Cons. Stato Sez. IV n.2592 del 4 maggio 2012
Urbanistica. Abusi edilizi ed inerzia della P.A.
Non è configurabile un affidamento alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, in forza di una legittimazione fondata sul tempo
N. 02592/2012REG.PROV.COLL.
N. 07908/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7908 del 2011, proposto da:
Alfredo Fuda, rappresentato e difeso dagli avv. Fabio Todarello, Matilde Battaglia, con domicilio eletto presso Giovanni Corbyons in Roma, via Maria Cristina N. 2;
contro
Comune di Gioiosa Ionica, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Pasqualino Zavaglia, con domicilio eletto presso Pasquale Guidace in Roma, via Livorno N. 1;
nei confronti di
Aldo Dioni;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA - sez. Staccata di Reggio Calabria n. 00592/2011, resa tra le parti, concernente il silenzio - rifiuto su un’istanza di accertamento di abuso edilizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Gioiosa Ionica;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2012 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Alessandro Gigli in sostituzione di Fabio Todarello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Trattasi della mancata risposta dell’amministrazione ad una diffida di un privato a reprimere abusi edilizi. In particolare il sig. Fuda, dopo molti anni, accede al progetto in base al quale il vicino, il sig. Dioni, aveva edificato, così apprendendo che era stato aperto un portone di ingresso in asserita violazione del progetto così come assentito e delle distanze tra pareti finestrate. Sicchè, dopo circa quarant’anni dalla realizzazione dell’abuso, diffida il comune di Gioiosa a reprimere l’abuso. Il Comune resta inerte. Il sig. Fuda ricorre al TAR, al fine d’ottenere l’accertamento dell’obbligo di provvedere in capo al Comune e la repressione degli abusi denunciati.
2. Il TAR dopo aver compiutamente ricostruito i presupposti dell’azione di accertamento e la natura del potere di vigilanza, assegna rilievo all’affidamento ingeneratosi il capo al sig. Dioni in ragione del lungo tempo trascorso, ed al concorso colposo del ricorrente che tale lasso temporale ha lasciato inutilmente trascorrere, oltre che alla lieve entità dell’abuso, per questa via giungendo alla reiezione della domanda sulla base del principio secondo il quale la risalenza dell’abuso edilizio non determina un obbligo assoluto di intervento repressivo del Comune, ma impegna la P.A. ad accertare l’attuale sussistenza di un interesse pubblico specifico, diverso dal mero ripristino della legalità, tale da giustificare l’intervento stesso.
3. La sentenza è gravata dal sig. Fuda. Secondo l’appellante, anche a voler ammettere la necessità di un previo bilanciamento di interessi, in ogni caso avrebbe errato il giudice di prime cure nel non condannare l’amministrazione ad adottare un qualsivoglia provvedimento espresso, sia pur di contenuto reiettivo; inoltre l’orientamento giurisprudenziale che dà rilievo al trascorrere del tempo ed al correlativo affidamento del privato, cui dichiara di aderire il primo giudice, meriterebbe di essere rimeditato, non potendosi riconoscere un affidamento meritevole di tutela in capo al privato che ha commesso un abuso.
4. Si difende l’amministrazione sostenendo che la mancata adozione di un provvedimento espresso sarebbe giustificato da un’implicita valutazione di insussistenza dell’interesse pubblico alla demolizione o alla diversa sanzione applicabile. Comunque, la fattispecie sarebbe condizionata dagli effetti generati dal fattore tempo sul piano dei rapporti interprivati, essendo verosimile che il controinteressato abbia usucapito il diritto di mantenere l’apertura e che il ricorso per silentium sia utilizzato quale strumento per scardinare, a favore del soggetto inerte sul piano civilistico, rapporti ormai intangibili.
