Consiglio di Stato Sez. VI n. 1241 del 7 febbraio 2024
Urbanistica.Termine per impugnare il titolo edilizio a sanatoria
Nel caso di titolo edilizio assentito in sanatoria, il termine dell'impugnazione decorre dalla data in cui si abbia conoscenza che, per una determinata opera abusiva già esistente, sia stata rilasciata la concessione edilizia in sanatoria, circostanza che deve essere dimostrata in giudizio al fine di far valere la tardività dell'impugnazione. Infatti, in conformità alla natura ed alla modalità d'esecuzione delle opere, in materia occorre tenere separato il regime d'impugnazione del titolo edilizio "ordinario" da quello applicabile al titolo edilizio "in sanatoria". Nel primo caso, il termine di decadenza decorre dal completamento dei lavori, cioè dal momento in cui sia materialmente apprezzabile la reale portata dell'intervento in precedenza assentito. Nel secondo caso, il termine decorre dalla data in cui si abbia conoscenza che, per una determinata opera abusiva già esistente, è stata rilasciata la concessione edilizia in sanatoria.
Pubblicato il 07/02/2024
N. 01241/2024REG.PROV.COLL.
N. 09733/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9733 del 2021, proposto da
Alberto Caltabiano Uguccioni, rappresentato e difeso dall'avvocato Giacomo Graziosi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Arzachena, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Stefano Forgiarini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Regione Autonoma della Sardegna, rappresentato e difeso dagli avvocati Roberto Murroni, Floriana Isola, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero della Cultura, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio Province di Sassari e Nuoro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Franco Stupazzini, rappresentato e difeso dagli avvocati Massimiliano Sciortino, Annarosa Chiriatti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Massimiliano Sciortino in Roma, viale Mazzini 88;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda) n. 00256/2021, resa tra le parti, Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Sardegna, Sezione II, n. 256 del 12.4.2021, non notificata;
e per il conseguente annullamento
a) del permesso di costruire in sanatoria n. 87/2018, emesso dal Comune di Arzachena il 13.9.2018 ed avente ad oggetto “Ampliamento di una veranda coperta, copertura di una pergola e modifiche interne al piano interrato. Sanatoria ai sensi dell'art. 16 legge regionale n. 23/85 e art. 36 D.P.R. n. 380/2001” relativa ad una unità immobiliare del complesso “Trifoglio” sito in località Baja Sardinia;
b) dell'accertamento di compatibilità paesaggistica, con applicazione della sanzione ex art. 167 D. Lgs. n. 42/2004, rilasciata dall'Ufficio Tutela del Paesaggio di Arzachena con atto prot. 24495 del 20.6.208, citato nel testo del p.d.c. n. 87/2018 ma ad oggi non conosciuto;
c) del parere emesso dalla Soprintendenza BAP nell'ambito del procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica citato sub b), se esistente, atto ad oggi non conosciuto;
d) degli atti presupposti e consequenziali ai provvedimenti sopra citati, ad oggi non conosciuti.
Per quanto riguarda il ricorso incidentale presentato da Stupazzini Franco il 11/1/2022:
appello incidentale ex art. 96 avverso la sentenza del TAR Sardegna, Sez. II, n. 256/2021 del 12.04.2021 non notificata (r.g. 79/2019).
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Arzachena e di Franco Stupazzini e di Regione Autonoma della Sardegna e di Ministero della Cultura e di Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio Province di Sassari e Nuoro;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 febbraio 2024 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Giacomo Graziosi, Stefano Forgiarini, e Annarosa Chiriatti.
Viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello di cui in epigrafe il Sig. Alberto Caltabiano Uguccioni impugnava la sentenza n. 256 del 2021 del Tar Sardegna, recante accoglimento in parte qua dell’originario gravame; quest’ultimo era stato proposto dalla stessa parte, in qualità di proprietario di immobile limitrofo, al fine di ottenere l’annullamento dei seguenti atti: del permesso di costruire in sanatoria n. 87/2018, emesso dal Comune di Arzachena il 13.9.2018 ed avente ad oggetto “Ampliamento di una veranda coperta, copertura di una pergola e modifiche interne al piano interrato. Sanatoria ai sensi dell'art. 16 legge regionale n. 23/85 e art. 36 D.P.R. n. 380/2001” relativa ad una unità immobiliare del complesso “Trifoglio” sito in località Baja Sardinia; dell'accertamento di compatibilità paesaggistica, con applicazione della sanzione ex art. 167 D. Lgs. n. 42/2004, rilasciata dall'Ufficio Tutela del Paesaggio di Arzachena con atto prot. 24495 del 20.6.2018, anche in ordine al parere espresso dalla Soprintendenza.
