SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione) 6 settembre 2011

«Alimenti geneticamente modificati – Regolamento (CE) n. 1829/2003 – Artt. 2‑4 e 12 – Direttiva 2001/18/CE – Art. 2 – Direttiva 2000/13/CE – Art. 6 – Regolamento (CE) n. 178/2002 – Art. 2 – Prodotti apicoli – Presenza di polline di varietà vegetali geneticamente modificate – Conseguenze – Immissione in commercio – Nozioni di “organismo” e di “alimenti che contengono ingredienti prodotti a partire da organismi geneticamente modificati”»

Nel procedimento C‑442/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Bayerischer Verwaltungsgerichtshof (Germania), con decisione 26 ottobre 2009, pervenuta in cancelleria il 13 novembre 2009, nella causa

Karl Heinz Bablok,

Stefan Egeter,

Josef Stegmeier,

Karlhans Müller,

Barbara Klimesch

contro

Freistaat Bayern,

con l’intervento di:

Monsanto Technology LLC,

Monsanto Agrar Deutschland GmbH,

Monsanto Europe SA/NV,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts, J.-C. Bonichot e J.-J. Kasel, presidenti di sezione, dai sigg. G. Arestis, A. Borg Barthet, M. Ilešič, J. Malenovský, L. Bay Larsen (relatore), dalla sig.ra C. Toader e dal sig. M. Safjan, giudici,

avvocato generale: sig. Y. Bot

cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 7 dicembre 2010,

considerate le osservazioni presentate:

–        per i sigg. Bablok, Egeter, Stegmeier e Müller nonché per la sig.ra Klimesch, dagli avv.ti A. Willand e G. Buchholz, Rechtsanwälte,

–        per la Monsanto Technology LLC, la Monsanto Agrar Deutschland GmbH e la Monsanto Europe SA/NV, dagli avv.ti M. Kaufmann, J. Dietrich e P. Brodbeck, Rechtsanwälte,

–        per il governo greco, dal sig. I. Chalkias e dalla sig.ra K. Marinou, in qualità di agenti,

–        per il governo polacco, dal sig. M. Szpunar, in qualità di agente,

–        per la Commissione europea, dalla sig.ra L. Pignataro-Nolin e dal sig. B. Schima, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 9 febbraio 2011,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 2, punti 5 e 10, 3, n. 1, 4, n. 2, e 12, n. 2, del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 22 settembre 2003, n. 1829, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati (GU L 268, pag. 1).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra i sigg. Bablok, Egeter, Stegmeier e Müller, nonché la sig.ra Klimesch, apicoltori, da una parte, e il Freistaat Bayern (Land della Baviera), dall’altra, con l’intervento della Monsanto Technology LLC, della Monsanto Agrar Deutschland GmbH e della Monsanto Europe SA/NV (in prosieguo, rispettivamente, la «Monsanto Technology», la «Monsanto Agrar Deutschland» e la «Monsanto Europe» o, congiuntamente, la «Monsanto»), riguardo alla presenza, in taluni prodotti apicoli, di polline di mais geneticamente modificato.

Contesto normativo

Il diritto dell’Unione

La direttiva 2001/18/CE

3 La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/18/CE, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio (GU L 106, pag. 1), come modificata dal regolamento n. 1829/2003 e dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 22 settembre 2003, n. 1830 (GU L 268, pag. 24, in prosieguo: la «direttiva 2001/18»), disciplina, oltre all’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati (in prosieguo: gli «OGM»), anche l’immissione in commercio degli OGM come tali o contenuti in prodotti, qualora l’uso previsto dei prodotti comporti l’emissione deliberata degli organismi nell’ambiente.

4 Il quarto ‘considerando’ di tale direttiva così recita:

«Gli organismi viventi immessi nell’ambiente in grandi o piccole quantità per scopi sperimentali o come prodotti commerciali possono riprodursi e diffondersi oltre le frontiere nazionali, interessando così altri Stati membri; gli effetti di tali emissioni possono essere irreversibili».

5 Il quinto ‘considerando’ della citata direttiva enuncia che la tutela della salute umana richiede che venga prestata la debita attenzione al controllo dei rischi derivanti dall’immissione deliberata nell’ambiente di OGM.

6 L’ottavo ‘considerando’ della stessa direttiva precisa che nell’elaborazione di quest’ultima è stato tenuto conto del principio precauzionale e di esso va tenuto conto nella sua attuazione.

7 L’art. 4, n. 1, della direttiva 2001/18 prevede che gli OGM possano essere deliberatamente emessi nell’ambiente o immessi in commercio solo a norma, rispettivamente, della parte B o della parte C della medesima direttiva, vale a dire, principalmente, previa notifica di una domanda in tal senso, valutazione dei rischi per la salute umana e per l’ambiente e, successivamente, autorizzazione dell’autorità competente.

8 L’art. 4, n. 3, dispone che la valutazione verte sui potenziali effetti negativi, sia diretti che indiretti, sulla salute umana e sull’ambiente eventualmente provocati dal trasferimento di un gene dall’OGM ad un altro organismo.

Il regolamento n. 1829/2003

9 Il regolamento n. 1829/2003 disciplina l’autorizzazione e la vigilanza degli alimenti e dei mangimi geneticamente modificati nonché la loro etichettatura.

10 Ai sensi del primo ‘considerando’ di tale regolamento, la libera circolazione degli alimenti e dei mangimi sicuri e sani costituisce un aspetto essenziale del mercato interno e contribuisce in modo significativo alla salute e al benessere dei cittadini, nonché alla realizzazione dei loro interessi sociali ed economici.

11 Il secondo ‘considerando’ dello stesso regolamento sottolinea che nell’attuazione delle politiche comunitarie dev’essere garantito un elevato livello di tutela della vita e della salute umana.

12 Il terzo ‘considerando’ prevede, di conseguenza, che gli alimenti geneticamente modificati dovranno essere sottoposti a una valutazione della sicurezza tramite una procedura comunitaria prima di essere immessi sul mercato.

