Consiglio di Stato Sez. IV n. 7696 del 2 ottobre 2025
Urbanistica.Permesso di costruire ed autotutela
Il superamento del rigido limite temporale di 18 mesi (oggi 12 mesi) per l’esercizio del potere di autotutela di cui all’art. 21-novies, legge n. 241/1990, deve ritenersi ammissibile, a prescindere da qualsivoglia accertamento penale di natura processuale, tutte le volte in cui il soggetto richiedente abbia rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale, atteso che, in questi casi, viene in rilievo una fattispecie non corrispondente alla realtà. Tale contrasto, tra la fattispecie rappresentata e quella reale, può essere determinato da dichiarazioni false o mendaci la cui difformità, se frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all'uopo rese dichiarazioni sostitutive), dovrà scontare l'accertamento definitivo in sede penale, ovvero da una falsa rappresentazione dei fatti, che può essere rilevante al fine di superamento del termine di diciotto mesi anche in assenza di un accertamento giudiziario della falsità, purché questa sia accertata inequivocabilmente dall'Amministrazione con i propri mezzi. L’articolo 21-novies, in definitiva, contempla due categorie di provvedimenti - differenziabili in ragione dell'uso della disgiuntiva “o” - che consentono all’Amministrazione di esercitare il potere di annullamento d'ufficio oltre il termine di diciotto mesi dalla loro adozione, a seconda che siano, appunto, conseguenti a false rappresentazioni dei fatti o a dichiarazioni sostitutive false
N. 07696/2025REG.PROV.COLL.
N. 01797/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1797 del 2024, proposto da Patrizia Pallara, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Quinto e Pietro Quinto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Lecce, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Laura Astuto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero della cultura, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti
Maria Domenica Greco, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, Sezione Prima, n. 01038/2023, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Lecce e del Ministero della cultura;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2025 il Cons. Rosario Carrano e uditi per le parti gli avvocati come da verbale.
FATTO e DIRITTO
1. – Giunge all’esame del Collegio una complessa e risalente vicenda che può essere sintetizzata come segue.
2. – La sig.ra Greco è proprietaria di un locale di circa 100 mq, sito al piano terra di Palazzo Giustiniani, nel centro storico di Lecce.
3. – In data 2 febbraio 2004, la sig.ra Greco ha presentato al Comune di Lecce un’istanza (prot. n. 18048/2004) di autorizzazione ad eseguire nel locale opere interne (rifacimento dei preesistenti impianti e pavimenti, realizzazione di un soppalco) con conferma della destinazione commerciale, già in esercizio (sin dal 1963) da data antecedente a quella di adozione del piano regolatore (del 1983).
La Soprintendenza, con le note provvedimentali prot.n. 5587 del 30 marzo 2004 e n. 10100 del 5 maggio 2004, ha rilasciato parere favorevole all’intervento.
Con provvedimento dell’8 settembre 2004, prot. 18048, il Comune di Lecce, recependo il parere favorevole della Soprintendenza, ha autorizzato la sig.ra Maria Domenica Greco ad eseguire le opere interne nel suddetto locale con realizzazione di un soppalco e “con conferma della destinazione d’uso commerciale”.
4. – Con ricorso n. 657 del 2005, proposto innanzi al T.a.r. Puglia – Lecce, il sig. Federico Giannitrapani, deducendo di essere proprietario di un appartamento al primo piano del medesimo Palazzo Giustiniani, ha impugnato i suddetti atti della Soprintendenza e del Comune.
Con ordinanza cautelare n. 863 del 27 luglio 2005 (confermata dal Consiglio di Stato con ordinanza della Sez. IV n. 6026 del 2005) il T.a.r. Puglia ha sospeso i provvedimenti impugnati ritenendo viziati da difetto di istruttoria sia il parere favorevole espresso dalla Soprintendenza sulla compatibilità dell’intervento con le esigenze di tutela del bene vincolato e sia la conferma del locale a destinazione commerciale autorizzata dal Comune.
5. – Nelle more del giudizio di merito, la sig.ra Greco ha presentato al Comune di Lecce una nuova istanza di permesso di costruire (in data 4 ottobre 2005) chiedendo di essere autorizzata al cambio di destinazione d’uso del locale in questione per l’utilizzazione come “Galleria d’Arte”, precisando che la “domanda non prevede opere edili in quanto già realizzate secondo le prescrizioni della Soprintendenza concluse in data 10/07/2005”.