All’esito del giudizio di primo grado veniva accolta la sola censura dedotta in ordine alla violazione degli obblighi di “differenziazione” e “competenza scientifica” gravanti sugli enti delegati alla gestione delle procedure paesaggistiche (art. 146, co. 6, D.Lgs. n. 42/2004), in quanto “illegittimamente … l’accertamento di compatibilità paesaggistica è stato rilasciato dallo stesso Ufficio (Settore n. 2) e dallo stesso Dirigente (arch. Chiodino) che hanno emesso e sottoscritto il permesso di costruire in sanatoria”. Le altre censure di primo grado venivano respinte.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava, avverso la sentenza impugnata, i seguenti motivi di appello, riproponendo i vizi respinti in prime cure:
- contro il rigetto del II motivo di ricorso relativo alla “copertura della pergola”, violazione dell’art. 167, commi 4 e 5, d.lgs. n. 42/2004 e vizio di motivazione, per la differenza di struttura e funzione tra pergola e tettoia, nonché per l’incremento di superficie incompatibile con la sanatoria paesaggistica;
- analoghi vizi contro il rigetto del III motivo di ricorso in relazione ai lavori sulla “veranda” preesistente, non trattandosi di opere interne e per la creazione di superficie utile;
- analoghi vizi contro il rigetto del motivo n. I del primo ricorso per motivi aggiunti, per mancanza del parere della Soprintendenza e l’inapplicabilità del silenzio assenso ex art. 17 bis legge 241 del 1990;
- analoghi vizi per omessa pronuncia e difetto di motivazione in ordine al rigetto dei motivi II - III del primo ricorso per motivi aggiunti, in ordine alla specialità del procedimento di sanatoria paesaggistica;
- contro il rigetto del motivo n. IV del primo ricorso per motivi aggiunti, in via subordinata, per violazione degli artt. 3 e 17-bis L. n. 241/1990 ed errata valutazione degli atti di causa, violazione dell’art. 34 co. 2° c.p.a., in quanto anche laddove ritenuto applicabile il silenzio assenso, nella specie non si sarebbe formato.
L’amministrazione comunale appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
La parte privata appellata, originaria controinteressata, si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello. Proponeva altresì appello incidentale in ordine ai seguenti due motivi: error in iudicando, motivazione apparente, violazione degli artt. 29 e 41 c.p.a., per errato rigetto dell’eccezione di tardività del ricorso proposta dal sig. Stupazzini; violazione e falsa applicazione dell’art. 146 co. 6 d.lgs. 42/2004 in relazione all’errato accoglimento del ricorso di primo grado, a fronte della struttura degli uffici del Comune, per assenza di una specifica incompatibilità.
La Regione appellata si costituiva in giudizio chiedendo l’accoglimento del secondo motivo di appello incidentale, contestando il motivo di accoglimento della sentenza di prime cure. Anche la difesa comunale concludeva per l’accoglimento del secondo motivo di appello incidentale.
Alla pubblica udienza dell’1 febbraio 2024 la causa passava in decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare, occorre esaminare i vizi di cui all’appello incidentale, in quanto potenzialmente dotati di effetti assorbenti in relazione alle censure di primo grado, riproposte con l’appello principale.
1.1 Infatti, se con quest’ultimo risultano impugnati i titoli rilasciati in sanatoria in favore di parte appellante incidentale, quest’ultima ha impugnato la sentenza di prime cure – in primo luogo - nella parte in cui ha rigettato l’eccezione preliminare di tardività dell’impugnativa.
2. A quest’ultimo proposito, il primo motivo di appello incidentale appare fondato in parte qua.
2.1 In linea di diritto, va ribadito che, nel caso di titolo edilizio assentito in sanatoria, il termine dell'impugnazione decorre dalla data in cui si abbia conoscenza che, per una determinata opera abusiva già esistente, sia stata rilasciata la concessione edilizia in sanatoria, circostanza che deve essere dimostrata in giudizio al fine di far valere la tardività dell'impugnazione
2.2 Infatti, come già evidenziato anche da questa sezione, in conformità alla natura ed alla modalità d'esecuzione delle opere, in materia occorre tenere separato il regime d'impugnazione del titolo edilizio "ordinario" da quello applicabile al titolo edilizio "in sanatoria".