13 Il sedicesimo ‘considerando’ è così formulato:

«Il presente regolamento dovrebbe disciplinare alimenti e mangimi prodotti “da” un OGM, ma non quelli “con” un OGM. Il criterio determinante è se materiale derivato dal materiale di partenza geneticamente modificato sia presente o meno nell’alimento o mangime. I coadiuvanti tecnologici utilizzati solo durante il processo di produzione degli alimenti e dei mangimi non rientrano nella definizione di alimento o mangime e, pertanto, non rientrano nell’ambito di applicazione del presente regolamento. Allo stesso modo, non vi rientrano gli alimenti e i mangimi prodotti con l’aiuto di un coadiuvante tecnologico geneticamente modificato. In tal modo, i prodotti ottenuti da animali nutriti con mangimi geneticamente modificati o trattati con medicinali geneticamente modificati non saranno soggetti né alle norme in materia di autorizzazione né alle norme in materia di etichettatura di cui al presente regolamento».

14 L’art. 1 del regolamento n. 1829/2003 menziona lo scopo di «garantire un elevato livello di tutela della vita e della salute umana».

15 L’art. 2 dello stesso regolamento contiene un elenco di definizioni di nozioni pertinenti ai fini dell’applicazione di detto regolamento, eventualmente mediante rinvio alle definizioni di tali nozioni contenute nella direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GU L 109, pag. 29), nella direttiva 2001/18 o nel regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2002, n. 178, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU L 31, pag. 1).

16 Tale elenco contiene, tra le altre, le seguenti definizioni:

–        «alimento»: qualsiasi sostanza o prodotto, trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani (art. 2, primo comma, del regolamento n. 178/2002);

–        «organismo»: qualsiasi entità biologica capace di riprodursi o di trasferire materiale genetico (art. 2, punto 1, della direttiva 2001/18);

–        «[OGM]»: un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale (art. 2, punto 2, della direttiva 2001/18);

–        «emissione deliberata»: qualsiasi introduzione intenzionale nell’ambiente di un OGM o una combinazione di OGM per la quale non vengono usate misure specifiche di confinamento, al fine di limitare il contatto con la popolazione e con l’ambiente e per garantire un livello elevato di sicurezza per questi ultimi (art. 2, punto 3, della direttiva 2001/18);

–        «valutazione del rischio ambientale»: la valutazione dei rischi per la salute umana e per l’ambiente, diretti o indiretti, immediati o differiti, che possono essere connessi all’emissione deliberata o all’immissione in commercio di OGM (art. 2, punto 8, della direttiva 2001/18);

–        «alimenti geneticamente modificati»: alimenti che contengono, sono costituiti o prodotti a partire da OGM (art. 2, punto 6, del regolamento n. 1829/2003);

–        «prodotto a partire da OGM»: derivato, in tutto o in parte, da OGM, ma che non li contiene e non ne è costituito (art. 2, punto 10, del regolamento n. 1829/2003);

–        «ingrediente»: qualsiasi sostanza, compresi gli additivi, utilizzata nella fabbricazione o nella preparazione di un prodotto alimentare, ancora presente nel prodotto finito, eventualmente in forma modificata (art. 6, n. 4, della direttiva 2000/13).

17 L’art. 3, n. 1, del medesimo regolamento n. 1829/2003, rubricato «Campo di applicazione» e contenuto nella Sezione 1, intitolata «Autorizzazione e vigilanza», del capo II, denominato «Alimenti geneticamente modificati», dispone quanto segue:

«La presente sezione si applica:

a)      agli OGM destinati all’alimentazione umana;

b)      agli alimenti che contengono o sono costituiti da OGM;

c)      agli alimenti che sono prodotti a partire da o che contengono ingredienti prodotti a partire da OGM».

18 L’art. 4, n. 2, del citato regolamento vieta l’immissione in commercio di un OGM destinato all’alimentazione umana, di un alimento che contiene o è costituito da OGM, ovvero che sia prodotto a partire da o che contenga ingredienti prodotti a partire da OGM, a meno che per l’alimento di cui trattasi non sia stata rilasciata un’autorizzazione conformemente a tale regolamento.

19 L’art. 4, n. 3, subordina il rilascio di un’autorizzazione alla dimostrazione, in particolare, che l’OGM o l’alimento non abbiano effetti nocivi sulla salute umana, la salute degli animali o l’ambiente.

20 L’art. 13 sancisce i requisiti di etichettatura, i quali, conformemente all’art. 12, n. 1, si applicano agli alimenti che:

–        contengono o sono costituiti da OGM;

–        sono prodotti a partire da o contengono ingredienti prodotti a partire da OGM.

21 Tuttavia, in forza dell’art. 12, n. 2, tali requisiti non si applicano agli alimenti che contengono materiale che contiene, è costituito o prodotto a partire da OGM presenti in proporzione non superiore allo 0,9% degli ingredienti alimentari considerati individualmente, purché tale presenza sia accidentale o tecnicamente inevitabile.

22 L’art. 47 del regolamento n. 1829/2003 dispone, a titolo di misura transitoria della durata di tre anni, che la presenza negli alimenti di materiale che contenga OGM o sia costituito o derivato da OGM in proporzione non superiore allo 0,5% non è considerata una violazione dell’articolo 4, n. 2, purché tale presenza sia accidentale o tecnicamente inevitabile.

La direttiva 2001/110/CE

23 L’art. 1 della direttiva del Consiglio 20 dicembre 2001, 2001/110/CE, concernente il miele (GU 2002, L 10, pag. 47), dispone quanto segue:

«La presente direttiva si applica ai prodotti definiti nell’allegato I. Questi prodotti soddisfano i requisiti di cui all’allegato II».

24 L’allegato I, punto 1, di detta direttiva contiene la seguente definizione:

«Il miele è la sostanza dolce naturale che le api (Apis mellifera) producono dal nettare di piante o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o dalle sostanze secrete da insetti succhiatori che si trovano su parti vive di piante che esse bottinano, trasformano combinandole con sostanze specifiche proprie, depositano, disidratano, immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell’alveare».