In particolare, premesso di non condividere l’ordinanza cautelare del T.a.r. di sospensione e riservandosi di proporre appello, ha ritenuto di “avere diritto anche ad altro titolo al conseguimento della destinazione commerciale relativamente all’immobile in questione” in quanto “il P.R.G. vigente consente che il piano particolareggiato possa consentire la destinazione (fra l’altro) ad esercizi di commercio al dettaglio ai piani terreni compatibilmente con la tipologia dell’edificio” e l’art. 9, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 consente l’esecuzione di interventi conservativi fino alla ristrutturazione edilizia anche in mancanza di piano particolareggiato, mentre nella specie “il mutamento d’utilizzazione rientra negli interventi conservativi ammessi anche in mancanza del prescritto Piano Particolareggiato, purchè la nuova utilizzazione sia conferme alle previsioni del PRG” (doc. 13 del ricorso di primo grado).
Nell’ambito di tale nuovo procedimento, la Soprintendenza ha rilasciato un parere favorevole alla nuova destinazione d’uso (prot. n. 9437/B dell’11 ottobre 2005) “tenuto conto dello stato attuale dei luoghi e del precedente parere espresso con nota n. 10100 del 5.05.2004”.
Tale parere è poi confluito nel permesso di costruire n. 598/05 rilasciato dal Comune in data 10 novembre 2005, con il quale è stato autorizzato il cambio di destinazione d’uso senza opere nel locale in questione da utilizzare come “Galleria d’arte”.
Successivamente, è stata rilasciata anche la dichiarazione di agibilità (n. 5/G/2006 del 21 marzo 2006 n. 598/05).
6. – Nel frattempo, con la sentenza del 28 aprile 2006, n. 2350, il T.a.r ha accolto il ricorso n. 657 del 2005, annullando il parere favorevole della Soprintendenza (note prot. n. 5587 del 30 marzo 2004 e n. 10100 del 5 maggio 2004) e il successivo titolo abilitativo del Comune (provvedimento dell’8 settembre 2004, prot. 18048).
6.1. – Con tale sentenza, il T.a.r., dopo aver richiamato la ricostruzione sistematica della disciplina applicabile alla specie (art. 42 delle NTA del PRG di Lecce) operata dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 22 marzo 2005, n. 2965 (seguita anche da T.a.r. Puglia-Lecce 24 febbraio 2006, n. 1222 in relazione al medesimo immobile oggetto della presente causa), ha ribadito che ogni modifica delle destinazioni d’uso degli immobili nel centro storico di Lecce è subordinato ad un limite procedimentale costituito dal necessario ricorso al piano particolareggiato e che “Fino all’approvazione dei piani particolareggiati del centro storico, trova applicazione la disposizione transitoria dell’ultimo comma dell’art. 42 delle N.T.A. che prevede la sola conferma delle «destinazioni d’uso esistenti prima dell’adozione del P.R.G.»” (pag. 7 della sentenza del T.a.r. del 28 aprile 2006, n. 2350).
6.2. – Ha, quindi, precisato che “L’intera problematica deve pertanto [e]ssere risolta sulla base della disciplina transitoria prevista dal citato art. 42, ult. comma delle N.T.A. del P.R.G. di Lecce, con la precisazione importante costituita dalla necessità di operare un riferimento, per gli immobili di risalente edificazione (come noto, non assistiti da una precisa tipizzazione delle destinazioni d’uso ammesse nelle singole unità immobiliari), ad un concetto di destinazione d’uso, per così dire fattuale, quindi riferito alla destinazione effettivamente assunta dal singolo immobile nel corso degli anni”, dovendosi altrimenti ritenere l’intera disposizione di impossibile applicazione (pag. 7-8 della sentenza del T.a.r. del 28 aprile 2006, n. 2350).
7. – A seguito di un esposto del 31 dicembre 2018, da parte del sig. Giannitrapani (ricorrente vittorioso nel giudizio di cui alla sentenza del T.a.r. del 28 aprile 2006, n. 2350), la Soprintendenza ha emesso una nota (prot. n. 2107 del 1° febbraio 2019) con la quale ha evidenziato che il precedente parere favorevole (prot. n. 9437/B dell’11 ottobre 2005) poi confluito nel permesso di costruire (n. 598/05 del 10 novembre 2005) sarebbe stato emesso “per mero errore materiale” in quanto adottato in elusione del giudicato cautelare (ordinanza n. 863 del 27 luglio 2005), con conseguente sua nullità ex art. 21-septies, l.n. 241 del 1990, avendo il T.a.r. aveva sospeso gli effetti del precedente parere n. 10100 del 5 maggio 2004 (poi annullato dal T.a.r. con sentenza del 28 aprile 2006, n. 2350), su cui il secondo parere espressamente si fonda.
