Cons. Stato, Sez. VI, n.1813 del 27 marzo 2012
Urbanistica. Condono di opere realizzate abusivamente su aree con vincolo paesaggistico.
Non rileva il fatto che l’epoca di realizzazione dell’immobile, sia anteriore al 1967, anno in cui la legge n. 765 ha imposto la necessità della previa concessione edilizia. L’art. 7 della legge 1497/1939 imponeva già l’acquisizione dell’autorizzazione preventiva, per gli interventi da effettuarsi in zone paesaggisticamente vincolate. L’intervento edilizio abusivo risale al 1960 e quindi dopo l’apposizione, con decreto ministeriale 21 ottobre 1954, del vincolo ex legge 1497/1939. E’ corretto, quindi, considerare come parametro per l’azione dell’Amministrazione nel rispondere all’istanza dell’interessata, la particolare disciplina relativa alla tutela delle aree riconosciute di pregio ambientale, e non la legge sull’edificazione. In ogni caso, è pacifico l’orientamento di questo Consiglio, secondo cui, a prescindere dal momento di introduzione del vincolo stesso, ai fini del parere di cui all’art. 32 della legge 47 del 1985 rileva la data di valutazione della domanda di sanatoria, e non quella di costruzione dell’immobile (segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 01813/2012REG.PROV.COLL.
N. 01038/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1038 del 2012, proposto da:i signori Angelo Elisei ed Eliana Elisei, rappresentati e difesi dagli avvocati Paolo Stella Richter ed Elena Stella Richter, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Paolo Stella Richter in Roma, viale Giuseppe Mazzini, 11;
contro
Comune di Ardea, rappresentato e difeso dall'avv. Peppino Mariano, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G.Pierluigi Da Palestrina, 55;
nei confronti di
Regione Lazio; Ministero delle Attività Culturali, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, rappresentati e difesi dall'Avvocatura, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II BIS n. 1257/2012, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune del Ardea, del Ministero delle Attività Culturali e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2012 il Cons. Roberta Vigotti e uditi per le parti gli avvocati P.Stella Richter e P.Mariano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I signori Angelo e Eliana Elisei chiedono la riforma, previa sospensione dell’esecuzione, della sentenza, in epigrafe indicata, con cui il Tar del Lazio ha respinto il ricorso da essi proposto avverso il diniego di sanatoria edilizia dell’immobile del quale sono comproprietari e la successiva, conseguente ordinanza di demolizione.
Tali provvedimenti riguardano un fabbricato ad uso abitativo sito nel territorio del Comune di Ardea, lungomare degli Ardeatini, costruito senza licenza edilizia e per il quale la dante causa dei ricorrenti, signora Anna Silvestri, aveva presentato domanda di sanatoria in data 11 novembre 1985.
Con la comunicazione del 1° marzo 2010 l’Amministrazione ha comunicato i motivi ostativi all’accoglimento della domanda, relativi al vincolo paesaggistico gravante sull’area e al parere negativo al rilascio del relativo nulla osta e con il provvedimento del 20 agosto 2010 ha negato la sanatoria, ingiungendo, il successivo 13 settembre, la demolizione del manufatto in esame.
Con la sentenza impugnata il Tar ha respinto il ricorso, rilevando che:
- l’abuso edilizio concreta un illecito permanente, configgente con il pubblico interesse soprattutto se insistente, come nella fattispecie, in area di tutelata di altissimo pregio ambientale;
- la lentezza dell’Amministrazione nel provvedere in ordine alla istanza di sanatoria non determina conseguenze favorevoli per il privato;
- il d.m. 22 ottobre 1954 sottopone alle disposizioni della legge n. 1497 del 1939 l’intero litorale della provincia romana; che l’art. 146 d.lgs. n. 42 del 2004 richiede il previo nulla osta dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (nella Regione Lazio, l’Amministrazione comunale) per l’attuazione di progetti e interventi edilizi sugli immobili paesaggisticamente vincolati;
- la costruzione di cui è causa, realizzata sul litorale, assume un evidente carattere invasivo e di disturbo nella fruizione del paesaggio costiero, in contrasto con il valore tutelato;
- nessun affidamento può sorgere dall’anteriorità dell’abuso rispetto alla successiva conformazione del territorio per finalità di interesse pubblico;
- comunque, il dante causa dei ricorrenti ha affermato, nell’istanza di sanatoria, che l’immobile è stato costruito nel 1960.
Tale sentenza è oggetto dell’appello oggi in esame, per resistere al quale si sono costituite le Amministrazioni intimate.
Alla camera di consiglio del 6 marzo 2012 le parti sono state avvertite dell’intenzione del Collegio di decidere il merito della controversia, ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.