25 L’allegato II, commi dal primo al terzo, della medesima direttiva precisa quanto segue:

«Il miele è essenzialmente composto da diversi zuccheri, soprattutto da fruttosio e glucosio nonché da altre sostanze quali acidi organici, enzimi e particelle solide provenienti dalla raccolta del miele. (…)

Al miele immesso sul mercato in quanto tale o utilizzato in prodotti destinati al consumo umano non è aggiunto alcun ingrediente alimentare, neppure gli additivi, e non è effettuata nessun’altra aggiunta se non di miele. Nei limiti del possibile, il miele deve essere privo di sostanze organiche e inorganiche estranee alla sua composizione. (…)

Fermo restando il punto viii), parte 2, punto b), dell’allegato I [che definisce il miele filtrato], è vietato estrarre polline o componenti specifiche del miele, salvo qualora sia inevitabile nell’estrazione di sostanze estranee inorganiche o organiche».

Il diritto nazionale

26 L’art. 36a della legge in materia di ingegneria genetica (Gentechnikgesetz; in prosieguo: la «GenTG»), introdotto dalla legge 21 dicembre 2004 (BGBl. 2005 I, pag. 186), è formulato come segue:

«Il trasferimento di determinate caratteristiche di un organismo che dipendono da lavori di ingegneria genetica costituisce, così come eventuali altre immissioni di [OGM], un’alterazione sostanziale ai sensi dell’art. 906 del codice civile [Bürgerliches Gesetzbuch; in prosieguo: il “BGB”], se, contrariamente alle intenzioni dell’avente titolo, a causa di tale trasferimento o altra immissione i prodotti, segnatamente,

1)      non possono essere immessi in commercio, o

2)      possono essere immessi in commercio, ai sensi della presente legge o di altre disposizioni, solo etichettati in modo da segnalare la modificazione genetica (…)».

27 L’art. 906, n. 2, del BGB, nella versione pubblicata il 2 gennaio 2002 (BGBl. 2002 I, pag. 42), dispone quanto segue:

«Lo stesso vale qualora, a causa dell’utilizzo consueto dell’altro fondo, si verifichi un’alterazione sostanziale che non è possibile evitare con misure economicamente sostenibili per gli aventi titolo. Se, come conseguenza, il proprietario deve sopportare determinate immissioni, nel caso in cui tali immissioni gli impediscano di utilizzare il suo fondo come di consueto o ne compromettano il rendimento in misura inaccettabile, egli può chiedere al proprietario dell’altro fondo un adeguato risarcimento in denaro».

Causa principale e questioni pregiudiziali

28 Nel 1998 la Monsanto Europe, in attuazione della decisione della Commissione 22 aprile 1998, 98/294/CE, concernente l’immissione in commercio di granturco geneticamente modificato (Zea mays L. Linea MON 810), a norma della direttiva del Consiglio 90/220/CEE (GU L 131, pag. 32), ha ottenuto un’autorizzazione all’immissione in commercio del mais geneticamente modificato MON 810 (in prosieguo: il «mais MON 810»).

29 La coltivazione del mais MON 810 è stata vietata in Germania con decisione del Bundesamt für Verbraucherschutz und Lebensmittelsicherheit (ente federale tedesco per la tutela dei consumatori e per la sicurezza alimentare) del 17 aprile 2009, che ha disposto la sospensione temporanea dell’autorizzazione all’immissione in commercio.

30 La Monsanto Technology è titolare di autorizzazioni per diverse varietà in forza della normativa applicabile alle sementi. La Monsanto Agrar Deutschland è competente per la commercializzazione in Germania delle sementi ottenute dal mais della linea MON 810.

31 Il mais MON 810 contiene un gene del batterio del terreno bacillus thuringiensis (Bt), che secerne tossine Bt nella pianta di mais. Tali tossine consentono di combattere le larve della piralide del mais, una farfalla parassita del mais le cui larve, in caso di infestazione, pregiudicano lo sviluppo della pianta. Le tossine Bt distruggono le cellule dell’apparato digerente delle larve causandone la morte.

32 Il Freistaat Bayern è proprietario di diversi terreni sui quali, negli ultimi anni, il mais MON 810 è stato coltivato a fini di ricerca. Esso non esclude di proseguire tale coltivazione alla scadenza del divieto in vigore su tutto il territorio tedesco.

33 Il sig. Bablok gestisce un’attività amatoriale di apicoltura. In prossimità dei terreni appartenenti al Freistaat Bayern, egli produce miele per la vendita e per il proprio consumo. Fino al 2005 produceva anche polline destinato alla vendita come prodotto alimentare sotto forma di integratore. Egli intende riprendere la produzione di polline non appena venga escluso il rischio di immissione di polline geneticamente modificato.

34 I sigg. Egeter, Stegmeier e Müller, nonché la sig.ra Klimesch, sono intervenuti nel procedimento nazionale in fase di appello. Anch’essi gestiscono attività amatoriali di apicoltura, alcuni di loro solo per il proprio consumo. I loro apiari si trovano a una distanza compresa tra 1 km e 3 km dai terreni del Freistaat Bayern.

35 Del polline, raccolto dalle api e riposto in talune parti dell’alveare ai fini dell’alimentazione, può finire con l’essere incorporato nel miele sia accidentalmente, attraverso le api stesse durante la produzione del miele, sia tecnicamente, mediante intervento dell’apicoltore, per effetto della centrifugazione dei favi durante la raccolta del miele, che determina l’estrazione, oltre che del contenuto degli alveoli in cui si trova il miele, anche del contenuto di alveoli vicini destinati allo stoccaggio del polline.

36 Nel 2005, nel polline di mais estratto dal sig. Bablok dagli alveari posti a una distanza di 500 m dai terreni del Freistaat Bayern è stata riscontrata la presenza, da un lato, di DNA di mais MON 810, nella misura del 4,1% rispetto al DNA complessivo del mais, e, dall’altro, di proteine transgeniche (tossina Bt).

