Cass. Sez. III n. 40439 del 12 dicembre 2006 (ud. 28 sett. 2006)
Pres. De Maio Est. Fiale Ric. Grifoni
Urbanistica. Attenuante art. 62 n. 6 c.p. in caso di demolizione

L’attenuante di cui all’art. 62 n.6 c.p. non è applicabile quando l’elisione delle conseguenze dannose o pericolose del reato (attuate attraverso attività di demolizione) avvengano a notevole distanza di tempo dal momento di realizzazione dell'illecito e siano conseguenza di un ordine impartito dall'autorità amministrativa preposta alla vigilanza sull'attività edilizia, poiché manca in tal caso la spontaneità del ravvedimento e, nel periodo di mantenimento ed uso del manufatto, è stato comunque già realizzato l’obiettivo illecito perseguito dall'agente.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. DE MAIO Guido - Presidente - del 28/09/2006
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - SENTENZA
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 1493
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 18315/2006
ha pronunciato la seguente:


SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GRIFONI Riccardo, nato a Roma il 27.11.1974;
avverso la sentenza 3.2.2006 della Corte di Appello di Roma;
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere Dott. Aldo Fiale;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Dr. Favalli Mario, il quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Udito il difensore, avv.to Michele Monaco, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Roma - con sentenza del 3.2.2006 - confermava la sentenza 24.3.2005 del Tribunale monocratico di Velletri che aveva affermato la responsabilità penale di Grifoni Riccardo in ordine ai reati di cui:
- alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c), per avere realizzato, in zona assoggettata a vincolo di uso civico, in assenza del prescritto permesso di costruire: un manufatto con struttura portante in ferro avente una superficie di circa 36 mq. ed altro manufatto in alluminio anodizzato di circa 49 mq. (entrambi a ridosso ed in ampliamento di un capannone commerciale preesistente); nonché due gazebo con struttura in alluminio, adibiti ad esposizione merci, per una superficie complessiva di circa 30 mq. - acc. in Ardea, al km. 35 + 500 della via Laurentina, loc. "Le Salzare", il 20.5.2002;
- al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163;
- alla L. n. 1086 del 1971, artt. 2, 4, 13 e 14 e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., lo aveva condannato alla pena complessiva di mesi uno di arresto ed Euro 10.600,00 di ammenda, ordinando la rimessione in pristino dello stato dei luoghi con demolizione dei manufatti abusivi e concedendo i doppi benefici di legge.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Grifoni, il quale - sotto il profilo della mancanza e della manifesta illogicità della motivazione - ha eccepito:
- l'incongruo disconoscimento della precarietà dei manufatti, facilmente amovibili e sottratti, per tale loro caratteristica, dal regime del permesso di costruire;
- l'eccessività della pena e l'illogico diniego dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, pur avendo egli "riparato interamente il danno" attraverso il ripristino spontaneo dello stato originario dei luoghi in epoca precedente all'inizio del giudizio. MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato. 1. La natura "precaria" di un manufatto - secondo la costante giurisprudenza di questa Corte Suprema vedi, tra le molteplici pronunzie, Cass., Sez. 3^ 2.7.1996, ric. De Marco; 4.10.1996, ric. Di Meo; 28.1.1997, ric. Arcucci; 20.6.1997, ric. Stile; 18.2.1999, ric. Bortolotti; 4.4.2003, ric. Nagni; 27.5.2004, ric. Polito; 3.6.2004, ric. Mandò - ai fini dell'esenzione dalla concessione edilizia, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di essa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo.
Nella fattispecie in esame i giudici del merito hanno escluso il requisito della temporaneità, non ravvisando un uso realmente precario dei manufatti di nuova installazione (stabilmente destinati ad ampliamento e complemento di un magazzino commerciale e ad esposizione permanente di merci), per fini specifici e cronologicamente delimitabili, ed a tale esclusione sono pervenuti con motivazione adeguata, coerente ed immune da vizi logico- giuridici.
2. Quanto al secondo motivo di ricorso, deve rilevarsi che, in tema di compromissione dell'assetto del territorio mediante edificazione abusiva, la circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, non è applicabile quando l'elisione o l'attenuazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato (attuate attraverso attività di demolizione) avvengano a notevole distanza di tempo dal momento di realizzazione dell'illecito e siano conseguenza di un ordine impartito dall'autorità amministrativa preposta alla vigilanza sull'attività edilizia, poiché manca in tal caso la spontaneità del ravvedimento e, nel periodo di mantenimento ed uso del manufatto, è stato comunque già realizzato l'obiettivo illecito perseguito dall'agente.
Legittimamente, pertanto, l'attenuante è stata denegata nella fattispecie in esame, che - come esattamente evidenziato dalla Corte di merito - è caratterizzata dall'accertamento dell'edificazione abusiva in data 20.5.2002, da un uso commerciale protratto delle stesse e dalla rimozione riscontrata soltanto nel marzo del 2005, "ben dopo l'inizio del processo di primo grado".
L'entità della pena, assai prossima ai minimi edittali e relativa 4 ben cinque fattispecie contravvenzionali, risulta correlata, infine, con motivazione adeguata, all'entità oggettiva dei fatti ed alla personalità dell'imputato, complessivamente considerate secondo i criteri direttivi di cui all'art. 133 cod. pen..
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2006