Cass. Sez. III n. 40018 del 27 ottobre 2008 (ud. 18 set. 2008)
Pres. De Maio Est. Amoresano Ric. Confettura
Urbanistica. Opere precarie

Non costituisce "opera precaria e soggetta a facile demolizione" né pertinenza una tettoia costituita da una struttura di metallo con sovrastante tetto di copertura avente un\'altezza di metri tre ed un\'ampiezza di metri 47,00, di cui mq 23,00 accorpati, mediante demolizione di muri portanti, ad attiguo immobile adibito ad esercizio commerciale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale



Composta dagli Ill.mi Signori


Dott. Guido DE MAIO Presidente
Dott. Alfredo TERESI Consigliere
Dott. Silvio AMORESANO Consigliere
Dott. Maria Silvia SENSINI Consigliere
Dott. Luigi MARINI Consigliere


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto da :
1) CONFETTURA EMANUELE N. IL 10/12/1947

- avverso SENTENZA del 10/04/2008 CORTE APPELLO di CATANIA

- visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
- udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere AMORESANO SILVIO
- Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Guglielmo Passacantando, che ha concluso per il rigetto del ricorso

Udito, per la parte civile, l\'Avv.==
Udito il difensore Avv.==


OSSERVA


1) Con sentenza del 10.4.2008 la Corte di Appello di Catania confermava la sentenza del Tribunale di Catania del 10.4.2006, con la quale Confettura Emanuele era stato condannato alla pena di mesi uno di arresto ed euro 6.000,00 di ammenda per i reati di cui agli artt. 44 lett.b) DPR 380/01 (capo a), 93-95 (capo b), 94-95 (capo c), 64 comma 2-71 (capo d), 64 comma 3-71 (capo e), 65-74 (capo f) del medesimo DPR 380/01, unificati sotto il vincolo della continuazione.


Riteneva la Corte che per I\'opera realizzata (una tettoia ad una falda inclinata avente altezza media di mt.3,00 circa insistente su una superficie di mq. 47 circa, costituita da una struttura portante in ferro e copertura con pannelli termocoibenti) fosse necessario permesso di costruire. Non poteva infatti siffatta opera essere considerata precaria e soggetta a facile demolizione.


Secondo la Corte di merito, inoltre, correttamente erano state negate le generiche e la pena risultava adeguata ai fatti ascritti.


2) Propone ricorso per cassazione il Confettura, a mezzo del difensore, per violazione dell\'art.44 lett.b) DPR 380/01 in relazione all\'art.20 L.R. Sicilia n.4/2003. Le opere realizzate non costituiscono nuova costruzione essendo state eseguite secondo le prescrizioni della L.R. sopraindicata che all\'art.20 prevede: "In deroga ad ogni disposizione di legge, non sono soggetti a concessioni e/o autorizzazioni né sono considerati aumenti di superficie utile o di volume né modifica della sagoma della costruzione la chiusura di terrazze di collegamento oppure di terrazze non superiori a metri quadrati 50 e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie". Il Confettura in effetti ha provveduto alla chiusura di una terrazza interna di collegamento situata tra due corpi di fabbrica di proprietà dello stesso.


La Corte territoriale senza alcuna motivazione ha disapplicato la normativa regionale in questione ed apoditticamente ha sostenuto che l\'opera non potesse considerarsi precaria e soggetta a facile demolizione (in contrasto peraltro con quanto emergente dalla relazione del geom. Sciuto e dal verbale di accertamento dei Vigili Urbani).


Con il secondo motivo denuncia la violazione dell\'art.44 DPR 380/01 in relazione all\'art.5 L.R. Sicilia n.37/85, non avendo la Corte territoriale tenuto conto che trattasi di pertinenza posta al servizio di edificio già esistente e priva di autonoma destinazione. Sul punto vi è assoluto difetto di motivazione, pur essendo la questione oggetto di specifico motivo di gravame.


Con il terzo motivo denuncia il vizio di motivazione in relazione all\'art.5 c.p.
Il Confettura diligentemente ha presentato la DIA ed ha provveduto al versamento della somma di euro 1.837,50, come disposto dall\'art.20 L.R. n.4/2003. La Corte ha genericamente escluso la configurabilità di ignoranza inevitabile "in ragione delle caratteristiche dell\'intervento urbanistico", senza specificare però quali fossero dette caratteristiche.