37 Peraltro, è stata rilevata in alcuni campioni di miele del sig. Bablok la presenza di esigui quantitativi di DNA di mais MON 810, derivante dall’immissione di polline di tale mais.

38 Alla data della decisione di rinvio non era stata riscontrata la presenza di DNA di mais MON 810 nei prodotti apistici dei sigg. Egeter, Stegmeier e Müller, nonché della sig.ra Klimesch.

39 Nell’ambito del procedimento principale il giudice del rinvio è chiamato a pronunciarsi su una domanda volta a far constatare che, a causa della presenza di polline di mais MON 810 nei prodotti apistici di cui trattasi, questi ultimi sono stati resi inadatti alla commercializzazione o al consumo, e che, quindi, hanno subito un’«alterazione sostanziale» ai sensi degli artt. 36a del GenTG e 906, n. 2, del BGB.

40 Tale domanda è stata accolta in primo grado dal Bayerisches Verwaltungsgericht Augsburg (Tribunale amministrativo bavarese di Augusta), con sentenza del 30 maggio 2008. Tale giudice ha ritenuto che, con l’immissione di polline di mais MON 810, il miele e gli integratori alimentari a base di polline diventassero alimenti soggetti ad autorizzazione, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 4, n. 2, del regolamento n. 1829/2003, tali alimenti non potevano essere immessi in commercio in mancanza di una siffatta autorizzazione.

41 A parere del Bayerisches Verwaltungsgericht Augsburg, il miele e gli integratori alimentari a base di polline prodotti dal sig. Bablok sono sostanzialmente alterati a causa della presenza di polline di mais MON 810.

42 Contestando tale analisi, la Monsanto Technology, la Monsanto Agrar Deutschland e il Freistaat Bayern hanno interposto appello contro detta sentenza dinanzi al Bayerischer Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa bavarese).

43 Dinanzi a tale ultimo giudice essi sostengono che il regolamento n. 1829/2003 non è applicabile al polline della linea di mais MON 810, presente nel miele o utilizzato come integratore alimentare. Infatti, le conseguenze di una naturale immissione negli alimenti sarebbero state valutate e, quindi, autorizzate mediante la decisione 98/294.

44 Peraltro, il polline presente nel miele o utilizzato come integratore alimentare non costituirebbe un «OGM» ai sensi del regolamento n. 1829/2003, dato che, nel momento in cui viene incorporato nel miele o destinato all’alimentazione, in particolare sotto forma di integratore, esso non avrebbe più alcuna capacità concreta e individuale di riprodursi e che non sarebbe sufficiente a tal fine la mera presenza di DNA e/o di proteine transgeniche.

45 Se fosse applicabile il regolamento n. 1829/2003 si dovrebbe operare un’interpretazione restrittiva delle norme in materia di autorizzazione in esso contenute. In caso di immissione accidentale di polline di mais MON 810, la cui presenza in natura è consentita ex lege, il miele sarebbe soggetto ad un’autorizzazione di immissione in commercio solo a partire da una soglia di 0,9%, come previsto in materia di etichettatura all’art. 12, n. 2, del regolamento n. 1829/2003.

46 Il Bayerischer Verwaltungsgerichtshof rileva che la coltivazione di mais MON 810, effettuata in passato e che può riprendere in futuro, è giuridicamente lecita, purché venga rinnovata l’autorizzazione all’immissione in commercio, e che i ricorrenti devono pertanto tollerarla conformemente all’art. 906, n. 2, del BGB.

47 Alla luce di tale ultima disposizione, esso spiega che per risolvere la questione dell’alterazione sostanziale dei prodotti, determinante per dirimere la controversia nella causa principale, occorre stabilire se, in caso di immissione di polline di mais MON 810, tali prodotti, in quanto alimenti geneticamente modificati, non possano più essere immessi in commercio in mancanza di autorizzazione, conformemente all’art. 4, n. 2, del regolamento n. 1829/2003 o se, comunque, possano essere immessi in commercio solo se etichettati in modo da segnalare la modificazione genetica, in applicazione dell’art. 36a del GenTG.

48 Il giudice del rinvio sottolinea che la presenza di polline di mais MON 810 può produrre siffatte conseguenze unicamente qualora i prodotti apistici contenenti detto polline rientrino nell’ambito di applicazione del regolamento n. 1829/2003.

49 Esso osserva che per risolvere tale questione occorre verificare, anzitutto, se un polline di mais come quello in discussione nella causa principale costituisca un «organismo» ai sensi dell’art. 2, punto 4, del regolamento n. 1829/2003, e un «OGM» ai sensi del punto 5 del medesimo articolo, tenuto conto che tali disposizioni rimandano alle definizioni di queste due nozioni contenute nella direttiva 2001/18.

50 A suo parere, il polline di mais è un «organismo» poiché, nonostante non sia capace di riprodursi autonomamente, esso può, in quanto cellula sessuata maschile, trasferire in condizioni naturali materiale genetico alle cellule sessuate femminili.

51 Tuttavia, il Bayerischer Verwaltungsgerichtshof osserva che il polline di mais perde in un tempo relativamente breve, per disidratazione, la sua capacità di fecondazione di un fiore femminile di mais, per cui non è più un organismo vivente atto a svolgere le proprie funzioni per l’intero periodo di maturazione del miele, a partire dal momento in cui quest’ultimo, che lo incorpora, viene depositato nei favi e poi coperto da opercoli. Esso aggiunge che lo stesso vale per il polline contenuto nei prodotti a base di polline, nel momento in cui vengono destinati al consumo, in particolare, come integratori alimentari.

52 Esso si interroga quindi, principalmente, sulle conseguenze della perdita, da parte del polline controverso, della sua capacità riproduttiva.

