TAR Puglia (BA) Sez.III n.1219 del 21 giugno 2012
Urbanistica.Scala esterna in muratura e d istanze tra costruzioni
La scala, anche se priva di copertura, costituisce corpo aggettante rilevante ai fini della disciplina delle distanza, essendo idoneo a ridurre le intercapedini tra un edificio e l’altro e quindi a pregiudicare l’esigenza di salubrità che costituisce finalità essenziale della previsione di distanze minime.
N. 01219/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01696/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1696 del 2011, proposto da:
Marisa Daniela Ciavarella, Antonio Sollazzo, Annamaria Magaraggia, rappresentati e difesi dall'avv. Tommaso Di Gioia, con domicilio eletto presso l’avv. Tommaso Di Gioia in Bari, via Argiro, 135;
contro
Comune di Cellamare in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Franco Gagliardi La Gala, con domicilio eletto presso l’avv. Franco Gagliardi La Gala in Bari, via Abate Gimma, 94;
nei confronti di
Giuseppe Losurdo, Anna Di Pede, rappresentati e difesi dall'avv. Alberto Bagnoli, con domicilio eletto presso l’avv. Alberto Bagnoli in Bari, via Dante, 25;
per l'annullamento
del permesso di costruire del Comune di Cellamare n. 32/2011 del 12 gennaio 2011, rilasciato ai sig.ri Losurdo e Di Pede;
della D.I.A. presentata da questi ultimi in data 16 febbraio 2011 e costituente variante in corso d’opera al suddetto permesso di costruire;
della S.C.I.A. presentata dai sig.ri Losurdo e Di Pede in data 29 aprile 2011 e costituente ulteriore variante in corso d’opera al permesso di costruire n. 32/2011 e alla D.I.A. del 16 febbraio 2011;
della nuova D.I.A. in variante presentata in data 03.06.2011 dai coniugi Losurdo-Di Pede relativamente alle modifiche (in precedenza realizzate) al pergolato previsto in copertura;
della nota del Dirigente dell’Ufficio Tecnico del Comune di Cellamare prot. n. 3986 del 15 luglio 2011;
di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, di tutti gli atti citati nei predetti provvedimenti, nonché di tutti gli atti citati nel presente ricorso e di tutti gli atti del procedimento amministrativo de quo diversi ed ulteriori rispetto a quelli indicati in epigrafe,
e per l’accertamento dell’inesistenza dei presupposti per la presentazione della DIA del 16 febbraio 2011, della S.C.I.A. del 29 aprile 2011 e della DIA. del 3.6.2011, con conseguente accertamento del dovere conformativo dell’Amministrazione.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Cellamare e di Giuseppe Losurdo e Anna Di Pede;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 maggio 2012 la dott. Francesca Petrucciani e uditi per le parti i difensori avv.ti Tommaso di Gioia, Franco Gagliardi La Gala e Francesco Paolo Perchinunno, quest'ultimo su delega dell’avv. Alberto Bagnoli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso straordinario al Capo dello Stato notificato il I agosto 2011 i ricorrenti hanno impugnato il permesso di costruire rilasciato dal Comune di Cellamare a Giuseppe Losurdo e Anna Di Pede e le D.I.A. e la S.C.I.A. da questi ultimi successivamente presentate, chiedendo in relazione a tali ultimi atti l’accertamento dell’insussistenza dei presupposti per la presentazione.
I ricorrenti hanno esposto di essere proprietari di unità immobiliari collocate nelle immediate vicinanze dell’area in cui Giuseppe Losurdo e Anna Di Pede avevano proceduto alla demolizione di una fabbricato per edificare un nuovo immobile ad uso residenziale; i ricorrenti, dopo aver visto lo sviluppo dei lavori, avevano presentato istanza di accesso in data 20.5.2011, rilevando alcune violazioni alla disciplina edilizia vigente, in quanto era prevista l’edificazione del nuovo fabbricato senza rispettare l’allineamento stradale e in violazione della disciplina imposta dal Regolamento Edilizio per le distanze tra pareti finestrate ed edifici e rispetto al confine.
A sostegno del ricorso sono state articolate le seguenti censure:
1. violazione dell’art. 10 delle N.T.A. del P.R.G. di Cellamare, dell’art. 11 d.lgs. 115/2008, eccesso di potere, difetto di istruttoria, disparità di trattamento, illogicità ed irragionevolezza manifesta.
