo espressamente prevista dalla legge come causa estintiva di tale reato. Qualora essa intervenga il giudice non può, tuttavia, disporre la confisca, perché l'autorità amministrativa competente, riconoscendo ex post la conformità della lottizzazione agli strumenti urbanistici generali vigenti sul territorio, ha inteso evidentemente lasciare il terreno lottizzato alla disponibilità dei proprietari, rinunciando implicitamente ad acquisirlo al patrimonio indisponibile del Comune. Allo stesso modo la successiva approvazione di un piano di recupero urbanistico non può configurare un'ipotesi di sanatoria della lottizzazione
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 5 febbraio 2014 la Corte d'appello di Genova ha respinto l'impugnazione proposta da B.C., C.M. e G.D.B.C.A. nei confronti della sentenza del Tribunale di Genova del 27 maggio 2013, con cui erano stati condannati B. alla pena di mesi sei di arresto ed Euro 50.000 di ammenda e C. e G.D.B. alla pena di mesi quattro di arresto ed Euro 35.000 di ammenda, con la confisca dei beni in sequestro e la loro acquisizione al patrimonio del Comune di Genova, in relazione ai reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), (per avere realizzato, quali proprietario committente B., esecutore dei lavori C. e direttore degli stessi G.D.B., opere di lottizzazione abusiva e comunque in totale difformità dal piano di lottizzazione, relativo alla realizzazione di un fabbricato indiviso con destinazione direzionale articolato su quattro piani in zona assoggettata a vincolo storico monumentale, realizzando una ristrutturazione mediante modifica di destinazione d'uso del fabbricato originariamente previsto ed assentito, nonchè varianti in corso d'opera e mai assentite, tra cui la realizzazione del fabbricato ad una quota d'imposta inferiore di circa m. 2,60; il frazionamento dell'edificio in undici unità immobiliari; il rimodellamento della sagoma dell'edificio con riduzione della superficie lorda da mq. 2392 a mq. 1927 e la contestuale variazione dei prospetti; la realizzazione di una rampa elicoidale per l'accesso alla rimessa al piano seminterrato; la diversa realizzazione delle sistemazioni esterne circostanti il fabbricato con inserimento di due piscine; la realizzazione di un locale fuori terra in calcestruzzo armato della superficie di 10 mq.; la mancata realizzazione del parcheggio pubblico previsto quale opera in convenzione; la trasformazione della pista provvisionale di accesso al cantiere in viale carrabile posto a servizio del fabbricato), D.P.R. n. 390 del 2001, art. 72, art. 73, comma 2, e art. 104 (per aver omesso la denuncia dell'inizio di tali opere e proseguito la loro costruzione in assenza di autorizzazione), D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 169 (per avere modificato le opere già assentite con autorizzazioni del 13 giugno 2006 e del 24 luglio 2007 in assenza della autorizzazione della Soprintendenza per i Beni Architettonici ed il Paesaggio della Liguria).
1.1. Nel disattendere tutte le censure formulate con l'atto d'appello la Corte territoriale ha ritenuto non accoglibile la richiesta di sospensione del processo in attesa di un provvedimento favorevole da parte del Comune di Genova, sulla base del rilievo che i contatti interlocutori tra gli imputati e l'amministrazione comunale non consentivano di superare il disposto del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, comma 3, mancando una pronuncia con adeguata motivazione entro sessanta giorni da parte del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale.
1.2. E' stata, inoltre, esclusa la rilevanza prospettata dagli imputati della reviviscenza, a seguito di giudicato amministrativo, della concessone edilizia del 3 dicembre 1991, in quanto anche questa contemplava la realizzazione di un edificio a destinazione direzionale e non residenziale, ed anche della approvazione di un nuovo piano regolatore caratterizzante come residenziale l'area nella quale si trova l'edificio in questione, in quanto non incidente sulla illegittimità delle opere conseguente alla loro difformità realizzativa.