Con il quarto motivo denuncia il vizio di motivazione in relazione all\'art.125 comma 3 e 546 comma 1 lett.e) c.p.p., essendosi la Corte limitata, a fronte di articolati motivi di appello, ad affermare che l\'opera necessitava di permesso di costruire, trattandosi di una nuova costruzione.


Con il quinto motivo denuncia il difetto di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed alla determinazione della pena, senza prendere in esame quanto dedotto con i motivi di gravame.


Con il sesto motivo denuncia la violazione di legge in relazione all\'art.31 comma 9 DPR 380/01. Non essendovi stato alcun sequestro la Corte avrebbe dovuto revocare la disposizione contenuta nella sentenza del Tribunale con cui si disponeva la demolizione di quanto sequestrato.


Chiede pertanto I\'annullamento della sentenza impugnata.


3) Va premesso che l\'art.2 comma 2 del DPR 380/2001 prevede che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano esercitano la propria potestà legislativa esclusiva nel rispetto e nei limiti degli statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione.


Con la sentenza n.303/2003 la Corte Costituzionale ha affermato che, in ordine all\'attività urbanistico-edilizia, "lo Stato ha mantenuto la disciplina dei titoli abilitativi come appartenente alla potestà di dettare i principi della materia" e che " costituisce un principio dell\'urbanistica che la legislazione regionale e le funzioni amministrative in materia non risultino inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a semplificare le procedure e ad evitare la duplicazione di valutazioni sostanzialmente già effettuate dalla pubblica amministrazione".


Le leggi Regionali (e perciò anche le L.n.37 del 1985 e n.4 del 2003 della Regione Sicilia) devono (ex art.117 Cost., anche come modificato dalla Legge Costituzionale n.3/2001) comunque rispettare i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale e quindi in ogni caso devono essere interpretate in modo da non collidere con detti principi ( Corte Cost.sent.n.187/1997; Cons.giust.amm.Reg.Sic.28.2.1995 n.73; Cass.sez.3 9.12.2004, Garufi; Cass.sez.3, 11.1.2002 , Castiglia; Cass.sez.3 n.2017 del 25.10.2007, Giangrasso).


Tanto premesso, l\'art.20 L.R. Sicilia 16,4,2003 n.4, richiamato dal ricorrente, disciplina:
a) la chiusura di terrazze di collegamento e/o copertura di spazi interni con strutture precarie;
b) la realizzazione di verande, definite come "chiusure o strutture precarie relative a qualunque superficie esistente su balconi, terrazze e anche tra fabbricati";
c) la realizzazione di altre strutture, comunque denominate (a titolo esemplificativo si fa riferimento a tettoie, pensiline e gazebo), che vengono assimilate alle verande, a condizione che ricadano su aree private, siano realizzate con strutture precarie e siano aperte da almeno un lato.


Secondo la predetta norma gli interventi descritti non sono considerati aumento di superficie utile o di volume né modifica della sagoma della costruzione e sono da considerare strutture precarie tutte quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione.


Nell\'individuare alcune opere precarie non soggette, in via di eccezione, a permesso di costruire la legge regionale fa riferimento ad un "criterio strutturale" (la facile rimovibilità) piuttosto che al "criterio funzionale" (I’uso temporaneo e provvisorio).
Come già affermato da questa Corte tali disposizioni non possono essere, pertanto, applicate al di fuori dei casi espressamente previsti e vanno interpretate in modo restrittivo in ordine alla suscettibilità di facile rimozione (cfr.Cass.pen.sez. 3 n.35011 del 26.4.2007; Cass.pen.sez.3 n.2017 del 25.10.2007).


I giudici di merito, con argomentazioni corrette ed immuni da vizi logici, come tali non sindacabili in questa sede di legittimità hanno ritenuto che l\'opera realizzata dal ricorrente non avesse il carattere della precarietà.
Il Tribunale aveva già evidenziato che si trattava "di una tettoia costituita da una struttura di metallo con sovrastante tetto di copertura avente un\'altezza di metri tre ed un\'ampiezza di metri 47,00, di cui mq 23,00 venivano accorpati, mediante demolizione di muri portanti, aII\'attiguo immobile adibito ad esercizio commerciale; il predetto ampliamento, unitamente alla già esistente struttura, diventava un locale unico".
Del resto nella stessa imputazione si faceva riferimento ad "una struttura di metallo scatolare (pilastri) infissi stabilmente al piano di calpestio su una trave di collegamento in ferro, sormontati da struttura intelaiata (travi di collegamento) anch\'essi in metallo con sovrastante tetto di copertura..".
Sulla base di siffatte risultanze la Corte territoriale ha, ineccepibilmente, escluso che potesse trattarsi di "opera precaria e soggetta a facile demolizione".