1.a. L’art. 10 delle N.T.A. richiede infatti per le zone residenziali B di completamento il rispetto degli allineamenti stradali esistenti, mentre il fabbricato in questione non era allineato rispetto agli altri della stessa via; il Dirigente, in risposta alle osservazioni dei ricorrenti, aveva sostenuto che rispetto al limite del lotto di pertinenza, assunto quale allineamento stradale, l’edificio era arretrato di 20 cm., ma il limite del lotto non costituiva il parametro dell’allineamento, da misurare invece rispetto all’arretramento degli altri edifici dalla sede stradale (m. 3 a fronte dei m. 1,50 dei controinteressati).
1.b. Inoltre il fabbricato presentava altezza superiore rispetto a quella prevista dalle N.T.A. e, su tale punto, il Dirigente aveva comunicato che l’altezza di circa 40 cm superiore era dovuta all’isolamento termico ai sensi del d.lgs. 115/2008, ma dall’esame del permesso di costruire si rilevava l’assenza della certificazione di riduzione dell’indice di prestazione energetica necessaria per usufruire dell’aumento in questione.
1.c. Con riferimento alla distanza dal confine l’art. 10 N.T.A. prevedeva una distanza di m. 5, mentre il progetto presentava una rampa di scale a distanza inferiore.
2. violazione dell’art. 26 bis del Regolamento Edilizio Comunale, eccesso di potere, difetto di istruttoria, erroneità dei presupposti, illogicità ed irragionevolezza manifesta.
La norma citata prevede infatti la distanza minima di m. 8 dalle finestre nei cortili interni, senza contare gli aggetti e i balconi se di profondità inferiore a cm 80, mentre nel caso di specie essendo i balconi di profondità di m. 1,20 la distanza non era rispettata.
3. violazione dell’art. 6 delle N.T.A. del P.R.G. di Cellamare, eccesso di potere, difetto di istruttoria, illogicità ed irragionevolezza manifesta.
L’art. 6 delle N.T.A. prevede che le aree di distacco tra gli edifici siano inedificabili, mentre il progetto dei controinteressati prevedeva una rampa di scala nell’area inedificabile destinata a cortile.
4. violazione dell’art. 9 D.M. 1444/68, violazione dell’art. 10 delle N.T.A. del P.R.G. di Cellamare, eccesso di potere, erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria, illogicità ed irragionevolezza manifesta.
Nel caso di specie non era stata rispettata la distanza di m. 10 prevista per la zona B tra pareti e pareti finestrate.
5. violazione dell’art. 22 d.p.r. 380/2001, eccesso di potere, poiché le varianti presentate con le D.I.A. del 16.2.2011 e del 3.6.2011 contenevano interventi che avrebbero dovuto essere oggetto di permesso di costruire.
A seguito di opposizione della controinteressata Anna Di Pede i ricorrenti hanno riassunto il giudizio innanzi a questo Tribunale.
Si sono costituiti il Comune intimato ed i controinteressati Losurdo e Di Pede eccependo la tardività del ricorso e chiedendone il rigetto.
Con ordinanza n. 1572 del 20.10.2011 è stata disposta istruttoria demandando al Comune di Cellamare di precisare le norme tecniche applicabili al caso di specie e la descrizione dello stato dei luoghi al fine di appurare la situazione attuale dell’allineamento degli edifici.
Alla camera di consiglio del 15.12.2011 i ricorrenti hanno rinunciato all’istanza cautelare.
All’udienza pubblica del 24.5.2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di tardività del ricorso, che deve essere respinta in quanto infondata.
I controinteressati hanno sostenuto che i ricorrenti avrebbero avuto conoscenza del contenuto lesivo del permesso di costruire già dal momento dell’inizio dei lavori, ovvero in data 18.1.2011, e comunque visionando il posizionamento dei primi pilastri in data 28.2.2011.
Al riguardo deve rilevarsi, da un lato, che non è stata addotta alcuna prova in ordine al giorno in cui lo stato di progressione dei lavori può aver fatto sorgere, nei ricorrenti, il dubbio che la costruzione non sarebbe stata allineata rispetto al loro edificio.
