Cass. Sez. III n. 11463 del 14 Marzo 2019 (Up 16 gen 2019)
Pres. Andreazza Est. Scarcella Ric. D’Avino
Urbanistica.Prova della data di ultimazione dei lavori

Anche in materia edilizia, in base al principio generale per cui ciascuno deve dare dimostrazione di quanto afferma, grava sull'imputato che voglia giovarsi della causa estintiva della prescrizione, in contrasto o in aggiunta a quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l'onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di inizio del decorso del termine di prescrizione ed in particolare, trattandosi di reato edilizio, la data di esecuzione dell'opera incriminata. Tale onere probatorio, peraltro, non può ritenersi assolto attraverso fonti dichiarative ma presuppone la dimostrazione attraverso elementi di prova documentali (fatture di acquisto di materiali edili; rilievi fotografici attestanti lo stato dei luoghi alla data della asserita retrodatazione; etc.) che consentano di supportare la prospettazione difensiva in ordine all’epoca di consumazione del reato in data antecedente a quella risultante dalla contestazione mossa dal PM.



RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza 16.03.2017, la Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza 30.09.2015 del tribunale di Napoli, appellata da D’Avino Alessandro e D’Avino Pasquale, riqualificato il delitto paesaggistico nella contravvenzione di cui all’art. 181, comma 1, d. lgs. n. 42 del 2004, rideterminava la pena in 7 mesi di arresto ed € 31.200,00 di ammenda per ciascuno degli imputati, confermando nel resto l’appellata sentenza che li aveva ritenuti colpevoli delle violazioni in materia edilizia ed antisismica contestate ai capi a) e b) della rubrica, oltre che della violazione paesaggistica di cui al capo c), in relazione a fatti accertati il 7.05.2013.

2. Contro la sentenza hanno proposto congiunto ricorso per cassazione gli imputati a mezzo del comune difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613, cod. proc. pen., articolando un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deducono, con tale unico motivo, la violazione di legge in relazione agli artt. 157, 158, 160 e 161, c.p. e correlato vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, laddove la Corte d’appello non avrebbe tenuto in considerazione le valutazioni difensive in ordine alla corretta individuazione della data di decorrenza del termine di prescrizione in data antecedente e prossima all’estate 2010 e che, pertanto, il predetto termine doveva ritenersi già maturato in epoca antecedente al 7.02.2017, data di celebrazione della seconda udienza dinanzi alla Corte d’appello.
Si sostiene che la Corte d’appello, pur correttamente derubricando il delitto paesaggistico nella contravvenzione prevista dall’art. 181, d. lgs. n. 42 del 2004, avrebbe dovuto pronunciare sentenza di proscioglimento per tutti i reati contravvenzionali in quanto estinti per prescrizione; sarebbe infatti emerso dalle dichiarazioni del teste Somma, sentito in dibattimento, che le opere abusive erano state realizzate in epoca prossima all’estate 2010, anche se lo stesso, indotto in confusione, aveva fatto risalire all’estate 2011 detta epoca di realizzazione; si sarebbe trattato  di un errore dettato dalla confusione del momento, come confermato dal fatto che il teste più volte nel corso della deposizione aveva fatto riferimento all’anno 2010; a sostegno di quanto affermato, si rileva come il primo giudice avesse ritenuto corretta la retrodatazione delle opere suggerita dalla difesa dell’imputato, individuando come data di consumazione il mese di ottobre 2011 e non il 7.05.2013, data del sequestro in cui il fatto era stato accertato e non consumato, non essendovi lavori in corso né operai o materiali edili in loco; quand’anche, tuttavia, la consumazione del reato si fosse fatta risalire al 2011, i giudici di appello avrebbero dovuto comunque dichiarare non doversi procedere per intervenuta prescrizione dei reati, ben prima dell’udienza del 24.11.2016, o, quantomeno, all’udienza successiva del 7.02.2017; ed infatti, in virtù del principio del c.d. favor rei, la giurisprudenza di legittimità ritiene che, in caso di dubbio sull’epoca di consumazione del reato, debba retrodatarsi la data di ultimazione delle opere in senso favorevole all’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il congiunto ricorso è inammissibile.

4. L’articolato motivo, comune ad entrambi i ricorrenti, presenta un vizio comune, atteso che lo stesso si presenta non solo generico per aspecificità ma anche manifestamente infondato.

5. Ed invero, è anzitutto generico per aspecificità in quanto non si confronta con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata che confuta in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi le identiche doglianze difensive svolte nei motivi di appello (doglianze che, vengono, per così dire “replicate” in questa sede di legittimità senza alcun apprezzabile elemento di novità critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilità. Ed invero, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).

