Cass. Civ. Sez. I sent. 8244 del 7 aprile 2006
Non è possibile ottenere il risarcimento dei danni a seguito di annullamento da parte del giudice amministrativo della revoca della concessione edilizia, qualora risulti che l’attività edilizia era comunque impedita per difetto del prescritto nulla osta paesaggistico
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 17.4.1993, la Aster s.p.a. conveniva in
giudizio il Comune di Alassio davanti al Tribunale di Savona, chiedendone la
condanna al risarcimento per l'illegittima revoca di una licenza edilizia,
annullata dal giudice amministrativo. Assume va la s.p.a. attrice che nel corso
del procedimento per il rilascio del titolo abilitativo alla realizzazione di
centro turistico ricreativo, facendo seguito a comunicazione della
Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici della Liguria, del
19.5.1975, aveva provveduto a integrare gli elaborati progettuali con le
modifiche indicate, inviando (alla sola Soprintendenza, ma non al Comune), la
documentazione aggiuntiva in data 8.7.1975; che l'organo preposto alla tutela
paesaggistica, il 21.8.1975, aveva espresso parere favorevole alla variante
prospettata, comunicandolo alla società interessata ed al Comune; che alla fine
quest'ultimo, in data 10.10.1975, rilasciava la licenza edilizia n. 588. Sulla
base del titolo la Aster dava inizio ai lavori, finché il Comune di Alassio non
lo revocava sul rilievo che il parere soprintendentizio era riferito a progetto
diverso da quello approvato dal Comune. Esponeva ancora la società attrice che
il Consiglio di Stato, in accoglimento di appello proposto contro sentenza del
Tar Liguria, con sentenza n. 777 del 12.9.1992 aveva annullato l'ordinanza di
revoca.
Si costituiva in giudizio il Comune di Alassio, contestando il fondamento della
domanda, di cui chiedeva il rigetto: non era ravvisabile nella specie la
violazione di un diritto soggettivo. Riferiva il convenuto che a seguito della
nota 19.5.1975 con cui la Soprintendenza comunicava che il progetto originario,
da considerare respinto, poteva comunque essere integrato, la Aster aveva
inviato, alla sola Soprintendenza, la documentazione aggiuntiva ed il progetto
di variante, che la Soprintendenza aveva comunicato alla s.p.a. ed al Comune il
proprio parere favorevole, omettendo però di trasmettere al Comune copia del
nuovo progetto, sicché gli organi tecnici non erano stati in grado di rilevare
la differenza progettuale rispetto all'elaborato originariamente presentato e a
suo tempo approvato dalla Commissione edilizia.
Avverso la sentenza di primo grado, che disattese le eccezioni in ordine alla
carenza di legittimazione attiva della Aster s.p.a. e di estraneità all'oggetto
sociale, condannava il Comune al risarcimento, pari a L. 24.000.000 per danno
emergente e L. 258.000.000 per lucro cessante, e rigettava domanda
riconvenzionale, proponeva appello l'amministrazione.
Con sentenza depositata il 19.2.2002, la Corte d'Appello di Genova accoglieva il
gravame e rigettava l'appello incidentale della Aster (divenuta s.r.l.),
osservando, per quanto ancora rileva, che la questione inerente l'illogicità del
nesso eziologico stabilito dal primo giudice tra la perdita delle facoltà
giuridiche conferite dalla licenza edilizia, ed il mancato esercizio
dell'attività commerciale da esercitare nel costruendo immobile, restava
assorbita nella pia generale e radicale portata dell'osservazione per cui
l'avvenuto annullamento giurisdizionale del provvedimento di revoca della
licenza edilizia non ne dimostra va altro che l'illegittimità, mentre non erano
ravvisabili nella fattispecie gli estremi dell'illecito civile: il giudice
amministrativo aveva censurato il provvedimento di ritiro del titolo edilizio,
per non aver compiuto la necessaria valutazione in ordine alla persistenza di un
interesse pubblico all'esercizio del potere di autotutela, senza operare un
bilanciamento con altri interessi e situazioni, sia pure illegittimamente
costituitesi nelle more: non appariva sufficiente a fuorviare le determinazioni
comunali la modifica operata per le sole esigenze paesaggistiche, dato che il
parallelismo tra i controlli di spettanza del Comune e della Soprintendenza
attiene ai diversi e autonomi settori della tutela del paesaggio e
dell'urbanistica, e nella specie non apparivano violazioni di carattere
urbanistico.