1.3. I contatti degli imputati con la pubblica amministrazione successivi alla realizzazione dell'opera sono stati ritenuti inidonei ad escludere l'elemento soggettivo dei reati, sia perchè successivi alla realizzazione del fabbricato, sia perchè i funzionari pubblici, nel corso dei contatti avuti con gli imputati, avevano sempre mantenuto ferma la destinazione ad uso direzionale e non residenziale dell'opera.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso tutti gli imputati mediante i loro difensori, affidato a quattro motivi, così riassunti entro i limiti previsti dall'art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo hanno denunciato violazione di legge penale in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 36, 44 e 45 e L. n. 241 del 1990, art. 2, per il mancato accoglimento della istanza di sospensione del processo in relazione alla istanza presentata il 6 maggio 2011 al Comune di Genova dalla società proprietaria del fabbricato e titolare della concessione edilizia, all'esito della quale il 23 luglio 2013 il Comune di Genova aveva approvato specifico aggiornamento del Piano Urbanistico Comunale ed il 14 febbraio 2014 era stata stipulata convenzione urbanistica, in attuazione della quale era in corso il rilascio del titolo di legittimazione delle opere richiesto per il loro mantenimento, di cui la Corte d'appello non aveva tenuto alcun conto.
2.2. Con il secondo motivo hanno dedotto ulteriore violazione di legge penale in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, in considerazione della innovazione dello strumento urbanistico direttivo nel 2000, con la previsione della esclusione della destinazione direzionale dell'area nella quale si trovava il fabbricato e la previsione quale destinazione caratterizzante di quella residenziale, con la conseguente richiesta da parte della società proprietaria di un nuovo titolo autorizzativo per conformarsi a tale destinazione, in ordine alla quale il Comune di Genova non si era determinato nonostante il decorso del termine di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 2. In tale situazione la realizzazione del manufatto nella sua essenzialità e con la sola prefigurazione per il suo adeguamento alle destinazioni previste dal Piano Urbanistico Comunale vigente non poteva essere ritenuta integrante lottizzazione abusiva, per la particolarità della situazione.
Hanno inoltre affermato l'insussistenza dei presupposti di fatto per la configurazione di un fenomeno lottizzatorio, in considerazione della sostanziale aderenza e conformità della destinazione a quella prevista dallo strumento urbanistico vigente, con la conseguente carenza di un presupposto essenziale per la configurabilità della lottizzazione abusiva.
2.3. Con il terzo motivo hanno denunciato ulteriore violazione di legge penale, in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 30 e 44, e vizio di motivazione, lamentando l'omessa considerazione della insussistenza dell'elemento soggettivo in capo agli imputati, prospettata sulla base della peculiarità della vicenda sul piano amministrativo.
2.4. Con il quarto motivo hanno denunciato violazione di legge penale in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 e vizio di motivazione in relazione alla disposta confisca, essendovi atti provenienti dalla Pubblica Amministrazione e diretti o idonei a regolarizzare le opere realizzate, avendo il Comune di Genova, a seguito dell'istanza del 6 maggio 2011 della società proprietaria dell'area e del fabbricato, avviato il procedimento volto ad emettere i provvedimenti necessari al mantenimento delle opere realizzate, mediante approvazione di una variante di aggiornamento al Piano Urbanistico Comunale e la stipula di una specifica convenzione attuativa, in relazione alla quale la proprietaria aveva anche provveduto a versare le somme dovute a titolo di oblazione.
3. Con memoria aggiunta i ricorrenti hanno rappresentato gli ulteriori sviluppi amministrativi della vicenda, evidenziando che con provvedimento n. 86 del 24 febbraio 2015 il Comune di Genova aveva concesso il permesso di costruire al fine di ripristinare l'iniziale destinazione del fabbricato a fine direzionale, incamerando la somma messa a disposizione dal privato richiedente quale monetizzazione aggiuntiva per le aree, originariamente destinate a parcheggio pubblico e non cedute, e per opere di urbanizzazione non realizzate.
