Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1994, del 18 aprile 2014
Urbanistica.Acquisizione gratuita immobile abusivo sottoposto a sequestro penale
L'esistenza di un sequestro penale sul manufatto abusivo oggetto d’ingiunzione comunale di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi, non determina la sospensione del termine di novanta giorni, il cui decorso comporta, in caso d’inottemperanza, l'acquisizione gratuita di diritto al patrimonio del comune ex art. 31 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380: infatti il sequestro non rientra tra gli impedimenti assoluti che non consentono di dare esecuzione all'ingiunzione, atteso il disposto dell'art. 85 disp. att. c.p.p. Non esiste alcun principio di preferenza per il mantenimento dell’abuso del privato, in quanto al contrario l’art. 9 Cost., considera la “tutela del paesaggio della Repubblica” come un valore fondamentale della nazione ed un bene “primario” ed assoluto”. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 01994/2014REG.PROV.COLL.
N. 00137/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 137 del 2009, proposto da:
Montaldo Elisabetta, rappresentata e difesa dagli avv. Alfredo Contieri, Gennaro Macri, con domicilio eletto presso Studio De Cilla-Napolitano in Roma, via Zara, 16;
contro
Comune di Procida;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE VI n. 08851/2008, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 febbraio 2014 il Cons. Umberto Realfonzo e udito per la parte appellante l’avvocato Alfredo Contieri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il presente gravame l’appellante impugna la sentenza con cui il TAR ha respinto la sua richiesta di annullamento dell’ordinanza n. 40 del 13 marzo 2008 di ingiunzione alla demolizione di un manufatto della superficie complessiva di 27 metri quadrati, abusivamente realizzato nel Comune di Procida, con l’avvertimento che, in caso di inottemperanza all’ordine impartito, lo stesso Comune procederà all’acquisizione gratuita dell’immobile, dell’area di sedime e di un’area pari a 260 metri quadrati circa.
L'appello è affidato alla denuncia di quattro rubriche di gravame relative alla violazione dell'articolo 112 del c.p.c., agli errori di istruttoria, alla violazione dell'articolo 33 comma 2º del d.p.r. 380/2001 ed al travisamento difetto dei presupposti.
La sezione con ordinanza n. 1389/2009 ha in parte accolto l'istanza di sospensione cautelare del provvedimento.
Il Comune di Procida non si è costituito in giudizio.
Chiamata all'udienza pubblica, uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.
L’appello è infondato.
___ 1. Per ragioni di economia espositiva i primi due motivi di gravame devono essere confutati unitariamente.
___ 1.1. Con il primo profilo il Tar Campania avrebbe erroneamente pronunciato al di là di ciò che era postulato: avrebbe esteso gli effetti del decreto impugnato non solo alla parte della costruzione abusivamente realizzata, ma anche alla parte per cui sarebbe esistito un titolo e che non sarebbe stata sanzionata dall'ordinanza di demolizione. Dallo stesso rapporto della Polizia Municipale, le opere che erano state eseguite in assenza del titolo abilitativo, sarebbero consistite in “ampliamento di un comodo rurale preesistente e la parte in dispositivo avrebbe specificato la demolizione “delle opere abusive descritte in narrativa”. Il Tar Campania, travisando quindi i presupposti di fatto, avrebbe esteso la natura abusiva all'intero fabbricato, violando l'articolo 112 del codice di procedura civile.
___ 1.2. La sentenza impugnata non avrebbe poi esaminato la censura, diffusamente esposta del primo motivo di ricorso, per cui il Comune, considerata l'impraticabilità della demolizione del fabbricato, avrebbe dovuto adottare, in alternativa ad essa, la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 33, comma 2 del d.p.r. n. 380/2001. Peraltro non sarebbero stati messi in discussione gli 11 mq preesistenti all'ampliamento, tantomeno il Comune che nel 2001 aveva assentito alla d.i.a. per i lavori di consolidamento e sostituzione del solaio. Il TAR, erroneamente, avrebbe ritenuto la d.i.a. insufficiente a dimostrare la preesistenza del fabbricato ed avrebbe concluso per la totale abusività del fabbricato in relazione al fatto che, nel predetto verbale dei VV.UU. sarebbe stato specificato che il comodo rurale “…risulta nella planimetria catastale ma non è riportato del titolo di proprietà”. La risalenza del “comodo” più antico al momento anteriore all'entrata in vigore della legge n. 765/1967 sarebbe dimostrata, tra l’altro, dalle foto e da un rilievo aereo-fotogrammetrico dell'Istituto militare del 15 ottobre 1966 da cui sarebbe risultata la presenza di un “fabbricato rurale” sulla predetta particella.