L'annullamento della revoca, tuttavia, vale va solo a restituire la società -
secondo il giudice di secondo grado - nella situazione giuridica della quale era
titolare in virtù del provvedimento abilitativo al compimento dell'attività
edilizia, ovvero alla realizzazione del progetto originariamente condiviso dalla
Commissione comunale, che pera aveva trovato il dissenso della Soprintendenza
per la sua contrarietà ai valori ambientali, e non anche all'attività edilizia
attuabile con modalità rispondenti alle modificazioni progettuali, di rilevanza
sostanziale, introdotte in adesione alle indicazioni soprintendentizie, ma non
ancora recepite dal Comune: al fine di realizzare il proprio disegno
costruttivo, sarebbe stato necessario il conseguimento di una variante del
provvedimento comunale, giacché l'eventuale iniziativa in attuazione del titolo
comunale, avrebbe concretato una violazione delle prescrizioni il cui controllo
è demandato alla Soprintendenza. In sintesi, secondo la Corte d'appello, il
fenomeno, oggettivamente dannoso, non appariva risarcibile difettandovi il
connotato dell'ingiustizia.
Ricorre per Cassazione la Aster s.r.l. affidandosi a due motivi, al cui
accoglimento si oppone con contro ricorso il Comune di Alassio, illustrato da
memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, la Aster s.r.l., denunciando violazione e falsa
applicazione dell'art. 112 c.p.c., per avere la Corte d'appello di Genova deciso
su un punto non sollevato dalle parti e non conoscibile d'ufficio, lamenta che
il giudicante ha frainteso l'osservazione dell'appellante per cui "non é
automatico il diritto al risarcimento del danno in seguito all'annullamento di
atto di revoca ritenuto illegittimo di licenza edilizia", per inserire un
diverso aspetto, in realtà non devoluto dal gravame nel thema decidendum.
Il fatto ostativo prospettato nell'impugnazione atteneva semplicemente al
"vincolo di aree", cui l'aspirante alla concessione, in violazione degli
obblighi assunti, non aveva adempiuto, conseguendone il vulnus alla
difesa dell'appellata, che correttamente si era difesa dalla pretesa
applicabilità del principio inadimplenti non est adimplendum, e non anche
su una eccezione surrettiziamente introdotta dal giudice d'ufficio.
Con il secondo motivo di ricorso, la Aster s.r.l., denunciando violazione e
falsa applicazione dell'art. 2043 c.c., difetto e contraddittoria motivazione,
travisamento, censura la sentenza impugnata per aver applicato i principi in
tema di danno ingiusto, conclama ti dalla sentenza Cass. 22.7.1999, n. 500/SU,
giacché nella fattispecie é ben riconoscibile un danno, subito dal titolare di
un diritto soggettivo, che ha conseguito una licenza edilizia, e in particolare,
venuto meno un provvedimento di ritiro della stessa, ha visto riespandersi la
sua posizione giuridica. Il danno è collegato causalmente al comportamento
illegittimo dell'amministrazione, che ha impedito l'attuazione del programma
edilizio racchiuso nella licenza. Con espresso riferimento alle affermazioni del
giudice di appello, ben sussiste il requisito dell'ingiustizia, atteso che
l'assenza di autorizzazione paesaggistica non costituisce requisito di
legittimità o condizione di efficacia del titolo edilizio, trattandosi di
provvedimenti che si pongono su piani di reciproca autonomia, da cui
l'illegittima preclusione frapposta alla società ricorrente all'attività
costruttiva. E ciò anche tenendo conto che la Aster ebbe a procurarsi anche il
nulla osta ambientale, e la difformità tra l'originario progetto, e quello
emendato, erano limitate, sicché anche a voler seguire quest'ultimo, la maggior
parte delle opere rappresentate nella licenza edilizia, erano realizzabili, o
comunque, la s.p.a. sarebbe incorsa in sanzioni per parziale difformità, fatta
salva la possibilità di regolarizzare le difformità in corso d'opera.
