Consiglio di Stato Sez. III  n. 8747 del 4 novembre 2024
Urbanistica.Nozione di responsabile dell'abuso 

Il sintagma “responsabile dell'abuso”, contenuto in numerose norme del Dpr n. 380 del 2001, è riferibile a più categorie di soggetti (persone fisiche o giuridiche), per tale dovendo intendersi lo stesso esecutore materiale ovvero chi abbia la disponibilità del bene, al momento dell'emissione della misura repressiva, ivi compresi, evidentemente, concessionari o conduttori dell'area interessata, fatte salve le eventuali azioni di rivalsa di questi ultimi - oltre che dei proprietari - nei confronti degli esecutori materiali delle opere, sulla base dei rapporti interni intercorsi (fattispecie relativa ad  amministratrice di una società concessionaria di un’area demaniale).

Pubblicato il 04/11/2024

N. 08747/2024REG.PROV.COLL.

N. 01460/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1460 del 2021, proposto da:
Comune di Vezzano Ligure, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alberto Antognetti, con domicilio digitale pec in registri di giustizia;

contro

Grassi Maria Teresa, rappresentata e difesa dall'avvocato Vittorio Petrocco, con domicilio digitale pec in registri di giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria n. 435/2020.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Grassi Maria Teresa;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4 bis, cod. proc. amm.;

Relatore il Cons. Laura Marzano;

Uditi, all'udienza straordinaria del giorno 23 ottobre 2024 in collegamento da remoto, i difensori delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il comune di Vezzano Ligure ha impugnato la sentenza n. 435 in data 30 giugno 2020 con cui il Tar Liguria ha accolto il ricorso promosso da Grassi Maria Teresa, annullando la determinazione n. 29 del 4 aprile 2019 a firma del responsabile dell’area pianificazione territoriale urbanistica, recante l’ordine di demolizione e rimessa in pristino per opere eseguite in assenza di permesso di costruire su suoli di proprietà dello stato o di altri enti pubblici ai sensi art. 35 Dpr 380/2001 siti nel comune di Vezzano.

L’appellata si è costituita nel presente grado di giudizio chiedendo la reiezione dell’appello e la conseguente conferma della sentenza impugnata.

Con separate note ciascuna delle parti ha chiesto la decisione della causa sugli scritti.

All’udienza straordinaria del 23 ottobre 2024, celebrata in collegamento da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Devono essere ricostruiti i fatti di causa.

A seguito di sopralluogo eseguito in data 6 novembre 2018 (di cui alla relazione del 19 novembre 2018) il responsabile dell'area pianificazione territoriale urbanistica edilizia privata del comune di Vezzano rilevava la presenza di manufatti sui terreni demaniali distinti a catasto terreni al foglio 4 mappali 554, 566 e 551, interessati da numerosi vincoli (sismico, area demaniale, sito di interesse comunitario, aree colpite dall'alluvione del 25 ottobre 2011, idraulico, fascia di rispetto elettrodotti, paesaggistico-ambientale per complessi paesaggistici, fascia di rispetto di 150 metri dai corsi d'acqua, parchi e riserve) e precisamente:

- manufatto A, costituito da porzioni di fabbricato in muratura e porzioni di fabbricato in struttura mista con copertura mista destinata stalle per cavalli, depositi, cucina, servizi igienici non utilizzati, depositi e altri locali non utilizzati;

- manufatto B, consistente in una tettoia destinata a deposito di materiale vario con sottostante numero 2 container;

- manufatto C, rappresentato da un maneggio scoperto per cavalli, recintato.

Essendo emerso che i manufatti A e Cerano stati realizzati dalla signora Grassi Maria Teresa nella spiegata qualità, con ordinanza n. 29 del 4 aprile 2019 a firma del responsabile dell’area pianificazione territoriale urbanistica il comune ha ingiunto alla stessa la demolizione e rimessa in pristino, trattandosi di opere eseguite in assenza di permesso di costruire su suoli di proprietà dello Stato o di altri enti pubblici ai sensi art. 35 Dpr 380/2001.

