Cass. Sez. III n. 42717 del 23 ottobre 2015 (Cc 10 set 2015)
Pres. Fiale Est. Ramacci Ric. Buono ed altro
Urbanistica.Sequestro ed  incidenza sul carico urbanistico

L'incidenza sul carico urbanistico che giustifica il sequestro preventivo di un manufatto ultimato si configura anche nel caso in cui lo stesso, seppure utilizzato in conformità alle destinazioni di zona, presenti una consistenza volumetrica tale da determinare comunque un incremento della esigenza di strutture e di opere collettive correlate.



RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Salerno, con ordinanza del 20/2/2015 ha respinto l'appello, presentato nell'interesse di Antonietta BUONO ed Alfonso VASTOLA, avverso il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nocera Inferiore aveva respinto la richiesta di revoca del sequestro preventivo di un immobile, disposto in relazione ai reati di a cui agli artt. 323, 483 cod. pen., 44, lett. c), d.P.R. 380\01 e 181 d.lgs. 42/2004.
Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per cassazione tramite il comune difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Con un primo motivo di ricorso lamentano l'omessa valutazione dei motivi di appello riguardanti l'insussistenza del fumus dei reati di cui agli artt. 323 e 483 cod. pen., prospettata dalla difesa sulla base di note tecniche rese da esperti da questa designati e costituente elemento di novità.

3. Con un secondo motivo di ricorso deducono la violazione di legge in relazione alla valutazione della sussistenza del periculum in mora relativamente ai reati contravvenzionali ipotizzati e l'omessa valutazione dei motivi di appello sul punto.
Osservano, a tale proposito, che l'opera sarebbe ultimata e mancherebbe ogni aggravio del carico urbanistico, avuto riguardo alla circostanza che l'immobile avrebbe destinazione a deposito, coincidente con quella assentibile nella zona.
Insistono, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.     


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
Dall'esame del provvedimento impugnato e del ricorso, unici atti ai quali questa Corte ha accesso, emerge che l'immobile sottoposto a sequestro è un «capannone ad uso industriale/commerciale, realizzato in luogo di un capannone rurale da elevarsi in relazione al fondo e a servizio di attività agricola, assentito in virtù del un P.d.C. che secondo prospettazione accusatoria recepita dal G.I.P.  era illegittimo e frutto di accordo collusivo penalmente rilevante tra gli appellanti, destinatari del provvedimento amministrativo e gli organi comunali deputati al rilascio del titolo edilizio».
Aggiunge il Tribunale che il reato di abuso d'ufficio era stato ritenuto sussistente dal primo giudice per la pluralità e macroscopicità delle violazioni commesse nel rilascio del titolo abilitativo edilizio, emesso, tra l'altro, in favore di soggetti che non avrebbero dimostrato e posseduto la qualità necessaria di agricoltori.
Quanto agli illeciti di natura contravvenzionale, rilevano i giudici dell'appello che l'immobile in questione presenta una volumetria di mc 1512,00, in eccedenza rispetto a quella realizzabile sul lotto che, come si ricava dal ricorso (pag. 8), è pari a mc 277,00. Inoltre, nel lotto medesimo era presente un'ulteriore edifico di mc 145 non previsto negli elaborati e l'intera area risultava pavimentata in conglomerato bituminoso, rendendo di fatto impossibile ogni attività agricola.
Alla luce di tali dati fattuali il Tribunale ha respinto l'appello.

2. Ciò posto, rileva il Collegio come, dall'esame dell'ordinanza e del ricorso, non è dato rilevare se la questione concernente la legittimità del sequestro preventivo sia stata precedentemente prospettata al Tribunale attraverso una richiesta di riesame e conseguentemente, se le questioni relative alla sussistenza del fumus dei reati e del periculum in mora sia stata o meno in precedenza affrontata.
Nondimeno, i giudici dell'appello hanno ritenuto sussistenti i presupposti per il mantenimento della misura con riferimento alle violazioni delle norme urbanistiche e di tutela del paesaggio.
Lamentano tuttavia i ricorrenti che il Tribunale avrebbe omesso di considerare le allegazioni difensive in relazione alla sussistenza del fumus dei reati di falso ed abuso d'ufficio, pure contestati.
Tale censura, formulata nel primo motivo di ricorso, risulta generica.

