Consiglio di Stato Sez. IV n.1339 del 6 aprile 2016
Urbanistica.Governo del territorio e strumenti urbanistici
Il “governo del territorio” (materia di competenza concorrente fra Stato e Regioni, e poi enti locali, secondo il nuovo art. 117 Cost.) non si esaurisce nei poteri urbanistici secondo la configurazione tradizionale di questi ultimi (potere di regolare l’ordinato sviluppo edilizio del territorio in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità), ma implica il potere di conformare il territorio governato in vista della realizzazione contemperata di una pluralità di istanze pubbliche, secondo l’interesse complessivo - ragionevolmente e motivatamente apprezzato - delle comunità di riferimento. Da ciò dunque la possibilità che, facendo uso degli strumenti urbanistici, intesi in senso ampio, i Comuni legittimamente escludano nel proprio territorio la costruzione di case destinate all’uso solo saltuario, a tal fine impongano una dimensione minima degli alloggi o, all’inverso, precludano in un’area determinata la costruzione di case di abitazione residenziale
N. 01339/2016REG.PROV.COLL.
N. 07221/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7221 del 2015, proposto da:
Comune di Porto Recanati, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Andrea Berti, con domicilio eletto presso Giovanni Bonaccio in Roma, piazzale Clodio, 56 - IV piano, int. 8;
contro
Sipa s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Massimo Ortenzi, Federico Tedeschini, con domicilio eletto presso Federico Tedeschini in Roma, largo Messico, 7;
nei confronti di
Provincia di Macerata, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Marche - Ancona: Sezione I n. 00593/2015, resa tra le parti, concernente approvazione variante urbanistica - mcp.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Sipa s.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2016 il cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Berti, Ortenzi e Tedeschini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
In data 20 novembre 2013 la società Coneroblu s.r.l. e altri soggetti privati hanno presentato al Comune di Porto Recanati una richiesta di variante al P.R.G. chiedendo il cambio di destinazione di alcune aree di proprietà in vista della realizzazione di un’importante struttura turistico-ricettiva.
E’ seguito un accordo procedimentale, a norma dell’art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, con cui il Comune si impegnava “ad avviare e portare all’esame del competente organo consiliare, ai fini dell’approvazione nelle forme di legge, la variante denominata Parco del Burchio”, mentre la società si obbligava a realizzare opere infrastrutturali anche avvalendosi dell’opera di altri soggetti (in particolare: le società la Sipa s.r.l. e la 2P & C. s.r.l.) con le quali aveva concluso i relativi contratti.
Con delibera n. 63 del 30 dicembre 2013 il Consiglio comunale ha approvato l’accordo.
Con delibera n. 64, in pari data, il Consiglio ha adottato in via preliminare la variante urbanistica, poi definitivamente adottata - dopo l’esame delle osservazioni proposte - con delibera del Consiglio n. 7 dell’8 aprile 2014.
Con delibera n. 202 del 15 luglio 2014, la Giunta provinciale di Macerata ha reso il parere di conformità della variante rispetto alla vigente normativa urbanistica, secondo quanto previsto dagli artt. 4, lett. a), e 26 delle legge della Regione Marche 5 agosto 1992, n. 34.
L’iter di approvazione della variante si è però arrestato e non ha ripreso nonostante le ripetute diffide rivolte al Comune dalla società.
In punto di fatto, le elezioni amministrative, svoltesi nel frattempo, avevano prodotto un ribaltamento del governo comunale.
Il nuovo Consiglio ha quindi adottato:
la deliberazione n. 46 del 21 novembre 2014, con cui ha annullato d’ufficio, in via di autotutela, la precedente delibera n. 63/2013, recante l’approvazione dell’accordo procedimentale;
la deliberazione n. 47 in pari data, con cui non è stata approvata la variante relativa al parco del Burchio.
La società Sipa s.r.l. ha impugnato le due ultime deliberazioni insieme con gli atti connessi, proponendo un ricorso che il T.A.R. per le Marche, sez. I, ha accolto con sentenza 24 luglio 2015 n. 593. Respinta un’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, il Tribunale regionale ha ritenuto che non sussistessero i presupposti di illegittimità necessari per l’annullamento in autotutela della delibera n. 63/2013 e che l’affermata illegittimità della relativa deliberazione n. 46/2014 comportasse, a cascata, anche quella della deliberazione n. 47/2014, all’altra intrinsecamente connessa. In sostanza il Consiglio comunale, al presumibile fine di evitare l’esborso di un indennizzo, avrebbe tentato di mascherare una revoca per riconsiderazione dell’interesse pubblico in annullamento d’ufficio per illegittimità dell’atto. Il primo giudice ha dato infine termine al Comune per pronunziarsi nuovamente sull’approvazione della variante in questione, tenendo conto delle motivazioni della decisione, e ha rigettato la domanda di risarcimento del danno.