6. Le stesse doglianze inoltre sono da ritenersi manifestamente infondate, avendo i giudici di appello esaminato, puntualmente e senza alcuna sbavatura di ordine logico – argomentativo, gli elementi che, con motivazione congrua ed immune dai denunciati vizi, consentivano di ritenere corretta l’epoca di consumazione dei lavori con la data del disposto sequestro, ossia il 7.05.2013.
Ed invero, si legge in sentenza, come dalla descrizione dello stato dei luoghi contenuta nel verbale di sequestro e dai rilievi fotografici eseguiti, oltre che dall’esame dibattimentale della p.g. operante, entrambi gli immobili si presentavano ancora allo stato grezzo, i solai erano ancora sorretti da impalcature, la carpenteria di legno usata per sostenere le gettate di cemento non era ancora stata rimossa, negli ambienti era stata constatata la presenza di materiale edile (blocchi di lapilcemento; sacchi di cemento) nonché di attrezzi. Inoltre, le opere si presentavano di recente realizzazione e tale risultava essere anche la copertura del manufatto di forma rettangolare.
Alla luce di tali rilievi i giudici di appello hanno ritenuto dimostrato (disattendendo l’identica tesi difensiva sostenuta dinanzi a questa Corte, fondata sulle dichiarazioni del teste Somma e sulla asserita confusione in cui sarebbe incorso durante l’esame dibattimentale circa l’epoca di datazione delle opere abusive) che, al momento dell’intervento avvenuto in data 7.05.2013, l’ultimazione dei due fabbricati non fosse ancora avvenuta, in un contesto in cui peraltro l’attività edificatoria si andava protraendo, essendone rimasti presenti segni recenti del suo perdurare, donde correttamente il primo giudice aveva individuato nella data del sequestro l’inizio della decorrenza del termine di prescrizione dei reati contestati.

7. Orbene, al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze del ricorrente appaiono del tutto prive di pregio.
Ed invero, le censure difensive (relative al preteso vizio di violazione di legge e motivazionale dell’impugnata sentenza per non aver prosciolto gli imputati da tutti i reati loro ascritti per intervenuta prescrizione già alla data della prima sentenza d’appello, retrodatando l’ultimazione dei lavori all’estate 2010 o, tutt’al più, all’ottobre 2011), oltre che essere state adeguatamente confutate dalla Corte territoriale con motivazione immune dai denunciati vizi,  collidono non solo con le chiare argomentazioni confutative offerte dai giudici del merito, ma, soprattutto, più che prospettare reali vizi motivazionali, si risolvono nel “dissenso” sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per presunti vizi di violazione di legge e di motivazione, che, lungi dal potersi qualificare come tali, in realtà propongono una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 - dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745).
E, sotto tale profilo, la motivazione della sentenza impugnata non può certo dirsi mancante, contraddittoria o manifestamente illogica, nel senso inteso dalla giurisprudenza di questa Corte, ossia nella frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono (Sez. 1, n. 9539 del 12/05/1999 - dep. 23/07/1999, Commisso ed altri, Rv. 215132). In definitiva, dunque, il ricorrente, sotto l’apparente censura del vizio di violazione di legge o motivazionale, in realtà tenta di chiedere a questa Corte di sostituire la propria valutazione a quella, operata dai giudici territoriali, da egli non condivisa: ciò che si risolve, dunque, come detto, nella manifestazione del dissenso di quest’ultimo, più che nella prospettazione di un reale vizio motivazionale.

8. Né, peraltro, può essere invocato il principio del favor rei ai fini della retrodatazione delle opere abusive, principio operante in caso di dubbio insolubile sull’epoca di realizzazione dei lavori.
Ed invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di costruzione abusiva, qualora l'imputato adduca che l'opera sia stata eseguita in una specifica data ed il giudice non sia in grado - in base ad elementi specifici - di stabilire la prosecuzione dei lavori oltre tale data, l'affermazione, in virtù del principio del "favor rei", non può essere disattesa. Ne deriva che il reato deve essere dichiarato prescritto, quando sia trascorso il tempo massimo all'uopo necessario (Sez. 3, n. 12783 del 06/12/1991 - dep. 18/12/1991, Porrello ed altro, Rv. 188746).
Nella specie, diversamente, i giudici territoriali hanno individuato una serie di elementi che consentivano, attraverso un procedimento logico - deduttivo corretto e non di valutazioni congetturali, di ritenere che l’epoca di consumazione coincidesse con quella del sequestro, considerato che i lavori si presentavano di recente fattura. Deve, peraltro, essere qui ribadito che anche in materia edilizia, in base al principio generale per cui ciascuno deve dare dimostrazione di quanto afferma, grava sull'imputato che voglia giovarsi della causa estintiva della prescrizione, in contrasto o in aggiunta a quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l'onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di inizio del decorso del termine di prescrizione ed in particolare, trattandosi di reato edilizio, la data di esecuzione dell'opera incriminata (Sez. 3, n. 10585 del 23/05/2000 - dep. 11/10/2000, Milazzo C, Rv. 217091). Tale onere probatorio, peraltro, non può ritenersi assolto attraverso fonti dichiarative – peraltro, come nel caso di specie, non completamente affidabili, tenuto conto della “confusione” dimostrata dal teste nella stessa retrodatazione dell’epoca di realizzazione delle opere – ma presuppone la dimostrazione attraverso elementi di prova documentali (fatture di acquisto di materiali edili; rilievi fotografici attestanti lo stato dei luoghi alla data della asserita retrodatazione; etc.) che consentano di supportare la prospettazione difensiva in ordine all’epoca di consumazione del reato in data antecedente a quella risultante dalla contestazione mossa dal PM.

9. Non rileva, infine, l’intervenuto decorso, alla data odierna, del termine di prescrizione massima alla data del 7.05.2018.
Trova infatti applicazione il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso, come nel caso di specie: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 - dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266).

10. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2000 ciascuno in favore della casa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 16 gennaio 2019