TAR Emilia Romagna (BO) sez. II n. 8012 del 27 ottobre 2010
Rifiuti. Impianti di recupero
Un impianto che, ai fini di una specifica produzione industriale (nel caso di specie: produzione di conglomerato bituminoso) utilizzi e tratti (anche)"rifiuti" effettuando le"operazioni di recupero" definite nell'allegato C alla parte quarta del decreto legislativo n°152 del 2006, è per ciò stesso qualificabile, ai fini della normativa ambientale, come "impianto di recupero di rifiuti" . Esso costituirà tutt'al più un impianto di tipo promiscuo, nella misura in cui tratti, con riferimento allo specifico settore produttivo in cui opera, "aggregati (o inerti) naturali" e materie prime vere e proprie, accanto ad "aggregati riciclati", permanendo tuttavia la sua qualificazione come impianto di recupero, in quanto nessuna norma richiede che siano processati esclusivamente o prevalentemente rifiuti ai fini di tale attribuzione.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 08012/2010 REG.SEN.
N. 00018/2010 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 18 del 2010, proposto da:
Società Sintesis S.p.A., rappresentato e difeso dagli avv. Gualtiero Pittalis, Maria Giulia Roversi Monaco, con domicilio eletto presso Gualtiero Pittalis in Bologna, via S.Vitale 55;
contro
Provincia di Forli' - Cesena, rappresentato e difeso dall'avv. Giampaolo Dacci, con domicilio eletto presso Guido Mascioli in Bologna, via Santo Stefano 30; Regione Emilia Romagna, rappresentato e difeso dall'avv. Daniela Oppi, con domicilio eletto presso Regione Ufficio Legale Regione E.R. in Bologna, viale Aldo Moro 52;
per l'annullamento
del provvedimento della Provincia di Forlì-Cesena n.546 del 14.10.2009 e della nota di comunicazione prot.n.99282/09 del 14.10.2009 recanti il divieto di inizio dell'attività di recupero di rifiuti non pericolosi di cui alla comunicazione della Società ricorrente agli atti della Provincia in data 20.05.2009 prot.n.49378/09, nell'impianto industriale di Forlì di produzione di conglomerato bituminoso;
delle nota della Regione Emilia-Romagna P.G. 2009/206440 del 18.09.2009 e P.G. 2009/228858 del 12.10.2009 aventi ad oggetto il parere di sottoposizione dell'impianto industriale di Forlì alla verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale;
delle note della Provincia di Forlì-Cesena prot.n.67324/09 del 16.07.2009 e prot.n.76498/09 del 07.08.2009;
di ogni atto comunque connesso;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia di Forli' - Cesena e di Regione Emilia Romagna;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 aprile 2010 il dott. Alberto Pasi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La società Sintesis S.p.A. ha impugnato il provvedimento della Provincia di Forlì-Cesena (n°546 del 14/10/2009) con cui è stato disposto il divieto di inizio di attività di recupero di rifiuti non pericolosi, ai sensi dell'art. 216 del D.Lgs.n°152/2006, nonché i pareri resi dalla Regione Emilia Romagna sul punto, in relazione alla comunicazione della ricorrente datata 20/05/2009, di voler variare sia alcune tipologie, sia i quantitativi complessivi annui di rifiuti non pericolosi trattati ed avviati al recupero, nel proprio impianto di Forlì, con cui produce conglomerato bituminoso. Sia il provvedimento inibitorio provinciale che i pareri resi dalla Regione Emilia Romagna - Servizio Valutazione Impatto e Promozione Sostenibilità ambientale - si fondano sulla necessità che la modifica impiantistica - che, secondo la comunicazione della società, comporterebbe la variazione dei rifiuti complessivamente trattati nell'impianto, nell'ambito dell'attività di recupero già esercitata sin dal 1998, da 45.000 a 75.230 tonnellate per anno - sia sottoposta alla procedura di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale, ai sensi dell'art. 20 del D.Lgs. n.°152/2006, e in base a quanto stabilito dalle disposizioni di cui ai punti 7 lett. z.b e 8 lett. t dell’allegato IV alla parte seconda del citato Decreto legislativo, nel testo modificato dal D.Lgs. n°4/2008, che integra sul punto le disposizioni della L.R. n°9/1999.
