Cass. Sez. III n. 44646 del 6 novembre 2015 (Ud 22 ott 2015)
Pres. Mannino Est. Ramacci Ric. Marronaro
Urbanistica. Abuso d'ufficio e sequestro immobile realizzato in base a titolo illegittimo

La realizzazione di un immobile sulla base di titolo abilitativo illegittimo, integrante reato di cui all'art. 323 cod. pen., è caratterizzata da un evidente rapporto di pertinenzialità tra l'immobile medesimo e la condotta illecita, funzionale alla realizzazione delle opere abusive, che possono pertanto essere sottoposte a sequestro preventivo.

RITENUTO IN FATTO


1. Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 20/4/2015, in accoglimento dell'appello proposto dal Pubblico Ministero avverso l'ordinanza con la quale, in data 12/12/2014, il Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale aveva rigettato la richiesta di sequestro preventivo di un immobile sito in Roma, Via Raffaele Costi 120, di proprietà della «MARRO 6 s.r.l.», ha disposto la misura cautelare reale in relazione al reato di cui all'art. 323 cod. pen., rispetto al quale risultano indagati il legale rappresentante della società, Bernardino MARRONARO, in concorso con alcuni dipendenti dell'amministrazione comunale di Roma e del progettista.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite i propri difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Con un primo motivo di ricorso  deduce la violazione di legge, lamentando l'insussistenza dei requisiti richiesti per l'applicazione del sequestro preventivo, osservando che difetterebbe il requisito della pertinenzialità fra il bene sequestrato ed il reato contestato, che semmai sussisterebbe in relazione alla documentazione relativa all'istruttoria tecnica e amministrativa nel procedimento  finalizzato al rilascio del titolo abilitativo edilizio (già sequestrata dal Pubblico Ministero procedente) e non anche con l'immobile in sé.  
Aggiunge che, sul punto, il Tribunale non avrebbe fornito alcuna motivazione.
Osserva, poi, che difetterebbe l'ulteriore requisito del periculum in mora, atteso che l'immobile risulterebbe attualmente occupato abusivamente da ignoti, che risultano vivere stabilmente all'interno.
Inoltre, l'assenza del periculum sarebbe ulteriormente dimostrata dal fatto che l'amministrazione comunale si è attivata per verificare la legittimità del titolo abilitativo rilasciato, rispetto al quale sarebbe anche spirato il termine di decadenza di cui all'art. 15 del d.P.R. 380\01.
A fronte di tale situazione, impeditiva di ogni ulteriore intervento sull'immobile, il sequestro disposto sarebbe anche in contrasto con i criteri di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, da considerare anche nell'applicazione delle misura cautelari reali.

3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge, osservando che l'elaborato relativo ad una consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero, depositato a sostegno dell'appello, sarebbe inutilizzabile, in quanto acquisito e valutato oltre il termine di scadenza delle indagini preliminari e prima che la proroga delle stesse fosse concessa.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.  


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è infondato.
Occorre premettere che, per quanto è dato rilevare dall'esame dell'ordinanza impugnata e del ricorso, unici atti a cui questa Corte ha accesso, non essendo in tali atti riportata integralmente neppure l'incolpazione provvisoria, l'abuso di ufficio è stato ipotizzato in relazione al rilascio di un permesso di costruire (n. 86/2014) per il cambio di destinazione d'uso da non residenziale a residenziale di un preesistente immobile ad uso industriale, in applicazione della legge regionale 11 agosto 2011 (c.d. piano casa) ed in deroga agli strumenti urbanistici ed edilizi comunali vigenti, mediante l'esecuzione di opere finalizzate a consentirne l'utilizzazione ai fini residenziali.
Lo stato preesistente dell'immobile risultava sanato, ai sensi dell'art. 36 d.P.R. 380\01, con permesso di costruire n. 1022/2008, che riconosceva la conformità di solo parte delle opere realizzate, prevedendo anche, ai fini del ripristino della originaria destinazione industriale/artigianale, un intervento demolitivo delle opere non sanabili o non sanate, intervento che non sarebbe mai stato realizzato.   
La preesistente e persistente situazione di illegittimità, secondo l'ipotesi accusatoria, evidenziava l'insussistenza delle condizioni per il rilascio del permesso di costruire n. 86/2014.
Sulla base di tali dati fattuali, il Tribunale ha riconosciuto la sussistenza del fumus del reato, rilevando anche la sussistenza dell'elemento soggettivo, facendo rilevare come alla richiesta di rilascio del permesso di costruire in data 29/3/2012 fossero significativamente allegate le planimetrie descrittive del post operam del permesso di costruire in sanatoria n. 1022/2008, anziché quelle dell'ante operam.