2.2.1 Nel primo caso, il termine di decadenza decorre dal completamento dei lavori, cioè dal momento in cui sia materialmente apprezzabile la reale portata dell'intervento in precedenza assentito (cfr. fra le tante, Cons. St., Ad. Plen., 29 luglio 2011, n. 15; Cons. St., sez. VI, 10 dicembre 2010, n. 8705).
2.2.2 Nel secondo caso, il termine decorre dalla data in cui si abbia conoscenza che, per una determinata opera abusiva già esistente, è stata rilasciata la concessione edilizia in sanatoria (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 27 dicembre 2007, n. 6674 e sez. II , 03/11/2023 , n. 9520).
2.3 Quindi, il termine d'impugnazione di un titolo in sanatoria decorre dal momento in cui si conosca la circostanza del rilascio del medesimo atto per una determinata opera già esistente; la cui conoscenza deve essere dimostrata in giudizio al fine di far valere la tardività dell'impugnazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 21 dicembre 2004, n. 8147; sez. IV, 26 marzo 2013, n. 1699, sez. VI - 10 settembre 2018, n. 5307).
2.4 Va quindi ribadito che il destinatario di un provvedimento di sanatoria edilizia (che costituisce, pur sempre, una peculiarità dell'ordinamento, da tenere distinta dall’ipotesi del rilascio ordinario del titolo) non può beneficiare anche della decorrenza dalla pubblicazione all'albo pretorio del termine di impugnativa del provvedimento a lui favorevole; beneficio di cui neppure gode chi abbia (secondo l'ordinamento) ottenuto il rilascio di un provvedimento autorizzatorio prima dell'inizio dei lavori.
2.5 Pertanto, applicando tali coordinate al caso di specie, se da un canto il beneficiario del titolo in sanatoria non si può avvalere della decorrenza del termine con la mera pubblicazione all’albo pretorio, dall’altro canto occorre verificare gli elementi di prova in ordine al momento in cui vi sia stata la conoscenza della circostanza del rilascio del medesimo atto per una determinata opera già esistente.
2.6 Orbene, dall’analisi degli atti e delle conseguenti risultanze di causa, emergono i seguenti elementi: gli immobili sono confinanti; l’originario ricorso risulta notificato in data 14 gennaio 2019; il permesso di costruire, rilasciato in data 13 settembre 2018, è stato pubblicato sull’Albo pretorio del Comune di Arzachena dal 20 settembre 2018 al 5 ottobre 2018; in data 31 agosto 2018, con richiesta n. prot. 35230 l’odierno appellante principale Caltabiano ha formalmente richiesto al Comune di Arzachena di effettuare un sopralluogo; in data 15 novembre 2018 lo stesso originario ricorrente ha presentato un’istanza di accesso agli atti agli esiti del richiesto sopralluogo.
2.7 Al riguardo vanno svolte le seguenti considerazioni: parte appellante incidentale non può beneficiare, a fini di decorrenza del termine per impugnare, nè della pubblicazione all’albo pretorio – per i principi predetti – nè dell’ istanza 31 agosto 2018 di parte ricorrente originaria, in quanto anteriore al rilascio stesso del titolo e quindi logicamente incompatibile con la evocata decorrenza di un termini di impugnazione di un titolo non ancora formatosi; inoltre, rispetto all’ulteriore istanza di accesso, del 15 novembre 2018, il ricorso originario appare tempestivo.
2.8 Pertanto, in relazione al ricorso principale di primo grado non è stata fornita alcuna prova concreta e quindi utile in ordine alla conoscenza anticipata – rispetto alla notifica del ricorso introduttivo - della circostanza del rilascio del titolo impugnato.
