TAR Toscana Sez. III n. 619 del 30 aprile 2019
Urbanistica.Trasformazione di un locale da esercizio commerciale a ambulatorio medico

La trasformazione di un locale da esercizio commerciale a ambulatorio medico non può comportare il mero restauro o risanamento conservativo, ma impone una serie di modifiche, seppure interne, che determinano la creazione di un organismo nuovo


Pubblicato il 30/04/2019

N. 00619/2019 REG.PROV.COLL.

N. 01754/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1754 del 2009, proposto da
Enrico Lo Torto, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Stancanelli, con domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via Masaccio 172;

contro

Comune di Sesto Fiorentino in persona del Sindaco pro tempore, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Franco Zucchermaglio, domiciliato presso la Segreteria T.A.R. in Firenze, via Ricasoli 40;

per l'annullamento

della comunicazione del Comune di Sesto Fiorentino, S.U.A.P. - Sportello Unico Attività Produttive, prot. n. 34323 del 1.7.2009 (doc. 1) con la quale si è interrotto i termini del procedimento relativo al progetto Busta n. 2009/5285, per la parte in cui si è preteso di qualificare l’intervento quale “ristrutturazione edilizia”; nonché di ogni altro atto presupposto o conseguente se lesivo.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Sesto Fiorentino;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 marzo 2019 il dott. Bernardo Massari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Espone il ricorrente di aver avviato, allo scopo di stabilirvi il proprio ambulatorio di medico odontoiatra, l’acquisito di una unità immobiliare, in precedenza adibita a esercizio commerciale, convenendo con la promissaria acquirente, sig.ra Romana Villoresi, che questa si sarebbe data carico delle formalità necessarie al cambio di destinazione d’uso.

In effetti, la sig.ra Villoresi presentava al Comune di Sesto Fiorentino una D.I.A. per la realizzazione di un intervento per la “trasformazione dell’unità immobiliare da negozio, a gabinetto odontoiatrico, attraverso dall’esecuzione di opere interne” volte a rendere più funzionale il locale alla nuova destinazione, prevedendo altresì l’apertura di due finestre sul retro dell’edificio.

Ritenendo che l’intervento fosse da comprendere all’interno della categoria del “restauro e risanamento conservativo”, veniva predisposto il pagamento dei soli oneri concessori e non anche del costo di costruzione, giacché questo, in forza della L. reg. n. 1/2005, è dovuto solo a partire dalla “ristrutturazione edilizia”.

Con la comunicazione in epigrafe il responsabile del S.U.A.P. del Comune di Sesto Fiorentino interrompeva i termini per la conclusione del procedimento, riqualificando l’intervento “in riferimento alla documentazione presentata dalla S.V. in data 18/06/2009”, quale “ristrutturazione edilizia con cambio di destinazione”.

Il ricorrente, avendo interesse a completare i lavori nel più breve tempo possibile, provvedeva al pagamento di quanto asseritamente dovuto, riservandosi però di ripeterlo nel caso di accertamento che tale voce del contributo concessorio non fosse dovuta, dovendo a suo dire l’intervento da qualificarsi come “restauro e risanamento conservativo”.

Una volta avvenuto il passaggio di proprietà dell’immobile, il dott. Lo Torto impugnava il provvedimento di interruzione dei termini e contestuale qualificazione dell’intervento ritenendo l’inquadramento attribuito dall’amministrazione illegittimo e deducendo:

1. Violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli art. 79 comma 2, lett. c), e 119, comma 2, della L.R. n. 1 del 3.1.2005. Falsa applicazione del combinato disposto degli art. 79 comma 2, lett. d), e 119, comma 2, della L.R. n. 1 del 3.1.2005. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria.

2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. 7.8.1990, n. 241. Eccesso di potere per difetto di motivazione.

Si costituiva in resistenza il Comune di Sesto Fiorentino instando per la reiezione del gravame.

Nella pubblica udienza del 27 marzo 2019 il ricorso veniva trattenuto per la decisione.

