Consiglio di Stato Sez. VII n. 2689 del 14 marzo 2023
Urbanistica.Principi di buona fede e presunzione di non colpevolezza e lottizzazione abusiva
I principi costituzionali e sovranazionali di buona fede e di presunzione di non colpevolezza invocabili dai contravventori allo scopo di censurare un asserito deficit istruttorio e motivazionale consistente nell’omessa individuazione dell’elemento psicologico dell’illecito contestato possono al più essere spesi al fine dell’applicazione della sanzione penale accessoria della confisca urbanistica contemplata dall’art. 44 del D.P.R. n. 380 del 2001 (reputata comunque compatibile con l’art. 7 CEDU dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: Grande Chambre, 28 giugno 2018, n. 1828), nel mentre l’argomento medesimo non è utilmente invocabile al fine dell’irrogazione della sanzione ammnistrativa dell’acquisizione coattiva dell’immobile al patrimonio del Comune, contemplata dall’art. 30, comma 8, del D.P.R. n. 380 del 2001, in quanto atto vincolato.
Pubblicato il 14/03/2023
N. 02689/2023REG.PROV.COLL.
N. 06674/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6674 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Mauro Barberio, Stefano Porcu, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di San Vero Milis, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Luca Casula, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda) n. -OMISSIS-
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di San Vero Milis;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 3 febbraio 2023 il Cons. Rosaria Maria Castorina e uditi gli avvocati Stefano Porcu per parte appellante e Luca Casula per parte appellata;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Gli appellanti, originari ricorrenti, sono proprietari di un lotto di terreno di circa mq 1000 ubicato in zona agricola nel territorio del Comune di San Vero Milis. A seguito di accertamenti condotti dal Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale - Servizio ispettorato dipartimentale di Oristano, veniva verificata, nella zona in cui è ricompreso il terreno di proprietà dei ricorrenti, l’esistenza di una lottizzazione abusiva realizzata mediante il frazionamento di ampi terreni in 86 lotti, in gran parte delimitati con recinzioni, con la creazione di un sistema viario per l’accesso agli stessi, mediante strade di adeguate dimensioni idonee a creare una rete viaria interna ai lotti e la successiva alienazione a soggetti diversi.
Il Responsabile del Servizio Area Gestione del Territorio del Comune di San Vero Milis procedeva quindi all’adozione di tutta una serie di ordinanze - tra le quali la n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, impugnata dalla parte ricorrente - con la quale si ordinava, ai sensi dell’art. 30 del DPR n. 380/2001 e dell’art. 18 della legge regionale n. 23 del 1985, la sospensione dei lavori e il divieto di disporre dei suoli e delle opere stesse con atto tra vivi.
Impugnato il provvedimento il T.A.R. Sardegna, con la sentenza n. -OMISSIS-, respingeva il ricorso.
Appellata ritualmente la pronuncia, il Consiglio di Stato, con ordinanza n. -OMISSIS-, respingeva l’istanza cautelare formulata dai ricorrenti.
All’udienza di smaltimento del 3 febbraio 2023 la causa passava in decisione.
DIRITTO
1.Con il primo e il secondo motivo di appello gli appellanti deducono: Error in iudicando per violazione ed errata applicazione dell’art. 30 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 30 del 6 giugno 2001 e degli artt. 17 e 18 della Legge regionale della Sardegna n. 23 dell’11 ottobre 1985 -Violazione dell'art. 3 della Legge 7 agosto 1990 n. 241 - Eccesso di potere difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento della situazione di fatto ed errore sui presupposti.
Lamentano l’insussistenza di elementi tali per poter configurare una “lottizzazione abusiva”, evidenziando che l’ufficio tecnico comunale si era limitato a recepire acriticamente le risultanze delle indagini della polizia giudiziaria e non aveva compiuto un autonomo accertamento ed una valutazione in merito alla sussistenza dei presupposti di legge della lottizzazione abusiva.
Le censure non sono fondate.
L’art. 30 del D.P.R. n. 380/2001 prevede che: “Si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio”.
Com’è noto, la norma appena ricordata disciplina due diverse ipotesi di lottizzazione abusiva. Ricorre la lottizzazione abusiva cd. “materiale” con la realizzazione di opere che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni, sia in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, approvati o adottati, ovvero di quelle stabilite direttamente in leggi statali o regionali, sia in assenza della prescritta autorizzazione. Si ha invece lottizzazione abusiva “formale” o “cartolare” quando, pur non essendo ancora avvenuta una trasformazione lottizzatoria di carattere materiale, se ne sono già realizzati i presupposti con il frazionamento e la vendita - o altri atti equiparati - del terreno in lotti che, per le specifiche caratteristiche, quali la dimensione dei lotti stessi, la natura del terreno, la destinazione urbanistica, l’ubicazione e la previsione di opere urbanistiche, o per altri elementi, evidenzino in modo non equivoco la destinazione ad uso edificatorio.
L’interesse protetto dalla norma è quello di garantire un ordinato sviluppo urbanistico del tessuto urbano, in coerenza con le scelte pianificatorie dell’amministrazione.