53 In tale contesto il Bayerischer Verwaltungsgerichtshof ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la nozione di «[OGM]» ai sensi dell’art. 2, punto 5, del regolamento [n. 1829/2003] debba essere interpretata nel senso che include anche materiale di varietà vegetali geneticamente modificate (nella fattispecie: il polline di mais della linea geneticamente modificata MON 810) il quale, effettivamente, contiene DNA e proteine geneticamente modificate (nella fattispecie: la tossina Bt) ma, nel momento in cui è incorporato in un alimento (nella fattispecie: il miele) o è destinato all’alimentazione, in particolare come integratore alimentare, non possiede (più) alcuna capacità riproduttiva concreta e individuale.

2)      In caso di soluzione negativa della prima questione:

a)      Se, affinché un alimento sia considerato “prodotto a partire da OGM” ai sensi dell’art. 2, punto 10, del regolamento [n. 1829/2003], sia comunque sufficiente che contenga materiale proveniente da varietà vegetali geneticamente modificate, il quale abbia in precedenza posseduto una capacità riproduttiva concreta e individuale.

In caso di soluzione affermativa della questione sub a):

b)      Se la nozione di “prodotto a partire da OGM” di cui agli artt. 2, punto 10, e 3, n. 1, lett. c), del regolamento [n. 1829/2003] debba essere interpretata, con riferimento agli OGM, nel senso che non è richiesto un processo di produzione intenzionale e programmato e che essa ricomprende anche la presenza involontaria e accidentale di (ex) OGM in un alimento (nella fattispecie: miele o polline in qualità di integratore alimentare).

3)      In caso di soluzione affermativa della prima e della seconda questione:

Se il combinato disposto degli artt. 3, n. 1, e 4, n. 2, del regolamento [n. 1829/2003] debba essere interpretato nel senso che qualsivoglia immissione di materiale geneticamente modificato, la cui presenza in natura è consentita ex lege, in alimenti di origine animale, come il miele, determina il loro assoggettamento all’obbligo di autorizzazione e vigilanza previsto da tali disposizioni, o se si possano richiamare per analogia soglie applicabili in altri ambiti (per esempio nel caso dell’art. 12, n. 2, del regolamento)».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

54 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se la nozione di OGM di cui all’art. 2, punto 5, del regolamento n. 1829/2003 debba essere interpretata nel senso che una sostanza, quale il polline proveniente da una varietà di mais geneticamente modificato, non rientra o non rientra più in tale nozione dal momento che ha perso ogni capacità riproduttiva concreta e individuale, e ciò nonostante essa continui a contenere materiale geneticamente modificato.

55 Emerge dalla decisione di rinvio che, secondo un’interpretazione possibile della nozione di OGM, quest’ultima si riferirebbe unicamente ad un’entità atta a svolgere le proprie funzioni, vale a dire un’entità biologica vivente. Non sarebbe quindi sufficiente che il polline di mais privo di vita contenga DNA transgenico o proteine transgeniche. Le definizioni di organismo e di OGM di cui alla direttiva 2001/18 implicherebbero necessariamente che l’informazione genetica contenuta possa essere concretamente trasferita a un destinatario adeguato al fine della ricombinazione. Il quarto ‘considerando’ di quest’ultima direttiva corroborerebbe questa tesi. La medesima direttiva sembrerebbe quindi considerare decisivi due criteri di pari rilevanza, vale a dire quello della vitalità e quello della capacità riproduttiva, e non il semplice trasferimento di DNA che non sia più in grado di svolgere le sue funzioni riproduttive.

56 Nondimeno, il giudice del rinvio si chiede se un’interpretazione in tal senso non sia contraria allo scopo di tutela perseguito dal regolamento n. 1829/2003. Potrebbe risultare incompatibile con tale scopo escludere dall’ambito di applicazione di detto regolamento alimenti che contengono DNA o proteine geneticamente modificati in misura illimitata. L’elemento pertinente con riguardo alla sicurezza degli alimenti potrebbe dunque risiedere non tanto dalla capacità riproduttiva dell’OGM, quanto nella presenza di materiale geneticamente modificato.

57 L’art. 2, punto 5, del regolamento n. 1829/2003 definisce l’OGM rinviando alla definizione di tale nozione fornita dall’art. 2, punto 2, della direttiva 2001/18, vale a dire quale «un organismo (...) il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale».

58 È pacifico che il materiale genetico del polline di cui trattasi nella causa principale è stato modificato nelle condizioni illustrate dalla definizione di OGM.

59 Il giudice del rinvio potrà quindi qualificare tale polline come OGM unicamente qualora tale sostanza costituisca ancora un «organismo» ai sensi dell’art. 2, punto 4, del regolamento n. 1829/2003, il quale, mediante rinvio all’art. 2, punto 1, della direttiva 2001/18, definisce come «organismo» «qualsiasi entità biologica capace» o «di riprodursi» o «di trasferire materiale genetico».

60 Dal momento che la questione si concentra sulla seconda parte di tale definizione, relativa alla capacità di riproduzione o di trasferimento di materiale genetico, e poiché è pacifico che il polline di cui trattasi nella causa principale ha perso ogni capacità riproduttiva concreta e individuale, spetta al giudice del rinvio verificare se il polline sia in grado, peraltro, di «trasferire materiale genetico», prendendo debitamente in considerazione i dati scientifici disponibili e ogni forma di trasferimento di materiale genetico scientificamente dimostrata.

61 Anche qualora, a seguito di tale valutazione, il giudice del rinvio giunga a constatare che il polline di cui trattasi nella causa principale non è, o non è più, capace di trasferire materiale genetico, di modo che esso non potrebbe essere considerato un organismo e, di conseguenza, un OGM ai sensi del regolamento n. 1829/2003, da ciò non deriverebbe necessariamente che tale polline non rientra nell’ambito di applicazione di tale regolamento. Infatti, anche se, in tal caso, a tale polline non è applicabile l’art. 3, n. 1, lett. a) e b) del regolamento n. 1829/2003, nondimeno esso può rientrare nell’ambito dell’art. 3, n. 1, lett. c), del medesimo regolamento, possibilità prevista dal giudice del rinvio stesso nella sua seconda questione pregiudiziale.