Secondo la ricorrente, invece, il comma 4 dell'art. 216, prevede il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell'attività di recupero dei rifiuti, quale materia prima del processo industriale,
” soltanto qualora la Provincia accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1".
Nessuna delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1 dell'art. 216 sarebbe stata violata della ricorrente, ne' l’atto della Provincia ne indica alcuna.
Infatti l’art. 216, comma 1, rinvia alle norme tecniche e prescrizioni specifiche di cui al precedente art. 214, commi 1, 2 le quali consistono:
-nella garanzia di un elevato livello di protezione ambientale e di controlli efficaci (comma 1);
- ai sensi del comma 2, nella sottoposizione alla procedura semplificata dell'art. 216 delle attività di recupero di cui all'Allegato C , parte quarta del D. Lgs. n. 152/06, per tipi e quantità di rifiuti da recuperare fissate con decreto ministeriale (il D.M. 5.2.1998 modificato ed integrato con D.M. 5.4.2006).
La Società intende effettuare esattamente talune delle attività di recupero dei rifiuti previste dall'allegato C, parte quarta del D. Lgs. n. .152/06 (e specificamente l'attività R5 Riciclo/recupero di altre sostanze inorganiche, e l'attività R13 – Messa in riserva di rifiuti per sottoporli all'operazione di recupero R5), per tipi e quantità ammessi dal D.M. 5.2.1998 come integrato e modificato dal D.M. 5.4.2006, recante le uniche norme e condizioni tecniche al cui rispetto è subordinata la procedura semplificata di cui al combinato disposto degli artt. 214 e 216.
Quindi, nessuna norma tecnica o condizione richiamate dall'art. 216, comma .4 risulterebbe nella fattispecie violata.
Il rispetto delle tipologie e dei limiti quantitativi stabiliti dal D.M. 5.2.1998 sarebbe necessario e sufficiente ai fini della idoneità della comunicazione di cui all'art. 216 del D. Lgs. N, 152/06; nel sistema della procedura semplificata rileva ai fini della regolarità del recupero la valutazione effettuata ex ante con il D.M. 5.2.1998, cosicchè, una volta che risultino rispettati i parametri del decreto ministeriale, e precisamente le tipologie ed i quantitativi dei rifiuti da recuperare (come nella fattispecie risultano rispettati), ed una volta che si tratti effettivamente di attività di recupero di cui all'Allegato C parte quarta del D. Lgs. n. 152/06 (come esattamente accade nella fattispecie, ove si effettuano le operazioni di recupero R5), non residuerebbe alla Provincia alcun margine per vietare l'attività oggetto della comunicazione di cui all'art. 216, comma 1.(cfr TAR Lazio II 477/04, TAR Friuli Venezia Giulia 104/04, Corte Cost. 127/00).
Con un secondo motivo la ricorrente, premesso che la verifica di assoggettabilità alla V.I.A. è prevista dall'art. 20 del D. Lgs. n. 152/06 nel caso di progetti di cui all’allegato IV punto 7 z/b, relativi ad impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno, sostiene che la disposizione si riferisce agli impianti esclusivi di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, vale a dire agli impianti (ed ai relativi progetti)realizzati esattamente per tale specifica attività di smaltimento e recupero rifiuti, e dei quali tale attività costituisca l’oggetto specifico.
Nel caso di specie, al contrario, si tratta di uno stabilimento industriale per la produzione di conglomerato bituminoso, da sempre adibito esclusivamente a tale ordinaria attività, e che utilizza quale materia prima (per la produzione del conglomerato) alcuni rifiuti.
Tanto è vero che si applica la procedura semplificata e non il precedente art. 208 che prevede il normale regime autorizzatorio.
Siamo quindi al di fuori dalla portata applicativa dell'art. 20 e del punto 7, lett. z.b), dell'Allegato 4 del.D. Lgs. n. 152/06, che sono stati violati ed erroneamente richiamati dai provvedimenti impugnati.
Ciò vale anche con riferimento alla l.r. Emilia-Romagna 18.5.1999 n. 9, che disciplina la valutazione di impatto ambientale, la quale sottopone anch'essa allo screening unicamente gli impianti di ” smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno” (art.4 punto B, l.22-quinquies dell’Allegato B.1), con disposizione speculare al punto 7, lett. z.b), dell'Allegato 4 al D. Lgs. n. 152/06.