II) La sentenza impugnata resiste alle censure svolte con l’appello.
Va premesso che l’edificio oggetto della domanda di sanatoria risulta costruito nell’anno 1960, per espressa dichiarazione contenuta nella domanda stessa, e quindi dopo che l’area sulla quale esso insiste era stata vincolata ai fini paesaggistici con decreto ministeriale del 22 ottobre 1954. Tale area, inoltre, è compresa nelle zone tutelate dal piano territoriale paesaggistico approvato con la legge n. 24 del 1998 e con il piano territoriale paesaggistico regionale del 21 dicembre 2007.
L’art. 32 legge n. 47 del 1985, nell’introdurre la possibilità di condonare opere abusive realizzate prima del 1° ottobre 1983 su aree sottoposte al vincolo, subordina il rilascio della concessione edilizia al parere dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo stesso.
Come ha osservato il Consiglio di Stato nel parere reso dalla seconda sezione nell’adunanza del 9 marzo 2011, n. 2404/2011, sul ricorso straordinario proposto da alcuni proprietari di immobili siti nella stessa zona del Comune di Ardea interessata dalla vicenda in esame, tale parere ha natura giuridica di condizione ostativa e di presupposto indefettibile per la concessione edilizia in sanatoria e comporta la verifica della compatibilità dell’intervento con gli interessi paesaggistici e ambientali dell’area sottoposta a tutela.
Nel caso di specie il comune di Ardea ha valutato che l’edificio in esame “fa parte di una serie dì costruzioni, realizzate tra la spiaggia e il lungomare, le quali compromettono sia l’accessibilità che la fruizione del panorama marino”. Esso ha inoltre rilevato che tali edifici costituiscono un “grave danno paesaggistico in quanto alterano le caratteristiche morfologiche e naturali del luogo, facendogli perdere la propria identità fisica. L’impatto della realizzazione edilizia, nel contesto disturbante di diffusa fabbricazione, ha carattere invasivo tanto da determinare la compromissione non solo della percezione paesaggistica da parte della collettività, ma anche lo stravolgimento dell’armonia e naturale bellezza del paesaggio e dell’ambiante circostante”.
L’ente locale ha quindi valutato le caratteristiche morfologiche e paesaggistiche dell’area tutelata ed ha considerato che l’edificio in questione contribuisce ad alterare proprio quelle caratteristiche meritevoli di salvaguardia.
Tale modo di agire dell’amministrazione è conforme ai principi più volte affermati dalla giurisprudenza, secondo la quale, in materia di tutela delle bellezze panoramiche, l’esistenza di una anteriore lesione arrecata alla zona non rappresenta, da sola, un motivo sufficiente a dispensare dalla verifica riguardante la realizzabilità o la sanabilità di un’opera; anzi, l’eventuale danno progresso produce la necessità di una indagine ancora più accurata, per scongiurare un maggiore, più grave e definitivo turbamento dei valori tipici dei luoghi (cfr. per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 27 settembre 2002, n. 4971): la situazione di compromissione della bellezza naturale da parte di preesistenti realizzazioni, anziché impedire, maggiormente richiede, quindi, che ulteriori costruzioni non deturpino irreversibilmente l’ambiente protetto.
Né, in contrario, può essere valorizzato quanto osservato da questo Consiglio nelle decisioni n. 4418 del 2011 e n. 9578 del 2010 della sesta sezione, citate dagli appellanti, secondo il quale il giudizio di comparazione dell’opera al contesto da difendere va compiuto tenendo presente le effettive e reali condizioni di sistema dell’area in cui il manufatto è inserito. Nel contesto ambientale considerato nelle citate pronunce, l’immobile oggetto del diniego di condono faceva parte del tessuto di una intensa edificazione oggetto di provvedimenti assunti in sanatoria dall’Amministrazione comunale e favorevolmente esaminati dalla competente Soprintendenza, ovvero nel quale i valori originari erano assolutamente irriconoscibili e irrimediabilmente compromessi da una edificazione così affollata, intensa e sistematica da rendere quel luogo radicalmente diverso e non più recuperabile.
Nella fattispecie in esame, invece, il Comune ha provveduto a sanzionare la maggior parte degli edifici che versano nelle medesime condizioni giuridiche di quello di proprietà dei ricorrenti e si propone dichiaratamente di ripristinare in maniera generale ed organica il naturale contesto ambientale e paesaggistico, ripristino che appare, dalla documentazione versata in atti, concretamente attuabile.
Il motivo di ricorso, riproposto in appello, che fa perno sulla diffusa edificazione che ha interessato l’area, con gli effetti invasivi e deturpanti evidenziati dal Comune, non ha quindi pregio.