DIRITTO

1. Viene impugnato l’atto in epigrafe precisato con cui il Comune di Sesto Fiorentino, interrompendo i termini del procedimento relativo alla DIA n. 2009/5285, qualificava l’intervento proposto dal ricorrente come “ristrutturazione edilizia”, imponendo di conseguenza il pagamento del contributo concessorio.

2. Preliminarmente va esaminata l’eccezione di inammissibilità avanzata dalla difesa del Comune ad avviso del quale l’amministrazione avrebbe proceduto in conformità di quanto dichiarato dallo stesso ricorrente nella DIA e dunque questi non avrebbe interesse a contestare le successive determinazioni dell’amministrazione che a quelle dichiarazioni che classificavano, per l’appunto, l’intervento come “ristrutturazione edilizia”, si è poi attenuta nella determinazione del contributo dovuto.

La tesi non può essere seguita.

La condotta del ricorrente non può infatti essere inequivocabilmente recepita come acquiescente dal momento che, a prescindere dalla giustificazione fornita in sede contenziosa (ossia che la qualificazione di cui si controverte fu modificata solo dopo la presentazione della DIA in esecuzione della comunicazione qui impugnata), il privato conserva sempre l’interesse a vedere riconosciuta, anche attraverso un’azione di accertamento, la possibilità di rettificare quella che non può essere considerata una dichiarazione di natura negoziale, dovendosi fare rigorosa applicazione del principio per cui solo un’esplicita manifestazione di volontà incompatibile con l'intenzione di coltivare il ricorso può condurre a una dichiarazione di inammissibilità del gravame (Cons. Stato, sez. IV, 17/08/2016, n. 3641; id., sez. IV, 08/02/2016, n. 4729.

3. Il ricorso non è comunque fondato nel merito.

Lamenta il ricorrente, con il primo motivo, che l’amministrazione, violando l’art. 79 comma 2, lett. c), della l. reg. n. 1/2005 avrebbe erroneamente qualificato come ristrutturazione edilizia un intervento avente, invece, natura di restauro conservativo.

La censura non coglie nel segno.

Giova premettere che i lavori sono consistiti nel completo rifacimento degli impianti, degli infissi, del pavimento e del rivestimento, oltre che nella modifica della sagoma interna dell’immobile, con la creazione di diversi nuovi vani e aumento della SUL, nonché nella modifica dei prospetti esterni, sia sul fronte strada che sul retro. Inoltre, come si è riferito, detti interventi hanno comportato la trasformazione dell’immobile in precedenza destinato a negozio di ortofrutta, in un gabinetto odontoiatrico.

L’art. 79, co. 2, lett. c) della l. reg. n. 1 del 2005 stabilisce che gli interventi di restauro e di risanamento conservativo sono quelli “…rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurare la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili; tali interventi comprendono il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio; tali interventi comprendono altresì gli interventi sistematici, eseguiti mantenendo gli elementi tipologici formali e strutturali dell'organismo edilizio, volti a conseguire l'adeguamento funzionale degli edifici, ancorché recenti”.

Per contro, la lettera c) dello stesso comma dell’art. 79 (riproduttiva, nel testo vigente ratione temporis, dell’art. 3, co. 1, lett. c) del DPR n. 380/2001) dispone che gli interventi di ristrutturazione edilizia sono quelli “rivolti a trasformare l'organismo edilizio mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente; tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”

3.1. La Sezione ha già avuto modo di rilevare che “la distinzione fra le categorie del restauro e risanamento conservativo e della ristrutturazione edilizia risiede non tanto nella tipologia di interventi realizzabili, in gran parte comuni, quanto nella finalità degli interventi, essendo il risanamento destinato alla conservazione dell'organismo edilizio preesistente mentre la ristrutturazione alla sua trasformazione” (T.A.R., Toscana, sez. III, 27/11/2018, n. 1553).

Ne segue che, al di là della tipologia degli interventi, diviene rilevante, al fine di individuare un criterio discretivo tra le due fattispecie, l’effetto prodotto dal complesso degli stessi e, in particolare nella conservazione formale e funzionale del manufatto e nella eventuale generazione di un maggiore carico urbanistico (Cons. Stato, sez. IV, 1 marzo 2017, n. 937; id. sez. VI, 20/11/2018, n.6562).