8. – Con il ricorso di primo grado (r.g.n. 207/2019), notificato in data 1° febbraio 2019, la sig.ra Pallara, in qualità di coniuge del sig. Giannitrapani, ha impugnato il permesso di costruire (n. 598/05 del 10 novembre 2005), il presupposto parere favorevole della Soprintendenza (prot. n. 9437/B dell’11 ottobre 2005), la dichiarazione di agibilità (n. 5/G/2006 del 21 marzo 2006 n. 598/05), nonché la nota del 4 dicembre 2018, prot. n. 0171754/2018, con la quale il dirigente del Settore Urbanistico del Comune di Lecce, nel prendere atto di quanto denunciato dal marito, sig. Giannitrapani, con propria istanza-diffida del 31 ottobre 2018, comunicava l’intervenuto rilascio dei suindicati titoli abilitativi in favore della sig.ra Greco Maria Domenica, con il che sostanzialmente denegando la possibilità per il Comune di ordinare alla stessa la riduzione in pristino del locale in conformità della sentenza del T.a.r. Puglia-Lecce n. 2350 del 2006.
9. – Nel frattempo, con nota dirigenziale n. 31350 del 28 febbraio 2019, il Comune di Lecce, ha avviato il procedimento di annullamento in autotutela del suddetto permesso di costruire.
Con provvedimento del 6 maggio 2019, prot. 64717, il Comune ha quindi disposto l’annullamento in autotutela del permesso di costruire (n. 598/05 del 10 novembre 2005) fondato sul suddetto parere favorevole (prot. n. 9437/B dell’11 ottobre 2005) a sua volta fondato sul precedente parere (parere n. 10100 del 5 maggio 2004) prima sospeso e poi annullato dal T.a.r.
In particolare, ha ritenuto che la rilevata nullità del parere della Soprintendenza “si ripercuote sulla stessa legittimità degli assensi rilasciati alla Sig.ra Greco”, con particolare riferimento al permesso di costruire e alla successiva dichiarazione di agibilità, dal momento che tali “assensi edilizi sono stati rilasciati sulla scorta del Parere Favorevole vincolante della Soprintendenza espresso in data 11.10.2005 n. 9547/B”.
Inoltre, dopo aver preso atto delle controdeduzioni presentate dalla sig.ra Greco, ha ritenuto che “in ogni caso vengono meno le motivazioni che hanno consentito il rilascio del Permesso di Costruire” e della dichiarazione di agibilità, “in quanto tali atti autorizzativi sono stati adottati sull’errato presupposto” rappresentato dalla validità del parere favorevole della Soprintendenza, da ritenersi invece nullo per elusione di giudicato cautelare come da nota della stessa Soprintendenza del 1° febbraio 2019, prot. 2107.
10. – Con distinto ricorso di primo grado (r.g.n. 555 del 2019), notificato in data 30 marzo 2019, integrato da motivi aggiunti, notificati in data 4 luglio 2019, la sig.ra Greco ha impugnato, rispettivamente, la nota della Soprintendenza del 1° febbraio 2019, prot. 2107 con il conseguente avvio del procedimento di annullamento d’ufficio (n. 31350 del 28 febbraio 2019), nonché il sopravvenuto provvedimento di annullamento d’ufficio (6 maggio 2019, prot. 64717) del permesso di costruire (n. 598/05 del 10 novembre 2005) rilasciato in proprio favore.
11. – Con la sentenza del 21 agosto 2023, n. 1038, il T.a.r. ha accolto il ricorso della sig.ra Greco, disponendo l’annullamento del provvedimento di annullamento in autotutela del permesso di costruire.
12. – Con la sentenza del 28 agosto 2023, n. 1043, il T.a.r. ha respinto il ricorso proposto dalla sig.ra Pallara avverso il permesso di costruire, dichiarandolo inammissibile ed irricevibile.