Anche la circolare regionale PG 2009/49760 del 27.02.2009 rispetto a cui la successiva posizione regionale si rivela anche manifestamente contraddittoria – a pag 10 distingue le “attività” di recupero rifiuti dagli “impianti” di recupero rifiuti, disponendo che le prime, a differenza delle seconde, "non sono soggette a procedure di verifica (screening) ed a procedure di VIA".
Inoltre l'impianto industriale di Forlì non ha subito né subirà alcuna modifica in relazione all’attività di recupero di rifiuti oggetto della comunicazione della ricorrente, quindi è inconfigurabile la nozione di modifica sostanziale dell'impianto e l'applicabilità degli artt. 5, comma 1, lett. 1 bis) e 20, comma 6, del D.Lgs. n. 152/06, così come del punto 7) lett. z.b) dell'Allegato 4 ed è erroneo il richiamo, di cui alla nota impugnata della Regione P.G. 2009/228858 del 12.10.2009, al punto 8, lett. t), dell'Allegato 4, il quale ha ad oggetto modifiche o estensioni di progetti di cui all'Allegato 3 o all'Allegato 4 .
Nè è rintracciabile alcuna norma che, con riferimento ad uno stabilimento industriale di produzione di conglomerato bituminoso, consenta di ravvisare una modifica sostanziale nel fatto in sè e per sè della modifica di taluni aspetti dell'attività di recupero rifiuti, ove tali modifiche siano pur sempre all'interno e nel rispetto del D.M. 5.2.1998, che costituisce il parametro preventivo di conformità dell'attività di recupero anche ai fini ambientali.
Inoltre, nessuno degli atti impugnati reca alcun elemento istruttorio o motivazionale che sorregga la tesi della modifica sostanziale.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta che la inibitoria della attività di recupero comunicata, non essendo assistita da idonea base giuridica, violerebbe principi costituzionali e comunitari di imparzialità e buon andamento della P.A., e di libertà di iniziativa economia e concorrenza.
Il quarto ed ultimo motivo riguarda la lamentata omessa valutazione delle osservazioni della ricorrente, acquisite in sede di partecipazione procedimentale.
Resistono la Regione Emilia-Romagna e la Provincia di Forlì-Cesena.
La causa passa in decisione alla odierna pubblica udienza.
Conviene preliminarmente definire la natura e tipologia dell’attività che la Sintesis pretende di esercitare in regime di procedura semplificata ex art.216 D.Lgs.n.152/2006 (comunicazione di inizio non seguita da provvedimento inibitorio, anziché autorizzazione ex art.208 dello stesso D.Leg.), al fine di verificare la sua astratta inquadrabilità (o meno) tra quelle soggette a “screening” ambientale ex art.20 del DLgs 152/06, allegato 4 punto 7 z) b) e punto 8 t), invocati dall’amministrazione.
Solo in caso di verifica positiva di tale astratta assoggettabilità allo “screening”, occorrerà esaminare se la osservanza dei limiti quantitativi e tipologici ex DM 5.02.1998 e s.m.i. possa costituire motivo di esenzione ex art.216 DLgs 152/06, in ragione della specialità di tale fattispecie.
La prima questione viene introdotta con il secondo motivo sotto un duplice profilo:
a) la ricorrente non esercita un impianto di recupero di rifiuti, a ciò specificamente destinato e dedicato, ma utilizza rifiuti nell’ambito del ciclo produttivo del conglomerato bituminoso, cioè esercita un impianto produttivo non finalizzato al recupero o allo smaltimento di rifiuti, ma un impianto diverso, ancorché in una fase di tale esercizio recuperi rifiuti, il che non basterebbe a qualificarlo impianto di recupero ai sensi del punto 7 z b dell’allegato IV.
b) tanto meno, l’aumento quantitativo dei rifiuti da recuperare, oltre il limite (10 tonnellate al giorno) stabilito, dalla normativa di riferimento, per l’assoggettamento a “screening” ambientale, costituisce modifica sostanziale dell’impianto produttivo ai sensi del punto 8 lett.t); esso resta assolutamente inalterato, atteso che l’incremento integra soltanto un maggiore sfruttamento della sua capacità produttiva preesistente.
Mancherebbero quindi, secondo la prospettazione, i presupposti applicativi sia del punto 7 z b dell’allegato 4 (impianto di recupero di rifiuti non pericolosi), che del punto 8 t dello stesso (modifica sostanziale dell’impianto ).
