Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3127, del 7 giugno 2013
Urbanistica.Intervento di restauro e risanamento conservativo gratuito, con parziale cambio di destinazione
L’intervento di restauro e risanamento conservativo con parziale cambio di destinazione d’uso da attività produttiva (produzione di contenitori di latta) ad attività (commerciale) a parcheggio per auto, rientra nella fattispecie di cui all’art. 31, lett. c, della l. n. 457/1978, cui consegue l’assoggettamento al regime autorizzativo ai sensi dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 9/1982. Quanto all’interpretazione restrittiva dell’art. 7, comma 1, della l. 25 marzo 1982 n. 94, secondo cui il regime dell’autorizzazione gratuita sarebbe limitato agli interventi di risanamento conservativo concernenti immobili ad uso abitativo, essa è in contrasto con la giurisprudenza consolidata, che ha dato alla norma un’interpretazione estensiva. Non esiste nell’ordinamento statale alcuna norma che imponga, seppure al solo fine del calcolo del contributo, di considerare “ristrutturazione edilizia” il mutamento di destinazione d’uso con opere. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 03127/2013REG.PROV.COLL.
N. 08013/2001 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8013 del 2001, proposto da:
Comune di Genova, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Gabriele Pafundi e Edda Odone, con domicilio eletto presso Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, 14/4 scala A;
contro
La Palma s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Gerbi e Ludovico Villani, con domicilio eletto presso Ludovico Villani in Roma, via Asiago, 8;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LIGURIA, SEZIONE PRIMA, n. 567/2000, resa tra le parti, concernente concessione edilizia a sanatoria.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2013 il Consigliere Doris Durante;
Uditi per le parti gli avvocati Pafundi e Villani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- La società La Palma, proprietaria di alcuni locali in Genova - Sampierdarena, al piano terra e al primo piano del fabbricato al civico 12 Er di via Giovan Battista Cassini, destinati ad uso produttivo “opifici” (catg. D/1) e ricadenti in area destinata a “insediamenti commerciali e direzionali” - Zona A (ZA - CD) del piano regolatore generale, volendo utilizzare i vani di piano terra per attività commerciale, precisamente per il commercio di ricambi per auto, e quelli al primo piano per autorimessa aperta al pubblico, previa comunicazione al Comune, effettuava i lavori di sistemazione, consistenti nell’allargamento di alcuni varchi murari e nella realizzazione di una rampa carrabile collegante il piano terra con il primo piano, in sostituzione di una scala pedonale ed iniziava l’esercizio dell’attività, affidandone la gestione alla società D.E.P.A..
In data 28 gennaio 1991, a seguito di accertamento e contestazione di abusi edilizi, la società presentava istanza per il rilascio di titolo abilitativo in sanatoria ex art. 13, della legge n. 47 del 1985 ed il Comune ne subordinava il rilascio al versamento integrale della somma di lire 150.427.020 (pari al doppio della somma dovuta per oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e costo di costruzione), da pagarsi a titolo di oblazione ai sensi dell’art. 13, comma 3, l. n. 47 del 1985.
Veniva, quindi, rilasciata in data 17 novembre 1997 concessione in sanatoria, dandosi atto che l’intervento era qualificato come “restauro e risanamento conservativo” siccome caratterizzato da un mutamento di destinazione d’uso entro il 25% della superficie lorda complessiva ai sensi dell’art. 74.07 delle norme di attuazione (N.A.) del vigente piano regolatore generale (PRG)(Modo A2).
2.- La società La Palma con ricorso al TAR Liguria sosteneva la non debenza di quanto richiesto dal Comune a titolo di contributo di costo di costruzione e oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e chiedeva la condanna del Comune alla restituzione di quanto pagato per i suddetti titoli.
Il ricorso era articolato su cinque motivi:
violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del d. l. n. 9 del 1982 convertito nella l. n. 94 del 1982, trattandosi di intervento soggetto ad autorizzazione gratuita e non a concessione onerosa;
violazione dell’art. 13, comma 3, della l. 28 febbraio 1985, n. 47 con riferimento agli artt. 3, 5, 6 e 10 della l. n. 10 del 1977;
violazione, sotto il profilo del difetto di motivazione, dell’art. 13, comma 3, della l. 28 febbraio 1985, n. 47 con riferimento agli artt. 3, 5, 6 e 10 della l. n. 10 del 1977;
violazione dell’art. 13, comma 3, della l. 28 febbraio 1985, n. 47 con riferimento all’art. 31, della l. n. 457 del 1978;
violazione dell’art. 13, comma 3, della l. 28 gennaio 1977, n. 10 ed eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto dei presupposti e carenza di motivazione.
Si costituiva in giudizio il Comune di Genova che chiedeva il rigetto del ricorso.