Inoltre i ricorrenti, alla vista dello sviluppo dei lavori, hanno presentato istanza di accesso al Comune in data 22.4.2011, ottenendo copia del titolo in data 22.5.2011, di tal che solo con riferimento a tale data è provata la conoscenza effettiva, da parte dei ricorrenti, del contenuto pregiudizievole del permesso di costruire, con conseguente tempestività del ricorso straordinario proposto il I agosto dello stesso anno.
Nel merito il ricorso deve essere accolto in quanto fondato.
Con riferimento, innanzitutto, al primo motivo di impugnazione, relativo alla violazione dell’art. 10 delle N.T.A. del P.R.G. di Cellamare, dell’art. 11 d.lgs. 115/2008, e all’eccesso di potere per difetto di istruttoria, disparità di trattamento, illogicità ed irragionevolezza, i ricorrenti hanno dedotto in primo luogo che l’art. 10 delle N.T.A. richiede per le zone residenziali B di completamento, quale quella in esame, il rispetto degli allineamenti stradali esistenti, mentre il fabbricato in questione non sarebbe allineato rispetto agli altri della stessa via, ma sporgente.
Nella relazione depositata in ottemperanza all’ordinanza istruttoria di questo Tribunale il Comune di Cellamare ha riportato che rispetto al limite del lotto di pertinenza, assunto quale allineamento stradale, l’edificio risulta arretrato di 20 cm., con conseguente integrità del marciapiede esistente, e che sulla strada in questione non tutti gli immobili sono allineati con quello contiguo, anche se tutti sono realizzati all’interno del proprio lotto, ed alcuni a filo della strada, più sporgenti rispetto a quello contestato; l’edificio dei controinteressati rispetta comunque l’allineamento con riferimento ai primi edifici della strada, più avanzati.
In proposito deve evidenziarsi che dall’esame delle planimetrie allegate alla relazione si evince che l’edificio dei controinteressati è collocato in posizione più avanzata, rispetto alla strada, di quello contiguo dei ricorrenti: in particolare la muratura perimetrale è posizionata a filo della sporgenza del balcone dei ricorrenti, mentre il parapetto e il balcone sporgono in avanti; anche rispetto alle costruzioni collocate a sinistra dell’edificio dei coniugi Losurdo-Di Pede, ponendosi in posizione frontale rispetto alla facciata, quest’ultimo è collocato in posizione avanzata. L’immobile quindi non è allineato, ma risulta sporgente, sia rispetto agli edifici alla sua sinistra che a quelli alla sua destra; solo due costruzioni all’inizio della via sono nella medesima collocazione avanzata, mentre tutti gli altri risultano arretrati.
Deve quindi ritenersi che l’edificio in questione, così come progettato, non rispetti il criterio dell’allineamento stradale esistente di cui all’art. 6 N.T.A., con conseguente illegittimità in parte qua del permesso di costruire impugnato.
Né può sostenersi che per il rispetto dell’allineamento sia sufficiente edificare all’interno del lotto di proprietà, senza intaccare il marciapiede, perché l’allineamento degli edifici sulla strada corrisponde ad esigenze di uniformità visiva ed estetica che non verrebbero necessariamente garantite ove il parametro fosse costituito dal confine della proprietà, ben potendo, in tal caso, i lotti assumere estensione diversa e quindi le costruzioni sfalzarsi.
Inoltre in base al combinato disposto degli articoli 6 e 10 delle norme tecniche di attuazione del Comune di Cellamare, le costruzioni in aderenza sono consentite solo in caso di preesistenza di fabbricati costruiti sul confine oppure, ove entrambi i fondi confinanti non siano ancora edificati, sussistendo un accordo tra i proprietari. L’articolo 10 specifica, altresì, che le costruzioni debbono osservare la distanza di 5 metri dal confine ovvero debbono essere costruite in aderenza. Discende da ciò che il proprietario che costruisce in aderenza a fabbricato preesistente non può comunque, senza il consenso del confinante, costruire sul confine un fabbricato avente una altezza o una profondità superiore a quella del fabbricato già esistente: in caso contrario, la parte del nuovo fabbricato che é costruita sul confine ma non é in aderenza si pone in contrasto con l’art. 10 delle NTA.