3. La destinataria dell’ordine di ripristino ha impugnato tale ordinanza dinanzi al Tar Liguria lamentando il proprio difetto di legittimazione passiva, non essendo né autrice materiale dell’abuso né concessionaria attuale dei terreni demaniali e allegando che la società Istituti scolastici Arnaldi, di cui lei era legale rappresentante, concessionaria al tempo della realizzazione degli abusi edilizi, è stata cancellata dal registro delle imprese nel 2017.

Il Tar ha accolto il ricorso ritenendo fondata tale censura dopo essersi soffermato sulla differenza tra sanzioni “in senso stretto” e sanzioni “in senso lato” nell’ambito delle misure amministrative ad effetti limitativi della sfera giuridica.

4. Il comune appellante non condividendo le conclusioni cui è giunta la sentenza l’ha impugnata contestando le argomentazioni del primo giudice in ordine alla tipologia di sanzioni ed evidenziando come, stando alla ricostruzione del Tar, le misure punitive destinate a colpire l’attività, ove non adottate in maniera tempestiva, potrebbero essere aggirate mediante fittizie cessioni di azienda oppure, come nella fattispecie, con l’estinzione della società.

Sostiene la sussistenza della legittimazione passiva ad eseguire l’ordine demolitorio della sig.ra Grassi in quanto l’art. 35 Dpr n. 380/2001 prevede, quale unico legittimato passivo, il responsabile dell'abuso, ossia colui che ha realizzato le opere senza titolo edilizio.

L’appellata nelle proprie difese sostiene che la responsabilità dell’abuso, ai fini dell’ottemperanza all’ordine demolitorio e ripristinatorio, sarebbe del circolo ippico e/o del suo amministratore, come individuati nel verbale quali detentori ed utilizzatori.

Contesta la tesi del comune appellante secondo cui, in conseguenza della decisione del Tar la collettività sarebbe onerata delle spese di demolizione per “il solo fatto della estinzione della società”: in proposito evidenzia che in realtà tale situazione sarebbe il frutto della non corretta individuazione, da parte del comune, del soggetto legalmente ed effettivamente obbligato in luogo dell’esponente.

Richiama la sentenza di questo Consiglio n. 2122/2020 per sostenere che nel caso di specie l’ordinanza andrebbe rivolta esclusivamente nei confronti dell’attuale detentore.

L’appellata ripropone il secondo motivo del ricorso di primo grado, non esaminato, con cui sosteneva che il maneggio scoperto per cavalli e la relativa recinzione sarebbero stati realizzati dal circolo ippico attuale detentore.

5. L’appello è fondato e va accolto.

L’art. 35 del testo unico dell’edilizia, nella parte di interesse ai fini del giudizio, dispone: «1. Qualora sia accertata la realizzazione, da parte di soggetti diversi da quelli di cui all'articolo 28, di interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell'ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell'abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all'ente proprietario del suolo.

2. La demolizione è eseguita a cura del comune ed a spese del responsabile dell'abuso».

Nel caso di specie non è contestato che gli abusi per cui è causa insistano su suoli demaniali.

Ciò posto, è essenziale la cronologia dei fatti di causa ai fini della corretta individuazione del destinatario dell’ordine di demolizione e ripristino.

5.1. Risulta in atti che in data 13 giugno 1981 il comune aveva rilasciato a Grassi Maria Teresa nella qualità di amministratrice dell’Istituto scolastico Luigi Arnaldi s.r.l., la concessione edilizia n. 31 per la costruzione di un manufatto in muratura per l’allevamento e il ricovero di equini sul terreno demaniale in concessione all’Istituto per una superficie chiusa di metri quadri 185,66 e una superficie porticata di metri quadrati 113.

Di fatto è stato realizzato un complesso edilizio difforme per ubicazione, forma, dimensione e materiali utilizzati, rispetto al progetto autorizzato tanto che in data 1 aprile 1987 Arnaldi Luigi aveva presentato istanza di condono edilizio ex legge 47/85 relativa alla realizzazione di opere abusive in località Bottagna su immobili di proprietà dello Stato.

