Cass. Sez. III n. 23464 del 5 giugno 2009 (Ud. 11 mar 2009)
Pres. Onorato Est. Marmo Ric. Giannettino
Acque. Nozione di reflui industriali

Nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, atteso che a tal fine rileva la sola diversità del refluo rispetto alle acque domestiche. Conseguentemente rientrano tra le acque reflue industriali quelle provenienti da attività artigianali e di prestazioni di servizi. Alla luce di tale principio deve escludersi la qualifica di acque reflue domestiche a quelle derivanti dalla lavorazione delle macchine agricole ed industriali

Svolgimento del processo
Con sentenza pronunciata il 21 aprile 2008 il Tribunale di Nola dichiarava Michele Giannettino responsabile: 1) del reato previsto e punito dagli artt. 107 e 137 del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 perché, nella qualità di titolare di un’officina di riparazioni meccaniche, effettuava uno scarico di acque provenienti dalla lavorazione nella fognatura pubblica senza essere munito di autorizzazione; 2) del reato previsto e punito dagli artt. 269 e 279 comma 1 del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 perché, nella qualità di cui al capo che precede, utilizzando due saldatrici, effettuava emissioni in atmosfera senza essere in possesso di autorizzazione, (per fatto accertato in Marigliano il 24 agosto 2006) e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, unificati i reati nel vincolo della continuazione, condannava l’imputato alla pena di € 2.000,00 di ammenda, con pena sospesa, ordinando la confisca delle saldatrici in sequestro.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata per i motivi che saranno nel prosieguo analiticamente esaminati

Motivi della decisione
Con il primo motivo, che si articola in due censure, il ricorrente lamenta la contraddittorietà della motivazione in rapporto alla mancata valutazione e al travisamento delle prove.
Deduce il ricorrente, con la prima censura, che, con riferimento all’emissione in atmosfera, il giudice aveva ritenuto la sussistenza della violazione sull’esclusivo presupposto che presso l’azienda dell’imputato fossero presenti due saldatrici per le quali, secondo il Giudice, si rendeva necessaria la preventiva autorizzazione di cui al DPR n. 203 del 1988.
Doveva peraltro rilevarsi che l’unico elemento di prova storica acquisito dal giudice di merito in ordine al reato contestato era costituito dall’esistenza dei due macchinari, non sussistendo in atti alcuna prova in ordine all’effettivo funzionamento degli stessi ed all’effettiva emissione in atmosfera conseguente all’utilizzo di detti macchinari.
In proposito l’unico teste escusso in dibattimento, Massimo Apice, aveva dichiarato di non ricordare se le saldatrici fossero utilizzate.
Il giudice aveva ritenuto, soltanto in base al dato della presenza delle saldatrici, che le stesse fossero utilizzate, travisando le dichiarazioni del teste.
Una conferma della circostanza che le saldatrici non fossero in uso all’atto dell’accesso era data dalla circostanza che nel verbale di ispezione del 27 agosto 2006 non era stato fatto alcun riferimento all’uso delle predette saldatrici ma solo alla presenza in loco delle stesse.
La motivazione della sentenza risultava quindi disarmonica rispetto alle risultanze istruttorie.
Con la seconda censura il ricorrente deduce che analogo ragionamento circa l’erronea valutazione delle emergenze probatorie doveva essere svolto con riferimento alla contestazione di scarico delle acque provenienti dall’attività di riparazione di macchine agricole ed industriali in rete fognaria in assenza di autorizzazione.