62 Occorre dunque risolvere la prima questione dichiarando che la nozione di OGM, di cui all’art. 2, punto 5, del regolamento n. 1829/2003, deve essere interpretata nel senso che non rientra più in tale nozione una sostanza quale il polline derivante da una varietà di mais geneticamente modificato, la quale abbia perso la sua capacità riproduttiva e che sia priva di ogni capacità di trasferire il materiale genetico da essa contenuto.

Sulla seconda questione

63 Nella sua seconda questione il giudice del rinvio, che desidera ottenere chiarimenti sull’ambito di applicazione del regolamento n. 1829/2003, si riferisce all’art. 2, punto 10, di quest’ultimo, il quale definisce la nozione di «prodotto a partire da OGM».

64 Per quanto riguarda gli alimenti, l’ambito di applicazione del regolamento n. 1829/2003 è delimitato dal suo art. 3, n. 1, il quale si applica:

«a)      agli OGM destinati all’alimentazione umana;

b)      agli alimenti che contengono o sono costituiti da OGM;

c)      agli alimenti che sono prodotti a partire da o che contengono ingredienti prodotti a partire da OGM».

65 La portata dell’art. 3, n. 1, lett. a) e b), dipende essenzialmente dalla nozione di «OGM».

66 Qualora, nella causa principale, il giudice del rinvio dovesse constatare che il polline di cui trattasi non è o non è più capace di trasferire materiale genetico, di modo che esso non può essere considerato un OGM, tale controversia potrà rientrare nell’ambito di applicazione del regolamento n. 1829/2003 unicamente ove siano soddisfatti i requisiti posti dall’art. 3, n. 1, lett. c) di quest’ultimo.

67 In circostanze come quelle di cui alla causa principale, la quale riguarda prodotti «contenenti» il polline controverso, la portata dell’art. 3, n. 1, lett. c), del regolamento n. 1829/2003 dipende dalla nozione di «alimento», definita dall’art. 2, punto 1, del medesimo regolamento mediante rinvio all’art. 2 del regolamento n. 178/2002, nonché dalla nozione di «ingrediente», definita dall’art. 2, punto 13, del regolamento n. 1829/2003 mediante rinvio all’art. 6, n. 4, della direttiva 2000/13, e da quella di «prodotto a partire da OGM», definita dall’art. 2, punto 10, del regolamento n. 1829/2003.

68 Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede dunque, sostanzialmente, se:

–        gli artt. 2, punti 1, 10, 13, e 3, n. 1, lett. c), del regolamento n. 1829/2003, l’art. 2 del regolamento n. 178/2002 nonché l’art. 6, n. 4, lett. a) della direttiva 2000/13, debbano essere interpretati nel senso che, qualora una sostanza, come il polline contenente DNA e proteine geneticamente modificati, non possa essere considerata un OGM, prodotti quali il miele e gli integratori alimentari contenenti una siffatta sostanza costituiscono, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. c), del regolamento n. 1829/2003, «alimenti (...) che contengono ingredienti prodotti a partire da OGM»;

–        siffatta qualificazione valga indipendentemente dal fatto che l’immissione della sostanza di cui trattasi sia stata intenzionale o accidentale.

69 Prodotti quali il miele e gli integratori alimentari a base di polline di cui trattasi nella causa principale sono destinati ad essere ingeriti dall’essere umano. Essi sono dunque «alimenti» ai sensi degli artt. 2, punto 1, del regolamento n. 1829/2003 e 2 del regolamento n. 178/2002.

70 Il polline controverso nella causa principale deriva dal mais MON 810, cioè da un OGM.

71 Si deve ritenere che tale polline sia «prodotto a partire da OGM», ai sensi dell’art. 2, punto 10, del regolamento n. 1829/2003, qualora esso non possa più essere qualificato quale OGM in quanto, in tal caso, non consiste più in un OGM e non contiene più OGM.

72 Per poter risolvere la seconda questione si deve dunque principalmente accertare se detto polline possa essere qualificato come «ingrediente».

73 Ai sensi degli artt. 2, punto 13, del regolamento n. 1829/2003 e 6, n. 4, lett. a), della direttiva 2000/13, per ingrediente si intende «qualsiasi sostanza (...) utilizzata nella fabbricazione o nella preparazione di un prodotto alimentare, ancora presente nel prodotto finito, eventualmente in forma modificata».

74 Va qualificato come «ingrediente» il polline contenuto in integratori alimentari a base di polline, dal momento che vi è incorporato durante la loro fabbricazione o la loro preparazione.

75 Per quanto riguarda il polline contenuto nel miele occorre constatare che, ai sensi dell’allegato II, primo comma, della direttiva 2001/110, il miele è composto non solo da diversi zuccheri, ma anche da altre sostanze quali, in particolare, le «particelle solide provenienti dalla raccolta del miele».

76 Orbene, i pollini sono particelle solide che provengono effettivamente dalla raccolta del miele, parzialmente grazie alle api e, principalmente, quale effetto della centrifugazione realizzata dall’apicoltore. Peraltro, conformemente al terzo comma dell’allegato II della direttiva 2001/110, «è vietato estrarre polline (...), salvo qualora sia inevitabile nell’estrazione di sostanze estranee inorganiche o organiche».

77 Il polline non è dunque un corpo estraneo, un’impurità del miele, bensì un normale componente di quest’ultimo, che, per volontà del legislatore dell’Unione, non può in linea di principio essere estratto, anche se la frequenza della sua incorporazione e le quantità in cui esso è presente nel miele sono soggette a una certa imprevedibilità durante la produzione.

78 Pertanto, ai sensi dell’art. 6, n. 4, lett. a), della direttiva 2000/13, il polline, rientrante nella definizione stessa del miele fornita dalla direttiva 2001/110, deve essere considerato una sostanza «utilizzata nella fabbricazione o nella preparazione di un prodotto alimentare, ancora presente nel prodotto finito».

79 Esso dev’essere dunque parimenti qualificato come «ingrediente» ai sensi degli artt. 2, punto 13, del regolamento n. 1829/2003 e 6, n. 4, lett. a), della direttiva 2000/13.