13. – Con atto di appello (n. 1796 del 2024), la sig.ra Pallara ha impugnato la sentenza del 28 agosto 2023, n. 1043.
14. – Con distinto atto di appello (n. 1797 del 2024), la sig.ra Pallara ha impugnato anche la sentenza del 21 agosto 2023, n. 1038.
15. – Con la sentenza impugnata nel presente giudizio (del 21 agosto 2023, n. 1038), il T.a.r. ha accolto il ricorso e i motivi aggiunti, ritenendo assorbente la fondatezza della censura relativa alla violazione dell’art. 21-novies della legge n. 241 del 1990, in quanto gli impugnati provvedimenti di autotutela sono stati adottati “a distanza di oltre tredici anni e quindi in violazione del termine massimo di diciotto mesi dalla data della loro adozione”, omettendo altresì di “indicare la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento di titoli edilizi rilasciati nel 2005” (punto 2.1, pag. 7 della sentenza impugnata).
15.1. – Inoltre, ha respinto l’eccezione sollevata dal Comune resistente in ordine alla nullità degli atti (parere della Soprintendenza, permesso di costruire e agibilità) per violazione del giudicato cautelare, in quanto “tali atti di assenso edilizio erano stati adottati in ordine alla nuova istanza formulata dalla ricorrente al fine - non costituente oggetto del giudicato citato - di conseguire l’autorizzazione al cambio di destinazione d'uso del locale a galleria d'arte in forza delle prescrizioni di cui agli artt. 42 N.T.A. e 9, comma 2, del D.P.R. n.380/2001, destinazione diversa da quella oggetto dei giudicati in questione. Peraltro, la pretesa “nullità” di tali atti, neppure impugnati nei termini, non risulta acclarata da alcuna pronuncia giurisdizionale” (punto 2.2, pag. 9 della sentenza impugnata).
16. – Con atto di appello, la controinteressata sig.ra Pallara ha impugnato la sentenza.
16.1. – Con un unico motivo di appello (pag. 5-12), ha dedotto un travisamento dei fatti e una violazione del giudicato, dal momento che già nell’ordinanza cautelare del T.a.r. e del Consiglio di Stato, e successivamente nella sentenza del T.a.r. n. 2350 del 2006, si dava atto che, stante la previsione di cui all’art. 42 delle N.T.A. del P.R.G., nel centro storico del Comune di Lecce, negli edifici destinati alla residenza, fino all’approvazione dei piani particolareggiati di settore, è possibile aprire al piano terra esercizi di commercio al dettaglio e piccole botteghe artigiane solo se detta destinazione commerciale preesisteva all’adozione del P.R.G., mentre nel caso in esame sarebbe stata accertata in via definitiva l’inesistenza di una pregressa destinazione commerciale.
16.2. – Inoltre, ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ravvisato una omessa considerazione dell’interesse pubblico attuale alla rimozione dell’atto, in quanto la nullità dell’atto per violazione del giudicato non richiederebbe alcuna ulteriore motivazione né comparazione di interessi, trattandosi di atto a contenuto vincolato.
16.3. – In secondo luogo, ha dedotto la non applicabilità del termine di 18 mesi, trattandosi di provvedimento adottato prima della riforma legislativa, oltre ad evidenziare che il termine ragionevole decorrerebbe dalla scoperta della nullità degli atti da parte della Soprintendenza a seguito della nota del sig. Giannitrapani del 31 dicembre 2018.
16.4. – In subordine, ha ritenuto sussistente l’ipotesi derogatoria di cui all’art. 21-novies, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990, assumendo la sussistenza di una falsa rappresentazione dei fatti.
16.5. – Infine, ha escluso la sussistenza di un legittimo affidamento in capo a chi avrebbe ingenerato false convinzioni nella pubblica amministrazione, rappresentando in maniera parziale e distorta i fatti (la sig.ra Greco non avrebbe mai utilizzato il cambio di destinazione d’uso fino al novembre 2018, data in cui ha stipulato il contratto d’affitto con l’antiquario; dal novembre 2018 al gennaio/febbraio 2019 è decorso un termine talmente contenuto che nessun legittimo affidamento potrebbe definirsi compromesso).
17. – Con apposita memoria si è costituito il Comune di Lecce che ha concluso per l’accoglimento dell’appello.
18. – Nonostante la ritualità della notifica dell’appello, la controinteressata non si è costituita.