3.1) Stante le caratteristiche dell\'opera che, come evidenziato dai giudici di merito, veniva accorpata alla struttura preesistente, determinando un ampliamento di volumi, non può parlarsi di "pertinenza".

Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, invero, "la nozione di pertinenza urbanistica, diversamente da quella dettata dall\'art.817 del codice civile, ha peculiarità sue proprie, inerendo essa ad un\'opera- che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale- preordinata ad un\'esigenza oggettiva dell\'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell\'edificio principale una destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell\'immobile cui accede" (vedi tra le molteplici decisioni, Cass. sez.3, 9.12.2004, Bufano). La strumentalità rispetto all\'immobile principale deve essere in ogni caso oggettiva, e non può desumersi, a differenza di quanto consente la nozione civilistica di pertinenza, esclusivamente dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario o dal possessore. L\'opera pertinenziale inoltre, non deve essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, sicché non può considerarsi tale l\'ampliamento di un edificio che, per la relazione di congiunzione fisica con esso, ne costituisca parte..." (cfr. ex multis Cass.pen.sez.3 n.2017 del 25.10.2007-Giangrasso).
Palesemente quindi non sussiste alcun elemento che possa far ritenere il carattere pertinenziale dell\'opera realizzata.


3.2) Non può, poi, essere invocata l\'ignoranza inevitabile della legge penale, stante, come ha evidenziato la Corte di merito, le caratteristiche dell\'opera.
La legge regionale n.4/2003 richiede espressamente che si tratti di strutture precarie, realizzate cioè in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione; ma tale non era certamente l\'opera realizzata dal ricorrente.


4) In ordine al trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale, anche se con motivazione stringata, ha escluso che per la natura, l\'entità e le modalità dei fatti potessero essere concesse le circostanze attenuanti generiche ed ha ritenuto che la pena inflitta fosse adeguata all\'entità dei fatti medesimi.


E\' indubitabile che non sia necessaria una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente la indicazione degli elementi ritenuti decisivi e rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri.
Non è necessario, quindi, scendere alla valutazione di ogni singola deduzione difensiva, dovendosi, invece, ritenere sufficiente che il giudice indichi, nell\'ambito del potere discrezionale riconosciutogli dalla legge, gli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti. Ne consegue che le attenuanti generiche possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali..." (cfr. ex multis Cass.sez.4 n.8052 del 6.4.1990; Cass.sez.1 n.707 del 13.11.1998).
Il preminente e decisivo rilievo accordato all\'elemento considerato implica infatti il superamento di eventuali altri elementi, suscettibili di opposta e diversa significazione, i quali restano implicitamente disattesi e superati.


Sicché anche in sede di impugnazione il giudice di secondo grado può trascurare le deduzioni specificamente esposte nei motivi di gravame quando abbia individuato, tra gli elementi di cui all\'art.133 c.p. quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell\'imputato e le deduzioni dell\'appellante siano palesemente estranee o destituite di fondamento (cfr.Cass.pen.sez. 1 n.6200 del 3.3.1992).
L\'obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre.
E, nel caso di specie, la Corte ha attribuito decisiva rilevanza alla natura, entità e modalità dei fatti.


5) L\'ordine di demolizione previsto dall\'art.7 L.47/85 (ora dall\'art. 31 comma 9 DPR 380/2001) costituisce atto dovuto in quanto obbligatoriamente previsto, dalla normativa in vigore, in relazione alle opere abusivamente realizzate.
Tale sanzione, pur formalmente giurisdizionale, ha natura sostanzialmente amministrativa di tipo ablatorio che il giudice deve disporre.
Irrilevante pertanto è che, come già sottolineato dalla Corte di merito, si sia fatto erroneamente riferimento, nel dispositivo della sentenza di primo grado, alla "demolizione di quanto in sequestro" (nonostante non sia stato disposto alcun sequestro), riguardando la demolizione, evidentemente, il manufatto abusivamente realizzato.


6) Va dichiarata quindi la inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.


Stante la inammissibilità del ricorso non rilevano ovviamente eventuali cause estintive del reato, maturate dopo la sentenza impugnata.


P. Q. M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.


Così deciso in Roma il 18.9.2008

Depositata in Cancelleria 27/10/2008