III) Infondata è anche la censura incentrata sull’epoca di realizzazione dell’immobile, anteriore al 1967, anno in cui la legge n. 765 ha imposto la necessità della previa concessione edilizia per tutto il territorio municipale. L’art. 7 legge n. 1497 del 1939 imponeva già la necessità, per gli interventi da effettuarsi in zone paesaggisticamente vincolate, la necessità del previo assenso, che nella specie non solo non è stato emanato, ma non è stato neppure chiesto. Non è, quindi, la generale legge sull’edificazione che doveva costituire il parametro per l’azione dell’Amministrazione nel rispondere all’istanza dell’interessata, ma la particolare disciplina relativa alla tutela delle aree riconosciute di pregio ambientale, vale a dire, trattandosi di condono, l’art. 32 della legge n. 47 del 1985, che postula lo specifico assenso da parte dell’autorità competente alla difesa del vincolo.
Né rileva la circostanza, sottolineata dagli appellanti, che la realizzazione dell’opera abusiva sia avvenuta in data anteriore all’imposizione del vincolo.
In primo luogo l’intervento edilizio è stato realizzato, per esplicita ammissione contenuta nella istanza di condono, nel 1960 e quindi dopo l’apposizione, con decreto ministeriale 21 ottobre 1954, del vincolo ai sensi dell’allora vigente legge 29 giugno 1939 n. 1497; in ogni caso, è pacifico l’orientamento di questo Consiglio, secondo cui, a prescindere dal momento di introduzione del vincolo stesso, ai fini del parere di cui all’art. 32 della legge 47 del 1985 rileva la data di valutazione della domanda di sanatoria, e non quella di costruzione dell’immobile (per tutte, Cons. St., Ad. plen., 7 giugno1999, n. 20 e sez. VI, 11 dicembre 2001, n. 6210).
Le attestazioni addotte dagli appellanti al fine di dimostrare una diversa, anteriore epoca di realizzazione del manufatto sono, quindi, del tutto ininfluenti a dimostrare la pretesa illegittimità dell’azione del Comune che, invece, è conforme al principio sopra illustrato.
E quanto alla pretesa disparità di trattamento, dedotta dagli appellanti sotto il profilo che per edifici insistenti nella medesima zona la Soprintendenza avrebbe autorizzato la sanatoria e altri sarebbero stati condonati, ne va dichiarata l’infondatezza: per giurisprudenza costante, il vizio considerato non viene in evidenza in tutti i casi in cui non risulti dimostrata l'assoluta identità di situazioni, e comunque la legittimità dell'operato della pubblica Amministrazione non può essere inficiata dall'eventuale illegittimità compiuta in altra situazione (per tutte Consiglio Stato , sez. VI, 22 novembre 2010 , n. 8117).
IV) Quanto, infine, al penultimo motivo dell’appello, relativo all’omessa considerazione del lungo tempo intercorso dalla realizzazione dell’immobile, e del conseguente consolidamento dell’interesse dei privati proprietari, va considerato che:
- i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia sono atti vincolati che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico che si intendono tutelare, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, non potendo ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può legittimare (per tutte, Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2011 , n. 79);
- la legislazione di settore esclude che si formi un legittimo affidamento quando è realizzato un immobile abusivo e l’Amministrazione non esercita il suo potere-dovere di emanare l’ordine di demolizione, in quanto il decorso del tempo dalla data dell’abuso – per il principio di legalità - può avere rilievo giuridico solo quando la normativa ammetta in via eccezionale il condono di quanto illecitamente realizzato;
- nella specie, poiché le ragioni del diniego e della conseguente ingiunzione di demolizione sono state ampiamente e sufficientemente esplicitate nella necessità di provvedere al recupero ambientale del territorio compromesso, e dei valori ambientali che vi si devono esprimere, non rileva esaminare la correttezza dell’ulteriore ed autonoma ragione posta a base del diniego, relativa al mancato rilascio del nulla osta previsto dall’art. 55 del codice della navigazione, che gli appellanti, con l’ultimo mezzo del gravame, affermano sia stata rilasciata: trattasi, infatti, di motivazione ultronea per provvedimenti che, come si è rilevato, si sorreggono su diverse e legittime motivazioni.
V) In conclusione, l’appello è infondato e va respinto.
Le spese del secondo grado del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe indicato n. 1038 del 2012, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna gli appellanti, in solido, a rifondere alle Amministrazioni intimate la spese del doppio grado del giudizio, nella misura di 1.000 (mille) euro a favore del Comune di Ardea e 500 (cinquecento) euro complessivi a favore delle Amministrazioni statali resistenti, oltre IVA e CPA se dovute.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore
Andrea Pannone, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/03/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)