Il 20 dicembre 1988, in virtù del rapporto n. 3 dell’8 novembre 1988 redatto dai vigili urbani, il comune aveva diffidato la stessa Grassi Maria Teresa, nella spiegata qualità, a demolire una serie di manufatti abusivi ad uso ricovero animali equini, realizzati in assenza di concessione edilizia su terreni demaniali, ingiungendo il ripristino dello stato dei luoghi entro 90 giorni dalla notifica: la diffida riguardava il manufatto A di cui alla relazione del 6 novembre 2018.

In data 21 novembre 1991, con nota prot. n. 11019 indirizzata a Grassi Maria Teresa e Arnaldi Luigi, il comune, previa acquisizione del parere contrario fornito dalla commissione edilizia integrata nella seduta del 16 ottobre 1991, aveva respinto la domanda di condono edilizio, trattandosi di opere non suscettibili di sanatoria ricadendo in area di proprietà demaniale, parco fluviale e vincolo paesaggistico (art. 33 della legge 47/85). Pertanto, con provvedimento n. 60 del 10 dicembre 1991 (notificato in data 17 dicembre 1991) il sindaco, richiamata la diffida del 20 dicembre 1988, intimava a Grassi Maria Teresa, nella sua qualità, di demolire i manifesti abusivi poiché realizzati in assenza di concessione edilizia su terreni demaniali: si trattava sempre del manufatto A.

In data 17 marzo 1992 Grassi Maria Teresa, nella spiegata qualità, chiedeva al comune una proroga per poter presentare istanza di sanatoria dei manufatti non inseriti nella richiesta di condono edilizio, ma asseritamente autorizzati da organi del genio civile e del consorzio della Magra.

Con provvedimento n. 70 del 19 ottobre 1995 il sindaco, richiamati la diffida n. 59/88, la diffida n. 60/91 e il diniego di condono edilizio del 21 novembre 1991, ordinava al responsabile dell'ufficio lavori pubblici del comune di redigere perizia tecnica inerente le demolizioni oggetto delle predette diffide con ogni consequenziale provvedimento sotteso alla demolizione dei manufatti.

In data 10 gennaio 1996 Grassi Maria Teresa interponeva ricorso al Tar Liguria (n. 173/1996 R.g.) avverso l’ordinanza n. 70 del 19 ottobre 1995, poi dichiarato estinto per perenzione con decreto n. 9028 del 23 luglio 2010.

Nella relazione del 19 novembre 2018 si riferisce che i terreni su cui insistono i manufatti contestati sono di proprietà della regione Liguria, settore difesa del suolo, ente che è stato interessato con nota del 16 novembre 2018; inoltre, i medesimi terreni risultano allo stato utilizzati da Scappazzoni Daniele, senza alcuna concessione demaniale, ma dietro regolare pagamento delle indennità di occupazione richieste dall’ente proprietario.

Quanto all’epoca di realizzazione degli abusi risulta che:

- il manufatto A, poiché già oggetto di richiesta di condono edilizio e delle diffide del 1988 e del 1991, è stato realizzato da Grassi Maria Teresa nella spiegata qualità;

- il manufatto B, ossia la tettoia con sottostante container, risulta realizzato nel periodo in cui era utilizzatore Scappazzoni Daniele;

- il manufatto C, ossia maneggio scoperto per cavalli delimitato da una recinzione, è stato realizzato nel periodo antecedente al 20 marzo 2003, come ricavabile dalle foto di google earth del 20 marzo 2003, in cui le opere risultano presenti.

Tutti i tre manufatti rappresentano opere integranti la fattispecie di cui all'articolo 3, comma 1, lettera e), Dpr 380/2001 ossia interventi di nuova costruzione posti in essere in assenza di permesso di costruire, ai sensi degli articoli 31 e 35 Dpr 380/2001, e in assenza di autorizzazione paesaggistica ambientale di cui all’articolo 167 d.lgs. 42/2004 su immobili situati in area demaniale assoggettate a numerosi vincoli (sismico, Sic, idraulico, paesaggistico-ambientale, parco, riserva fascia di rispetto corsi d'acqua, Autorità di bacino, pericolosità idraulica molto elevata, parco Montemarcello Magra, area protezione fasce agricole perifluviali).