Orbene, la trasformazione di un locale da esercizio commerciale a ambulatorio medico non può comportare il mero restauro o risanamento conservativo, ma impone una serie di modifiche, seppure interne, che determinano la creazione di un organismo nuovo, e ciò senza contare che, oltre alle modifiche interne, nella fattispecie si è proceduto anche all’apertura di nuove finestre così modificando il prospetto dell’immobile.

3.2. Vale per altro verso rilevare, a chiusura delle argomentazioni, che lo stesso regolamento urbanistico del Comune di Sesto Fiorentino espressamente prevedeva, all’art. 72 che tra gli interventi di ristrutturazione edilizia, fossero compresi, sub R: “interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente attraverso il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica o l’inserimento di nuovi elementi ed impianti“.

Né può sottacersi che la modificazione rilevante della caratteristiche dell’unità immobiliare, funzionale al cambio di destinazione eseguito (da una destinazione commerciale ad una direzionale), non può che dare luogo a un differente dimensionamento del carico urbanistico.

Di qui la necessaria applicazione dell’art. 119 comma 2, della l. reg. n. 1/2005 che espressamente prevede che, per le ristrutturazioni ex art. 79 c. 2 lett. d), debba essere corrisposto sia il contributo commisurato agli oneri di urbanizzazione che quello commisurato al costo di costruzione.

Invero, quando il cambio di destinazione d'uso non interviene tra categorie omogenee lo stesso costituisce una modificazione edilizia con effetti che vanno ad incidere sul carico urbanistico (T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 29/05/2018, n. 846; T.A.R. Toscana, sez. III, 27/02/2018, n. 309).

In proposito è stato infatti chiarito che “nell'ordinamento vigente in materia di edilizia e urbanistica la variazione della misura del contributo di costruzione è legittimamente imposta anche in presenza di una trasformazione edilizia che, indipendentemente dall'esecuzione fisica di opere, si rivela produttiva di vantaggi economici ad essa connessi, situazione che si verifica per il mutamento di destinazione o, comunque, per ogni variazione anche di semplice uso che comporti un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico” (Consiglio di Stato, sez. IV, 3.9.2014 n. 448).

4. Con il secondo motivo si lamenta il difetto di motivazione da cui sarebbe viziato il provvedimento impugnato atteso che, il Comune avrebbe dato per scontato che l’intervento realizzato dovesse essere qualificato come “ristrutturazione edilizia”, anziché “risanamento conservativo”, senza tuttavia illustrare le ragioni che condurrebbero a tali conclusioni.

L’assunto non merita condivisione.

Va, innanzitutto rilevato che, a prescindere dalle ragioni soggettive che possono aver determinato il ricorrente (cui in precedenza si è fatto cenno), è indubbio che la per la quantificazione del contributo il Comune ha preso le mosse dalle stesse dichiarazioni rese nella DIA dall’interessato che aveva qualificato l’intervento come “ristrutturazione edilizia”.

4.1. Inoltre, come rilevato da controparte, la determinazione e la liquidazione del contributo di costruzione costituisce esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta all'Amministrazione comunale per il rilascio del titolo autorizzatorio e, in ragione della sua onerosità, deve essere ricondotta ad un rapporto obbligatorio paritetico per i quali gli atti di determinazione e liquidazione del suddetto contributo, non configurandosi quale espressione di una potestà pubblicistica e non avendo natura autoritativa, non soggiacciono pertanto al regime prescritto per i provvedimenti di manifestazione di imperio (Cons. Stato, ad. plen., 30/08/2018, n. 12).

5. Per le ragioni esposte il ricorso va pertanto rigettato, seguendo le spese del giudizio la soccombenza come in dispositivo liquidate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite liquidate in € 3.000,00, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2019 con l'intervento dei magistrati:

Saverio Romano, Presidente

Bernardo Massari, Consigliere, Estensore

Gianluca Bellucci, Consigliere