Il Comune ha interposto appello contro la sentenza e ne ha anche chiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva, formulando una domanda cautelare che la Sezione ha accolto con ordinanza 9 settembre 2015, n. 4089.
Nel merito l’appello sviluppa le censure che seguono.
1. Il T.A.R. avrebbe errato nel respingere l’eccezione di inammissibilità del ricorso. La società sarebbe proprietaria di un’area destinata dal P.R.G. previgente a zona D3 produttiva e trasformata in area edificabile dalla variante del 2013. Poiché le delibere impugnate avrebbero retrocesso il lotto alla destinazione originaria, ne sarebbe cresciuta la possibilità di utilizzazione, dal che discenderebbe il difetto di un concreto ed effettivo interesse a ricorrere. La società non avrebbe provato la dichiarata cessione dei propri diritti edificatori e il contratto stipulato con Coneroblu si sarebbe risolto di diritto per la mancata approvazione della variante: il T.A.R., nel respingere l’eccezione, avrebbe confuso la condizione risolutiva apposta al contratto con una clausola risolutiva espressa.
2. La delibera n. 47/2014 avrebbe una sua autonoma causa e motivazione e si reggerebbe non solo sull’annullamento in autotutela della delibera n. 63/2013, ma anche su altri e distinti motivi, in specie con riguardo all’opportunità di rispettare i criteri generali stabiliti in sede di formazione del P.R.G., mantenendo il disegno unitario della città delineato dallo strumento urbanistico generale:
3. Sarebbe fondato il primo vizio di illegittimità posto a base dell’annullamento in autotutela, secondo cui l’art. 11 della legge n. 241 del 1990 non si applicherebbe agli strumenti urbanistici generali in assenza di una norma regionale che ne preveda la possibilità. Diversamente da quanto ha ritenuto il T.A.R., l’accordo stipulato avrebbe previsto l’impegno di adottare la variante la variante secondo un determinato contenuto. L’<<amministrazione per accordi>> potrebbe valere per gli accordi urbanistici “a valle”, che si collocano nella fase dell’attuazione degli strumenti generali, non per quelli “a monte”, che esprimono le scelte di politica urbanistica generale. La normativa di altre regioni si inserirebbe in ordinamenti urbanistici molto diversi da quello marchigiano e non potrebbero comunque mai riguardare la fase superiore del “piano strutturale”. La giurisprudenza consolidata, infine, escluderebbe la legittimità degli accordi sulla pianificazione territoriale sulla base dell’art. 13 della legge n. 241 del 1990, del quale il T.A.R. darebbe una lettura non corretta.
4. La delibera di approvazione dell’accordo urbanistico sarebbe illegittima per non aver valutato e motivato lo specifico interesse pubblico urbanistico sottostante, nonché l’esistenza di strumenti alternativi equipollenti. In concreto, l’interesse a un ordinato assetto del territorio sarebbe stato subordinato ad altre contingenti esigenze (realizzazione di attrezzature pubbliche o di interesse pubblico, valutazioni di tipo sociale e occupazionale sino alla garanzia della sponsorizzazione delle attività sportive).
5. La stessa delibera sarebbe viziata dalla mancata predeterminazione dei valori economici dell’operazione e dal mancato ricorso alle procedure di evidenza pubblica.
6. Ancora, la delibera sarebbe viziata dall’impossibilità di ricorrere alla compensazione urbanistica con redistribuzione delle aree edificabili prevista dalla legislazione regionale, mancando il consenso di tutte le parti private interessate e non essendo stati comunque perfezionati i contratti di cessione dei diritti edificatori a favore della Coneroblu. Si profilerebbe così la questione di un possibile pregiudizio dei diritti dei terzi.
7. L’annullamento in autotutela avrebbe correttamente valutato la prevalenza dell’interesse pubblico (gravemente leso dai vizi sopra elencati) sull’interesse privato. La società non avrebbe un affidamento meritevole di tutela, dovendo sapere che la decisione ultima di approvazione della variante era rimessa al potere di approvazione del Consiglio comunale.
La società Sipa resiste all’appello con controricorso e ricorso incidentale.