Queste ultime, come si é detto, implicano che la costruzione che si va a realizzare sul confine deve essere, in tutto e per tutto, in aderenza al fabbricato preesistente, salvo che colui che per primo ha costruito a sua volta non dia il proprio consenso alla costruzione in sopraelevazione ovvero in sporgenza (T.A.R. Bari, sentenza n. 1422/2011).
Di contro l’edificio dei controinteressati è costruito sul confine anche nella parte più avanzata, in corrispondenza dello sporto del balcone di quello dei ricorrenti, dove non si pone in aderenza rispetto ad un muro cieco, come consentito dalle N.T.A., ma aderisce al lato del balcone libero, con conseguente mancato rispetto della distanza dal confine prescritta dalla norma citata e derogabile solo in caso di costruzione in aderenza.
Non osta a tale conclusione il rilievo, operato dai controinteressati, della necessità della costruzione sporgente, e aderente al balcone dei ricorrenti, per evitare l’esercizio della veduta da parte di questi ultimi sul fondo Losurdo-Di Pede, in quanto, per la tutela di tali esigenze, soccorrono le norme del codice civile e quelle regolamentari richiamate dal codice, di tal che ove la veduta fosse illegittima i controinteressati dovrebbero far valere gli appositi rimedi all’uopo preposti, non potendo certo per limitare la veduta edificare in violazione della disciplina edilizia.
Quanto poi alla seconda contestazione contenuta nel primo motivo, relativa all’altezza del fabbricato superiore rispetto a quella prevista dalle N.T.A., il Comune ha rappresentato che l’attestato di qualificazione energetica richiesto per usufruire dell’ampliamento di cui al d.lgs. 115/2008 deve essere prodotta con la dichiarazione di fine lavori e quindi, essendo i lavori ancora in corso, non era ancora stata trasmessa.
Deve tuttavia rilevarsi che, come affermato dalla giurisprudenza penale citata dai ricorrenti, per usufruire delle deroghe previste dalla disciplina in materia di risparmio energetico (art. 11 d.lgs. 115/2008) occorre farvi riferimento nel progetto sottoposto ad autorizzazione affinché l’amministrazione possa verificarne i presupposti e riconoscere la possibilità di deroga rispetto ai limiti di edificabilità nell’autorizzare la costruzione, non potendo invece i richiedenti usufruirne autonomamente senza la relativa autorizzazione (Cass. Pen. 28048/2011).
Di conseguenza la maggiore altezza dell’edificio, se non correttamente inserita e giustificata all’interno della richiesta di permesso di costruire, risulta priva di titolo, con conseguente illegittimità anche in parte qua del permesso di costruire.
Infine, con riferimento alla lamentata violazione della distanza dal confine prevista dall’art. 10 N.T.A. (m. 5), essendo prevista una rampa di scale a distanza inferiore, osserva il Collegio che la scala, anche se priva di copertura, costituisce corpo aggettante rilevante ai fini della disciplina delle distanza, essendo idoneo a ridurre le intercapedini tra un edificio e l’altro e quindi a pregiudicare l’esigenza di salubrità che costituisce finalità essenziale della previsione di distanze minime.
In tal senso si è espressa con orientamento costante la giurisprudenza della Cassazione in materia di distanze, evidenziando che “Nel calcolo della distanza minima fra costruzioni, posta dall'art. 873 c.c. o da norme regolamentari integrative, deve tenersi conto anche delle strutture accessorie di un fabbricato (nella specie, scala esterna in muratura), qualora queste, presentando connotati di consistenza e stabilità, abbiano natura di opera edilizia” (Cass. 1966/2007, 17390/2004, 4372/2002, tutte con riferimento a scale esterne).
Anche tale previsione risulta quindi illegittima.
Ne consegue la fondatezza anche del terzo motivo di ricorso, relativo alla edificazione della scala esterna in muratura nell’area inedificabile di distacco tra i due edifici; la contestazione della violazione della distanza minima da parte dei ricorrenti non è infatti idonea a giustificare tale edificazione, dovendo semmai i controinteressati azionare gli appositi rimedi a tutela delle distanze loro consentiti.
Va quindi esaminata la violazione dell’art. 26 bis del Regolamento Edilizio Comunale, dedotta come secondo motivo di ricorso.