19. – All’udienza pubblica del 18 settembre 2025, la causa è stata trattenuta per la decisione.
20. – L’appello è infondato.
21. – Invero, deve condividersi la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il ricorso di primo grado avverso il provvedimento di annullamento d’ufficio (6 maggio 2019, prot. 64717) del permesso di costruire (n. 598/05 del 10 novembre 2005), per violazione dell’art. 21-novies della legge n. 241 del 1990, in quanto l’annullamento in autotutela è intervenuto a distanza di oltre tredici anni dall’adozione del provvedimento illegittimo.
21.1. – Innanzitutto, con riguardo alla decorrenza del termine per l’annullamento d’ufficio, va ribadito che il dies a quo di decorrenza del suddetto termine deve essere individuato nel “momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro” (cfr. Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, n. 8 del 17 ottobre 2017, riferita peraltro al concetto di termine “ragionevole”, in quanto involgente una fattispecie concreta venuta in essere prima della c.d. riforma Madia).
La “scoperta” sopravvenuta all’adozione del provvedimento di primo grado deve tradursi in una impossibilità di conoscere fatti e circostanze rilevanti imputabile al soggetto che ha beneficiato del rilascio del titolo edilizio, non potendo la negligenza dell’Amministrazione procedente tradursi in un vantaggio per la stessa, che potrebbe continuamente differire il termine di decorrenza dell’esercizio del potere.
In sostanza, il differimento del termine iniziale per l’esercizio dell’autotutela deve essere determinato dall’impossibilità per l’Amministrazione, a causa del comportamento dell’istante, di svolgere un compiuto accertamento sulla spettanza del bene della vita nell’ambito della fase istruttoria del procedimento di primo grado (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27 febbraio 2024, n. 1926).
21.2. – Nel caso di specie, l’annullamento d’ufficio si fonda sulla “scoperta” della invalidità del parere favorevole della Soprintendenza (11 ottobre 2005, prot. n. 9437/B), confluito nel permesso di costruire oggetto di annullamento, in quanto fondato su di un precedente parere della medesima amministrazione (5 maggio 2004, prot. 10100) che però è stato annullato con sentenza del T.a.r. del 28 aprile 2006, n. 2350.
Orbene, a tal riguardo, deve escludersi che la conoscenza del motivo di invalidità del permesso di costruire oggetto di annullamento sia intervenuta solo a seguito della comunicazione della Soprintendenza relativa alla suddetta vicenda (nota n. 2107 del 1° febbraio 2019), in quanto l’intervenuto annullamento del parere favorevole è avvenuto con la sentenza del T.a.r. 28 aprile 2006, n. 2350 che è stata emessa nei confronti sia del Comune di Lecce che della stessa Soprintendenza.
Pertanto, entrambe le amministrazioni, avendo partecipato a tale giudizio, erano certamente a conoscenza dell’intervenuto annullamento giurisdizionale del parere 5 maggio 2004, prot. 10100, a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza del 28 aprile 2006.
Da tale momento, quindi, il Comune avrebbe potuto esercitare il potere di annullamento d’ufficio che, invece, è intervenuto solamente il 6 maggio 2019, ossia a distanza di oltre tredici anni dall’adozione dell’atto illegittimo (10 novembre 2005) e, comunque, ben oltre il termine di diciotto mesi dall’entrata in vigore, in data 28 agosto 2015, dell’art. 21-novies della legge n. 241 del 1990, come novellato dalla legge n. 124 del 2015 (c.d. legge Madia).
Ad ogni modo, anche prima dell’entrata in vigore del termine rigido di diciotto mesi (28 agosto 2015), erano comunque già decorsi circa dieci anni dall’adozione dell’atto illegittimo (10 novembre 2005), con conseguente superamento del “termine ragionevole”.
22. – In senso contrario, non può nemmeno ritenersi che vi sia stata una falsa rappresentazione dei fatti, solo allegata ma non dimostrata.
22.1. – Sul punto, deve innanzitutto ribadirsi la distinzione tra le due ipotesi contemplate dal comma 2-bis dell’art. 21-novies, costituite, l’una, dalle “false rappresentazioni dei fatti”, l’altra, dalle “dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci”.