Nel controricorso, la società sostiene la titolarità di un proprio interesse qualificato all’annullamento degli atti impugnati per essere tra i firmatari della primitiva richiesta di variante, avere la proprietà delle aree ivi indicate, avere stipulato contratto di cessione della totalità dei propri diritti edificatori. Gli ulteriori argomenti introdotti dal Comune in primo grado (mancata trascrizione e sopravvenuta risoluzione del contratto di cessione) sarebbero tardivi e inammissibili, in quanto sollevati solo con la comparsa conclusionale, rappresenterebbero un’integrazione postuma della motivazione dei provvedimenti impugnati e sarebbero comunque infondati nel merito. Inoltre la società sarebbe stata coinvolta dal Comune in tutte le fasi del procedimento, il che dimostrerebbe ulteriormente la sussistenza di un interesse differenziato e qualificato all’annullamento delle delibere impugnate.
Sipa replica poi ampiamente ai motivi dell’appello.
Con l’appello incidentale, la società censura la sentenza nella parte in cui ha respinto il primo motivo del ricorso (la decisione e la comunicazione di promuovere il procedimento di autotutela proverrebbe dal vertice burocratico e non da un organo politico, in violazione del principio del contrarius actus) e la domanda di risarcimento del danno per equivalente, considerando generica la domanda risarcitoria e non provato o non risarcibile il danno (per le spese relative all’implementazione del progetto iniziale) ed escludendo la responsabilità precontrattuale del Comune, in mancanza di qualsiasi accordo con l’ente.
A questo proposito, la società richiama l’art. 2043 c.c. e, in subordine, gli artt. 1337 e 1338 c.c. La domanda risarcitoria sarebbe fondata sull’affidamento incolpevole generato dal Comune in capo a Coneroblu, e di riflesso nell’appellante incidentale, circa la positiva conclusione della procedura e il petitum consisterebbe nel danno emergente e nel mancato guadagno, stimato in euro 750.000 (per la perdita della possibilità di eseguire il contratto di cessione) oltre alle spese di polizza fideiussoria. La domanda sarebbe fondata anche nel caso venisse affermata la legittimità degli atti impugnati.
Il Comune ha depositato documentazione.
Con memoria del 17 dicembre 2015, la società 2P replica ancora all’eccezione di carenza di interesse e ripete i propri argomenti contro gli altri motivi dell’appello.
Il successivo 19 dicembre il Comune ha depositato una memoria difensiva e un controricorso contro l’appello incidentale della società 2P. In particolare, quanto alla pretesa risarcitoria, la domanda sarebbe inammissibile perché generica e perplessa e comunque infondata nel merito, in quanto la società non avrebbe in alcun modo partecipato al procedimento di formazione dell’accordo urbanistico e l’unica relazione che potrebbe vantare sarebbe quella con Coneroblu, peraltro ignorata dal Comune nel corso del procedimento di variante.
Le parti hanno quindi prodotto memorie di replica.
All’udienza pubblica del 19 gennaio 2015, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare, il Collegio osserva che la ricostruzione in fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio.
2. Con il primo motivo dell’appello, il Comune ripropone un’eccezione di inammissibilità per carenza di interesse del ricorso introduttivo.
L’eccezione è infondata.
In disparte ogni altro rilievo, è fuori discussione che la società appellata sia proprietaria di un’area coinvolta dalla variante. E ciò è sufficiente a fondarne l’interesse e la legittimazione ad agire avverso gli atti impugnati indipendentemente dalla circostanza - di puro fatto - che la destinazione impressa dal nuovo strumento ai terreni di proprietà possa essere di maggior interesse economico.
3. Il secondo motivo dell’appello riguarda il rapporto tra le delibere impugnate, di cui il Comune, contro la sentenza impugnata, afferma la reciproca autonomia.
La censura conserva interesse solo in quanto si consideri illegittimo l’annullamento in autotutela e si debba valutare se esso trascini o no con sé anche la delibera di diniego di approvazione della variante.
Il suo eventuale esame può essere perciò rinviato a un momento successivo.
4.Il terzo motivo sostiene la nullità dell’accordo procedimentale, che sarebbe stato concluso in materia non consentita dall’art. 13 della legge n. 241 del 1990.
Neppure questo motivo è fondato.
Osserva correttamente il Tribunale territoriale che l’accordo obbligava il Comune ad avviare il procedimento e a portare la variante all’esame del Consiglio comunale, di cui faceva salva però “ogni eventuale valutazione discrezionale”. Se l’impegno politico dell’Amministrazione comunale dell’epoca è indiscutibile, ciò non basta ad assegnare all’accordo un efficacia vincolante, tanto che può fondatamente dubitarsi se la pattuizione stipulata sia davvero un accordo (certamente non sostituivo, ma almeno) integrativo del provvedimento ai sensi dell’art. 11 citato (il T.A.R. parla di “autolimite” dell’Amministrazione) o non piuttosto uno snodo negoziale e concordato del procedimento, non impedito da alcuna norma se non anzi apprezzabile per le finalità di trasparenza cui assolve, assimilabile per certi versi alla puntuazione dello stato delle intese raggiunte dalle parti nel corso del procedimento di formazione del contratto (sul che cfr. Cass. civ., sez. II, 2 aprile 2009, n. 8038; Id., sez. III, 12 settembre 2013, n. 20893).
