Cass.Sez. III n. 42466 del 16 ottobre 2013 (Ud 24 set 2013)
Pres.Squassoni Est.Sarno Ric.Tacchini e altri
Urbanistica.Violazione delle distanze minime previste dagli strumenti urbanistici -
Integra il reato previsto dall'art. 44, lett. a) d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, la violazione delle distanze minime previste dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore comunale.
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente - del 24/09/2013
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - SENTENZA
Dott. MULLIRI Guicla - Consigliere - N. 2830
Dott. SARNO Giulio - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. RAMACCI Luca - Consigliere - N. 7920/2013
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
TACCHINI ANTONIETTA N. IL 11/07/1944;
VESCOVO STEFANIA N. IL 26/03/1970;
DEBÈ MARCO N. IL 06/05/1972;
MARIANI MAURO N. IL 21/09/1969;
avverso la sentenza n. 611/2011 TRIBUNALE di PIACENZA, del 20/01/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/09/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIULIO SARNO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Policastro A. che ha concluso per l'annullamento senza rinvio limitatamente alla sospensione condizionale della pena che deve essere concessa; rigetto nel resto;
Udito il difensore Avv. Tusa Benedetto.
RITENUTO IN FATTO
Tacchini Antonietta, Vescovo Stefania, Debè Marco e Mariani Mauro sono stati condannati alla pena dell'ammenda dal tribunale di Piacenza in quanto ritenuti responsabili, in concorso tra di loro, del reato di cui all'art. 110 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), perché, in concorso tra loro, la prima e la seconda quali committenti, il terzo quale legale rappresentante della società EDILDEBE esecutrice dei lavori, il quarto in qualità di direttore dei lavori stessi, realizzavano interventi edilizi in difformità al progetto approvato edificando un fabbricato nel comune di Ponte dell'Olio senza rispettare le distanze minime previste dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore comunale. Il fatto risulta accertato il 28 giugno 2010.
Avverso tale decisione hanno proposto appello tutti gli imputati, il Mariani avvalendosi anche di un altro difensore, chiedendolo l'assoluzione dal reato sul presupposto che l'abuso contestato integra una mera difformità parziale, che la variante parziale in corso d'opera è assoggettabile unicamente a dia, che la presentazione di quest'ultima avvenuta entro l'ultimazione dei lavori ha comunque sanato l'abuso in quanto tempestiva e, legittima, alla luce del certificato di conformità edilizia ed agibilità rilasciato dal comune in data 26 ottobre 2012.
Si aggiunge che gli imputati hanno proceduto al versamento della somma di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 34, comma 2 unicamente per accelerare la conclusione del procedimento e che, pertanto, il versamento non è indicativo di ammissione di responsabilità. Nel merito contestano le modalità di calcolo della distanza asserendo che quest'ultimo sarebbe errato in quanto i tecnici comunali avrebbero preteso di avanzare il confine stradale ad una cunetta laterale rispetto al manto asfaltato ritenendola erroneamente parte integrante del manufatto stradale.
La corte di appello di Bologna ha disposto la trasmissione degli atti a questa Corte trattandosi di sentenza per la quale è inammissibile l'appello.
I ricorrenti hanno fatto pervenire successivamente in questa sede memoria difensiva in cui ribadiscono le doglianze in precedenza espresse e deducono l'erronea applicazione della legge penale ha avuto riguardo alle ragioni indicate negli atti di appello in punto di configurabilità del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
Non può in questa sede essere messa in discussione la sussistenza della violazione rappresentata dal mancato rispetto nella costruzione delle distanze minime previste dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore comunale.
La statuizione sul punto appartiene, infatti, al merito della valutazione e, peraltro, da nessuno dei documenti allegati al ricorso emerge una realtà diversa da quella rappresentata in sentenza. Anzi proprio il ricorso alla procedura del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 34 da parte dell'amministrazione comunale è ulteriore indice della sussistenza dell'abuso in quanto il presupposto di essa è unicamente l'impossibilità di procedere a demolizione in relazione al pregiudizio strutturale alle parti residue dell'immobile che sarebbe conseguito dalla demolizione stessa.
È da escludere, quindi, che la presentazione della d.i.a abbia potuto conseguire effetti sananti dell'abuso in quanto la violazione delle distanze indicate dal PRG comporta necessariamente il rigetto di qualsiasi istanza finalizzata ad ottenere il permesso alla realizzazione dell'opera.
Nè si può - per le ragioni indicate - parlare di effetto sanante della d.i.a. stessa.
Il presupposto per l'operatività della dia è la conformità agi strumenti urbanistici dell'opera che si intende realizzare. Il che peraltro è coerente con il sistema delineato dal D.P.R. n. 380 del 2001 in cui l'istituto al quale fare riferimento per la sanatoria dell'intervento, è il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36. La norma in questione consente, infatti, la sanatoria delle opere solo se eseguite in assenza del titolo edilizio, ma tuttavia conformi, nella sostanza, alla disciplina urbanistica applicabile per l'area sulla quale insistono.
Corretta appare inoltre la qualificazione giuridica del reato essendo pacifico nella giurisprudenza della Corte che integra il reato previsto dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, lett. A) (ora D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a) la violazione della distanza minima dai confini quando detto limite è previsto nei regolamenti urbanistici(ex multis Sez. 3, n. 9538 del 28/01/2003 Rv. 223815).
Ugualmente infondata è la doglianza concernente la mancata concessione dei benefici di legge della sospensione condizionale e della non menzione della condanna in quanto non richiesti nel corso dell'udienza.
Al rigetto del ricorso consegue l'onere per ciascuno dei ricorrenti del pagamento delle spese di giudizio.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.
Così deciso in Roma, nella Udienza, il 24 settembre 2013. Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2013