3. Va infatti rilevato, in primo luogo, come non è dato rilevare in alcun modo, dal motivo di ricorso, quali siano le allegazioni difensive che il Tribunale avrebbe ignorato, essendosi i ricorrenti limitati ad indicarli come basati su pareri di tecnici di parte e ad affermare che, a dimostrazione della loro pregnanza, andavano testualmente riproposti in questa sede, senza che, però, ve ne sia traccia alcuna in ricorso.
Il motivo di ricorso risulta, comunque, anche infondato.
Va osservato, a tale proposito, che la valutazione del fumus commissi delicti non deve tradursi in un giudizio anticipato sul merito e non attiene necessariamente a tutti i reati indicati nella provvisoria incolpazione, ben potendo il giudice prendere in considerazione soltanto quelli ritenuti pertinenti rispetto alla misura cautelare applicata.
Tanto ha fatto, nel caso in esame, il Tribunale di Salerno, rilevando che, pur prescindendo da ogni ulteriore apprezzamento sul reato di abuso di ufficio (del falso non viene fatta menzione, né il ricorso chiarisce a quali condotte esso si riferisce) sussistevano tutti i presupposti per il mantenimento del vincolo reale sulla base delle contravvenzioni urbanistiche e paesaggistiche contestate.
Va peraltro considerato che, dal tenore complessivo del provvedimento, non è dato rilevare che il Tribunale abbia in qualche modo escluso la astratta configurabilità dell'abuso d'ufficio, avendo, al contrario, richiamato fatti inerenti al rilascio del permesso di costruire che ben potrebbero essere ricondotti nella figura tipica delineata dall'art. 323 cod. pen., quali l'emissione del titolo edilizio in favore di soggetti privi della necessaria qualifica soggettiva di agricoltore, in relazione alla destinazione urbanistica dell'area, per poi concentrare l'attenzione sui reati strettamente correlati alla misura reale.  
Neppure può affermarsi, come avviene in ricorso, che vi sia un interesse dei ricorrenti ad ottenere comunque una decisione sul punto, perché «ove in prosieguo dovesse emergere l'insussistenza del fumus rispetto ai residui reati, la misura verrà completamente meno» e che «anche nell'ipotesi negativa, l'eventuale attività esperibile da parte degli indagati per determinare il venir meno delle esigenze cautelari sarà chiaramente limitata ai soli reati residui», trattandosi di evenienze che restano confinate nell'ambito dell mere ipotesi e ben potendosi verificare anche successivamente ed alla luce di nuovi elementi la sussistenza delle condizioni per il mantenimento del sequestro.

4. Anche il secondo motivo di ricorso risulta infondato.  
Le opere realizzate, secondo la descrizione datane nel provvedimento impugnato, consistono, come si è detto, nella realizzazione di due manufatti, un capannone di cubatura superiore di oltre mille metri cubi rispetto a quella assentibile, di altro manufatto per 145 mq e nella completa pavimentazione dell'area mediante conglomerato bituminoso, il tutto eseguito in zona a destinazione agricola e sottoposta a vincolo paesaggistico.
Secondo quanto indicato in ricorso l'immobile ricada in Zona E3.
L'art. 5 delle NTA del PRG del Comune di San Valentino Torio (pubblicate nel sito internet dell'amministrazione comunale) definisce le Zone Agricole E3 come «aree seminative irrigue con colture pregiate o ad orto» e le indica come destinate esclusivamente all'agricoltura, fissando la relativa densità fondiaria.
Tutte le disposizioni relative alle zone classificate agricole sono chiaramente finalizzate a disciplinare interventi edilizi in stretta connessione con tale attività. Gli stessi ricorrenti, del resto, rilevano (pag.8 del ricorso) che nella zona ove insistono le opere sequestrate «è consentita la realizzazione di attrezzature agricole connesse alla conduzione del fondo», indicando alcuni manufatti (stalle, depositi, impianti per la trasformazione di prodotti etc.) anch'essi riferibili ad attività tipicamente rurali.
I ricorrenti sostengono anche che, avuto riguardo alla natura del manufatto, esso consiste in un deposito, edificio compreso tra quelli ammessi in zona e che, pertanto, non vi sarebbe alcuna negativa incidenza sul carico urbanistico, perché detto manufatto, benché eccedente la volumetria realizzabile, avrebbe un impatto addirittura inferiore a quello determinato da un impianto di trasformazione di prodotti).
Tale assunto, però, risulta del tutto destituito di fondamento.