80 La Commissione europea oppone a una siffatta conclusione una distinzione che dovrebbe essere operata tra la nozione di «ingrediente» e quella di «elemento costitutivo naturale». A suo parere, il polline sarebbe un elemento costitutivo naturale del miele e non un ingrediente, in modo tale che il miele che lo contiene non rientrerebbe nell’ambito di applicazione dell’art. 3, n. 1, lett. c), del regolamento n. 1829/2003. Tale risultato concorderebbe, del resto, con la formulazione del sedicesimo ‘considerando’ di tale regolamento, dal quale dovrebbe dedursi che gli alimenti di origine animale possono essere considerati prodotti a partire da un OGM unicamente qualora l’animale sia esso stesso geneticamente modificato.

81 Nondimeno, la distinzione così delineata non prende in considerazione le condizioni particolari dell’incorporazione del polline nel miele nonché del mantenimento volontario di tale polline nella composizione del prodotto finito.

82 L’interpretazione proposta comprometterebbe lo scopo di tutela della salute umana, in quanto un alimento come il miele sarebbe sottratto a qualsiasi controllo sulla sua sicurezza, e ciò anche qualora contenesse quantità elevate di materiale geneticamente modificato.

83 Essa trascurerebbe il criterio determinante per l’applicazione del regolamento n. 1829/2003, menzionato nel suo sedicesimo ‘considerando’, fondato sulla circostanza che «materiale derivato dal materiale di partenza geneticamente modificato sia presente o meno nell’alimento».

84 A tale proposito occorre osservare che l’analisi svolta dalla Commissione non è corroborata dal citato sedicesimo ‘considerando’, il quale spiega l’esclusione dall’ambito di applicazione di tale regolamento degli alimenti prodotti non «a partire da» un OGM, bensì «con» coadiuvanti tecnologici geneticamente modificati.

85 Infatti, gli esempi menzionati in tale ‘considerando’ di alimenti ottenuti da animali nutriti con mangimi geneticamente modificati sono unicamente volti ad illustrare la categoria di alimenti prodotti «con» un OGM nei quali non è riscontrabile la presenza di materiale prodotto a partire dalla materia di origine geneticamente modificata.

86 Essi non possono, di conseguenza, servire da fondamento per un’esclusione dall’ambito di applicazione del regolamento n. 1829/2003 di un alimento, quale il miele di cui trattasi nella causa principale, che contiene effettivamente un siffatto materiale.

87 Infine, non si può considerare, come suggerito dalla Monsanto per escludere parimenti il miele dall’ambito di applicazione di tale regolamento, che la presenza di polline non sia il risultato di un processo di produzione intenzionale.

88 Tale presenza, al contrario, è proprio la conseguenza di un processo di produzione consapevole e voluto dall’apicoltore che intende produrre l’alimento qualificato come miele dalla normativa dell’Unione. Essa deriva, inoltre, essenzialmente, dall’azione dell’apicoltore stesso, come conseguenza dell’operazione materiale di centrifugazione alla quale egli procede ai fini dell’estrazione.

89 In ogni caso, l’introduzione intenzionale, in un alimento, di una sostanza come il polline di cui trattasi nella causa principale, non può assurgere a condizione per l’applicazione del regime di autorizzazione previsto dal regolamento n. 1829/2003, poiché il rischio per la salute umana che tale regolamento mira a prevenire è indipendente dal carattere intenzionale o accidentale dell’introduzione della sostanza di cui trattasi.

90 Inoltre, un’interpretazione nel senso proposto dalla Monsanto priverebbe di oggetto l’art. 12, n. 2, del regolamento n. 1829/2003, il quale deroga all’obbligo di etichettatura sancito nell’art. 13 del medesimo regolamento qualora la presenza del materiale di cui trattasi non ecceda lo 0,9% degli ingredienti considerati individualmente, «purché tale presenza sia accidentale o tecnicamente inevitabile».

91 Infatti, la presa in considerazione del carattere accidentale o tecnicamente inevitabile della citata presenza sottrarrebbe, di per sé, l’alimento all’applicazione del regolamento n. 1829/2003 e dunque a qualsivoglia obbligo di etichettatura.

92 La seconda questione va risolta, di conseguenza, dichiarando che:

–        gli artt. 2, punti 1, 10, 13, e 3, n. 1, lett. c), del regolamento n. 1829/2003, 2 del regolamento n. 178/2002 e 6, n. 4, lett. a), della direttiva 2000/13 devono essere interpretati nel senso che, qualora una sostanza come il polline contenente DNA e proteine geneticamente modificati non possa essere considerata un OGM, prodotti quali il miele e gli integratori alimentari contenenti una siffatta sostanza costituiscono, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. c), del regolamento n. 1829/2003, «alimenti (...) che contengono ingredienti prodotti a partire da OGM»;

–        siffatta qualificazione vale indipendentemente dal fatto che l’immissione della sostanza di cui trattasi sia stata intenzionale o accidentale.

 

Sulla terza questione

93 Con la sua terza questione il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se gli artt. 3, n. 1, e 4, n. 2, del regolamento n. 1829/2003 debbano essere interpretati nel senso che, laddove implicano un obbligo di autorizzazione e di vigilanza di un alimento, a tale obbligo si può applicare, per analogia, una soglia di tolleranza come quella prevista in materia di etichettatura dall’art. 12, n. 2, del medesimo regolamento.

94 La Monsanto e il governo polacco considerano che, nell’ipotesi in cui un OGM sia stato autorizzato in forza della direttiva 2001/18 o, come nella controversia principale, in applicazione della direttiva del Consiglio 23 aprile 1990, 90/220/CEE, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati (GU L 117, pag. 15), abrogata e sostituita dalla direttiva 2001/18, l’autorizzazione rilasciata coprirebbe l’immissione accidentale, in altri prodotti, di tracce minime di materiale geneticamente modificato quale semplice conseguenza della messa in atto di tale autorizzazione; una siffatta conseguenza, a loro parere, sarebbe stata presa in considerazione al momento della valutazione dell’OGM.