Rileva al riguardo il Collegio che nessuna norma è rinvenibile nell’ordinamento di settore la quale, ai fini della qualificazione come impianto di recupero, richieda che vi siano processati esclusivamente, o prevalentemente, rifiuti.
Posto che rifiuto è “qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi ” (art.183 Dlgs.152/06, comma 1, lett.a), che è recupero qualsiasi operazione che utilizzi ” rifiuti per generare materie prime secondarie, combustibili o prodotti, attraverso trattamenti meccanici, termici, chimici o biologici, incluse la cernita o la selezione (art.183 DLgs 152/06, comma 1, lett.h ), e che, senza ombra di dubbio, l’impianto della ricorrente effettua, anche, tali operazioni, esso deve qualificarsi, ai sensi della normativa ambientale, ed agli effetti della sottoposizione alla relativa disciplina, quale impianto di recupero di rifiuti.
In altri termini, non esiste la pretesa distinzione tra impianto di produzione industriale ed impianto di recupero di rifiuti, bensì rapporto di genere a specie tra il primo e il secondo.
Un impianto che, ai fini di una specifica produzione industriale (nel caso di specie: produzione di conglomerato bituminoso) utilizzi e tratti (anche)"rifiuti"- nella specie, identificati ai codici CER descritti nel provvedimento di iscrizione della Provincia di Forli-Cesena n°409 del 12/01/2009 effettuando le"operazioni di recupero" definite nell'allegato C alla parte quarta del decreto legislativo n°152 del 2006, è per ciò stesso qualificabile, ai fini della normativa ambientale, come "impianto di recupero di rifiuti" . Esso costituirà tutt'al più un impianto di tipo promiscuo, nella misura in cui tratti, con riferimento allo specifico settore produttivo in cui opera, "aggregati (o inerti) naturali" e materie prime vere e proprie, accanto ad "aggregati riciclati", permanendo tuttavia la sua qualificazione come impianto di recupero, in quanto nessuna norma richiede che siano processati esclusivamente o prevalentemente rifiuti ai fini di tale attribuzione. Giova infine, ricordare, che la società ricorrente è iscritta, sin dal 2000 , al Registro delle imprese che effettuano attività di recupero rifiuti, in procedura semplificata, costituendo dunque anche il recupero oggetto della sua attività di impresa.
Inoltre l'aumento di capacità di recupero, fino alla potenzialità massima comunicata , comporta - pur in assenza di modificazioni strutturali/edilizie- un ampliamento dell'impianto, del pari sottoposto a verifica di assoggettabilità, ai sensi del successivo punto 8 lett. t) del medesimo Allegato. Non vi può essere alcun dubbio che anche la modifica puramente gestionale, pur rimanendo invariata la struttura, configuri un ampliamento o un'estensione e pertanto rientri nel concetto di "modifica sostanziale ".Infatti tale soluzione, che considera anche il mero potenziamento produttivo, ove comporti superamento delle "soglie" previste per le varie categorie progettuali, nell'ambito delle "modifiche o estensioni di progetti già autorizzati, realizzati...che possono avere notevoli ripercussioni negative sull'ambiente...," è l’unica coerente con la funzione che la disciplina della VIA riveste nell'ordinamento nazionale e comunitario. Tale strumento è finalizzato infatti ad individuare,descrivere e valutare tutti gli effetti, diretti ed indiretti, permanenti o transitori,positivi e negativi, dei "progetti" sull'ambiente circostante, nelle sue componenti naturali ed antropiche. Ben si comprende, pertanto, che un impianto o un'infrastruttura debba essere valutata non solo per le sue caratteristiche "fisiche"(dimensione, localizzazione, ecc.) ma anche in ragione degli impatti che il suo funzionamento può avere sull'ambiente circostante. La correttezza di tale impostazione è confermata dalla giurisprudenza con specifico riferimento agli impianti che recuperano rifiuti non pericolosi. In tal senso si è pronunciato il TAR Lombardia (sez. IV, 21/11/2008, n°5534), reputando che l'aumento del quantitativo dei rifiuti complessivamente trattati presentasse inequivocabilmente le caratteristiche di una "modifica sostanziale"dell'impianto, con conseguente assoggettamento alla procedura di VIA, siccome comportante il superamento delle soglie dimensionali fissate negli Allegati alla parte seconda del D.Lgs. n°152/2006 . Nel caso considerato, si trattava dell'attività di una cartiera che effettuava operazioni di recupero, di cui all'All. C parte quarta del D.Lgs. n.152/2006 nel proprio impianto per la produzione di carta e cartone. Tale impianto, a seguito dell'ampliamento richiesto, costituito unicamente dall'aumento dei rifiuti complessivamente trattati, è stato ritenuto assoggettabile a VIA, in base alla disposizione dell'art. 23 del D.Lgs. n°152/2006 (nella previgente versione), in quanto rientrante tra gli "impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con capacità superiore a 100 t/giorno, mediante operazioni di incenerimento o trattamento di cui... all'Allegato C, lettere da R1 a R9, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.."