Il contegno del Comune è da considerare colposo, radicandosi non già su presunte
violazioni urbanistico edilizie, ma su esigenze paesistiche esulanti dalle
competenze comunali, e comunque ingenerando dopo il rilascio del titolo,
l'affidamento nella legittimità di esso, essendosi rilasciata, il 24.11.1979,
l'autorizzazione a recintare l'area interessata dalla costruzione. Diversamente,
l'amministrazione avrebbe potuto limitarsi a sospendere i lavori per la sola
parte difforme dal progetto comunale assentito, mediante un termine per
regolarizzare la situazione.
L'accoglimento del ricorso per cassazione dovrà condurre anche all'esame
dell'appello incidentale della Aster, rivelandosi inadeguato il calcolo del
lucro cessante.
Il primo motivo infondato.
La ricorrente denuncia che l'atto d'appello non conteneva specifica doglianza in
ordine all'irrisarcibilità del danno, sotto lo specifico profilo
dell'impossibilità di intraprendere comunque l'attività edilizia, essendo da
intendere riferita la contestazione dell'altrui pretesa, all'omessa formale
assunzione, da parte della s.p.a., degli obblighi connessi al rilascio del
titolo abilitativo.
La Corte di cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo,
quale indubbiamente il vizio di ultra o extrapetizione, é anche giudice del
fatto ed ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti di causa (Cass.
23.1.2004, n. 11701 9.2.1999, n. 1108).
Rileggendo l'atto di appello, la conclusione testuale (pag. 33), per cui "non é
automatico il diritto al risarcimento del danno in seguito all'annullamento di
atto di revoca ritenuto illegittimo di licenza edilizia" - il che impone che
"deve essere valutata la reale situazione di fatto, per giudicare se nel
concreto il privato ha subito, per effetto del provvedimento amministrativo
annullato, ingiusti" (pag. 35) -, é sostenuta da una "vasta problematica", di
cui "le ragioni-sono pia d'una" (pag. 34) , e tra queste, oltre alla mancata
stipula dell'atto pubblico contenente le obbligazioni (punto b), compare al
punto a) la constatazione che il Comune avrebbe potuto prendere atto della
diversiti del progetto approvato dalla Soprintendenza, e quindi meglio valutare
l'interesse pubblico ad assumere diverse decisioni amministrative. Inoltre,
all'ampia illustrazione delle inadempienze dell'appellata (pag. 31-3), segue,
con minor diffusività, ma con chiarezza (pag. 33), "altra questione: resta pur
sempre il fatto che il progetto approvato dalla Soprintendenza a in contrasto
con la licenza n. 588. Prendiamo atto che tale contrasto secondo il Cons. Stato
non autorizza la revoca della licenza. Sarà pur sempre necessario coordinare il
contenuto della licenza n. 588 con il progetto approvato dalla Soprintendenza.
Se quanto scriviamo à vero, il risarcimento del danno non é conseguenza
automatica della sentenza del Cons. Stato, in mancanza della volontà della Aster
di riprendere i lavori interrotti".
Anche il secondo motivo é infondato.
La soluzione data dalla Corte d'appello a adeguatamente motivata, oltre che
conforme a diritto.
La ricorrente vanta una posizione dalla stessa definita di diritto soggettivo:
ed a pur vero che la posizione del soggetto che, destinatario di un
provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica soggettiva, pretende che
le facoltà connesse a tale acquisizione non vengano rimosse, é definibile come
interesse di tipo oppositivo, il che, sul piano sostanziale, ben può assimilarsi
ad un diritto soggettivo.
Tale conclusione, peraltro, non sarebbe neppure condizione indispensabile al
riconoscimento dei presupposti per invocare la tutela risarcitoria, giacché il
danno ingiusto é ravvisabile in presenza di lesioni a qualsiasi posizione di
vantaggio, in qualche modo tutelata dall'ordinamento.
E' vero anche che la posizione sostanziale protetta, per la quale il titolare di
una concessione edilizia reagisce a indebite intromissioni dei pubblici poteri
dirette ad ostacolare le facoltà dominicali, attiene ad una delle principali
estrinsecazioni del diritto di proprietà, che è lo ius aedificandi. A
differenza di altri stadi di estrinsecazione del diritto, rispetto ai quali è
stato possibile identificare il consolidamento di situazioni o facoltà
"intermedie" (come nell'ipotesi di acquisizione della qualità edificatoria del
fondo quale stadio preliminare, e autonomo, rispetto al conseguimento del titolo
abilitativo alla costruzione; Cass. 10.1.2003, n. 157), non è dubbio che la
posizione di chi è specificamente autorizzato all'esercizio di una determinata e
specifica attività edificatoria, è commisurabile, ove sia ravvisabile una
lesione, alla stregua della rendita prospettabile in virtù della trasformazione
del suolo.
