Consiglio di Stato Sez. VII n. 5734 del 2 luglio 2025
Rifiuti.Inquinamento e responsabilità
In via generale, l'ordinamento comunitario non vieta agli Stati di introdurre una responsabilità presunta e solidale del proprietario che abbia concesso in locazione un immobile dove si sia verificata la dispersione di rifiuti e di inquinamenti. L'unico limite è che la presunzione sia relativa, e dunque consenta la prova contraria. Nell'ordinamento nazionale è stata seguita una diversa impostazione, che richiede la prova del comportamento doloso o colposo del proprietario come condizione per imporre l'obbligo della rimozione dei rifiuti abbandonati. Vi sono, però, anche delle norme di segno opposto, che tutelano interessi pubblici superiori. In particolare, al proprietario incolpevole può essere chiesto di adottare le misure di prevenzione necessarie a impedire la diffusione della contaminazione (art. 245 comma 2, d.lgs. 152/2006). Questa seconda norma, che codifica una fattispecie di responsabilità del custode dell'immobile ex art. 2051 c.c., restringe in misura sostanziale la portata della prima. Il proprietario, infatti, pur essendo esonerato dalla rimozione dei rifiuti in quanto non responsabile dell'abbandono degli stessi, potrebbe essere coinvolto qualora la rimozione fosse necessaria per impedire la diffusione della contaminazione.
Pubblicato il 02/07/2025
N. 05734/2025REG.PROV.COLL.
N. 04266/2022 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4266 del 2022, proposto da Officine Perusi S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e dai signori Alessandro Perusi, Paola Perusi, rappresentati e difesi dall'avvocato Renzo Fausto Scappini, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
contro
Comune di Bussolengo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ruggero Castelletti, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
nei confronti
Fallimento So.Ge.Tec S.r.l. non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione Seconda, n. 1374/2021, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bussolengo;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 4 giugno 2025 il Cons. Ugo De Carlo e uditi per le parti gli avvocati Renzo fausto Scappini e Ruggero Castelletti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Officine Perusi S.r.l. ed i signori Alessandro Perusi e Paola Perusi hanno impugnato la sentenza indicata in epigrafe che ha dichiarato in parte irricevibile, in parte inammissibile e in parte infondato il loro ricorso volto all’annullamento dell'ordinanza n. 31 del 6 giugno 2018 del Sindaco del Comune di Bussolengo, nella parte in cui attribuisce alle Officine Perusi la corresponsabilità con la con la società SO.GE.TEC S.r.l.
2. La società appellante aveva concesso in locazione all’impresa SO.GE.TEC S.r.l. il fabbricato industriale sito in Bussolengo, Via del lavoro n. 2, con la pertinente area circostante, per lo svolgimento delle attività di raccolta, gestione e smaltimento di rifiuti pericolosi e non pericolosi.
Il Tribunale di Verona, previa risoluzione del contratto di locazione, condannava nel 2016 la affittuaria, che pochi mesi dopo veniva dichiarata fallita, a restituire alla Officine Perusi S.r.l. l’immobile.
A seguito di un sopralluogo nel febbraio 2017, veniva rilevata la presenza di rifiuti abbandonati prevalentemente all’interno del fabbricato industriale chiuso e, in minor parte, nell’area esterna di pertinenza del fabbricato. In particolare, all’interno del fabbricato venivano rinvenuti rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi quantificati complessivamente in 193.514 chilogrammi (Area A Box 1, 2, 3 e 4 e Area A5) mentre nell’area esterna al fabbricato, indicata dall’ARPAV come Area A2, risultavano accumulati sessanta “big bags” di rifiuti solidi di quantità e qualità non meglio precisata.
Con l’ordinanza impugnata veniva intimato da parte del Comune di Bussolengo di rimuovere i rifiuti.
Erano state poi presentate varie istanze perché il Comune, annullando l’ordine di rimozione dei rifiuti in autotutela, procedesse con l’esecuzione diretta in danno.
3. La sentenza ha dichiarato innanzitutto il ricorso irricevibile per la tardività dell’impugnazione dell’ordinanza in relazione alla data in cui era stata portata a conoscenza dei ricorrenti; le ulteriori censure con cui la ricorrente contesta il silenzio serbato dal Comune sulle varie istanze di autotutela e sulla diffida del 5.06.2020 a provvedere alla cd. esecuzione in danno, sono state dichiarate inammissibili poiché la P.A. non ha l’obbligo di provvedere sulle istanze di autotutela dei privati.
Infine la proposizione della domanda di accertamento e condanna dell’Amministrazione al rilascio di un determinato provvedimento amministrativo, nella specie ai sensi dell’art. 192 d.lgs. 152/2006, è stata parimenti ritenuta inammissibile perchè proposta al di fuori dei rigorosi limiti stabiliti dagli artt. 31 e 34, co 1, lett c) c.p.a.