3.- Il TAR Liguria, sezione prima, con sentenza n. 567 del 22 maggio 2000, accoglieva il ricorso sul primo motivo, assorbiti tutti gli altri, e dichiarava che nessun contributo di concessione era dovuto in relazione all’intervento edilizio, essendo assoggettato ad autorizzazione e come tale disciplinato dal comma 5 dell’art.13, della l. n. 47 del 1985. Condannava in conseguenza l’amministrazione comunale alla restituzione delle somme pagate a titolo di oblazione salvo conguaglio con quanto effettivamente dovuto ai sensi del comma 5 dell’art. 13, l. n. 47/85.
4.- Il Comune di Genova con ricorso notificato il 5 luglio 2001 ha proposto appello avverso la suddetta sentenza di cui chiede l’annullamento o la riforma alla stregua dei seguenti motivi:
carenza di adeguata istruttoria e di motivazione; erronea rappresentazione dei presupposti; omessa valutazione del contenuto del provvedimento impugnato ed illogicità; omessa valutazione di un punto decisivo della controversia;
erronea interpretazione e falsa applicazione dell’art. 7, l. n. 94 del 1982, in relazione all’art. 31, lettere b) e c), della l. n. 457 del 1978, in quanto il regime dell’autorizzazione gratuita sarebbe limitato agli interventi di restauro e di risanamento conservativo su immobili adibiti ad uso abitativo e non a quelli adibiti ad uso diverso dall’abitazione.
Si costituiva in giudizio la società “La Palma” s.r.l. che chiedeva il rigetto dell’appello e riproponeva i motivi del ricorso di primo grado non esaminati in tale sede.
Le parti depositavano memorie difensive e di replica e, alla pubblica udienza del 22 marzo 2013, il giudizio è stato assunto in decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato e va respinto.
1.- La questione controversa attiene alla debenza da parte della società La Palma della somma di lire 150.427.020 chiesta dal Comune di Genova con nota n. 4698 del 16 aprile 1993, per il rilascio della concessione a mantenere in sanatoria taluni interventi integrativi modificativi eseguiti dalla società nello stabile alla via Cassini 12 Er in Genova – Sampierdarena ed alla conseguente restituzione di quanto dalla società già pagato.
2.- Il Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria con la sentenza impugnata ha accolto il ricorso della società La Palma sui primi due motivi di ricorso e ha dichiarato che nessun contributo concessorio è dovuto dalla ricorrente in relazione a interventi oggetto di sanatoria, essendo l’intervento assoggettato ad autorizzazione ex art. 13, comma 5, l. n. 47/1985, condannando il Comune alla restituzione alla società delle somme corrisposte per il suddetto titolo.
In particolare, il TAR, in accoglimento del primo motivo di ricorso, affermava che risultava “incontroverso… che le opere …integrino un intervento di restauro e risanamento conservativo con parziale cambio di destinazione d’uso da attività produttiva ad attività commerciale” e che siffatto intervento è soggetto al regime dell’autorizzazione gratuita ex art. 7 l. n. 94/1982, anche se non ha carattere strettamente residenziale. Così che esso è disciplinato dal comma 5 e non dal comma 3 dell’art. 13 l. n. 47/1985.
3.- Con il primo motivo di appello il Comune di Genova assume che quanto detto dal TAR non è corretto, perché non terrebbe conto del fatto che l’intervento, ancorché riconducibile, quanto alla portata, alla fattispecie del restauro e risanamento conservativo, avendo determinato un mutamento di destinazione d’uso, con destinazione ad attività commerciale (rimessaggio per auto) dei locali dove in precedenza veniva esercitata un’attività produttiva (produzione di contenitori in latta), sarebbe da ricondurre alla tipologia della ristrutturazione edilizia ai fini degli oneri concessori. Pertanto, il Comune non poteva che applicare le tabelle regionali con riferimento alla tipologia comportante il mutamento di destinazione d’uso, il cui importo, trattandosi di concessione in sanatoria, veniva raddoppiato ai sensi dell’art. 13, comma 3, l. n. 47 del 1985.
4.- L’assunto del Comune non può essere condiviso.
Esso appare fondato sull’assioma che un intervento edilizio sull’esistente, solo perché comporti cambio di destinazione d’uso, sia da equiparare ai fini del contributo di concessione alla “ristrutturazione edilizia”.
Invero, non esiste nell’ordinamento statale o regionale alcuna norma che imponga, seppure al solo fine del calcolo del contributo, di considerare “ristrutturazione edilizia” il mutamento di destinazione d’uso con opere.