Secondo il ricorrente, con riferimento alla violazione di cui all’art. 107 del D.lgs. n. 152 del 2006, il giudice era pervenuto ad un giudizio di penale responsabilità stravolgendo il significato e l’effettiva valenza delle prove acquisite. Il teste Apice, infatti, con riferimento allo scarico delle acque nelle fogne pubbliche, aveva precisato che le acque provenienti dall’unità aziendale, prima dì essere sversate nella condotta fognaria venivano filtrate attraverso un separatore di olii minerali. Il teste aveva inoltre specificato che le citate acque erano fatte defluire in un sistema di depurazione idoneo a raccogliere eventuali residui di olio. Questi ultimi venivano fatti confluire in una vasca a tenuta stagna, vasca il cui contenuto veniva poi prelevato e smaltito per il tramite di una società autorizzata a tale tipo di attività. Il processo di depurazione descritto dal teste nel corso del proprio esame chiariva la circostanza che le acque sversate nella condotta fognaria non erano, per natura e tipologia, acque industriali bensì acque già sottoposte ad un processo di depurazione.
Rileva il Collegio che il motivo è infondato.
Per quel che attiene alla prima censura, avente ad oggetto l’utilizzo delle saldatrici, il giudice di merito ha infatti rilevato, con adeguata motivazione, che l’utilizzo delle saldatrici era emerso nel corso del sopralluogo effettuato il 24 agosto 2006 e che il teste Apice, esaminato in dibattimento, aveva precisato che nell’ attività svolta dalla ditta in questione venivano compiute le operazioni di saldatura.
La censura si traduce quindi in una ingiustificata richiesta a questa Corte di legittimità di rivalutare circostanze di merito non sindacabili in questa sede.
Come ha precisato questa Corte (v. per tutte Casa. pen. sez. III sent. 27 settembre 2006, n. 37006, Piras, rv. 235508) “in tema di motivi di ricorso per cassazione la novella codicistica introdotta con la legge n. 46 del 2006, ammettendo l’indagine extratestuale per la rilevazione dell’illogicità e della contraddittorietà della motivazione, non ha modificato la natura del sindacato della Corte di Cassazione, il cui controllo rimane limitato alla struttura del discorso giustifìcativo del provvedimento impugnato e non può comportare una diversa lettura del materiale probatorio”.
Analoghe considerazioni vanno effettuate per quel che attiene alla seconda censura, atteso che il giudice di merito ha rilevato che nel corso del sopralluogo era stato accertato lo scarico in fogna delle acque di lavorazione, previo passaggio attraverso un sistema di depi4azione senza la necessaria autorizzazione.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale.
Deduce il ricorrente che il giudice lo aveva condannato a seguito di un’erronea valutazione della normativa sia in materia di emissione in atmosfera sia in materia di scarico in rete fognaria.
Il giudice aveva infatti erroneamente ritenuto che per le saldatrici, presenti presso la ditta Giannettino, vi fosse la necessità di preventiva richiesta di autorizzazione ex art. 269 del D.Lgs. n. 152 del 2006.
Viceversa per la configurabilità del reato di emissioni in atmosfera è necessario che l’attività produttiva delle emissioni sia concretamente esercitata, non essendo sufficiente la mera detenzione di macchine che, in astratto possano dar luogo alle citate emissioni.
Analogamente doveva ritenersi frutto di errata applicazione della legge penale la condanna per lo scarico in fogna senza autorizzazione.
Il giudice aveva invece applicato erroneamente la norma qualificando lo scarico delle acque provenienti dall’azienda quale scarico di acque reflue industriali in luogo di quello di acque reflue domestiche.
Dovevano invece essere qualificate come acque reflue domestiche anche le acque di ogni attività commerciale i cui scarichi presentassero, in concreto caratteristiche qualitative equivalenti al metabolismo umano o ad attività domestiche.
Nel caso in esame, siccome la società di esso ricorrente era fornita di un sistema di depurazione delle acque che consentiva di separare eventuali residui di sostanze oleose, determinando, di fatto, la depurazione dell’acqua che confluiva nella fogna pubblica, l’acqua reflua che confluiva nella rete fognaria doveva qualificarsi come acqua domestica. In proposito nessun accertamento di laboratorio o di campionamento di acqua era stato effettuato nell’ambito della società al fine di accertare l’effettiva natura delle acque scaricate in fogna e ciò rendeva arbitraria la qualifica delle acque come acque reflue industriali.
Anche il secondo motivo è infondato.