4. L’appello è affidato a cinque motivi ed alla riproposizione di tre censure introdotte in primo grado e non esaminate.
4.1. Il primo censura la violazione dell’art 21 bis, l. 241/1990 e dell’art 1334 cc. Il ricorso non era tardivo poiché l’ordinanza di rimozione dei rifiuti è un atto recettizio che non ammette una conoscenza occasionale e/o al di fuori delle procedure di legge, in quanto incide su diritti soggettivi; la comunicazione dell’ordinanza avrebbe dovuto essere fatta con notifica ai sensi del c.p.c. o per messo comunale o almeno spedita via PEC. Invece, la mail cui è stata spedita ad un indirizzo generico per le informazioni aziendali e per le pubblicità e che non è controllato dagli amministratori.
Non vale la piena conoscenza di fatto del contenuto del provvedimento essendo la rituale notificazione del provvedimento recettizio una condizione di efficacia dello stesso.
4.2. Il secondo motivo lamenta la violazione dell’art 30 c.p.a. e degli artt. 1227 e 2058 c.c. Anche laddove l’azione di annullamento proposta fosse tardiva ciò non renderebbe inammissibile l’esperimento dell’azione di accertamento e di condanna al risarcimento del danno altrimenti sarebbe surrettiziamente reintrodotta la pregiudiziale amministrativa.
Appartenendo la materia del ciclo dei rifiuti alla giurisdizione esclusiva, trova applicazione l’art 30, commi 1 e 2, c.p.a., secondo cui la domanda di accertamento e di condanna della P.A. può essere proposta in via autonoma.
Vanno, perciò, vagliati nel merito tutti i presupposti per accogliere o meno la domanda, tenendo conto sul piano della colpa anche di tutte le richieste di esecuzione in danno contenute nelle istanze di autotutela.
4.3. Il terzo motivo contesta che il Comune non avesse il dovere di provvedere in autotutela sulle istanze e sulle diffide degli appellanti a provvedere alla cd esecuzione in danno.
La doglianza sostanziale degli appellanti non è tanto quella di non essere il Comune intervenuto in autotutela, quanto piuttosto di non aver concluso un procedimento che aveva attivato in seguito alla diffida inviata dagli appellanti in data 8 giugno 2018 ci era seguita la comunicazione del 18 giugno 2018 del Fallimento Sogetec sull’indisponibilità a procedere allo smaltimento dei rifiuti e alla bonifica del sito, facendo così maturare il silenzio-rifiuto.
Gli appellanti proprietari dell’immobile non potevano essere ritenuti investiti dell’obbligo dello smaltimento di rifiuti non abbandonati da loro solo perché l’autore dell’illecito si era dichiarato impossibilitato ad adempiere.
4.4. Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 192 d.lgs. 152/2006 poiché la sentenza ha ritenuto che il Comune non fosse obbligato ad attivare l’esecuzione in danno; l’ordinanza impugnata è stata emessa in totale assenza di istruttoria, addossando agli appellanti la responsabilità di intervenire per rimuovere i rifiuti in forza della loro qualità di proprietari delle aree ove i rifiuti sono stati abbandonati.
Il responsabile dell’abbandono era il Fallimento Sogetec. secondo quanto stabilito dalla sentenza 3/2021 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che ha affermato come ricada sulla curatela fallimentare l’onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all’art. 192 d.lgs. 152/2006 e i relativi costi gravano sulla massa fallimentare. Quindi, in seguito alla comunicazione del rifiuto del Fallimento di procedere, a sue spese, allo smaltimento dei rifiuti e alla bonifica del sito, il Comune avrebbe dovuto attivarsi per svolgere tali incombenti e poi avrebbe potuto chiedere le spese al Fallimento. Peraltro, il Comune aveva già in suo possesso un fondo di € 100.000 derivante dall’escussione della polizza fideiussoria da parte della Provincia.
4.5. Il quinto motivo proporne un contrasto con norme comunitarie dell’interpretazione giuridica della vicenda offerta dal primo giudice.
Il provvedimento recettizio non può produrre effetti su diritti soggettivi del privato se non notificato correttamente; secondo la CEDU l’art. 1 P1 esige, innanzitutto e soprattutto, che l’ingerenza della pubblica autorità nel godimento del diritto di proprietà sia legale. L’art. 6 della Convenzione stabilisce che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente.
Ulteriore elemento di non conformità con la normativa europea riguarda la pretesa del Giudice Amministrativo di inibire la possibilità per gli appellanti di dimostrare, indipendentemente dall’avvenuta impugnazione dell’atto amministrativo, la propria estraneità all’abbandono dei rifiuti.
