PRES. Gemelli T REL. Dubolino P COD.PAR.325
IMP. PM in proc. Massazza PM. (Conf.) Delehaye E
Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone - Schiamazzi molesti degli avventori di un bar - Responsabilita' del gestore dell'esercizio - Configurabilita'.
COD.PEN ART. 659
Correttamente il gestore di un bar e' ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 659, comma 1, cod. pen, per i continui schiamazzi e rumori provocati dagli avventori dello stesso, con disturbo delle persone. Infatti la qualita' di titolare della gestione dell'esercizio pubblico comporta l'assunzione dell'obbligo giuridico di controllare che la frequentazione del locale da parte dei clienti non sfoci in condotte contrastanti con le norme concernenti la polizia di sicurezza.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
dott. Torquato GEMELLI Presidente
dott. Giovanni SILVESTRI Componente
dott. Umberto GIORDANO "
dott. Maria Cristina SIOTTO "
dott. Pietro DUBOLINO "
ha pronunciato la seguente:
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
Pubblico Ministero presso il GIP del Tribunale di Busto Arsizio;
nei confronti di:
Massazza Massimiliano nato il 15 giugno 1963;
avverso la sentenza del 13/02/2002 del GIP del Tribunale di Busto
Arsizio;
Visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dubolino
Pietro;
Sentito il P.G., in persona del sost. Dott. E. Delehaye, il quale ha
chiesto l'annullamento con rinvio, limitatamente all'ipotesi di reato
di cui all'art. 659, comma 1, c.p..
Rilevato in fatto
- che con l'impugnata sentenza il giudice per le indagini preliminari
del tribunale di Busto Arsizio, richiesto di emettere decreto penale di
condanna nei confronti di Massazza Massimiliano per il reato di cui
agli artt. 81, comma primo, 659, commi primo e secondo, c.p.,
pronunciò sentenza di assoluzione dell'imputato con la
formula "il fatto non è più previsto dalla legge
come reato";
- che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la
locale procura della Repubblica, denunciando erronea applicazione di
legge e mancanza di motivazione sull'assunto, nell'essenziale, che il
giudice avrebbe adottato la propria decisione sulla sola base
dell'intervenuta depenalizzazione dell'art. 659, comma secondo, c.p., a
seguito dell'entrata in vigore della legge 26 ottobre 1995 n. 447 che
prevede, all'art. 10, come semplice violazione amministrativa quella
costituita dall'inosservanza dei limiti fissati dalle norme in materia
di emissione sonore, senza considerare che nella specie risultava
contestata anche la violazione del comma prima del citato art. 659 e
che, inoltre, la depenalizzazione del secondo comma non copriva
l'eventualità di violazioni - anch'esse, nella specie,
contestate - di disposizioni di legge o di prescrizione
dell'autorità diverse da quelle concernenti i limiti
summenzionati.
Considerato in diritto
- che, come opportunamente ricordato dal ricorrente ufficio, questa
Corte ha già avuto occasione di affermare che può
dar luogo a violazione dell'art. 659, comma primo, c.p. anche la
condotta del titolare o gestore di esercizio pubblico -
attività di per sè non rumorosa - il quale non
impedisca, per quanto possibile, schiamazzi e rumori provocati dagli
avventori e suscettibili di recare disturbo al vicinato (in tal senso,
fra le altre, oltre a Cass. I, 4 aprile 2001, Spadoni, non mass., cit.
nel ricorso, anche Cass. VI, 24 maggio - 24 agosto 1993 n. 7980, Papez);
- che pertanto il ricorso , sotto il primo dei due profili
precedentemente indicati, è da ritenere fondato, dal momento
che nella prima parte del capo d'imputazione formulato nei confronti
del Massazza si addebitava appunto a costui, nella qualità
di gestore o legale rappresentante di un esercizio pubblico, la
responsabilità di rumori e schiamazzi prodotti dalla
clientela del locale; addebito, questo che, nella sua
specificità, risulta del tutto ignorato nella motivazione
dell'impugnata sentenza, nella quale ci si limita a richiamare
l'intervenuta depenalizzazione del secondo comma dell'art. 659 c.p.;
- che, in linea di principio, il ricorso è parimenti fondato
anche sotto il secondo dei dedotti profili, alla luce del principio
più volte affermato da questa Corte secondo cui il reato
già previsto dall'art. 659, comma secondo, c.p., conserva un
suo ambito di applicazione nel caso di inosservanza di leggi o
prescrizioni amministrative che non attengano alla regolamentazione
dell'inquinamento acustico (in tal senso, fra le altre: Cass. I, 4
luglio - 21 settembre 1997 n. 8589, Vita, RV 208578);
- che, peraltro, deve pur sempre trattarsi, come pure questa Corte ha
avuto occasione di affermare, di norme o prescrizioni le quali siano
comunque "dirette a disciplinare e determinare specificamente le
modalità, spaziali o temporali, dell'esercizio
dell'attività di lavoro rumoroso", essendo invece
"irrilevanti le disposizioni dettate ad altri scopi - urbanistici o
simili - la cui violazione configurerà, qualora ne ricorrano
le condizioni, altri reati od infrazioni amministrative, ma non il
reato in esame" (in tal senso, Cass. V, 10 aprile - 11 agosto 1986 n.
8177, De Viti); e, nella specie, nella seconda parte del capo
d'imputazione, cui si richiama il ricorrente ufficio, si addebita
appunto all'imputato, oltre all'utilizzo di un impianto di emissioni
sonore non corredato della prescritta relazione di un "tecnico
acustico" (violazione rientrante sempre nell'ambito della
regolamentazione dell'inquinamento acustico e, pertanto,
depenalizzata), soltanto la mancanza di legittima concessione edilizia
afferente l'immobile nel quale era sito l'esercizio pubblico in
questione; il che esclude la fondatezza, in concreto, sotto questo
profilo, della proposta censure;
- che, pertanto, in parziale accoglimento del gravame, va disposto
l'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza, relativamente
all'assoluzione dell'imputato dal reato di cui all'art. 659, comma
primo, c.p., quale configurato nella prima parte del capo
d'imputazione, con trasmissione degli atti allo stesso giudice per le
indagini preliminari del tribunale di Busto Arsizio perchè
riesamini, alla luce dei principii di diritto dianzi illustrati, la
richiesta di emissione di decreto penale relativamente al reato
anzidetto.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente
all'assoluzione dell'imputato dal reato di cui all'art. 659, comma
primo, c.p., e dispone la restituzione degli atti al giudice per le
indagini preliminari del tribunale di Busto Arsizio per corso
ulteriore. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2003.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 9 APRILE 2003.