2.9 Piuttosto, a risultare tardivi sono i successivi atti di motivi aggiunti, notificati rispettivamente in data 13 maggio 2019 e 28 ottobre 2019, in quanto relativi ad atti conosciuti e comunque ben conoscibili, con la minima ordinaria diligenza da richiedersi in capo a chi ha fatto accesso ed ha ottenuto tutti gli elementi identificativi degli atti contestati, in data ben anteriore. Infatti, dal titolo impugnato in data 14 gennaio 2019, conosciuto all’esito dell’accesso richiesto in data 15 novembre 2018, emergevano tutti gli elementi identificativi degli atti contestati e del relativo procedimento, compresa la compatibilità paesaggistica di cui all’atto protocollo n. 24495 del 20 giugno 2018.
2.9.1 In proposito, una volta esercitato l’accesso ed acquisito l’atto di sanatoria – non a caso tempestivamente impugnato – è da ritenersi provata la conoscenza del relativo procedimento e dei documenti ivi chiaramente indicati, non potendo rimettersi la relativa decorrenza al comportamento dilatorio dello stesso interessato, il quale è chiamato ad attivarsi, in termini di ordinaria diligenza. Altrimenti opinando le fondamentali ricadute del termine decadenziale fissato ex lege per l’impugnativa e la connessa definitività degli atti amministrativi sarebbero, in termini inammissibili, rimesse alla mera valutazione egoistica di una controparte privata.
3. L’accoglimento in parte qua del primo motivo di appello incidentale comporta l’irricevibilità dei motivi aggiunti di ricorso, con conseguente inammissibilità dei correlati motivi di appello con cui, attraverso la critica alla sentenza di primo grado, parte appellante principale ripropone nella presente sede i motivi aggiunti medesimi.
4. Occorre quindi procedere all’esame dei restanti motivi: il secondo motivo di appello incidentale e i primi due motivi di appello principale, tempestivamente dedotti in prime cure con il ricorso principale.
5. Il primo motivo di appello incidentale è fondato.
5.1 La norma applicata dalla sentenza impugnata (art. 146 comma 6 cit.) prevede che gli enti delegati debbano disporre “di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia”.
5.2 La differenziazione riguarda pertanto la sostanza della valutazione e dei relativi elementi, non potendo imporsi anche la distinzione fisica e soggettiva delle persone chiamate allo svolgimento di valutazioni differenti. Costituisce regola logica quella per cui singoli soggetti e funzionari possono avere professionalità estese, tanto da poter essere chiamati, nel tempo, allo svolgimento di funzioni diverse, anche al fine di garantire la rotazione negli uffici, nonchè effetti di trasparenza e di prevenzione rispetto a rendite di posizione.
5.3 Come già evidenziato dalla sezione, in generale, ai sensi dell'art. 146, comma 6 cit. gli enti delegatari (come il Comune) del potere di autorizzazione paesaggistica debbono disporre « di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia ». La doverosa distinzione organizzativa, infatti, riflette la distinzione sostanziale tra la funzione di tutela del paesaggio e quella di governo del territorio o urbanistica: è una distinzione che ha base nell'art. 9 Cost. (e oggi è confermata dall'art. 117, comma 2, lett. s), Cost.): la separazione organizzativa a livello comunale è voluta dalla legge ad adeguata prevenzione della possibile commistione in capo al Comune delle due competenze e a evitare che la valutazione urbanistica possa incidere sull'autonomia di quella, superiore e delegata, paesaggistica (non a caso l'art. 146, comma 4, prevede che « l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio »; cfr. anche art. 45, comma 2; art. 143, comma 4, lett. a), comma 5 e comma 9; art. 145, spec. commi 3, 4 e 5; art. 146, commi 5 e 6; art. 155, comma 2-bis; art. 159, comma 6): la quale ultima deve essere organizzativamente posta, nel Comune, in condizione di non subire incidenze gerarchiche o condizionamenti di sorta. In relazione alla differenziazione imposta dall'art. 146, comma 6, d.lg. n. 42/2004, va assicurata sia la sussistenza di un adeguato livello tecnico scientifico sia la separazione organizzativa suddetta.
5.4 Peraltro, anche a fronte delle consolidate difficoltà organizzative che hanno portato ad esempio all’unione dei comuni per lo svolgimento delle relative funzioni, in assenza della necessaria formalizzazione di una incompatibilità soggettiva, ciò che deve essere assicurato è la sussistenza di un adeguato livello tecnico scientifico nonché la differenziazione oggettiva di valutazione e della relativa attività.