La ricostruzione che precede subisce una variabile condizionante, ove l'area per
la quale si è conseguito il titolo alla trasformazione edilizia, sia interessata
da altri tipi di vincoli, a tutela di diversi interessi, e tra questi viene in
considerazione il vincolo paesaggistico, che, in via generale, non conferisce al
bene una condizione di intangibilità, ma richiede, a sua volta, un provvedimento
abilitativo che dipende dall'accertamento di non-incompatibilità della
prospettata attività di trasformazione, rispetto all'interesse pubblico
tutelato. Si suole argomentare, correttamente, che in presenza del vincolo
estetico-culturale, l'esercizio dell'attività costruttiva presuppone non solo la
concessione edilizia, di competenza dell'autorità preposta al controllo delle
costruzioni, ma anche il nulla-osta paesaggistico, rimesso, nel corso del tempo
e dell'evoluzione del concetto di tutela dei valori culturali e ambientali, alla
valutazione dell'autorità statale, e successivamente, in via dì delega o, da
ultimo, in virtù di vero e proprio conferimento di funzioni, dell'autorità
regionale, e infine alla stessa autorità comunale per delega della regione.
La necessità di un doppio titolo abilitativo osta ad qualificazione dello ius
aedificandi come facoltà acquisita per effetto del rilascio della
concessione edilizia, ove difetti l'autorizzazione paesaggistica: e viceversa,
ove si sia conseguito il nullaosta da parte dell'autorità preposta alla tutela
del vincolo, il diritto all'attività costruttiva non può dirsi consolidato a
favore del proprietario.
L'autonomia dei due titoli, in nome della quale il giudice amministrativo può
affermare che il mancato rilascio del nullaosta non legittima il Sindaco al
ritiro della concessione edilizia, non toglie che l'inizio dei lavori in zona
paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio di ambedue i titoli.
La revoca della licenza, nella fattispecie all'esame di questa Suprema Corte, ha
bensì privato, illegittimamente, la società proprietaria, del titolo edilizio
all'attività di trasformazione, ma in virtù delle diverse sembianze assunte dal
programma costruttivo, determinate dai rilievi della Soprintendenza, quella
licenza, che era ridivenuta operante a seguito dell'annullamento giurisdizionale
della relativa revoca, non legittimava all'attuazione del programma costruttivo
da essa contemplato, di cui era certa la contrarietà all'ordinamento.
Nessuna utilità, dunque, era riconoscibile al ripristino del titolo pur
illegittimamente revocato dal Sindaco. L'impossibilità di porre in esecuzione
l'iniziativa concepita dal proprietario, per la trasformazione edilizia
finalizzata a rendere possibile l'esercizio di un'intrapresa commerciale di tipo
turistico-ricreativo, non appare dunque riconducibile al provvedimento di revoca
della licenza edilizia, all'oggettiva mancanza dell'unico titolo edilizio
abilitante all'attuazione del programma, che non poteva che essere quello (non
ancora ottenuto) abilitante all'esecuzione del progetto condiviso dalla
Soprintendenza.
Il danno lamentato dalla società ricorrente, e prospettato, quanto al danno
emergente, nei costi di parziale esecuzione dell'opera, e quanto al mancato
guadagno, nella spesa necessaria al completamento, oltre che nel mancato reddito
per l'impossibilità di esercizio dell'attività economica, é indubbiamente
plausibile.
L'illegittimità della revoca della licenza é un dato coperto dal giudicato
amministrativo.
Ma ciò è insufficiente per l'insorgere della responsabilità risarcitoria
dell'amministrazione comunale, difettando, nel danno evidenziato, il carattere
dell'ingiustizia. L'attività edilizia che l'illegittima revoca della licenza di
costruzione avrebbe precluso, era irrealizzabile, perché contra legem.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio, liquidate in E. 6.100, di cui E. 6.000 per onorari, oltre spese
generali e accessori, come per legge.