95 Un’analisi in tal senso non può essere accolta.

96 Le direttive 90/220 e 2001/18 sono state adottate, l’una dopo l’altra, per disciplinare l’emissione deliberata di OGM nell’ambiente e l’immissione in commercio di OGM in quanto prodotti, al fine di evitare rischi per la salute umana e per l’ambiente che potrebbero risultare da tali OGM.

97 Il regolamento n. 1829/2003 si applica al settore particolare degli alimenti e dei mangimi. Per quanto riguarda gli alimenti, il suo primo scopo, menzionato nel suo art. 4, n. 1, è ancora una volta quello di evitare rischi per la salute umana e per l’ambiente.

98 Tuttavia, l’approccio delle direttive 90/220 e 2001/18 è concepito sotto l’aspetto predominante della nozione di «emissione deliberata», la quale è definita nell’art. 2, punto 3, di ciascuna di tali direttive come l’introduzione intenzionale nell’ambiente di un OGM per la quale non vengono usate misure specifiche di confinamento, al fine di limitare il loro «contatto con la popolazione e con l’ambiente».

99 Tale approccio appare dunque più generale, anche per quanto riguarda l’immissione in commercio di un OGM in quanto prodotto. Infatti, a proposito di quest’ultima, il dodicesimo, il tredicesimo e il quattordicesimo ‘considerando’ della direttiva 90/220 nonché il venticinquesimo, il ventottesimo e il trentaduesimo ‘considerando’ della direttiva 2001/18 collegano la necessità di avviare una procedura di valutazione e di autorizzazione all’ipotesi nella quale l’immissione in commercio implichi un’emissione deliberata nell’ambiente.

100 Il regolamento n. 1829/2003, pur comportando anche, in particolare ai suoi artt. 5, n. 5, e 6, n. 4, taluni aspetti di valutazione dei rischi per l’ambiente risultanti dagli alimenti, è fondato in modo preponderante, per quanto riguarda questi ultimi, su un approccio di tutela della salute umana collegato alla circostanza specifica che tali alimenti sono destinati, per definizione, ad essere ingeriti dall’essere umano. Così, conformemente al suo terzo ‘considerando’, per tutelare la salute umana, gli alimenti contenenti OGM, consistenti in siffatti organismi o prodotti a partire da questi ultimi, devono essere sottoposti ad una valutazione della loro «sicurezza».

101 Il regolamento n. 1829/2003 introduce in tal modo un livello di controllo supplementare.

102 Tale regolamento sarebbe privato del proprio oggetto se si ritenesse che una valutazione effettuata e un’autorizzazione rilasciata in applicazione della direttiva 90/220 o della direttiva 2001/18 coprano tutti i potenziali rischi successivi per la salute umana e l’ambiente.

103 Qualora siano soddisfatte le condizioni di cui all’art. 3, n. 1, del regolamento n. 1829/2003, l’obbligo di autorizzazione e di vigilanza sussiste a prescindere dalla proporzione di materiale geneticamente modificato contenuta nel prodotto di cui trattasi.

104 Infatti, per quanto riguarda tale obbligo, una soglia di tolleranza dello 0,5% è stata prevista unicamente dall’art. 47 del regolamento n. 1829/2003. Orbene, tale soglia ha cessato di essere applicabile tre anni dopo la data di applicazione di tale regolamento, conformemente al n. 5 del citato art. 47.

105 Relativamente alla soglia di tolleranza dello 0,9% per ingrediente stabilita dall’art. 12, n. 2, del regolamento n. 1829/2003, essa riguarda l’obbligo di etichettatura e non l’obbligo di autorizzazione e di vigilanza.

106 La sua applicazione per analogia a quest’ultimo obbligo priverebbe di ogni utilità la disposizione che la prevede, dal momento che escluderebbe l’alimento di cui trattasi dall’ambito di applicazione del regolamento n. 1829/2003.

107 In ogni caso, essa contrasterebbe con lo scopo di garantire un «elevato livello di tutela della vita e della salute umana», sancito nell’art. 1 di tale regolamento.

108 Occorre dunque risolvere la terza questione dichiarando che gli artt. 3, n. 1, e 4, n. 2, del regolamento n. 1829/2003 devono essere interpretati nel senso che, laddove implicano un obbligo di autorizzazione e di vigilanza di un alimento, a tale obbligo non si può applicare per analogia una soglia di tolleranza come quella prevista in materia di etichettatura dall’art. 12, n. 2, del medesimo regolamento.

Sulle spese

109 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      La nozione di organismo geneticamente modificato di cui all’art. 2, punto 5, del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 22 settembre 2003, n. 1829, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, deve essere interpretata nel senso che non rientra più in tale nozione una sostanza quale il polline derivante da una varietà di mais geneticamente modificato, la quale abbia perso la sua capacità riproduttiva e che sia priva di qualsivoglia capacità di trasferire il materiale genetico da essa contenuto.

2)      Gli artt. 2, punti 1, 10, 13, e 3, n. 1, lett. c), del regolamento n. 1829/2003, 2 del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2002, n. 178, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, e 6, n. 4, lett. a), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità, devono essere interpretati nel senso che, qualora una sostanza come il polline contenente DNA e proteine geneticamente modificati non possa essere considerata un organismo geneticamente modificato, prodotti quali il miele e gli integratori alimentari contenenti una siffatta sostanza costituiscono, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. c), del regolamento n. 1829/2003, «alimenti (...) che contengono ingredienti prodotti a partire da OGM». Siffatta qualificazione vale indipendentemente dal fatto che l’immissione della sostanza di cui trattasi sia stata intenzionale o accidentale.

3)      Gli artt. 3, n. 1, e 4, n. 2, del regolamento n. 1829/2003 devono essere interpretati nel senso che, laddove implicano un obbligo di autorizzazione e di vigilanza di un alimento, a tale obbligo non si può applicare per analogia una soglia di tolleranza come quella prevista in materia di etichettatura dall’art. 12, n. 2, del medesimo regolamento.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.