4.6. Passando ai motivi riproposti, il sesto motivo sottolinea all’assenza assoluta di istruttoria e la carenza di motivazione in ordine all’imputabilità ai ricorrenti, odierni appellanti, a titolo di dolo o colpa, della responsabilità dell’abbandono dei rifiuti.
4.7. Il settimo motivo contesta che l’ordinanza 31/2018 è stata emessa nei confronti di un soggetto che non ha avuto alcun ruolo, neppure omissivo, nel deposito e abbandono di rifiuti presenti nell’area di sua proprietà ed al quale si imputa solo il fatto di essere proprietaria dell’area su cui si trovano i rifiuti. Infatti il procedimento penale aperto contro il signor Perusi si è concluso con un’archiviazione e ciò avrebbe dovuto indurre il Comune ad annullare l’ordinanza nei confronti degli attuali appellanti.
4.8. L’ottavo motivo reitera la censura relativa alla mancata conclusione del procedimento originato dalle diffide degli appellanti perché il Comune non voleva sostenere i gravosi oneri dell’esecuzione in danno il cui costo era molto superiore all’entità della fideiussione e la differenza non era evidentemente recuperabile insinuandosi nella massa passiva fallimentare.
4.9. Si insisteva anche nella richiesta risarcitoria e si instava perché fosse sollevata un’eccezione di costituzionalità dell’art 30 c.p.a. per violazione degli artt 24, 76 e 77 Cost, nonché dell’art. 44 l. 69/2009, laddove esso subordinasse la proposizione della domanda di accertamento e condanna al positivo e tempestivo esperimento dell’azione di annullamento avverso il provvedimento amministrativo illegittimo.
4.10 Nel corso del giudizio di appello è stata depositata la comunicazione emessa dagli appellanti in data 9 luglio 2024 circa l’avvenuto smaltimento dei rifiuti da parte loro con la richiesta di ricevere l’intera somma introitata dalla Provincia di Verona con la polizza fideiussoria escussa da UnipolSai e rilasciata a garanzia dell’esatto adempimento dell’attività di trattamento rifiuti, richiesta su cui è in corso un autonomo contenzioso innanzi al T.a.r. per il Veneto.
5. Il Comune di Bussolengo si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
6. L’appello non è fondato
6.1. La disciplina invocata per la notificazione di un provvedimento ex art. 21-bis l. 241/1990 non è applicabile nel diritto amministrativo nel quale per far decorrere il termine di decadenza per l’impugnazione dell’atto è sufficiente che ci sia una conoscenza sufficientemente esauriente del provvedimento. Vige in materia, come richiamato dal primo giudice, il principio di libertà
delle forme di esternazione del provvedimento amministrativo.
L’invio dell’atto ad una mail che non era quella esistente nei registri PEC non ha impedito all’avvocato della società di contestare, pochi giorni dopo la recezione della mail, l’attribuzione di responsabilità per l’abbandono dei rifiuti.
Il primo motivo è, pertanto, infondato e la pronuncia di irricevibilità per tardività va confermata.
6.2. Il secondo motivo ritiene che anche laddove si confermasse la pronuncia sulla tardività dell’impugnazione non sarebbe impedito, in ambito di giurisdizione esclusiva, di valutare comunque la responsabilità per danni della P.A.
Il T.a.r. non ha accolto la domanda risarcitoria “tenuto conto del comportamento inerte della ricorrente (che non ha dato esecuzione all’ordinanza n. 31/2018).. e per la mancata tempestiva proposizione dell’azione di annullamento, unita anche alla richiesta di misure cautelari che nella generalità dei casi è in grado di evitare in tutto o in parte il danno.”.
Innanzitutto va osservato che la responsabilità invocata non è quella di danno nei confronti di un diritto soggettivo ma di un interesse legittimo che si sostanzia nella richiesta che l’imposizione dell’obbligo di smaltimento dei rifiuti sia rivolto al soggetto che per legge deve ottemperare.
Pertanto va in ogni caso in prima battuta verificato se la pretesa del Comune che la ditta smaltisse rifiuti che non aveva prodotto era o meno conforme all’ordinamento.
Di conseguenza l’esame va esteso al terzo motivo che contesta il mancato riconoscimento dell’obbligo del Comune di dare seguito alle istanze di autotutela presentate dalla società che invocavano un’esecuzione dell’obbligo in danno dell’autore dell’illecito.
Anche in questo caso il T.a.r. ha ricordato che la presentazione delle istanze di autotutela non costituiscono una fonte dell’obbligo di provvedere da parte dell’ente pubblico, ma solamente una sollecitazione ad esercitare poteri officiosi.