La norma citata prevede infatti la distanza minima di m. 8 dalle finestre nei cortili interni, senza contare gli aggetti e i balconi se di profondità inferiore a cm 80, mentre nel caso di specie essendo i balconi di profondità di m. 1,20 la distanza non sarebbe rispettata.
Sul punto risulta pacifico che il balcone ha un aggetto superiore al limite di 80 cm, avendo anche il Comune confermato tale circostanza, deducendo che è prassi dell’ente autorizzare balconi di maggiore aggetto senza computarli ai fini del rispetto delle distanze.
Tale assunto, tuttavia, non è idoneo a fondare la legittimità del titolo edilizio, a fronte della perdurante vigenza della regola di cui al regolamento edilizio secondo la quale non vengono computati ai fini del rispetto delle distanza solo i balconi di sporgenza inferiore a cm. 80; il balcone in questione, profondo m. 1,20, va quindi computato ai fini della determinazione della distanza minima e deve, pertanto, costituire il limite esterno a partire dal quale va misurata la distanza di m. 8, con conseguente illegittimità della sua edificazione a distanza inferiore di m. 8 dalla parete dell’edificio dei ricorrenti.
La norma del regolamento è coerente con la giurisprudenza in materia di distanze fra edifici, secondo la quale, mentre rientrano nella categoria degli sporti, non computabili ai fini delle distanze, soltanto quegli elementi con funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria, come le mensole, le lesene, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili, costituiscono invece corpi di fabbrica, computabili nelle distanze fra costruzioni, le sporgenze di particolari proporzioni, come i balconi, costituite da solette aggettanti anche se scoperte, di apprezzabile profondità ed ampiezza (TA.R. Lombardia, Milano, 4 maggio 2011, n. 1174, Cass. 17242/2010, T.A.R. Sardegna sez. II, 6 aprile 2009, n. 432). Il balcone aggettante può essere ricompreso nel computo della distanza ai sensi della norma in questione solo nel caso in cui una norma di piano preveda ciò (T.A.R. Liguria, sez. I, 10 luglio 2009 n. 1736, T.A.R. Toscana sez. III, 9 giugno 2011 n. 993), mentre nel caso di specie il regolamento prevede norma contraria.
Si consideri, altresì, che la realizzazione di cortili secondari e chiostrine a cavallo sul confine tra due proprietà é possibile secondo la disciplina edilizia applicabile nel Comune di Cellamare ove sia stipulata, a tale scopo, una apposita convenzione, la quale non deve pregiudicare in alcun modo le possibilità costruttive sui fondi, mentre in tal caso nessuna convenzione è stata stipulata tra le parti.
Del pari è fondata la quarta censura, attinente alla violazione dell’art. 9 D.M. 1444/68 e dell’art. 10 delle N.T.A. del P.R.G. di Cellamare, per il mancato rispetto della distanza di m. 10 prevista per la zona B tra pareti e pareti finestrate, emergendo pacificamente dagli atti di causa (anche dalla perizia di parte dei controinteressati) che la distanza risulta maggiore di m. 10 solo se computata dalla scala e non dalla parete retrostante, di tal che, considerando per quanto detto sopra la scala corpo aggettante da considerare nel computo, la distanza risulta inferiore.
Né rileva, anche in tal caso, la eventuale speculare violazione che avrebbero compiuto i ricorrenti, dovendo semmai i controinteressati agire in giudizio per ottenere il rispetto della regola in questione.
È invece inammissibile l’ultimo motivo, relativo alla violazione dell’art. 22 d.p.r. 380/2001, poiché le varianti presentate con le D.I.A. del 16.2.2011 e del 3.6.2011 conterrebbero interventi che avrebbero dovuto essere oggetto di permesso di costruire, trattandosi di contestazione formale in relazione alla quale i ricorrenti non hanno precisato l’interesse che sorreggerebbe la deduzione.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla nelle parti specificate in motivazione l’atto impugnato;
condanna il Comune di Barletta e i contro interessati, in solido tra loro, alla rifusione in favore dei ricorrenti delle spese di lite, che si liquidano in euro 3.000 oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Pietro Morea, Presidente
Giuseppina Adamo, Consigliere
Francesca Petrucciani, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/06/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)