Premesso che, come sopra precisato, per quel che attiene all’ utilizzo delle saldatrici il giudice di merito ha ritenuto sussistente la prova con valutazione in fatto sostenuta da adeguata motivazione e quindi insindacabile in questa sede, per quel che attiene allo scarico non autorizzato trova applicazione il principio affermato da questa Corte (v. per tutte Cass. pen. sez. III sent. 24 ottobre 2002, 42932, Barattoni, rv. 222966) secondo cui “nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, atteso che a tal fine rileva la sola diversità del refluo rispetto alle acque domestiche. Conseguentemente rientrano tra le acque reflue industriali quelle provenienti da attività artigianali e di prestazioni di servizi”.
Alla luce ditale principio deve escludersi la qualifica di acque reflue domestiche a quelle derivanti dalla lavorazione delle macchine agricole ed industriali oggetto dell’attività esercitata dall’imputato.
Per quel che attiene alle deduzioni dell’imputato circa le modalità con cui veniva eseguito lo scarico che avrebbe impedito l’inquinamento, il Collegio rileva che il reato sì concretizza per la mancata richiesta delle necessarie autorizzazioni in ordine all’attività di smaltimento dei rifiuti.
Rileva in proposito il Collegio che gli scarichi non occasionali e non autorizzati di acque reflue industriali costituiscono reato, anche se operati nella rete fognaria e sottoposti a preventivo trattamento di depurazione ed indipendentemente dal superamento dei valori limite indicati nelle tabelle. Ciò in ottemperanza al principio comunitario di prevenzione che richiede il controllo preventivo della pubblica amministrazione, da effettuarsi attraverso il rilascio formale e specifico dell’autorizzazione.
Il bene giuridico tutelato è infatti costituito dall’interesse della pubblica amministrazione al controllo preventivo e alla gestione degli scarichi onde evitare ab origine il pericolo di inquinamento. La sanzione penale non è quindi correlata alla prova dell’effettivo inquinamento ma alla violazione delle norme che impongono all’utente di richiedere le autorizzazioni e i controlli degli enti pubblici preposti alla specifica salvaguardia del territorio prima di porre in essere uno scarico di natura industriale..
In proposito questa Corte (Cass. pen. sez. III sent. 8 giugno 2007, n. 33787, Bova, rv. 237378) ha precisato che” in tema di tutela delle acque dall’inquinamento anche dopo l’entrata in vigore del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, configura il reato di cui all’art. 137, comma primo del citato D.lgs. (prima contemplato dall’art. 59, comma primo del D.lgs. 11 maggio 1999, n. 152) la condotta di scarico discontinuo in pubblica fognatura di acque reflue industriali in difetto di autorizzazione, in quanto la sanzione penale si correla al mancato controllo preventivo esercitato dalla PA mediante il rilascio del titolo abilitativo”.
Va quindi respinto anche il secondo motivo di ricorso.
Con il terzo motivo il ricorrente chiede la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena concessa all’imputato.
Deduce il ricorrente che, a seguito di condanna, il giudice di primo grado aveva applicato d’ufficio la pena pecuniaria in alternativa a quella detentiva. Successivamente alla conversione di cui sopra il giudice aveva applicato anche la sospensione condizionale della pena.
Tale sospensione era immotivata, illegittima e si risolveva in un danno dell’imputato, trattandosi di contravvenzione oblazionabile.
Il terzo motivo è palesemente infondato.
Come ha chiarito questa Corte (v. Cass. sez. III sent. 20 febbraio 2008, n 12914, Crucito, rv 239349 ) “è inammissibile, per difetto dell’interesse ad impugnare, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di condanna a pena dell’ammenda condizionalmente sospesa e relativa a contravvenzione oblabile ex art. 162 bis cod. pen. in quanto l’art, 3 del DPR n. 14 novembre 2002, n, 313, diversamente dall’abrogato art. 686 cod. proc. pen., prevede oggi l’iscrizione per estratto nel casellario giudiziale anche delle sentenze di condanna concernenti contravvenzioni oblabili”.
Va quindi respinto il ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.