Al riguardo, deve ricordarsi che le scelte espresse nel piano urbanistico generale di un Comune, di regola, non possano essere attuate mediante il diretto rilascio di permessi di costruire agli interessati, ma richiedano l’intermediazione di uno strumento ulteriore, rappresentato dai piani attuativi. Il piano attuativo, infatti, ha la funzione di “precisare zona per zona”, con i dettagli necessari, “le indicazioni di assetto e sviluppo urbanistico complessivo contenute nel piano regolatore”, e quindi di attuarle “gradatamente e razionalmente” e di garantire che ogni zona disponga di “assetto ed attrezzature rispondenti agli insediamenti”, ovvero delle opere di urbanizzazione, e tutto ciò, all’evidenza, trascende il possibile contenuto di un singolo permesso di costruire.
In tale contesto, la lottizzazione abusiva sottrae all’amministrazione il proprio potere di pianificazione attuativa e la mette di fronte al fatto compiuto di insediamenti in potenza privi dei servizi e delle infrastrutture necessari al vivere civile; ciò, com’è notorio, è fra le principali cause del degrado urbano e dei gravi problemi sociali che ne derivano (cfr. Cons. St., IV, 7 giugno 2012, n. 3381, e 19 giugno 2014, n. 3115, nonché Cass. pen., Sez. III, 3 dicembre 2013, n. 51710).
In base a quanto accertato, il terreno di proprietà degli appellanti è ricompreso in una zona di territorio comunale avente un’estensione di circa 13.80 ettari (composta dalle particelle censite al catasto terreni al -OMISSIS-), classificata in zona agricola E del vigente Piano di Fabbricazione ed in zona E 3.7 e E 5.2 del Piano Urbanistico Comunale adottato con delibera di Consiglio Comunale n. 32 del 12.09.2013, nonché ricadente all’interno della fascia costiera, prevista dall’art. 19 delle norme di attuazione del Piano paesaggistico regionale, e, come tale, gravata da vincolo paesaggistico ai sensi del D.lgs. n. 42/2004, e del vincolo di cui al Decreto Ministeriale del 27.8.1980.
In particolare, l’area è situata nella località di Sa Rocca Tunda -borgata marina di San Vero Milis- in una zona di alto pregio oltre che paesaggistico anche naturalistico, nella fascia compresa tra i 300 e 1000 metri dalla linea di battigia. Dall’aerofotogrammetria agli atti si evince (la radicale trasformazione dell’assetto urbanistico della zona agricola, nonché la natura delle opere realizzate, ivi comprese la presenza di strade -seppure ancora “sterrate” - formatesi per effetto delle attività dei soggetti interessati, percorribili anche mediante l’uso di veicoli, che hanno una larghezza conforme agli standard previsti per le lottizzazioni. Nel corso degli accertamenti nell’area è stata riscontrata l’esistenza di circa n. 86 lotti, che sono stati ottenuti col frazionamento di terreni di maggior consistenza, e che hanno dimensione inferiore rispetto al minimo consentito dalle norme del piano urbanistico per le zone agricole.
Gli appellanti sono comproprietari del terreno distinto in catasto terreni al -OMISSIS-, mappale -OMISSIS-, derivato dall’ex -OMISSIS-, della superficie complessiva di mq 1.000, per averlo - previo frazionamento- acquistato con atto pubblico nel maggio 2010, da un venditore proprietario di complessivi mq 4.000 (acquistati nell’anno 2007).
Secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (da ultimo sentenza n. 882/2022) la lottizzazione abusiva è un fenomeno unitario che trascende la consistenza delle singole attività e/o opere di cui si compone e talora ne prescinde, e assume rilevanza giuridica per l’impatto che determina sul territorio interferendo con l’attività di pianificazione, conservazione dei valori paesistici e ambientali, dotazione e dimensionamento degli standard.
La fattispecie si concretizza quindi nella trasformazione urbanistica ed edilizia della zona, in contrasto con la norma, e non nell'eventuale difformità delle singole opere alle norme vigenti (sanzionati dagli artt. 3l e ss. del DPR 380/2001).
Giova altresì osservare, anche per i conseguenti aspetti relativi alla prova dell’illecito, che il presente giudizio ha ad oggetto un provvedimento amministrativo e mira a verificarne la legittimità, sinteticamente compendiabile nella verifica della veridicità dei fatti materiali posti a fondamento della scelta amministrativa e nella logicità e congruenza della decisione rispetto ai detti presupposti, rapportati alla fattispecie legale che viene in considerazione.
Deve precisarsi che tale sindacato non risulta completamente sovrapponibile a quello svolto dal giudice penale relativamente alla fattispecie criminosa di cui all’art. 44 del D.P.R. n. 380 del 2001, il quale, seppure in ipotesi avente ad oggetto i medesimi fatti storici, mira ad accertare la responsabilità penale dell’imputato, con le relative conseguenze sulla sua libertà personale e che, pertanto, sul piano processuale, esige la dimostrazione della responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio del reo (art. 533 c.p.p.).