A tale scopo il Comune di Genova, con delibera del 23 luglio 2013, aveva adottato una variante di aggiornamento del Piano Urbanistico Comunale, reintroducendo la vocazione urbanistica dell'area in questione frattanto modificata. Ciò inciderebbe sulla legittimità della disposta confisca, impedendola, con la conseguente necessità di annullare la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
1. Per quanto riguarda il primo motivo, mediante il quale è stata denunciata violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 36, 44 e 45 e L. n. 241 del 1990, art. 2, per l'omessa sospensione del processo nonostante l'approvazione da parte del Comune di Genova di un aggiornamento del Piano Urbanistico Comunale e di una convenzione urbanistica con la società proprietaria del fabbricato, in attuazione della quale è in corso il rilascio del titolo di legittimazione delle opere che ne consentirebbe il mantenimento (rilasciato successivamente al deposito del ricorso e di cui è stato dato atto con i motivi aggiunti), giova ricordare che l'eventuale autorizzazione a lottizzare, concessa "in sanatoria", non estingue il reato di lottizzazione abusiva, non essendo espressamente prevista dalla legge come causa estintiva di tale reato (Sez. 3, n. 23154 del 18/05/2006, Scalici, Rv. 234476; conf. Sez. 3, n. 4373 del 13/12/2013, Franco, Rv. 258921; Sez. 3, n. 43591 del 18/02/2015, Di Stefano, Rv. 265153). Qualora essa intervenga (ma ciò è oggetto degli ulteriori rilievi formulati dai ricorrenti con il quarto motivo e con i motivi aggiunti a proposito della confisca) il giudice non può, tuttavia, disporre la confisca, perché l'autorità amministrativa competente, riconoscendo ex post la conformità della lottizzazione agli strumenti urbanistici generali vigenti sul territorio, ha inteso evidentemente lasciare il terreno lottizzato alla disponibilità dei proprietari, rinunciando implicitamente ad acquisirlo al patrimonio indisponibile del Comune. Allo stesso modo -
secondo la giurisprudenza di questa Corte - la successiva approvazione di un piano di recupero urbanistico non può configurare un'ipotesi di sanatoria della lottizzazione (vedi Cass., Sez. 3, 5.12.2001, Venuti).
Ne consegue, sotto il profilo della incidenza sulla sussistenza della lottizzazione abusiva, l'irrilevanza dell'aggiornamento del Piano Urbanistico Comunale e della stipula della convenzione urbanistica tra il Comune e la proprietaria dell'edificio, inidonei, per le ragioni anzidette, anche nella ipotesi di rilascio di valido e legittimo titolo di legittimazione delle opere, ad estinguere il reato di lottizzazione abusiva, con la conseguente insussistenza di ragioni di sorta per disporre la sospensione del processo in attesa del rilascio di permesso di costruire in sanatoria.
2. Soccorrono le medesime considerazioni in ordine al secondo motivo di ricorso, mediante il quale è stata denunciata violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, per l'omessa considerazione da parte della Corte d'appello del complesso iter amministrativo relativo alla pianificazione urbanistica dell'area nella quale si trova il fabbricato oggetto della lottizzazione abusiva contestata ai ricorrenti.
Costoro, infatti, in considerazione della innovazione dello strumento urbanistico direttivo nell'anno 2000, con la esclusione della destinazione direzionale dell'area nella quale si trova il fabbricato oggetto dell'intervento edilizio e la previsione quale destinazione caratterizzante di tale area di quella residenziale (con la conseguente richiesta da parte della società proprietaria del fabbricato di un nuovo titolo autorizzativo per conformarsi a tale destinazione, in ordine alla quale il Comune di Genova non si era determinato nonostante il decorso del termine di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 2), hanno prospettato l'insussistenza della contestata lottizzazione abusiva, per essere stato realizzato il manufatto solamente nella sua struttura essenziale e con la sola prefigurazione in vista del suo adeguamento, anche sotto il profilo concessorio, alle nuove destinazioni residenziali previste dal Piano Urbanistico Comunale vigente.