In definitiva, la variante va tecnicamente imputata solo alle delibere n. 63 e n. 64 del 2013 e non all’accordo procedimentale.
5. Il quarto motivo rappresenta il nucleo essenziale dell’appello del Comune e dell’intera controversia. Con esso l’Amministrazione sostiene che la delibera di approvazione dell’accordo procedimentale sarebbe illegittima per non aver valutato e motivato lo specifico interesse pubblico urbanistico sottostante, nonché l’esistenza di strumenti alternativi equipollenti. In concreto, l’interesse a un ordinato assetto del territorio sarebbe stato subordinato ad altre contingenti esigenze (realizzazione di attrezzature pubbliche o di interesse pubblico, valutazioni di tipo sociale e occupazionale sino alla garanzia della sponsorizzazione delle attività sportive).
L’argomento non ha convinto il Tribunale territoriale, secondo cui il Consiglio comunale, al presumibile fine di evitare all’ente l’esborso di somme di denaro a titolo di indennizzo, ove fosse addivenuto alla revoca per riconsiderazione dell’interesse pubblico originario, avrebbe tentato di mascherare la revoca stessa in annullamento per omessa considerazione dell’interesse pubblico.
La tesi comunale merita più attenta considerazione.
5.1. Il Collegio è consapevole che il “governo del territorio” (materia di competenza concorrente fra Stato e Regioni, e poi enti locali, secondo il nuovo art. 117 Cost.) non si esaurisce nei poteri urbanistici secondo la configurazione tradizionale di questi ultimi (potere di regolare l’ordinato sviluppo edilizio del territorio in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità), ma implica il potere di conformare il territorio governato in vista della realizzazione contemperata di una pluralità di istanze pubbliche, secondo l’interesse complessivo - ragionevolmente e motivatamente apprezzato - delle comunità di riferimento. Da ciò dunque - si è detto - la possibilità che, facendo uso degli strumenti urbanistici, intesi in senso ampio, i Comuni legittimamente escludano nel proprio territorio la costruzione di case destinate all’uso solo saltuario (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710 e v. anche, nel solco di questa decisione, sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6040), a tal fine impongano una dimensione minima degli alloggi (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 6 maggio 2013, n. 2433; sez. IV, 17 febbraio 2014, n. 747) o, all’inverso, precludano in un’area determinata la costruzione di case di abitazione residenziale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 5 marzo 2015, n. 1115).
Questo potere comunale, ormai indiscusso nella sua latitudine e nel suo fondamento costituzionale, non esclude però di certo che l’Amministrazione, nel procedere alle proprie scelte urbanistiche, debba contemperare in termini ragionevoli e motivati gli interessi pubblici, di diversa natura, coinvolti nella decisione e valorizzare adeguatamente anche l’interesse urbanistico per dir così “tipico”.
5.2. Ciò non è avvenuto nel caso di specie.
E’ agli atti del procedimento il parere fortemente critico rilasciato in data 17 marzo 2014 dalla Sovrintendenza (recte: dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici delle Marche). Il T.A.R. ne dà conto, ma lo considera mero contributo istruttorio, preso in considerazione dalle Amministrazioni che sono poi intervenute nel procedimento e suscettibile di condurre a un affinamento del progetto all’esito della V.I.A. Sarebbe comunque significativa - e dunque da valutarsi favorevolmente - la riduzione di volumetria complessiva pari a circa 20.000 mc rispetto al dimensionamento del vigente P.R.G.
Senonché - in disparte i rilievi ulteriori, su cui le Amministrazioni locali hanno replicato imponendo prescrizioni e che comunque non appaiono definitivi - proprio il passaggio fondamentale del parere della Direzione regionale del M.I.B.A.C. dimostra che il risparmio di cubatura è puramente fittizio, perché anzi, rispetto a un prospettato incremento di cubatura di 80.000 mc, solo 4.000 mc produrrebbero un alleggerimento dell’edificazione a ridosso della fascia di tutela, “mentre il resto della cubatura è attualmente riferita alla ristretta zona produttiva di espansione …, gravata da vincolo di rispetto dell’autostrada, come risulta dalla tavole di P.R.G., di dimensioni, forma e posizione tali da essere difficilmente utilizzabile”.