Infatti, procedimento amministrativo e procedimento penale, anche se sono destinati ad incidere sullo stesso bene giuridico, procedono comunque su binari paralleli: il giudizio penale ha riguardo alla responsabilità dell’imputato (e, di conseguenza, alla confisca del bene), mentre il giudizio amministrativo attiene alla legittimità del provvedimento disposto dall’amministrazione, del quale l’acquisizione dell’area è semplicemente una conseguenza automatica (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 marzo 2018, n. 1878).
Esclusa la connotazione penalistica delle conseguenze derivanti dal provvedimento impugnato, deve ribadirsi che il sindacato di questo Giudice attiene alla piena conoscenza del fatto e del percorso intellettivo e volitivo seguito dall’amministrazione, al fine di verificare l’esattezza materiale degli elementi di prova invocati dall’amministrazione, la loro affidabilità e la loro coerenza, e se essi sono idonei a corroborare le conclusioni che la stessa amministrazione ne ha tratto, non secondo il canone di valutazione dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”, proprio del giudizio penale avente direttamente ad oggetto le condotte e la responsabilità personale dell’imputato, ma di credibilità razionale della decisione amministrativa alla luce degli elementi posti dall’amministrazione a giustificazione della stessa, essendo poi onere del ricorrente, tramite il ricorso, quello di contestare la veridicità dei fatti, o di rappresentate circostanze atte ad incrinare la credibilità del processo intellettivo sottostante la decisione dell’amministrazione.
In proposito, la giurisprudenza ha chiarito che i principi costituzionali e sovranazionali di buona fede e di presunzione di non colpevolezza invocabili dai contravventori allo scopo di censurare un asserito deficit istruttorio e motivazionale consistente nell’omessa individuazione dell’elemento psicologico dell’illecito contestato possono al più essere spesi al fine dell’applicazione della sanzione penale accessoria della confisca urbanistica contemplata dall’art. 44 del D.P.R. n. 380 del 2001 (reputata comunque compatibile con l’art. 7 CEDU dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: Grande Chambre, 28 giugno 2018, n. 1828), nel mentre l’argomento medesimo non è utilmente invocabile al fine dell’irrogazione della sanzione ammnistrativa dell’acquisizione coattiva dell’immobile al patrimonio del Comune, contemplata dall’art. 30, comma 8, del D.P.R. n. 380 del 2001, in quanto atto vincolato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 marzo 2018, n. 1878; Cons. Stato, sez. II, 17 maggio 2019, n. 3196; Cons. Stato, sez. II, 24 giugno 2019, n. 4320, CGARS Sez. giur. n. 93 del 8 febbraio 2021).
Quanto all’elemento psicologico è agevole osservare che, come affermato nelle pronunce sopra ricordate, la mera circostanza che l’atto di compravendita sia stato stipulato da un notaio non è affatto idonea a innestare una presunzione di buona fede dell’appellante, anche perché il suddetto contratto presenta delle particolarità (la vendita pro-indiviso di un numero specifico di metri quadrati del terreno) che si spiegano proprio con l’intento di eludere il divieto di lottizzazione abusiva, evitando atti di frazionamento “ufficiali”.
Le argomentazioni che precedono evidenziano che, anche a non voler considerare il contesto in cui è collocato il mappale oggetto di causa (ovvero la circostanza che il lotto in questione è collocato al centro di un vasto compendio che è stato fatto oggetto di numerosissimi frazionamenti in lotti di superficie inferiore al minimo consentito, alienati ad una pluralità di soggetti diversi), quest’ultimo è stato fatto oggetto di una lottizzazione cartolare, attuata mediante un atto negoziale di frazionamento fisico del fondo; tale lottizzazione deve considerarsi abusiva in quanto di fatto ha condotto ad una utilizzazione del fondo incompatibile con le previsioni dello strumento urbanistico e in assenza di un atto pianificatorio approvato dal Consiglio Comunale.
Deve peraltro ritenersi che l’acquisto del lotto di terreno in questione, ricadente in zona agricola ma non finalizzato alla realizzazione di un’impresa agricola o a interventi agropastorali, valutato e considerato congiuntamente agli indici sopra evidenziati (frazionamento di più ampi terreni in numerosi lotti - 86 lotti - tutti di dimensioni inferiori rispetto al minimo consentito; creazione di un sistema viario per l’accesso ai lotti, mediante strade di adeguate dimensioni; successiva alienazione a soggetti diversi), debba ritenersi preordinato e funzionale ad un illegittimo mutamento della destinazione di zona. Del resto, è poco credibile che gli appellanti, entrambi residenti a -OMISSIS-, abbiano acquistato l’area per svolgere attività agricola in un lotto di terreno di soli mq 1.000, sito a una distanza di oltre 100 Km dal luogo di residenza.
L’appello deve essere, conseguentemente, respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna gli appellanti al pagamento delle spese processuali che liquida in € 3000,00 oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati:
Marco Lipari, Presidente
Fabio Franconiero, Consigliere
Sergio Zeuli, Consigliere
Giovanni Tulumello, Consigliere
Rosaria Maria Castorina, Consigliere, Estensore