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, tale sentenza, ancorché riferita ad ipotesi di eccedenza dai limiti quantitativi e tipologici ex DM 5.02.1998, è del tutto pertinente, nella parte in cui definisce e qualifica l’aumento del quantitativo annuo (di rifiuti trattati) quale ampliamento o modifica sostanziale dell’impianto, ai fini della applicazione della disciplina VIA. Ulteriore e diversa è invece la questione, che la pronuncia lascia del tutto impregiudicata (e che sarà esaminata in questa sede nella trattazione del primo motivo), della eventuale esenzione degli impianti in esercizio in regime semplificato, laddove siano osservati i limiti ex DM 5.2.98, come nel caso di specie.
Peraltro dal confronto tra la planimetria dell’impianto (doc.1 della Provincia) presentata dalla ditta in occasione dell’iscrizione al registro delle imprese esercenti attività di recupero e quella allegata (doc.2 della Provincia) alla comunicazione del 20.5.2009, risulta evidente l’ampliamento dell’area dedicata alla messa in riserva (o stoccaggio) dei rifiuti.
Infatti l’area adibita alla messa in riserva R13 sulla precedente planimetria è pari a circa 1.400 mq. mentre la nuova area prevista per tale operazione sulla planimetria del 2009 è pari a circa 3.250 mq.
Dalla documentazione agli atti risulta un aumento dei quantitativi di rifiuti gestiti di oltre il sessanta per cento: dalle precedenti 45.000 t/anno alle 75.230 t/anno comunicate nel 2009.
Dalla relazione tecnica presentata dalla ditta in occasione della variazione risulta una produzione di conglomerato bituminoso in uscita dall’impianto stimata in 400.000 t/anno, mentre nella relazione tecnica presentata in occasione dell’iscrizione al registro imprese che recuperano rifiuti non pericolosi, mai modificata nei successivi rinnovi, la produzione stimata era di 150.000 t/anno.
Pertanto la modifica non può prescindere sia da un aumento delle ore di utilizzo dell’impianto di produzione di conglomerato bituminoso (ovvero della potenzialità oraria) che da un aumento dei mezzi in ingresso e in uscita dall’impianto e della movimentazione all’interno dello stesso, con impatti da valutare quanto meno in riferimento all’inquinamento acustico ed atmostefico.
Tanto più che il D.M. 05.02.1998, norma tecnica di riferimento nel caso di specie, all’art.1, comma 1, dispone quanto segue: “Le attività, i procedimenti e i metodi di recupero di ciascuna delle tipologie di rifiuti individuati dal presente decreto non devono costituire un pericolo per la salute dell’uomo e recare pregiudizio all’ambiente e in particolare non devono:
a) creare rischi per l’acqua, l’aria il suolo e per la flora e la fauna;
b) causare inconvenenienti da rumori ed odori;
c) danneggiare il paesaggio e siti di particolare interesse”.
Tale verifica non può che avvenire nell’ambito dell’unico strumento a ciò appositamente predisposto dall’ordinamento, che è, appunto, la procedura di “screening” ambientale e/o la valutazione dell’impatto ambientale.
Anche per questa via dunque si conferma la legittimità degli atti adottati dall'amministrazione, regionale e provinciale, che hanno esattamente qualificato come "impianto di recupero di rifiuti" quello della società ricorrente finalizzato alla produzione di conglomerato bituminoso, nonchè come “estensione" o"ampliamento" di tale impianto, l'aumento dei quantitativi annui dei rifiuti trattati , ai fini dell'assoggettamento a procedura di verifica ambientale.