E’ evidente che tale differenziazione sia meglio perseguibile in caso di divaricazione soggettiva dei soggetti titolari delle rispettive competenze; tuttavia, in assenza di una specifica regola di incompatibilità soggettiva si impone un’esegesi conforme all’autonomia ed alle carenze organizzative dei Comuni, salva ovviamente, a valle, l’attenta analisi delle censure dedotte avverso il provvedimento conclusivo e l’iter istruttorio, al fine di verificare la sussistenza nella specie delle adeguate cognizioni, della autonoma valutazione e della specifica esplicazione delle ragioni sottese alla decisione amministrativa, che la giurisprudenza impone sia per l’accoglimento del progetto che per il diniego.
5.5 Invero, in linea generale, in assenza di una specifica tipologia di incompatibilità, prevale l’autonomia delle attività e delle valutazioni, garantita dal diverso iter procedimentale nonché dai diversi presupposti oggetto di esame. Pertanto, a fronte di una valutazione basata su tali differenti presupposti (per un verso urbanistico edilizi e per l’altro di compatibilità rispetto al vincolo paesaggistico esistente) nonché di iter presso organi anche consultivi diversi, ed in assenza di specifici elementi da cui desumere una specifica incompatibilità, non è possibile inferire automaticamente che la stessa persona non possa partecipare, laddove ne abbia le competenze, a differenti valutazioni. E’ pur vero che proprio la diversità di valutazioni renderebbe opportuno, nell’interesse della stessa amministrazione, la divaricazione soggettiva dei funzionari responsabili; peraltro, la scarsità di risorse degli enti locali, specie di piccole dimensioni, rende di non facile raggiungimento tale auspicabile obiettivo; anche su tali considerazioni si fonda, presumibilmente, la stessa formulazione della norma invocata, che parla di garantire la differenziazione di attività. Ciò non toglie che il sindacato delle diverse valutazioni debba essere svolto con i dovuti specifici approfondimenti, pur nell’identità del progetto, distinguendo i presupposti di ammissibilità edilizia da quelli, ben distinti, della compatibilità col vincolo paesaggistico.
5.6 E’ in tale contesto che va quindi interpretata la norma invocata, la quale, in termini di indicazione programmatoria a monte, prevede che “gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia”.
5.7 In assenza della necessaria formalizzazione di una incompatibilità soggettiva, ciò che deve essere assicurato è la sussistenza di un adeguato livello tecnico scientifico nonché la differenziazione oggettiva di valutazione e della relativa attività. E’ evidente che tale differenziazione sia meglio perseguibile in caso di divaricazione soggettiva dei soggetti titolari delle rispettive competenze; tuttavia, in assenza di una specifica regola di incompatibilità soggettiva si impone un’esegesi conforme all’autonomia ed alle carenze organizzative dei Comuni, salva ovviamente, a valle, l’attenta analisi delle censure dedotte avverso il provvedimento conclusivo e l’iter istruttorio, al fine di verificare la sussistenza nella specie delle adeguate cognizioni, della autonoma valutazione e della specifica esplicazione delle ragioni sottese alla decisione amministrativa, che la giurisprudenza impone sia per l’accoglimento del progetto che per il diniego.
5.8 In tale contesto, la disposizione invocata col motivo in esame – come emerge dalla sua stessa formulazione - è nata all’evidenza come norma di carattere programmatorio, il cui destinatario primario è la Regione la quale, nel valutare la tipologia di organo cui eventualmente delegare la funzione in parola, deve valutare gli elementi indicati dal legislatore; al riguardo, è possibile, come fatto in altre in altre Regioni, individuare elenchi di comuni aventi le necessarie caratteristiche, ovvero incentivare forme di associazione e cooperazione fra comuni per l’esercizio di tale funzione. Nel caso in esame, in assenza di tali adempimenti regionali, valgono le considerazioni predette, non potendo farsi cadere a carico dei singoli comuni, in termini di illegittimità di singoli atti per mera incompatibilità soggettiva, una previsione programmatoria quale quella invocata.
6. Passando all’esame dei motivi di primo grado ricevibili, reiterati con i primi due motivi di appello principale, in relazione ad entrambi si pone la questione concernente la verifica della consistenza e della eventuale sussistenza dell’elemento – ostativo al rilascio della sanatoria paesaggistica – concernente l’incremento di superficie utile.