Quanto alla deliberazione del consiglio regionale n. 150 del 15 giugno 1977, con cui la Regione Liguria aveva approvato le tabelle parametriche per la determinazione degli oneri di urbanizzazione, che prevede “nel caso di interventi su edifici esistenti che comportino mutamento della destinazione d’uso” che “gli stessi vengono assoggettati agli oneri previsti dalle allegate tabelle per la nuova destinazione d’uso sotto la voce “ristrutturazioni”, non può che riferirsi alle ipotesi di interventi edilizi già soggetti per legge a concessione a titolo oneroso, non essendo possibile in base alla gerarchia delle fonti che un atto amministrativo deroghi alla disciplina di fonte primaria.
5.- La questione va quindi risolta esclusivamente con riferimento alla legge ed in particolare al combinato disposto dell’art. 31, lett. c, della l. n. 457/1978 e dell’art. 7, della l. n. 94 del 1982.
Secondo la prospettazione del Comune, l’interpretazione letterale dell’art. 7, della l. n. 94 del 1982, ne consentirebbe l’applicazione solo agli immobili adibiti ad uso abitativo.
La doglianza è infondata.
L’intervento di cui trattasi [restauro e risanamento conservativo con parziale cambio di destinazione d’uso da attività produttiva (produzione di contenitori di latta) ad attività (commerciale) a parcheggio per auto] rientra nella fattispecie di cui all’art. 31, lett. c, della l. n. 457/1978, cui consegue l’assoggettamento al regime autorizzativo ai sensi dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 9/1982 (“…alle opere di recupero abitativo di edifici preesistenti di cui alle lettere b) e c) dell'articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, si applicano le disposizioni dell'articolo 48 della legge medesima”).
Quanto all’interpretazione restrittiva dell’art. 7, comma 1, della l. 25 marzo 1982 n. 94, secondo cui il regime dell’autorizzazione gratuita sarebbe limitato agli interventi di risanamento conservativo concernenti immobili ad uso abitativo, essa è in contrasto con la giurisprudenza consolidata (Consiglio Stato, sez. V, 24 luglio 1993, n. 799; 21 dicembre 1992, n. 1547; 27 novembre 1990, n. 695), che ha dato alla norma un’interpretazione estensiva.
La norma in questione (art. 7, d.l. n. 9 del 1982) è, quindi, da intendere come estensiva del regime autorizzatorio gratuito anche agli interventi di restauro e risanamento conservativo [così come definiti dall’art. 31 lettera c), l. n. 457 del 1978], siano essi afferenti ad edifici residenziali in senso stretto ovvero ad edifici non residenziali, ma comunque idonei allo svolgimento di attività umane, in quanto il concetto di <recupero abitativo>, nel sistema della cennata legge n. 457 del 1978, non induce ad accogliere soluzioni restrittive.
Invero, l’art. 7 della più volte citata l. n. 94 del 1982, limitandosi a richiamare “le opere di recupero abitativo di edifici preesistenti di cui alle lettere b) e c) dell’art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457”, non ha letteralmente creato preclusioni interpretative, tenuto conto che il concetto giuridico di recupero del patrimonio edilizio esistente, di cui al titolo IV della legge del 1978 citata, può ben più in generale comprendere quello del patrimonio edilizio esistente, anche di tipo non strettamente residenziale.
Né la intitolazione della legge (“norme per l’edilizia residenziale e provvidenze in materia di sfratti”) può di per sé indurre ad un’interpretazione restrittiva, così come prospettato dall’Amministrazione nella memoria difensiva.
Al di là della sua invero infelice collocazione - infatti, l’art. 7, piuttosto che dettare specifiche norme per l’edilizia residenziale e provvidenze in materia di sfratti, interviene sul complessivo sistema degli interventi edilizi, precisando quali di questi, per la loro minore incidenza, debbano essere espunti dal generale regime concessorio oneroso, per essere assoggettati a quello autorizzatorio gratuito o addirittura sottratti a qualsiasi controllo preventivo da parte della pubblica amministrazione, in disparte la considerazione che l’autorimessa è soggetta a norme di favore in base alla l. n. 122 del 1989 (c.d. legge Tognoli), comportando una diminuzione del carico urbanistico e che non è concettualmente catalogabile come mutamento di destinazione d’uso – è permessa un’utilizzazione dell’immobile diversa da quella precedente, ma compresa nell’ambito degli usi astrattamente consentiti dal piano regolatore generale per la zona di piano in cui l’immobile ricade.
Sta di fatto che la zona commerciale – direzionale (ZA.CD) del piano regolatore generale di Genova in cui ricade l’immobile in questione consente insediamenti destinati al commercio o ad uffici, sicché l’uso ad attività commerciale in luogo di opificio dell’immobile è privo di incidenza urbanistica, dovendo di conseguenza e per questa sola ragione essere assoggettato al regime autorizzatorio gratuito.
La infondatezza dei motivi dedotti dal Comune comporta il rigetto dell’appello.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)