Emerge sempre dagli atti che il manufatto B, realizzato da Scappazzoni Daniele, alla data di sopralluogo del 27 novembre 2019 era risultato rimosso (pag. 14 della segnalazione n. prot. 16593 redatta dalla polizia municipale in data 6 dicembre 2018 (allegato 4) e diretta ai vari organi e enti.

5.2. Dalla ricostruzione dei fatti fin qui riportata emerge con evidenza come la responsabile dell’abuso per cui è causa sia senz’altro l’appellata, ciò indipendentemente dalla qualità dalla stessa rivestita all’epoca della realizzazione dell’abuso.

L’appellata, infatti, era a conoscenza dell’abusività dei manufatti realizzati sul terreno in concessione alla società di cui era amministratrice e, anche ammesso che non li abbia commissionati o realizzati lei personalmente, ne ha tollerato la realizzazione e la permanenza e ne ha beneficiato, ha ricevuto più volte la diffida a rimuoverli ma non lo ha fatto pur consapevole della loro abusività e, anzi, ha anche inoltrato personalmente al comune, in data 17 marzo 1992, una istanza di proroga onde poter presentare istanza di sanatoria, benché fosse consapevole di un precedente diniego.

5.3. Quanto alla individuazione della figura di “responsabile dell’abuso” su area demaniale concessa dall’autorità ad un terzo è costantemente affermato in giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 luglio 2017, n. 3391; 4 settembre 2015, n. 3587 e 30 marzo 2015, n. 1650) il principio in virtù del quale il destinatario della sanzione prevista per gli abusi edilizi è solo il relativo responsabile e non anche il proprietario (se non ha commesso l’illecito e se non sia nella disponibilità e nel possesso del bene); fermo, però, restando che tale responsabilità si verifica, tra l’altro, quando avendo questi la disponibilità o il possesso dei beni o avendoli acquisiti in un momento successivo non abbia provveduto alla demolizione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 26 marzo 2020, n. 2122).

Si tratta esattamente di quanto accaduto nel caso di specie, in cui l’appellata (giova ripeterlo) quand’anche non sia stata l’esecutrice materiale dell’abuso, né è divenuta responsabile nel momento in cui, consapevole degli abusi, non ha provveduto alla demolizione, tenuto conto che una diffida in tal senso e una precedente ordinanza le sono state notificate.

Ne discende che correttamente il comune le ha ingiunto l’ordine di demolizione: l’individuazione, nel caso di specie, del responsabile dell’abuso è pacifica, a prescindere dalla qualità, in proprio ovvero di amministratore, rivestita all’epoca della realizzazione dello stesso.

Le conclusioni che precedono sono avvalorate dalla considerazione che la relativamente maggiore ampiezza della legittimazione a richiedere la sanatoria, rispetto al preventivo permesso di costruire, trova giustificazione nella possibilità di accordare al predetto responsabile - ove coincidente con l’esecutore materiale delle opere abusive ovvero detentore o utilizzatore delle stesse - uno strumento giudiziario utile al fine di evitare le conseguenze penali dell'illecito commesso, ferma restando la salvezza dei diritti di terzi (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. IV, 8 settembre 2015 n. 4176).

5.4. Il ragionamento seguito dal primo giudice per escludere la responsabilità dell’appellata, fondato sulla differenza fra sanzioni in senso stretto e sanzioni ripristinatorie, non può dunque essere condiviso, esprimendo un principio che non si attaglia al caso concreto.

Diversamente da quanto ha ritenuto il Tar, è del tutto irrilevante la circostanza che la società di cui l’appellata era amministratrice al tempo della realizzazione degli abusi sia stata cancellata dal registro delle imprese, dal momento che ciò che la speciale disciplina recata dal testo unico dell’edilizia richiede è che sia individuato il responsabile dell’abuso: individuazione correttamente effettuata nel caso di specie.

In questo senso va condivisa l’obiezione del comune appellante secondo cui, seguendo l’impostazione accolta dal primo giudice, per sottrarsi ad un ordine di demolizione sarebbe sufficiente una fittizia cessione di azienda oppure, come nella fattispecie, l’estinzione della società.