Resta dunque da esaminare la questione (introdotta con il primo motivo) se costituisca o meno ragione di esenzione l’osservanza dei parametri stabiliti, per l’ammissione alla procedura semplificata di cui all’art.214 del DLgs 152/06, dal DM 5.2.98 che, secondo la ricorrente, implicano una valutazione “ex ante” di compatibilità ambientale.
E’ sicuramente corretto affermare che l’ammissione dell’attività di recupero alla procedura semplificata è legittimata dal (solo) rispetto della normativa tecnica di riferimento.
Il rapporto tra procedura semplificata ed impianti che recuperano rifiuti è oggetto della nota pronuncia della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 23.11.2006, causa C-486/04, che ha sanzionato per inadempimento l’Italia, per aver adottato, nella normativa nazionale di recepimento della direttiva 85/337/CEE, un “criterio inadeguato”, escludendo dalla valutazione di impatto ambientale i progetti di impianti che effettuano operazioni di recupero dei rifiuti in procedura semplificata ex D.Lgs n.22/1997. Tale criterio è inadeguato “nella misura di cui può portare ad escludere dalla detta valutazione progetti che hanno un impatto ambientale rilevante”, e non tiene conto dei parametri di selezione fissati nell’Allegato III della citata direttiva 85/337/CEE.
Secondo l’interpretazione costantemente fornita dalla Corte di Giustizia, i poteri riconosciuti agli Stati membri dalla citata direttiva non consentivano che alcuno dei progetti di cui all’Allegato II venisse sottratto anticipatamente all’obbligo di VIA.
La previgente versione del D.Lgs n.152/2006, sulla quale è intervenuta la pronuncia della Corte di Giustizia CE, esentava invece gli impianti di recupero dei rifiuti sottoposti alle procedure semplificate.
Attualmente, nella versione riformata del D.Lgs n.152/2006, dopo le modifiche introdotte dal D.Lgs n.4/2008, gli Allegati III e IV alla parte seconda del citato decreto legislativo, contenenti, rispettivamente, i progetti da sottoporre a VIA e a verifica di assoggettabilità, non prevedono più alcuna esclusione per gli impianti di recupero rifiuti sottoposti alle procedure semplificate.
La Corte di Giustizia, nella citata pronuncia, motivando la sua contrarietà a qualsiasi regime derogatorio di esclusione anticipata dalla procedura di VIA, ha posto una distinzione tra finalità dell’attività di recupero (preservare le risorse naturali) e modalità con le quali l’attività di recupero è effettuata, potendo esse comportare, al pari di quella di smaltimento, rilevanti ripercussioni per l’ambiente. Dal momento che le operazioni di smaltimento e di recupero di rifiuti si distinguono per lo scopo perseguito e non per i mezzi adoperati, la normativa nazionale non può dispensare anticipatamente dall’ambito di applicazione della disciplina sulla VIA gli impianti che effettuano operazioni di recupero di rifiuti non pericolosi, senza averne previamente accertato in concreto la loro incidenza ambientale.
L’interpretazione testuale degli invocati artt.214 e 216 del DLgs 152/06 è peraltro perfettamente compatibile con tali principi.