5. Merita di essere ricordato quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di aggravio del carico urbanistico.
Una disamina dei precedenti giurisprudenziali più significativi è stata effettuata in una sentenza (Sez. 3, n. 36104 del 22/9/2011, P.M. in proc. Armelani, Rv. 251251) nella quale si è anche affermato il principio, secondo il quale, l’incidenza di un intervento edilizio sul carico urbanistico deve essere considerata con riferimento all’aspetto strutturale e funzionale dell’opera ed è rilevabile anche nel caso di una concreta alterazione della originaria consistenza sostanziale di un manufatto in relazione alla volumetria, alla destinazione o alla effettiva utilizzazione tale da determinare un mutamento dell’insieme delle esigenze urbanistiche valutate in sede di pianificazione con particolare riferimento agli standard fissati dal D.M. 1444\68.
Tale principio è stato successivamente ribadito (Sez. 3, n. 6599 del 24/11/2011 (dep. 2012), Susinno, Rv. 252016).
Con riferimento agli interventi eseguiti in zona sottoposta a vincoli, questa Corte ha avuto invece modo di evidenziare la diversa situazione, chiarendo che, ai fini della legittimità del provvedimento di sequestro preventivo, rileva la sola esistenza di una struttura abusiva, che integra il requisito dell'attualità del pericolo, indipendentemente all'essere l'edificazione illecita ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio ed all’equilibrio ambientale, a prescindere dall’effettivo danno al paesaggio, perdura in stretta connessione all'utilizzazione della costruzione ultimata (Sez. 3, n. 42363 del 18/9/2013, Colicchio, Rv. 257526; Sez. 3, n. 24539 del 20/3/2013, Chiantone, Rv. 255560; Sez. 3, n. 30932 del 19/5/2009, Tortora, Rv. 245207; Sez. 2, n. 23681 del 14/5/2008, Cristallo, Rv. 240621; Sez. 3, n. 43880 del 30/9/2004, Macino, Rv. 230184; Sez. 3, n. 32247 del 12/6/2003, Berardi, Rv. 226158).

6. Il Tribunale, nel provvedimento impugnato, ha posto in evidenza, richiamando anche la giurisprudenza di questa Corte, che l'immobile in questione è, per destinazione e cubatura, oltre che per la collocazione in area sottoposta a vincolo paesaggistico, negativamente incidente sul carico urbanistico per le mutate esigenze di opere ed infrastrutture determinate dal maggior flusso di persone e merci.
La conclusione cui sono pervenuti i giudici dell'appello risulta corretta.   
Invero, alla luce dei principi sopra ricordati, pienamente condivisi dal Collegio, deve rilevarsi come, anche a voler considerare l'immobile sequestrato come pienamente compatibile con la destinazione di zona, la realizzazione di una volumetria che supera di oltre 1000 metri cubi quella assentibile comporterebbe necessariamente una incidenza negativa sul carico urbanistico, atteso che anche se il manufatto fosse utilizzato quale deposito per attività agricole, ne risulterebbe notevolmente incrementata la capacità di stoccaggio dei prodotti e la superficie utilizzabile, con tutte le conseguenze in termini di presenza umana, circolazione di mezzi di trasporto, esigenze di infrastrutture che un così considerevole incremento volumetrico determinerebbe.     

7. Va quindi affermato che l'incidenza sul carico urbanistico che giustifica il sequestro preventivo di un manufatto ultimato si configura anche nel caso in cui lo stesso, seppure utilizzato in conformità alle destinazioni di zona, presenti una consistenza volumetrica tale da determinare comunque un incremento della esigenza di strutture e di opere collettive correlate.

8. Di tale destinazione effettiva, tuttavia, non vi è però traccia concreta nel caso in esame, poiché in ricorso ci si limita a negare che si tratti di un capannone industriale e non viene neppure indicata quale sia l'attività agricola specifica a servizio della quale una struttura di così considerevoli dimensioni sia stata realizzata, mentre le argomentazioni in fatto sviluppate nell'ordinanza portano a conclusioni diametralmente opposte, atteso che vi si legge, come pure si è accennato in precedenza, che i destinatari del permesso di costruire non rivestivano la qualità di agricoltori (circostanza desumibile anche dal ricorso, in quanto i documenti di identità allegati dai ricorrenti indicano come professione, per la  BUONO quella di «artigiano» e per il VASTOLA quella di «impiegato amministrativo») e l'area era stata interamente sottratta ad ogni utilizzazione agricola in conseguenza della pavimentazione mediante conglomerato bituminoso.
Il provvedimento impugnato risulta,pertanto, immune da censure.

9. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.  


P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in data 10.9.2015