2. L'astratta configurabilità del reato non viene posta in discussione dal ricorrente, il quale si limita a porre in dubbio la sussistenza dei presupposti per l'applicazione del sequestro di cui si è detto in premessa.
Le considerazioni dei giudici dell'appello sul punto, peraltro, non presentano alcun profilo meritevole di censura, evidenziando una condotta certamente riconducibile nella fattispecie astratta delineata dall'art. 323 cod. pen., dando peraltro conto di tutte le anomalie dell'iter procedurale per il rilascio del titolo edilizio.
Il Tribunale, invero, evidenzia la illegittimità della situazione preesistente al rilascio del titolo determinata dalla mancata esecuzione di alcuni interventi imposti dal permesso in sanatoria del 2008, sui quali si sofferma, ponendo così l'accento anche sulla singolarità di tale titolo che, per quanto si rileva dal tenore dell'ordinanza, pare essere una sanatoria «parziale», perché concernente solo una parte dell'edificio o «condizionata», perché subordina gli effetti alla realizzazione di opere finalizzate a ricondurre l'immobile in condizioni di conformità allo strumento urbanistico e la cui liceità è stata più volte esclusa dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 23726 del 24/2/2009, Peloso, non massimata;Sez. 3, n. 41567 del 4/10/2007, P.M. in proc. Rubechi e altro, Rv. 238020; Sez. 3, n. 41669 del 25/10/2001, Tollon M, Rv. 220365 ed altre prec. conf. Vedi anche Sez. 3, n. 7405 del 15/1/2015, Bonarota, Rv. 262422; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e altro, Rv. 260973).

3. Fatta tale premessa, rileva il Collegio, con riferimento al primo motivo di ricorso, che la censura concernente la insussistenza della pertinenzialità del bene rispetto al reato contestato risulta infondata.
Il requisito della pertinenzialità va infatti inteso nel senso che il bene oggetto di sequestro deve caratterizzarsi per una intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto al reato commesso .
La sussistenza di detto requisito è stata ripetutamente riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte in relazione ad ipotesi di sequestro di immobile abusivo realizzato in forza di titolo abilitativo  illegittimo, integrante il reato di abuso di ufficio (cfr. Sez. 6, n. 732 del 10/12/2003 (dep. 15/01/2004), Polito, Rv. 228270; Sez. 6, n. 2887 del 08/07/2002 (dep. 2003), Marra, Rv. 223831;  Sez. 6, n. 2325 del 15/6/1996, P.M. in proc. Migliore, Rv. 205893).
Del resto, è evidente che è proprio il rilascio del titolo abilitativo con modalità tali da configurare il delitto di abuso d'ufficio che rende possibile la realizzazione di un manufatto altrimenti non assentibile e, pertanto, abusivo, cosicché pacificamente emerge la stretta correlazione tra bene e reato.
Il Tribunale, nel caso in esame, ha ampiamente dato conto, seppure in maniera implicita, della strumentalità del bene rispetto al reato ipotizzato, laddove ha descritto nel dettaglio l'iter procedimentale che ha consentito la realizzazione del manufatto con tutte le inevitabili conseguenze, in termini di permanente trasformazione del territorio ed incidenza sul carico urbanistico, che ne conseguono.

4. Va conseguentemente affermato che la realizzazione di un immobile sulla base di titolo abilitativo illegittimo, integrante reato di cui all'art. 323 cod. pen., è caratterizzata da un evidente rapporto di pertinenzialità tra l'immobile medesimo e la condotta illecita, funzionale alla realizzazione delle opere abusive, che possono pertanto essere sottoposte a sequestro preventivo.

5. Per ciò che concerne, poi, il periculum in mora, deve rilevarsi che il Tribunale ne ha correttamente rilevato la sussistenza, pur in presenza dell'abusiva occupazione da parte di terzi e dell'avvio della procedura di verifica del titolo abilitativo, che il ricorrente assume comunque decaduto.
I giudici dell'appello hanno affermato che l'occupazione abusiva del manufatto potrebbe venire meno in ogni momento per l'intervento delle autorità e che l'avvio della procedura di verifica amministrativa della legittimità del titolo edilizio è autonoma rispetto alle vicende del procedimento penale e non ha comunque portato alla emanazione di alcun provvedimento.
Si tratta di argomentazioni del tutto condivisibili, logiche e coerenti e, come tali, non censurabili in questa sede.

