SEZ. 1 SENT. 16686 DEL 08/04/2003 (UD.28/03/2003) RV. 224802
PRES. Gemelli T REL. Dubolino P COD.PAR.325
IMP. PM in proc. Massazza PM. (Conf.) Delehaye E
Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone - Schiamazzi molesti degli avventori di un bar - Responsabilita' del gestore dell'esercizio - Configurabilita'.
COD.PEN ART. 659
Correttamente il gestore di un bar e' ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 659, comma 1, cod. pen, per i continui schiamazzi e rumori provocati dagli avventori dello stesso, con disturbo delle persone. Infatti la qualita' di titolare della gestione dell'esercizio pubblico comporta l'assunzione dell'obbligo giuridico di controllare che la frequentazione del locale da parte dei clienti non sfoci in condotte contrastanti con le norme concernenti la polizia di sicurezza. 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
dott. Torquato GEMELLI Presidente
dott. Giovanni SILVESTRI Componente
dott. Umberto GIORDANO "
dott. Maria Cristina SIOTTO "
dott. Pietro DUBOLINO "
ha pronunciato la seguente:

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
Pubblico Ministero presso il GIP del Tribunale di Busto Arsizio;
nei confronti di:
Massazza Massimiliano nato il 15 giugno 1963;
avverso la sentenza del 13/02/2002 del GIP del Tribunale di Busto Arsizio;
Visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dubolino Pietro;
Sentito il P.G., in persona del sost. Dott. E. Delehaye, il quale ha chiesto l'annullamento con rinvio, limitatamente all'ipotesi di reato di cui all'art. 659, comma 1, c.p..
Rilevato in fatto
- che con l'impugnata sentenza il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Busto Arsizio, richiesto di emettere decreto penale di condanna nei confronti di Massazza Massimiliano per il reato di cui agli artt. 81, comma primo, 659, commi primo e secondo, c.p., pronunciò sentenza di assoluzione dell'imputato con la formula "il fatto non è più previsto dalla legge come reato";
- che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la locale procura della Repubblica, denunciando erronea applicazione di legge e mancanza di motivazione sull'assunto, nell'essenziale, che il giudice avrebbe adottato la propria decisione sulla sola base dell'intervenuta depenalizzazione dell'art. 659, comma secondo, c.p., a seguito dell'entrata in vigore della legge 26 ottobre 1995 n. 447 che prevede, all'art. 10, come semplice violazione amministrativa quella costituita dall'inosservanza dei limiti fissati dalle norme in materia di emissione sonore, senza considerare che nella specie risultava contestata anche la violazione del comma prima del citato art. 659 e che, inoltre, la depenalizzazione del secondo comma non copriva l'eventualità di violazioni - anch'esse, nella specie, contestate - di disposizioni di legge o di prescrizione dell'autorità diverse da quelle concernenti i limiti summenzionati.
Considerato in diritto
- che, come opportunamente ricordato dal ricorrente ufficio, questa Corte ha già avuto occasione di affermare che può dar luogo a violazione dell'art. 659, comma primo, c.p. anche la condotta del titolare o gestore di esercizio pubblico - attività di per sè non rumorosa - il quale non impedisca, per quanto possibile, schiamazzi e rumori provocati dagli avventori e suscettibili di recare disturbo al vicinato (in tal senso, fra le altre, oltre a Cass. I, 4 aprile 2001, Spadoni, non mass., cit. nel ricorso, anche Cass. VI, 24 maggio - 24 agosto 1993 n. 7980, Papez);
- che pertanto il ricorso , sotto il primo dei due profili precedentemente indicati, è da ritenere fondato, dal momento che nella prima parte del capo d'imputazione formulato nei confronti del Massazza si addebitava appunto a costui, nella qualità di gestore o legale rappresentante di un esercizio pubblico, la responsabilità di rumori e schiamazzi prodotti dalla clientela del locale; addebito, questo che, nella sua specificità, risulta del tutto ignorato nella motivazione dell'impugnata sentenza, nella quale ci si limita a richiamare l'intervenuta depenalizzazione del secondo comma dell'art. 659 c.p.;
- che, in linea di principio, il ricorso è parimenti fondato anche sotto il secondo dei dedotti profili, alla luce del principio più volte affermato da questa Corte secondo cui il reato già previsto dall'art. 659, comma secondo, c.p., conserva un suo ambito di applicazione nel caso di inosservanza di leggi o prescrizioni amministrative che non attengano alla regolamentazione dell'inquinamento acustico (in tal senso, fra le altre: Cass. I, 4 luglio - 21 settembre 1997 n. 8589, Vita, RV 208578);
- che, peraltro, deve pur sempre trattarsi, come pure questa Corte ha avuto occasione di affermare, di norme o prescrizioni le quali siano comunque "dirette a disciplinare e determinare specificamente le modalità, spaziali o temporali, dell'esercizio dell'attività di lavoro rumoroso", essendo invece "irrilevanti le disposizioni dettate ad altri scopi - urbanistici o simili - la cui violazione configurerà, qualora ne ricorrano le condizioni, altri reati od infrazioni amministrative, ma non il reato in esame" (in tal senso, Cass. V, 10 aprile - 11 agosto 1986 n. 8177, De Viti); e, nella specie, nella seconda parte del capo d'imputazione, cui si richiama il ricorrente ufficio, si addebita appunto all'imputato, oltre all'utilizzo di un impianto di emissioni sonore non corredato della prescritta relazione di un "tecnico acustico" (violazione rientrante sempre nell'ambito della regolamentazione dell'inquinamento acustico e, pertanto, depenalizzata), soltanto la mancanza di legittima concessione edilizia afferente l'immobile nel quale era sito l'esercizio pubblico in questione; il che esclude la fondatezza, in concreto, sotto questo profilo, della proposta censure;
- che, pertanto, in parziale accoglimento del gravame, va disposto l'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza, relativamente all'assoluzione dell'imputato dal reato di cui all'art. 659, comma primo, c.p., quale configurato nella prima parte del capo d'imputazione, con trasmissione degli atti allo stesso giudice per le indagini preliminari del tribunale di Busto Arsizio perchè riesamini, alla luce dei principii di diritto dianzi illustrati, la richiesta di emissione di decreto penale relativamente al reato anzidetto.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all'assoluzione dell'imputato dal reato di cui all'art. 659, comma primo, c.p., e dispone la restituzione degli atti al giudice per le indagini preliminari del tribunale di Busto Arsizio per corso ulteriore. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2003.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 9 APRILE 2003.