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Questi e altri dati sono raccolti nel "Libro Bianco di Legambiente sull'emergenza idrica in Italia", un dossier che scandaglia a fondo le cause dell'emergenza siccità, racconta storie di gestione insensata e propone alcune soluzioni per ridurre drasticamente i consumi idrici nel nostro Paese. L'emergenza che ci sta colpendo deve tradursi in un'opportunità imperdibile per tutti i soggetti interessati, mondo dell'agricoltura e dell'industria in prima fila, che devono stringere un'alleanza strategica per affrontare e risolvere il problema.
È l'utilizzo irriguo che pesa come un macigno sul bilancio idrico nazionale. Le coltivazioni infatti, oltre a prelevare di più, sono anche quelle che restituiscono meno acqua all'ambiente, non più del 50% rispetto al 90% che ritorna disponibile dopo gli usi civili e industriali. Un dato preoccupante se calato nella realtà dei nostri fiumi, basti pensare che i prelievi idrici superficiali dal Po sono per il 95% a fini agricoli.
In questa grave scarsità idrica l'agricoltura e l'industria si trovano a essere nello stesso tempo colpevoli e vittime, ecco perché proprio loro devono attivarsi, magari rinunciando a qualcosa, con la consapevolezza che non sarà uno sforzo vano, ma un contributo alla collettività e soprattutto alle loro produzioni.
Un altro non meno significativo problema riguarda il basso costo dell'acqua nel nostro Paese. In media i cittadini italiani pagano 52 centesimi di euro al metro cubo, la metà della media europea, ma sempre più del prezzo stracciato fatto agli agricoltori che spendono fino a 100 volte meno. E solo in pochi casi vengono fatturati i reali consumi agricoli: su 190 consorzi di bonifica, meno di 10 li contabilizzano, mentre tutti gli altri fanno pagare agli agricoltori un forfait annuo sulla base della tipologia di colture e degli ettari. Un sistema che non incentiva certo un consumo sostenibile improntato sul risparmio.
Ma su questo punto i colpevoli sono molti di più. Ci sono gli imbottigliatori di minerale che sborsano cifre irrisorie per le concessioni delle fonti e realizzano profitti miracolosi dalla vendita (se l'acqua del rubinetto costa 52 centesimi al metro cubo, al supermercato arriva a 516 euro a fronte di un prezzo per le aziende spesso inferiore al centesimo); la rete idrica nazionale ridotta a colabrodo che lascia per strada il 42% dell'acqua immessa (il primato è di Cosenza con il 70%); progetti e investimenti irrazionali come il nuovo dissalatore di Agrigento che aumenta di 100 litri/ab/g la dotazione cittadina - già oltre la media dei consumi - mettendo altra acqua in una rete le cui condotte perdono da tutte le parti (54%) e dove l'acqua per cucinare si continua a comprare extra nei negozi specializzati.
Come invertire la rotta? Per Legambiente occorre in primo luogo mitigare le cause, arrestando senza perdere altro tempo i cambiamenti climatici in atto, per adattarsi agli effetti e ridurne la portata. Ma contestualmente bisogna cambiare radicalmente l'approccio all'uso della risorsa, passando dalla politica della domanda a quella basata su una pianificazione e gestione razionale della risorsa disponibile.