Ma il punto essenziale è quello di stabilire se, a fronte di un’impossibilità della curatela del fallimento, quale affittuaria dell’immobile dove erano stati abbandonati i rifiuti, di smaltirli per mancanza di attivo, fosse legittimo pretendere l’adempimento di tale obbligazione da parte del proprietario dell’immobile.
6.3. La risposta a tale quesito consente di affrontare tutti i motivi non esaminati in primo grado a causa dell’esito in rito del gravame.
In via generale, l'ordinamento comunitario non vieta agli Stati di introdurre una responsabilità presunta e solidale del proprietario che abbia concesso in locazione un immobile dove si sia verificata la dispersione di rifiuti e di inquinamenti. L'unico limite è che la presunzione sia relativa, e dunque consenta la prova contraria. Nell'ordinamento nazionale è stata seguita una diversa impostazione, che richiede la prova del comportamento doloso o colposo del proprietario come condizione per imporre l'obbligo della rimozione dei rifiuti abbandonati. Vi sono, però, anche delle norme di segno opposto, che tutelano interessi pubblici superiori. In particolare, al proprietario incolpevole può essere chiesto di adottare le misure di prevenzione necessarie a impedire la diffusione della contaminazione (art. 245 comma 2, d.lgs. 152/2006). Questa seconda norma, che codifica una fattispecie di responsabilità del custode dell'immobile ex art. 2051 c.c., restringe in misura sostanziale la portata della prima. Il proprietario, infatti, pur essendo esonerato dalla rimozione dei rifiuti in quanto non responsabile dell'abbandono degli stessi, potrebbe essere coinvolto qualora la rimozione fosse necessaria per impedire la diffusione della contaminazione.
Pertanto va accertato se in capo alla società proprietaria non si possa ravvisare una responsabilità di tipo colposo dal momento che non basta affittare un immobile ad una società che opera proprio nel campo dello smaltimento dei rifiuti per poi disinteressarsi della condotta tenuta dall’operatore economico che utilizza il bene immobile, invocando il principio chi inquina paga per affermare la propria estraneità rispetto all’obbligo di smaltimento.
Nel caso di specie si può discutere se la società avesse posto in essere tutte le cautele per evitare che si creasse l’accumulo dei rifiuti ad esempio intraprendendo azione legale nei confronti dell’affittuaria non appena si è cominciata ad evidenziare la crisi attraverso il mancato o insufficiente pagamento del canone di affitto. Inoltre la circostanza che dal contratto di affitto sia derivato un utile per gli appellanti non è circostanza estranea nel valutare la responsabilità del proprietario. Nel caso di specie non si è verificata un’ipotesi spesso accaduta di abbandono di rifiuto da parte di terzi non identificati sul terreno altrui cosicché si è discusso in giurisprudenza se la mancata recinzione del terreno che avrebbe reso più difficile l’abbandono sia un’omissione idonea a radicare quella colpa su cui fondare l’obbligo di smaltimento.
Ma in ogni caso, avendo gli appellanti smaltito i rifiuti come da comunicazione del 9 luglio 2024, non si può pretendere alcun risarcimento dal momento che, se non l’avessero fatto, il Comune avrebbe potuto eseguire lo smaltimento ai sensi degli art. 250 e 253, comma 4, d.lgs. 152/2006 cosicché il proprietario non responsabile dell'inquinamento sarebbe stato tenuto a rimborsare le spese degli interventi adottati dall'autorità competente nei limiti del valore di mercato del sito che poteva essere acquisito in caso di mancato rimborso.
Pertanto la bonifica effettuata ha evitato che il Comune agisse in danno, non della curatela fallimentare, ma della proprietaria del bene nei limiti del suo valore.
In conclusione non c’è alcun risarcimento del danno perché, al di là delle ragioni per cui il T.a.r. ha respinto la domanda, se non avesse alla fine smaltito i rifiuti, avrebbe dovuto provvedere il Comune con costi che avrebbero gravato sull’immobile per un importo probabilmente superiore all’importo pagato dagli appellanti.
6.4. Non vi è spazio per sollevare la questione di costituzionalità proposta perché, al di là della sua possibile manifesta infondatezza, non sarebbe ormai rilevante per decidere il gravame.
7. La complessità della vicenda e l’estraneità dell’appellante al deposito illegittimo dei rifiuti da smaltire giustificano la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2025, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 87, comma 4 bis, c.p.a., con l'intervento dei magistrati:
Marco Lipari, Presidente
Carmelina Addesso, Consigliere
Ugo De Carlo, Consigliere, Estensore
Ofelia Fratamico, Consigliere
Francesca Picardi, Consigliere