6. Giustamente la riconosciuta transitorietà dell'occupazione e le diverse finalità della procedura di verifica attivate dall'autorità amministrativa non fanno venir meno le esigenze cautelari che giustificano la misura e che il Tribunale ha indicato nella necessità di impedire la prosecuzione dei lavori e l'incremento del vantaggio patrimoniale assicurato con il rilascio del permesso di costruire illegittimo.
Parimenti irrilevante risulta, inoltre, la dedotta decadenza del permesso, rispetto al quale è lo stesso ricorrente a riconoscere di aver già avanzato richiesta di proroga ai sensi dell'art. 15 d.P.R. 380\01.
Le vicende amministrative del titolo edilizio non hanno alcuna incidenza, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, con riferimento al principio di proporzionalità ed adeguatezza che, dettato dall'art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali, la giurisprudenza di questa Corte è pressoché unanime nel riconoscere come applicabile anche alle misure cautelari reali.
Nel caso di specie si tratta, invero, per quanto è dato rilevare, di un immobile di rilevanti dimensioni, eseguito in contrasto con la destinazione di zona, finalizzato alla realizzazione di 33 unità abitative e suscettibile di ulteriori interventi modificativi, rispetto al quale, peraltro, l'amministrazione non ha adottato alcun provvedimento, avendo avviato esclusivamente un mero procedimento di verifica.
E' dunque evidente, quanto meno, la consistente incidenza sul carico urbanistico e la gravità della compromissione degli interessi attinenti al territorio che il manufatto determina e la conseguente inadeguatezza di cautele alternative meno invasive.

7. Parimenti infondato risulta il secondo motivo di ricorso.
Il Tribunale ha respinto l'eccezione di inutilizzabilità della consulenza tecnica del Pubblico Ministero, in quanto, prima della scadenza del termine per le indagini preliminari, risulta depositata una richiesta di proroga al G.I.P.
Correttamente il Tribunale ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale sono utilizzabili nel procedimento di riesame cautelare gli atti d'indagine assunti dal Pubblico Ministero dopo la scadenza del termine delle indagini preliminari, di cui sia stata tempestivamente richiesta la proroga solo successivamente concessa (Sez. 6, n. 16171 del 7/4/2011, P.M. in proc. Passarelli, Rv. 249893).
Va peraltro ricordato che, in altra occasione (Sez. 3, n. 4089 del 20/1/2012, Van Den Heule e altro, Rv. 251974), nel considerare la utilizzabilità, dopo la scadenza del termine per le indagini preliminari, degli atti rielaborativi di precedente attività o meramente ricognitivi, si è osservato come il riferimento agli «atti di indagine», che l'articolo 407 cod. proc. pen. sanziona con l'inutilizzabilità se compiuti dopo la scadenza del termine per l'espletamento delle indagini preliminari, deve ritenersi effettuato limitatamente ad attività tipiche rispondenti alle finalità indicate dall'articolo 326 cod. proc. pen. e, come tali, necessarie per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale e per l'acquisizione delle prove. Si era poi ricordato che l'inutilizzabilità non riguarda gli atti compiuti prima, ma depositati successivamente alla scadenza del termine per le indagini preliminari (Sez. 2, n. 40409 del 8/10/2008, Scatena, Rv. 241870; Sez. 3, n. 10664 del 27/9/1995, Poli, Rv. 202945), così come deve escludersi l'inutilizzabilità degli atti la cui esecuzione il Pubblico Ministero abbia tempestivamente delegato alla polizia giudiziaria, ancorché i relativi esiti siano acquisiti successivamente alla scadenza del termine (cfr. Sez. 2, n. 45988 del 28/11/2007, Tripodi, Rv. 238519).            

8. Dunque, in disparte la natura di atto tipico di indagine dell'accertamento tecnico non ripetibile disposto dal Pubblico Ministero (che Sez. 5, n. 3178 del 1/6/2000, Brunello, Rv. 216940 esclude) e tralasciando di considerare se l'incarico al CT fosse antecedente o successivo alla scadenza del termine per le indagini preliminari, risulta pacifico, avendone dato atto lo stesso ricorrente, che, nel caso in esame, il Pubblico Ministero aveva comunque richiesto tempestivamente la proroga delle indagini preliminari.
La decisione del Tribunale sul punto è, quindi, del tutto immune da censure.

9. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in data 22.10.2015