6.1 In proposito, giova ribadire che il rinvio ai concetti di volumetria e superficie utile, di cui all'art. 167, comma 4, d.lg. n. 42/2004, per cui l'autorità preposta alla gestione del vincolo nei casi indicati accerta la compatibilità paesaggistica, deve interpretarsi nel senso di un rinvio, in via primaria, al significato tecnico - giuridico che tali concetti hanno in materia urbanistico - edilizia, in quanto si tratta di nozioni tecniche non specificate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, bensì dalla normativa urbanistico - edilizia. In tema di compatibilità paesaggistica, anche ai fini di certezza del diritto, non può ritenersi ammissibile che, in ambito paesaggistico ex art. 167 d.lg. n. 42/2004, il concetto di superficie utile possa avere un significato diverso e più ampio rispetto a quello utilizzato nella materia urbanistica ed edilizia, tale da ricomprendervi sempre e comunque superfici calpestabili esterne (cfr. ad es. Consiglio di Stato , sez. VI , 17/03/2022 , n. 1932). Ad esempio, il mero ampliamento di superfici esterne accessorie, qualificabili come balconi, ballatoi o terrazze, non costituisce da sé solo motivo ostativo all'avvio del procedimento volto al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica postuma, atteso che l’art. 167 del d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 annovera — tra le cause ostative alla sanatoria — la creazione delle sole superfici utili e non anche delle superfici accessorie (cfr. ad es. Consiglio di Stato , sez. VI , 26/04/2021 , n. 3352).
7. Applicando tali coordinate alla presente fattispecie, con riferimento alla “copertura della pergola”, va condivisa la conclusione del Tar, dovendosi ritenere, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, che, nel caso di specie, non sono stati create nuove superfici utili o volumi, posto che non si tratta di una veranda, bensì di una tettoia coperta, avuto riguardo alla quale l’unica novità rispetto alla situazione pregressa è l’inserimento di una perlina di legno sotto le canne, per cui non può ritenersi realizzato alcuna nuova superficie utile o volume.
7.1 Pertanto il primo motivo di appello va respinto.
8. A diverse conclusioni deve giungersi in ordine al secondo motivo, concernente i lavori realizzati su di una veranda, già autorizzata e posta sul lato monte, della superficie di 14,30 mq. La relazione tecnica allegata alla domanda spiegava che nella veranda coperta lato ingresso “sono stati realizzati dei piani in muratura (vedi documentazione fotografica), un piccolo ampliamento in lunghezza della veranda coperta e l’arretramento della porzione di muro esterno, con conseguente diminuzione dei volumi”.
8.1 Invero, contrariamente a quanto prospettato dal Tar, è rilevabile un incremento sia di volume che di superficie utile, in quanto risultano essere stati introdotti elementi non solo di copertura più solida e chiusura più ampi ed esclusivi di prima, tali da favorire la permanenza e lo sfruttamento residenziale, ma anche sedute ed elementi di cucina (lavandino ecc.) tali da trasformare la sfruttabilità del volume e della superficie, rendendoli quindi utili ed utilizzabili in termini ben più ampi rispetto al pregresso. In definitiva, la quasi totale chiusura della veranda e la relativa dotazione di impianti ed allacci, ha comportato un incremento di volume e di superfici utili, non ammessi alla sanatoria paesaggistica secondo la disciplina legislativa.
9. Alla luce delle considerazioni che precedono: va accolto l’appello incidentale nei termini predetti; va accolto l’appello principale limitatamente al secondo motivo di appello; per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso originario va accolto limitatamente alla veranda posta a lato monte, respinto nel resto del ricorso principale e con declaratoria di irricevibilità dei motivi aggiunti.
Sussistono giusti motivi, anche a fronte della soccombenza reciproca, per compensare le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto: accoglie l’appello incidentale in parte qua e per l’effetto in riforma della sentenza impugnata, dichiara irricevibili i motivi aggiunti ed infondato il vizio accolto in primo grado; accoglie l’appello principale in merito al solo secondo motivo e per l’effetto accoglie il ricorso di primo grado in parte qua, limitatamente alla veranda a monte; respinge l’appello principale nei restanti motivi
Spese compensate del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Davide Ponte, Consigliere, Estensore
Lorenzo Cordi', Consigliere
Roberta Ravasio, Consigliere
Stefano Lorenzo Vitale, Consigliere