Questo Consiglio di Stato ha più volte evidenziato (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 18 marzo 2021 n. 2329) che il superamento del rigido limite temporale di 18 mesi (oggi 12 mesi) per l’esercizio del potere di autotutela di cui all’art. 21-novies, legge n. 241/1990, deve ritenersi ammissibile, a prescindere da qualsivoglia accertamento penale di natura processuale, tutte le volte in cui il soggetto richiedente abbia rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale, atteso che, in questi casi, viene in rilievo una fattispecie non corrispondente alla realtà.
Tale contrasto, tra la fattispecie rappresentata e quella reale, può essere determinato da dichiarazioni false o mendaci la cui difformità, se frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all'uopo rese dichiarazioni sostitutive), dovrà scontare l'accertamento definitivo in sede penale, ovvero da una falsa rappresentazione dei fatti, che può essere rilevante al fine di superamento del termine di diciotto mesi anche in assenza di un accertamento giudiziario della falsità, purché questa sia accertata inequivocabilmente dall'Amministrazione con i propri mezzi.
L’articolo 21-novies, in definitiva, contempla due categorie di provvedimenti - differenziabili in ragione dell'uso della disgiuntiva “o” - che consentono all’Amministrazione di esercitare il potere di annullamento d'ufficio oltre il termine di diciotto mesi dalla loro adozione, a seconda che siano, appunto, conseguenti a false rappresentazioni dei fatti o a dichiarazioni sostitutive false (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27 febbraio 2024, n. 1926; Cons. Stato, sez. IV, 12 agosto 2024, n. 7093; Cons. Stato, sez. VI, 4 ottobre 2024, n. 8010).
22.2. – Nel caso di specie, la parte appellante ha allegato che “la sig.ra Greco, nella istanza del 18/8/2005, allorquando l’ordinanza 863/2005 del TAR Lecce aveva già dispiegato i suoi effetti, sospendendo l’efficacia dei titoli edilizi, compreso i pareri della Soprintendenza nn. 10100/2004 e 5587/2004, non ha riferito detta circostanza, ma ha rappresentato una limitata sospensione della sola autorizzazione del Comune di Lecce n. 18048/2004, così inducendo la Soprintendenza a ritenere che quei pareri spiegassero ancora effetti” (pag. 11 dell’appello).
Tale allegazione non può essere qualificata alla stregua di una falsa rappresentazione dei fatti.
Al contrario, la sig.ra Greco ha correttamente segnalato nella propria istanza l’esistenza di una pronuncia cautelare di sospensione del permesso di costruire del 2 febbraio 2004, prot. n. 18048, ma non era certamente tenuta a specificare anche la sospensione dei pareri favorevoli della Soprintendenza su cui tale titolo abilitativo si fondava, anche in considerazione del fatto che il Comune, proprio in quanto parte del giudizio, era perfettamente a conoscenza dell’esito del giudizio cautelare in questione.
Peraltro, l’inciso contenuto nell’istanza del permesso di costruire, secondo cui appunto il precedente titolo era stato sospeso in via cautelare, non implica di per sé una falsa rappresentazione dei fatti, in quanto tale affermazione è certamente compatibile con la contestuale sospensione dei pareri della Soprintendenza (di cui l’amministrazione era già a conoscenza), né risulta che la parte istante abbia esplicitamente negato la sospensione cautelare di tali pareri.
22.3. – In secondo luogo, la parte appellante assume l’esistenza di una “ulteriore falsa rappresentazione che attiene alle opere già realizzate, che l’istante assume conformi alle prescrizioni della Soprintendenza, ma di cui tace la sopravvenuta abusività per effetto della sospensione dei titoli. Per quelle opere avrebbe dovuto chiedere una “sanatoria” e non già riportarle negli elaborati come opere legittimamente realizzate” (pag. 11 dell’appello).
L’assunto, oltre che irrilevante, è anche infondato, in quanto al momento della proposizione della nuova istanza vi era stata una mera sospensione cautelare del precedente titolo abilitativo, con la conseguenza di non poter ritenere abusive le relative opere realizzate in mancanza di un definitivo accertamento giurisdizionale in ordine alla loro illegittimità.
23. – In conclusione, quindi, l’appello deve essere respinto, con conseguente assorbimento delle restanti censure.
24. – Le spese di lite possono essere compensate in ragione della peculiarità della vicenda.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2025 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Lopilato, Presidente
Michele Conforti, Consigliere
Luca Monteferrante, Consigliere
Luigi Furno, Consigliere
Rosario Carrano, Consigliere, Estensore