___ 1.3. Entrambi gli assunti vanno complessivamente respinti.
Quanto al primo motivo, si deve escludere che vi sia stata una violazione dell’art. 112. c.p.c. in quanto, contrariamente a quanto vorrebbe la ricorrente, ai fini del presente giudizio appare decisivo il fatto che il presunto “rustico agricolo”, del tutto singolarmente, non fosse riportato nel titolo di proprietà del 20 novembre 2001: per comune esperienza, gli atti di trasferimento sono in genere molto puntuali nel descrivere gli immobili e le loro pertinenze, specie nelle realtà sottoposte a vincoli ambientali e paesaggistici quali quelle come il Comune di Procida.
Contrariamente a quanto affermato nel secondo motivo non è stato poi fornito alcun elemento diretto a suffragare la pretesa precedente esistenza del rustico di 11 mq che, del resto, la stessa ricorrente assume genericamente essere “stato demolito e ricostruito” come si potrebbe ricavare dai “documenti fotografici degli anni 60 e da dichiarazioni dei testimoni diretti ad affermare l'esistenza del fabbricato prima del 1967”.
Si deve ricordare infatti che le mappe catastali costituiscono sempre un elemento probatorio generico e di carattere sussidiario, al quale si può ricorrere solo nei casi di obiettiva e assoluta mancanza di altri elementi. Nel caso, rispetto al contenuto degli atti di cessione, le risultanze catastali, peraltro risalenti nel tempo e di epoca imprecisata, non assumono una rilevanza probatoria: esse -- a tutto voler concedere -- potrebbero essere riferite ad un “comodo rurale” di dimensioni inapprezzate, demolito da tempo e certamente non in essere al momento della donazione del terreno all’appellante, per cui l’attendibilità del Catasto al riguardo risulta comunque inidonea.
Della documentazione che proverebbe la preesistenza “del comodo rurale”, nulla è stato prodotto in giudizio dall’appellante: al fine del sostegno delle sue tesi, non risulta utile la generica affermazione circa la preesistente presenza del predetto rustico in un rilievo aereo fotogrammetrico, nelle foto dell’epoca o in non meglio specificate dichiarazioni di testi.
Né un maggior rilievo probatorio potrebbe comunque avere in tal senso la dichiarazione di inizio attività, in quanto il predetto rustico – così come tutte le opere realizzate senza il prescritto titolo prima dell'entrata in vigore della legge n. 10 del 1977 e non sanate – avrebbe comunque dovuto esser oggetto della legge 28 febbraio 1985 n. 47 ai sensi degli artt. 33 e 40, primo comma: ciò in quanto il terreno in questione – di soli 286 mq. e sito in v. Vittorio Emanuele n. 94 – è posto in pieno centro storico del comune di Procida sul cui territorio sono notoriamente in vigore: - i Piani Territoriali Paesistici (PTP) redatti ex legge 431/85 articolo 1 bis) e del T. u. sui BB.CC.AA.; - il Piano Paesistico dell’Isola di Procida redatto precedentemente alla legge n.431 del 1985; - il Piano Urbanistico Territoriale dell’area sorrentino- amalfitana (PUT), approvato ai sensi della L.431/85, con la L.R. n.35/87 e succ. mod. ed int. .
In conseguenza di quanto affermato in precedenza non vi sono dubbi circa la legittimità di un provvedimento, a carattere vincolato, di demolizione di un’edificazione realizzata del tutto abusivamente in zona vincolata.
Nel caso di un abuso edilizio progressivo, la circostanza che una parte del manufatto -- che comunque realizzato senza che sia stato fornito un legittimo titolo -- fosse risalente nel tempo è infatti giuridicamente irrilevante dato che l'abuso edilizio costituisce un illecito permanente (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 27 dicembre 2011 n. 6873).
In considerazione dell’assenza della prova della preesistenza e della legittimità del preteso rustico e del fatto che non si ravvisa alcuna impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi, in relazione alle dimensioni della costruzione, deve essere disattesa la pretesa sussistenza dei presupposti di diritto che giustificano l’applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 33, comma 2 del d.p.r. n. 380/2001. Non esiste alcun principio di preferenza per il mantenimento dell’abuso del privato, in quanto al contrario l’art. 9 Cost., considera la “tutela del paesaggio della Repubblica” come un valore fondamentale della nazione (cfr. Corte Cost., 7 novembre 1994, n. 379) ed un bene “primario” ed assoluto” (Corte Cost., 5 maggio 2006, nn. 182, 183).
Ha dunque ragione il TAR quando sottolinea che la risalenza del rustico “… a data anteriore all’entrata in vigore della legge 765/67 non è alcun modo dimostrata” e che “… alla luce della natura abusiva dell’intero fabbricato, del pari legittimo si presenta il riferimento all’acquisizione gratuita di un’area di 260 metri quadrati, addirittura inferiore a dieci volte la superficie utile abusivamente costruita, come consentito dall’art. 31, comma 3°, del d.P.R. 38072001”.