Infatti:
-l’osservanza dei parametri ex DM 5.2.98 è prevista dagli artt.214, comma 2, e 216, comma 1, come unica condizione di ammissione alle procedure semplificate, ma senza previsione di alcuna interferenza con la organica ed esaustiva disciplina della VIA, contenuta in altra parte (seconda) dello stesso decreto;
-gli artt. 214, 215 e 216, sotto il comune titolo di “procedure semplificate” (capo V del titolo I della parte quarta del decreto) recano invece, ove siano osservate le prescrizioni stabilite con gli appositi decreti di cui al comma 2 dell’art.214 (v.D.M. 5.2.98 e s.m.i.), una esplicita deroga SOLTANTO al regime autorizzatorio ordinario di cui agli artt.208 e ss. (capo IV dello stesso titolo I: “Autorizzazioni e iscrizioni”), consentendo senz’altro, alle condizioni ivi indicate, l’esercizio delle operazioni di recupero decorsi 90 (novanta)giorni dalla comunicazione di inizio senza che siano nel frattempo intervenuti provvedimenti inibitori (cd. regime semplificato);
-a ben vedere, quindi, la pretesa specialità e portata derogatoria rispetto alla disciplina della VIA, contenuta nella parte seconda (e sopra esaminata nel corso della trattazione del secondo motivo) si reggerebbe, esclusivamente, sul comma 4 dell’art.216, il quale prevede la emanazione del provvedimento inibitorio in caso di mancato rispetto delle norme tecniche e condizioni di cui al comma 1, ove inammissibilmente interpretato nel senso di porre sostanzialmente nel nulla ogni altra condizione di legge per lo svolgimento di operazioni di recupero, purchè siano osservate quelle specificamente prescritte per l’ammissione alla procedura semplificata:
-ma una tale interpretazione non ha alcun fondamento testuale, e confligge apertamente con il principio di stretta interpretazione delle norme derogatorie, attribuendo immotivatamente agli artt.214 e ss. del D.Lgs 152/06 una valenza derogatoria ulteriore rispetto a quella ivi espressamente prevista, cioè rispetto alla disciplina generale della VIA oltre che rispetto all’ordinario regime autorizzatorio ex artt.208 e ss., ed ai DD.MM. emanati ai sensi del comma 2 dell’art.214 una valenza di valutazione ambientale “ex ante” del tutto confliggente con la superiore normativa comunitaria come sopra illustrata;
-la lettura coordinata delle commentate disposizione della parte II e IV del DLgs 152/06 impone, quindi, di ritenere che l’osservanza dei parametri ex DM 5.2.98 è condizione aggiuntiva e non sostitutiva rispetto a quelle ordinariamente prescritte per le operazioni di recupero dei rifiuti (ivi comprese, ove occorrano lo “screening ambientale e/o la VIA stessa), necessaria e sufficiente al solo scopo di consentirne un esercizio-che sia già altrimenti legittimato dall’osservanza di tutti i presupposti di legge- in regime semplificato, cioè previa DIA non seguita da inibitoria, e senza necessità di previa autorizzazione espressa;
che le esigenze di protezione ambientale non siano affatto garantite “ex ante” dall’osservanza dei parametri ex DM 5.2.1998 (che non assorbono, quindi, la valutazione dell’impatto ambientale, ma costituiscono soltanto le condizioni di esonero dall’autorizzazione) è confermato dallo stesso tenore testuale dell’articolo introduttivo (art.1 comma1) del decreto medesimo, il quale premette alla definizione dei parametri che “le attività, i procedimenti, e i metodi di recupero…….non devono costituire un pericolo per la salute dell’uomo e recare pregiudizio all’ambiente e in particolare” creare rischi per acqua, aria, suolo, flora e fauna, rumori ed odori, né danni al paesaggio, premessa di carattere generale che sarebbe del tutto superflua ed ultronea, se tale esigenza di tutela ambientale fosse già ex sè assicurata dall’osservanza dei parametri tecnici successivamente stabiliti;
-ne segue che il tempestivo provvedimento inibitorio è, non soltanto legittimo, ma doveroso, non solo se siano violati i parametri ex DM 5.2.98, come espressamente previsto dal comma 4 dell’art.216, ma ogni qual volta sia verificata la mancanza di una qualsiasi delle condizioni di legge generalmente prescritte (in questo caso dalle disposizioni della parte II sulla compatibilità ambientale) per il tipo di attività di cui si tratta;
-tale modalità è del resto comune a diversi settori ordinamentali, ogni qual volta un’attività (es. edilizia, commerciale) ordinariamente sottoposta a regime autorizzatorio (o concessorio), sia consentita, in ragione della sua modesta entità, previa semplice comunicazione (e salvo divieto esplicito entro un termine certo), divieto che è vincolato non solo dal superamento dei limiti dimensionali che consentono di derogare al regime autorizzatorio/concessorio, ma anche dalla mancanza degli altri requisiti (soggettivi e oggettivi) di legge, cui è sempre e comunque subordinata l’attività, a prescindere dalle modalità procedurali che ne consentono lo svolgimento, ma in ogni caso previa completa verifica di tutte le condizioni di legge.
In altre parole, la portata derogatoria degli artt 214,215 e 216 del DLgs152/06 si esaurisce sul piano procedurale e non opera su quello sostanziale; tale conclusione è l’unica che corrisponde esattamente:
-al tenore letterale delle disposizioni in commento;
-alla finalità dell’istituto della procedura semplificata;
-alle finalità della disciplina dello “screening” ambientale e della VIA;
-alla superiore normativa comunitaria in materia di tutela ambientale, recepita dallo stesso DLgs 4/08 modificativo del D.LGS 152/06.