Risulta, tuttavia, assorbente, il dato, già evidenziato, della radicale difformità tra la concessione edilizia rilasciata alla proprietaria, la S.r.l. Bagliani San Giuliano, dal Comune di Genova, n. 550 del 3/12/1991, che prevedeva la realizzazione di un fabbricato a destinazione direzionale di quattro piani (compreso il piano autorimessa seminterrato) su un'area della superficie di 926 metri quadrati, con altezza di metri 15,15 e volume totale di metri cubi 8492, e quanto effettivamente realizzato dagli imputati, e cioè una modifica di destinazione d'uso del fabbricato e varianti in corso d'opera mai assentite (tra cui: la realizzazione del fabbricato ad una quota d'imposta inferiore di circa m. 2,60; il frazionamento dell'edificio in undici unità immobiliari; il rimodellamento della sagoma dell'edificio con riduzione della superficie lorda da mq. 2392 a mq. 1927 e la contestuale variazione dei prospetti; la realizzazione di una rampa elicoidale per l'accesso alla rimessa al piano seminterrato; la diversa realizzazione delle sistemazioni esterne circostanti il fabbricato con inserimento di due piscine; la realizzazione di un locale fuori terra in calcestruzzo armato della superficie di 10 mq.; la mancata realizzazione del parcheggio pubblico previsto quale opera in convenzione; la trasformazione della pista provvisionale di accesso al cantiere in viale carrabile posto a servizio del fabbricato): una così rilevante discrepanza determina la verificazione di una lottizzazione abusiva, per la totale difformità di quanto realizzato rispetto al piano di lottizzazione, irrilevante rimanendo, alla stregua dei principi ricordati, l'eventuale autorizzazione a lottizzare emessa successivamente, così come l'approvazione di un nuovo piano urbanistico comunale, cui le opere abusive sarebbero astrattamente conformi, giacché ciò non determina comunque una sanatoria della lottizzazione abusiva o l'estinzione del reato, che non sono contemplate dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30.
Manifestamente infondato risulta poi il profilo della censura fondato sul rilievo che non sarebbe qualificabile come lottizzazione abusiva l'intervento edilizio realizzato dagli imputati, in quanto avente ad oggetto un fabbricato e non un terreno, giacché ricorre il reato di lottizzazione abusiva fisica o materiale quando l'intervento, per le sue dimensioni o caratteristiche, sia idoneo a pregiudicare la riserva pubblica di programmazione territoriale (Sez. 3, n. 9446 del 21/01/2010, Lorefice, Rv. 246340), consista esso nella realizzazione di un nuovo fabbricato o nella suddivisione in lotti di un terreno in vista della realizzazione di nuove costruzioni, e tale idoneità a pregiudicare la programmazione territoriale di quanto realizzato dagli imputati non è in alcun modo stato oggetto di censura.
3. Per le medesime considerazioni risulta manifestamente infondato anche il terzo motivo di ricorso, mediante il quale è stata prospettata errata applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 30 e 44, per la ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di lottizzazione abusiva in capo a tutti gli imputati nonostante l'incertezza della situazione in ordine alla validità del piano di lottizzazione a causa della sua sopravvenuta incompatibilità con gli strumenti urbanistici.
Va ricordato che è stato chiarito, quanto all'elemento soggettivo del reato di lottizzazione abusiva, che "non è ravvisabile alcuna eccezione al principio generale stabilito per le contravvenzioni dall'art. 42 c.p., comma 4, restando ovviamente esclusi i casi di errore scusabile sulle norme integratici del precetto penale e quelli in cui possa trovare applicazione l'art. 5 cod. pen. secondo l'interpretazione fornita dalla pronuncia n. 364/1988 della Corte Costituzionale. Conseguentemente va ammessa anche la cooperazione colposa nella realizzazione del reato e diviene irrilevante l'eventuale eterogeneità dell'elemento soggettivo accertato in capo ai diversi concorrenti" (così Sez. 3, n. 36940 del 11/05/2005, Stiffi, Rv. 232189; conf. Sez. 3, n. 38799 del 16/09/2015, De Paola, Rv. 264718).