5.5. Va osservato che l’obiettivo primario voluto dalla legge, ossia quello di individuare il responsabile dell’abuso, nel caso di specie è stato raggiunto: ciò non esclude che l’ordinanza in questione possa e debba essere notificata anche all’attuale detentore, che si trova in un rapporto diretto con il bene, a prescindere (anche in questo caso) dall’esistenza o dalla tipologia del titolo in base al quale detiene.

Infatti il sintagma “responsabile dell'abuso”, contenuto in numerose norme del Dpr n. 380 del 2001, è riferibile a più categorie di soggetti (persone fisiche o giuridiche), per tale dovendo intendersi lo stesso esecutore materiale ovvero chi abbia la disponibilità del bene, al momento dell'emissione della misura repressiva, ivi compresi, evidentemente, concessionari o conduttori dell'area interessata, fatte salve le eventuali azioni di rivalsa di questi ultimi - oltre che dei proprietari - nei confronti degli esecutori materiali delle opere, sulla base dei rapporti interni intercorsi (Cons. Stato, sez. VII, 27 aprile 2022, n. 3345).

In altri termini l’argomentazione dell’appellata, prospettata richiamando un analogo precedente di questo Consiglio, non porta alle conclusioni dalla stessa auspicate, ossia che l’ordine vada impartito “soltanto” a chi abbia la disponibilità del bene al momento dell'emissione della misura repressiva ma, al contrario, conferma che, nell’ambito delle categorie di soggetti cui è riferibile il sintagma “responsabile dell'abuso” deve annoverarsi senz’altro e prima di tutto il responsabile materiale dello stesso e, in aggiunta, chi abbia la disponibilità del bene e, dunque, la possibilità oggettiva di procedere alla demolizione.

In questo senso (e non in quello fatto proprio dal Tar) va letta la copiosa e condivisibile giurisprudenza che afferma che la sanzione demolitoria degli abusi edilizi ha natura oggettiva e ripristinatoria e colpisce il bene abusivo, con la conseguenza che l'attuale proprietario (o chi ne abbia la disponibilità) ne subisce anch’esso gli effetti a prescindere dalla circostanza di essere l'autore materiale degli abusi stessi (cfr. Cons. Stato, sez. II, 7 marzo 2024, n. 2217).

In definitiva l’appello del comune è fondato.

Quanto al secondo motivo che l’appellata ha riproposto, il Collegio può prescindere dalla pendenza, dinanzi all’Adunanza plenaria, della questione sollevata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, sezione giurisdizionale con sentenza non definitiva n. 652 del 16 agosto 2024, atteso che, come è agevole rilevare, tale motivo è soltanto richiamato ma non effettivamente riproposto, pertanto risulta inammissibile.

Invero nel giudizio di appello non è sufficiente la riproposizione dei motivi di impugnazione non esaminati attraverso un mero richiamo per relationem al ricorso introduttivo e agli atti del giudizio di primo grado privo della precisazione del loro contenuto, poiché l’art. 101, comma 2, c.p.a., utilizzando il termine "espressamente", ha evidentemente inteso pretendere che la parte specifichi l’ambito della devoluzione al giudice di secondo grado, sì da mettere questi nelle condizioni di avere una conoscenza compiuta delle questioni e le controparti a contraddire sulle stesse, mentre il mero richiamo non consente il recupero dei vizi denunciati in primo grado senza che sia necessario compulsare il fascicolo di prime cure, con la conseguenza che tali motivi si considerano rinunciati il Consiglio di Stato non potrà esaminarli, pena il vizio di ultrapetizione (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 3 giugno 2024, n. 4950).

In conclusione, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso introduttivo.

6. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso introduttivo.

Condanna la parte appellata alla rifusione, in favore del comune di Vezzano Ligure, di spese e competenze del doppio grado di giudizio, che liquida in € 6.000,00 (seimila) oltre oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in collegamento da remoto, nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2024, con l’intervento dei magistrati:

Fabio Franconiero, Presidente FF

Davide Ponte, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere

Carmelina Addesso, Consigliere

Laura Marzano, Consigliere, Estensore