Entrambi i motivi vanno dunque respinti.
___ 3. Erroneamente il TAR non avrebbe considerato la censura per cui la successiva domanda di sanatoria, del 3.4.2008, avrebbe precluso al Comune la possibilità di portare ad esecuzione il provvedimento sanzionatorio prima del decorso del termine di legge. Ciò avrebbe dovuto comportare la previa necessaria formazione di un provvedimento esplicito il quale avrebbe reso inefficace il provvedimento oggetto di impugnativa.
L’assunto è infondato.
In primo luogo si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 36, 3 co del D.P.R. 06 giugno 2001 n. 380, “Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata.” Pertanto, nel caso, l’istanza di conformità era stata presentata il 30.4.2008, ed alla data di introduzione del presente appello il termine dei 60 gg. di cui sopra era ampiamente decorso.
Si era comunque formato il silenzio-rigetto sull’istanza di sanatoria di cui sopra che, non risultando tempestivamente gravato in prime cure, risulta allo stato inoppugnabile.
Anche a voler prescindere dal rilievo che precede, si deve ricordare che, nell'ambito di un procedimento amministrativo per la demolizione di opere abusive, non è affatto necessaria la rinnovazione dell'ingiunzione originaria a fronte della domanda di accertamento in conformità: nessuna norma, infatti, prevede il venir meno dell'efficacia dell'ordine di demolizione (cfr. Consiglio Stato sez. V 09 maggio 2006 n. 2562).
Il sopravvenire del silenzio rigetto dell’istanza comporta la formazione di un provvedimento di rigetto che consolida l'abusività dell'opera e che non dà luogo ad alcuna modificazione sostanziale della preesistente realtà giuridica: detto silenzio, quindi, costituisce un tipico atto conformativo del precedente provvedimento sanzionatorio (cfr. . Consiglio Stato sez. IV 8 maggio 2013 n. 2484).
In definitiva, la mera presentazione dell’istanza di accertamento di conformità né implica l’automatica decadenza del provvedimento sanzionatorio, né costituisce un fatto idoneo a rendere perpetuamente inefficace l’originario provvedimento di demolizione .
In assenza di un’esplicita indicazione legislativa, per poter affermare l’inefficacia sopravvenuta delle ordinanze sul piano procedimentale sarebbe stato necessario un provvedimento favorevole sull’istanza di sanatoria.
Di qui l’infondatezza del terzo motivo.
___ 4. Il TAR non avrebbe poi considerato che la sottoposizione del manufatto a sequestro penale avrebbe impedito all'appellante di attuare la demolizione, in contrasto con alcuni precedenti giurisprudenziali.
Al contrario, si ricorda che il sequestro non costituisce un impedimento assoluto all’esecuzione dell’ingiunzione di demolizione in quanto l'art. 85 disp. att. c.p.p. prevede che le cose sequestrate possono, mediante domanda alla competente A.G., essere restituite – previa esecuzione di specifiche prescrizioni dell’A.G. e salvo il versamento di un’idonea cauzione imposta ai sensi dell’art. 2621 c.p.p. a garanzia dell’esecuzione delle prescrizioni nel termine stabilito.
L'esistenza di un sequestro penale sul manufatto abusivo oggetto di ingiunzione comunale di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi, non determina la sospensione del termine di novanta giorni, il cui decorso comporta, in caso di inottemperanza, l'acquisizione gratuita di diritto al patrimonio del comune ex art. 31 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380: infatti il sequestro non rientra tra gli impedimenti assoluti che non consentono di dare esecuzione all'ingiunzione, atteso il disposto dell'art. 85 disp. att. c.p.p. (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 08 maggio 2013 n. 2484; Consiglio di Stato sez. VI 09/07/2013 n.3626; Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd. 18 settembre 2012 n. 768).
L’interessata avrebbe dunque potuto, e dovuto, attivarsi positivamente al fine di rimuovere l’abuso realizzato in violazione del vincolo paesaggistico, per cui il provvedimento di sequestro penale a nulla rilevava sul piano della legittimità del provvedimento di demolizione (cfr. Consiglio di Stato Par. sez. I 30/01/2014 n.1804).
___ 5. In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto; la sentenza impugnata deve essere integralmente confermata sia pure con le integrazioni di cui in motivazione.
In relazione alla mancata costituzione del Comune di Procida Ritenuto non vi è luogo a pronuncia sulle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:
___ 1. respinge l’appello come in epigrafe proposto nei sensi di cui in motivazione
___ 2. Nulla per le spese .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/04/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)