Ora, nella vicenda in esame, i ricorrenti hanno intrapreso sulla base del piano di lottizzazione e della concessione edilizia del 1991, che contemplavano la realizzazione di un fabbricato indiviso con destinazione direzionale articolato su quattro piani, una ristrutturazione con mutamento della destinazione, realizzando anche tutte le anzidette varianti in corso d'opera mai assentite, in assenza di risposta da parte del Comune di Genova circa la variante riduttiva della suddetta concessione edilizia ed in difformità dall'originario piano di lottizzazione e dalla concessione edilizia ottenuta: tutto ciò comporta l'irrilevanza, sotto il profilo della consapevolezza di realizzare un'opera del tutto difforme dal piano di lottizzazione e dalla concessione, dei sopravvenuti mutamenti degli strumenti urbanistici e delle altre vicende amministrative e giurisdizionali, soprattutto in considerazione della importanza dell'opera e della veste qualificata dei ricorrenti (quale evidenziata dalla Corte d'appello), che non potevano non rappresentarsi (sia pure nel quadro di incertezza derivante dalle pronunce dei giudici amministrativi, dalla imposizione del vincolo storico ambientale e del nuovo Piano Urbanistico Comunale) di dare corso alla realizzazione di un'opera illegittima, stante la persistente palese e rilevante difformità della stessa rispetto al piano di lottizzazione ed alla concessione, in ordine ai quali non erano intervenute modifiche di sorta da parte degli organi comunali.
4. Per quanto riguarda, infine, le censure relative al mantenimento della confisca, nonostante l'approvazione della variante del Piano Urbanistico Comunale e la stipula di convenzione attuativa e, da ultimo, il rilascio (in data 24 febbraio 2015) di permesso di costruire al fine di ripristinare l'iniziale destinazione d'uso del fabbricato con finalità direzionale, oggetto del quarto motivo e dei motivi aggiunti, va ribadito che il provvedimento di confisca delle aree impartito con la sentenza di condanna per i reati di lottizzazione abusiva e di costruzione abusiva su area illecitamente lottizzata non è automaticamente caducato per effetto del successivo rilascio di permesso a costruire in sanatoria, in quanto il giudice dell'esecuzione penale ha il dovere di controllare la legittimità di tale provvedimento e, in particolare, la sussistenza dei requisiti per il rilascio del titolo abilitativo (così Sez. 3, n. 12350 del 02/10/2013, Pandiani, Rv. 259890). E' solo per effetto di un legittimo rilascio della concessione in sanatoria per condono che è possibile rivisitare la questione riguardante la confisca dei manufatti abusivamente realizzati a seguito di lottizzazione abusiva e dunque confiscati, in quanto il titolo abilitativo sopravvenuto legittima soltanto l'opera edilizia come tale, ma non si estende alla possibilità di rivedere la questione riguardante la lottizzazione, perché la concessione non ha una funzione strumentale urbanistica di pianificazione dell'uso del territorio (Sez. 3, 21.4.1989, n. 6160, Greco, Rv. 181117), e dunque, ferma restando la sussistenza della lottizzazione abusiva, per poter escludere la confisca occorrerà verificare la legittimità del permesso di costruire ed anche la sua compatibilità e coerenza con gli strumenti di pianificazione del territorio.
Ora, nella specie, occorrerà verificare, in sede esecutiva, essendo una tale indagine preclusa in questa sede, la legittimità del rilascio del suddetto permesso di costruire (avente lo scopo di consentire il ripristino della iniziale destinazione d'uso direzionale del fabbricato), tenendo conto dei mutamenti frattanto apportati allo stato dei luoghi ed all'edificio, onde accertare la compatibilità di tale permesso con lo stato di fatto e la sua congruenza rispetto al suo scopo ed agli strumenti urbanistici di pianificazione territoriale, e solo all'esito di una tale indagine potranno essere esclusi i presupposti per mantenere la confisca, per effetto ed in conseguenza della legittima sanatoria delle opere e della loro compatibilità con gli strumenti urbanistici.
Ne consegue la manifesta infondatezza anche di tali motivi di ricorso, non potendo allo stato essere esclusi i presupposti di detta confisca.
5. In conclusione i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, in conseguenza della manifesta infondatezza di tutti i motivi cui sono stati affidati.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. sentenza 7 - 13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000 per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2016.
Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2016