5. L’appello è fondato.
5.1. Non v’è dubbio che la tutelabilità dell’affidamento ingeneratosi in capo al privato circa la legittimità dell’azione amministrativa della quale egli è destinatario sia principio che ha ormai trovato, sulla spinta della giurisprudenza comunitaria, piena cittadinanza pur a fronte di un’attività autoritativa e discrezionale. Fonda le sue ragioni sull’imputabilità all’amministrazione, del comportamento illegittimo che ha prodotto o concorso a produrre un ampliamento della sfera giuridica dell’incolpevole destinatario, giungendo a riconoscere protezione o comunque rilievo alla ragionevole aspettativa nella bontà e stabilità degli effetti che ne derivano in suo favore.
Ciò può predicarsi per i casi di titoli abilitativi in materia edilizia, poi annullati in autotutela dalla stessa amministrazione ed a ben vedere non mancano espresse e specifiche previsioni normative che positivizzano il principio (v. art. 38 dPR 380/2001).
5.2. Nel caso dell’abuso edilizio, tuttavia, la situazione è affatto diversa. V’è un soggetto che pone in essere un comportamento contrastante con le prescrizioni dell’ordinamento, che confida nell’omissione dei controlli o comunque nella persistente inerzia dell’amministrazione nell’esercizio del potere di vigilanza. Il fattore tempo non agisce qui in sinergia con l’apparente legittimità dell’azione amministrativa favorevole, a tutela di un’aspettativa conforme alle statuizioni amministrative pregresse, ma opera in antagonismo con l’azione amministrativa sanzionatoria, secondo una logica che al passare del tempo riduce o limita, sino ad annullare, il potere dell’amministrazione di reagire all’illecito, molto simile a quella che presidia i meccanismi decadenziali o quelli prescrizionali nel diritto penale.
Una logica siffatta non può trovare fondamento nei principi generali dell’affidamento né in quelli di efficacia e buon andamento dell’amministrazione, necessitando invece di un’apposita previsione normativa che, agendo sulla patologia dell’inerzia, la sanzioni con l’estinzione o con il mutamento del potere amministrativo esercitabile. In assenza, vale il principio dell’inesauribilità del potere amministrativo di vigilanza e controllo e della sanzionabilità del comportamento illecito dei privati, qualunque sia l’entità dell’infrazione e il lasso temporale trascorso, salve le ipotesi di dolosa preordinazione o di abuso.
E’ quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha sempre posto l’accento sulla non configurabilità di un affidamento alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, in forza di una legittimazione fondata sul tempo (Cfr. da ultimo, Consiglio Stato, sez. IV, 31/08/2010, n. 3955; sez. V, 27/04/2011, n. 2497; sez. VI, 11/05/2011, n. 2781; sez. I, 30/06/2011, n. 4160)
5.3. Giova altresì evidenziare, in linea con quanto dedotto dall’appellante, che anche a prescindere dalla condivisione dell’impostazione di cui sopra, l’amministrazione in ipotesi di segnalazioni sottoscritte, circostanziate e documentate, ha comunque l’obbligo di attivare un procedimento di controllo e verifica dell’abuso della cui conclusione deve restare traccia, sia essa nel senso dell’esercizio dei poteri sanzionatori, che in quella della motivata archiviazione, e ciò in forza dei principi di cui all’art. 2 della legge sul procedimento, dovendosi in particolare escludere che la ritenuta mancanza dei presupposti per l’esercizio dei poteri sanzionatori possa giustificare un comportamento meramente silente.
5.4. Con riferimento al caso di specie, non risultano infine condivisibili le considerazioni dell’amministrazione circa gli effetti del fattore tempo sui rapporti interprivatistici, poiché dalla pacifica ricostruzione dei fatti emerge che non sono in discussione i (soli) rapporti di vicinato, ma il rispetto delle previsioni progettuali assentite, rispetto alle quale l’eventuale usucapio servitutis non rileva.
L’appello è dunque accolto.
6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza gravata, dichiara l’obbligo di provvedere in capo all’amministrazione alla luce di quanto in premesso chiarito.
Condanna l’amministrazione al pagamento in favore dell’appellante delle spese di entrambi i gradi di giudizio, che liquida forfetariamente in €. 3000, oltre oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Guido Romano, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/05/2012