Come si vede, viene in questione non un aspetto marginale o secondario dell’intervento, che possa venire modificato o migliorato in una fase successiva della progettazione e dell’esecuzione dell’opera, ma lo stesso nucleo strutturale dell’operazione immobiliare, che le Amministrazioni locali interessate hanno avuto ben presente trascurando però di dare a questo elemento - almeno nella forma di una puntuale replica alle notazioni critiche della Direzione regionale - il peso che invece avrebbe meritato.
5.3. In definitiva il Comune, nell’approvare la variante poi annullata in autotutela, ha considerato una serie di importanti vantaggi che sarebbero potuti derivare dall’operazione (dal potenziamento dell’offerta turistica alla positiva ricaduta occupazionale all’avvio di interventi di urbanizzazione primaria), ma ha del tutto omesso di considerare il gravissimo, negativo impatto che l’opera avrebbe avuto sul delicato equilibrio del proprio territorio.
Così facendo, il Comune ha esercitato male la propria pur ampia discrezionalità in materia urbanistica e ha adottato una delibera illegittima esposta come tale al rischio di quell’annullamento in autotutela che - al variare della situazione politica - si è appunto verificato.
Il vizio rilevato, per la sua caratteristica, era da solo sufficiente a giustificare l’annullamento d’ufficio della delibera presa dalla precedente Amministrazione e la decisione di non approvare la variante proposta.
5.4. Quanto al contrario interesse dei privati, la delibera impugnata ne dà atto e osserva correttamente che questi non hanno assolto l’obbligo di dare polizza fideiussoria a garanzia dell’esecuzione delle opere di urbanizzazione che si erano obbligati a eseguire. Obbligo cui - diversamente da quanto ha ritenuto il T.A.R. - non può essere considerata equipollente la presentazione della garanzia da parte di un terzo limitatamente all’esecuzione di una parte soltanto delle opere previste dall’art. 2 dell’accordo procedimentale.
In definitiva, l’appello principale del Comune è fondato e va pertanto accolto.
6. Con l’appello incidentale, la società Sipa contesta anzitutto la sentenza nella parte in cui ha respinto il primo motivo del ricorso introduttivo, allegando la violazione degli artt. 7 e 21 nonies della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 42, comma 2, del T.U.E.L. perché la decisione e la comunicazione dell’avvio del procedimento di autotutela sarebbero stati assunte da un organo burocratico e non politico.
Come ha bene affermato il T.A.R., il motivo è formalistico e infondato.
L’atto del R.U.P. ha dato solo formale espressione a una decisione politica, preceduto com’era da una delibera di Giunta (n. 152 del 3 ottobre 2014) e da un decreto del Sindaco (n. 30 dell’8 ottobre 2014); in termini sostanziali, non ne è seguita alcuna lesione delle garanzie partecipative dai privati, che - come non è contestato - hanno potuto ampiamente interloquire nel procedimento.
7. Ancora con l’appello incidentale, Sipa censura la reiezione della propria domanda risarcitoria.
Ritiene il Collegio che, una volta dichiarate legittime le delibere comunali impugnate, non vi sia spazio alcuno per reclamare un risarcimento del danno da ritardo.
Quanto poi a una possibile responsabilità precontrattuale, nessun contatto diretto è intercorso tra la società e il Comune, tale da poter avere originato un affidamento legittimo, possibile presupposto di una tutela risarcitoria sia pure nel solo limite dell’interesse negativo.
Per negare questo indiscutibile dato di fatto, l’appellante incidentale è costretta a far leva sulla condotta del Comune che avrebbe ingenerato un legittimo affidamento in Coneroblu e “in via riflessa” anche in Sipa. E non occorre spendere molte parole per dimostrare come proprio queste considerazioni rendano evidente - anche in disparte la mancata prova di un effettivo danno emergente - l’assenza di qualunque contatto diretto fra Comune e Sipa e dunque il difetto del presupposto della responsabilità precontrattuale.
8. Dalle considerazioni che precedono discende che:
l’appello principale del Comune è fondato e va accolto, con riforma della sentenza impugnata e, per l’effetto, reiezione del ricorso introduttivo;
l’appello incidentale della società Sita è infondato e va respinto.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.
Le spese del doppio grado di giudizio seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto:
accoglie l’appello principale e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso introduttivo;
respinge l’appello incidentale.
Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida nell’importo di euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Nicola Russo, Presidente FF
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/04/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)