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Cass. Sez. III sent. 1420 del 16 gennaio 2006 (Ud. 15 dicembre 2005)
Pres. Lupo Est. Franco Imp. Conigliaro
Inquinamento idrico – Allevamento e assimilabilità degli scarichi alle acque reflue domestiche

Di regola i reflui provenienti dall’attività di allevamento sono da considerare scarichi di acque reflue industriali ai sensi del D.Lv. 15299 e possono essere assimilati alle acque reflue domestiche eccezionalmente solo quando ricorrano i presupposti di legge

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Svolgimento del processo
Conigliaro Salvatore venne rinviato a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 59, primo comma, d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, per avere effettuato lo smaltimento dei reflui provenienti da una stalla con sette bovini sita in un terreno di circa mq. 3000 ed adiacente ad una abitazione di circa mq. 70, senza autorizzazione.
Il giudice del tribunale di Palermo, con sentenza dell'8 giugno 2004, assolse l'imputato perché il fatto non sussiste, osservando che si trattava di acque assimilate a quelle domestiche per le quali non era richiesta autorizzazione, che gli agenti non avevano controllato la tipologia delle acque e che gli scarichi erano da assimilarsi a quelli occasionali.
A seguito di impugnazione del procuratore della Repubblica, la corte d'ap¬pello di Palermo, con sentenza del 18 aprile 2005, dichiarò l'imputato colpevole del reato ascrittogli e lo condannò alla pena di € 1.200,00 di ammenda.
L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo:
a) violazione dell'art. 59 d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, perché esattamente il giudice di primo grado aveva rilevato che si trattava di scarichi assimilati a quelli delle acque domestiche. Non poteva invero applicarsi, come erroneamente ha fatto la corte d'appello, la giurisprudenza in tema di aziende di allevamento zootecnico, perché il tenere sette bovini in un appezzamento di terreno attiguo alla casa di dimora in un'isola (Ustica) prevalentemente agreste da parte di persona ultrasettantenne pensionata non può certamente definirsi una azienda di allevamento zootecnico che richiama le acque reflue industriali.
b) violazione dell'art. 157 cod. pen. perché il reato era già prescritto alla data di emissione della sentenza impugnata.

Motivi della decisione
Ritiene il Collegio che il primo motivo sia manifestamente infondato. Invero, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, «in tema di tutela delle acque dall’inquinamento, anche dopo la entrata in vigore della legge 11 maggio 1999 n. 152 l'attività di allevamento del bestiame va considerata, ai fini degli scarichi, di tipo produttivo, con conseguente applicabilità della normativa disciplinante gli scarichi da insediamenti industriali, atteso che tale attività può essere assimilata a quella agricola solo in via eccezionale in presenza di elementi che dimostrino che la stessa si svolga in connessione con la coltivazione della terra e che quest'ultima sia in grado di sopportare e smaltire naturalmente nell’ambito di un ciclo chiuso il carico inquinante delle deiezioni animali» (Sez. III, 6 febbraio 2001, Pistonesi, m. 218.715).
In particolare, il d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, ha sostituito la precedente distinzione - per tipi di insediamento - tra insediamenti produttivi e civili con quella - per tipi di scarico - tra «acque reflue industriali, nozione ricomprendente «qualsiasi tipo di scarico di acque reflue scaricate da edifici in cui si svolgono attività commerciali e industriali diverse dalle acque reflue domesti¬che e dalle acque meteoriche di dilavamento», ed «acque reflue domestiche o di reti fognarie» (per le quali è stata esclusa la sanzione penale in mancanza dell'autorizzazione), intendendosi per «acque reflue domestiche» quelle «provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalente¬mente dal metabolismo umano e da attività domestiche» e per «reti fognarie» ogni «sistema di condotta per la raccolta ed il coinvolgimento delle acque reflue urbane». Quanto alle imprese agricole, il settimo comma dell'art. 28 del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 38 (in materia di utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento zootecnico) e dalle diverse normative regionali, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni assimila alle «acque reflue domestiche» quelle provenienti da «imprese dedite all’allevamento di bestiame che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo funzionalmente connesso con le attività di allevamento e di coltivazione del fondo, per ogni 340 chilogrammi di azoto presente negli ef¬fluenti di allevamento al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione» (lett. b).
Nel caso di specie, il giudice del merito, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, ha escluso (in considerazione del fatto che si trattava dell'allevamento di sette bovini in una stalla adiacente ad un appezzamento di terreno di appena 3.000 mq.) che sussista la predetta condizione alla quale è subordinata la possibilità di assimilare gli scarichi da allevamento di bestiame alle acque reflue domestiche, e di conseguenza ha esattamente escluso che i liquami provenienti dalla stalla dell'imputato potessero assimilarsi alle acque reflue domestiche.
II secondo motivo è anch'esso manifestamente infondato perché il corso della prescrizione é stato sospeso dal 10 aprile 2003 al 26 giugno 2003, e dal 26 giugno 2003 al 6 novembre 2003, per rinvii a richiesta della difesa o per impedimento del difensore, sicché, decorrendo la prescrizione dal 15 maggio 2000, la stessa si è maturata solo il 1 giugno 2005, ossia in una data posteriore a quella del 18 aprile 2005 in cui e stata emessa la sentenza impugnata. Esattamente, pertanto, la corte d'appello non la ha rilevata e dichiarata.
II ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
Essendo il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, la circostanza che, successivamente alla data di emissione della sentenza impu¬gnata, sia sopravvenuta una causa di estinzione del reato è del tutto irrilevante, perché questa Corte non può rilevarla e dichiararla, in quanto l'inammissibilità del ricorso per cassazione, anche se dovuta alla manifesta infondatezza dei mo¬tivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di estinzione del reato, ivi compresa la prescrizione, verificatesi in data posteriore alla pronuncia della decisione impugnata (Sez. Un., 22 novembre 2000, De Luca, m. 217.266; giur. costante).
In applicazione dell'art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al paga¬mento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in €500,00.