Rispetto a tali conclusioni, non possono costituire ragione alcuna di discrimine il carattere promiscuo dell’impianto e la mancanza di sue modificazioni edilizie e/o strutturali, della cui irrilevanza rispetto alla assoggettabilità allo “screening” si è già detto, in sede di esame del secondo motivo.
Del resto, i precedenti giurisprudenziali (TAR Friuli Venezia Giulia, 23.3.2004, n.104 e Corte Cost. 3.05.2000, n.27) invocati dalla ricorrente si limitano a ribadire che solo il DM 5.2.1998 fissa le specifiche condizioni di ammissibilità alla procedura semplificata, in presenza delle quali soltanto l’attività può essere dispensata dall’autorizzazione, il che non è mai stato revocato in dubbio ed è pienamente condiviso da questo Collegio.
La Sezione deve invece dissentire, per le ragioni suesposte, dall’assunto (TAR Lazio II, 21.01.2004, n.477) secondo il quale l’osservanza del DM 5.2.1998 garantirebbe “la sostanziale irrilevanza dell’utilizzazione dei rifiuti nel processo produttivo”.
Tutti tali precedenti, comunque,risalgono ad epoca anteriore allo stesso DLgs 152/06, su cui è intervenuta la richiamata pronuncia della Corte di Giustizia CE, in data 23.11.2006, che ha sanzionato l’esenzione dalla VIA degli impianti sottoposti a procedura semplificata, ed alle modifiche introdotte con DLgs 4/2008, e pertanto sarebbero comunque irrilevanti nel presente giudizio, instaurato dopo tale adeguamento normativo.
Anche la circolare regionale 27.2.2009 n.49760, invocata dalla ricorrente, nella parte in cui prefigura una distinzione tra attività e impianti di recupero, in funzione dirimente ai fini della assoggettabilità o meno allo “screening” ambientale, a prescindere dalla efficacia non vincolante delle circolari, esclude dalla verifica ambientale soltanto le mere attività di recupero che si svolgono senza l’ausilio di un impianto, definito come “un’entità tecnica composta da un macchinario o un sistema o da un insieme di macchinari o sistemi, comprese le strutture tecnicamente connesse, in cui sono svolte una o più attività che possono influire sulle emissioni o sull’inquinamento” (cfr pag.10). E’ pacifico in causa che tali elementi caratterizzanti la definizione di impianto di recupero sono presenti nella fattispecie, per cui in nessun modo giova alle tesi ricorrenti invocare la predetta circolare.
Sul piano della partecipazione procedimentale (quarto ed ultimo motivo ), il Collegio rileva che le osservazioni presentate dalla ricorrente (cfr.suo doc.10), a seguito della comunicazione ex art.10bis legge 241/90, fanno riferimento anzitutto ad una differente ed errata interpretazione di tale circolare che, comunque, atteso il carattere non vincolante della stessa e la natura subordinata della fonte, è sufficientemente controdedotta mediante il richiamo, di cui all’atto impugnato, della superiore normativa applicabile. Tale richiamo dà conto, anche, delle ragioni per cui il controllo della Provincia non potrà avere ed oggetto soltanto “il rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma1” dell’art.216 del DLgs 152/06, come la ricorrente pretende, con l’unico altro rilievo mosso con le osservazioni stesse.
Infine, poiché, come si ritiene di avere già sufficientemente argomentato, deve escludersi che gli atti impugnati non siano “assistiti da idonea base giuridica” (cfr.terzo motivo), va respinta anche la censura di violazione di principi comunitari (o anche costituzionali, a prescindere, per essi, dalla omessa indicazione delle norme primarie di riferimento) di libera iniziativa economica e concorrenza, imparzialità, buon andamento, proporzionalità ed adeguatezza.
Conclusivamente, il ricorso va respinto in tutti i motivi dedotti.
Le spese di lite vanno compensate in via equitativa, avuto riguardo al carattere interpretativo ed alla complessità della controversia.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Emilia-Romagna, Sez.II, Bologna, pronunciando in via definitiva sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2010 con l'intervento dei Magistrati:
Giancarlo Mozzarelli, Presidente
Alberto Pasi, Consigliere, Estensore
Umberto Giovannini, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/10/2010