Cass. Sez. III n. 41518 del24 novembre 2010 (Ud.22 ott. 2010)
Pres. Teresi Est.Rosi Ric.Bove
Urbanistica.Muro di recinzione di un fondo

Occorre il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di recinzione di un fondo agricolo che modifichi l'assetto urbanistico del territorio per struttura ed estensione, senza che la presenza all'interno del fondo di un edificio adibito ad abitazione possa farlo ritenere pertinenza di quest'ultimo.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. TERESI Alfredo - Presidente - del 22/10/2010
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - SENTENZA
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 1622
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ROSI Elisabetta - rel. Consigliere - N. 8083/2010
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) \BOVE ALFREDO\ N. IL *02/09/1966*;
avverso la sentenza n. 1261/2007 CORTE APPELLO di SALERNO, del 30/11/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/10/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mario Fraticelli che ha concluso per l'annullamento senza rinvio perché escluso il reato per prescrizione.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Salerno con sentenza depositata l'11 dicembre 2009, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Vallo della Lucania in data 11 giugno 2005, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di \BOVE Alfredo\ in relazione al reato di cui all'art. 734 c.p. per intervenuta prescrizione e, scissa la continuazione limitatamente a detto reato, aveva rideterminato la pena inflitta in giorni 9 di arresto ed Euro undicimila di multa, confermando la condanna per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) e della L. n. 394 del 1991, artt. 6 e 30, comma 1, relativi alla realizzazione di un intervento edilizio, consistente in un muro in blocchi cementizi della lunghezza di m. 9,20 e dell'altezza di m. 1, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed ambientale, in quanto rientrante nella perimetrazione del Piano territoriale Paesistico del Cilento costiero, in assenza del permesso a costruire, fatto avvenuto in Camerata, nel luglio 2004. Il difensore dell'imputato ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per la violazione dell'art 606, comma 1, lett. b). c) ed e), in relazione agli artt. 605, 192 c.p.p.:
1. con riferimento al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c). Il ricorrente ha dedotto innanzitutto l'insussistenza del reato di violazione edilizia per le modeste dimensioni del muro di recinzione della proprietà dell'imputato, la quale non poteva essere inclusa nel concetto di "nuova costruzione". Il giudice di appello, senza svolgere alcuna motivazione sul punto, non avrebbe correttamente utilizzato il principio secondo il quale "la realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire quando, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli "interventi di nuova costruzione", affermato da questa giurisprudenza (Cass. pen. 4755 del 13.12.2007) con riferimento ad un muro di recinzione di altezza pari a mt. 2.5, in una fattispecie ben diversa da quella del caso di specie, senza svolgere alcuna motivazione sul punto. La decisione di appello sarebbe altresì contraddittoria, quanto al motivo di gravame relativo al mancato riconoscimento della natura pertinenziale dell'intervento, rispetto alla abitazione dell'imputato, sita a poca distanza dal muro: i giudici di appello avrebbero, da un lato, negato il carattere pertinenziale in riferimento ad un'area agricola e dall'altro avrebbero dato atto che il muro di recinzione risultava posto a delimitazione della proprietà dell'imputato all'interno della quale è ubicata l'abitazione.
2. con riferimento al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 36, 44, lett. c) e art. 45.
La Corte di appello avrebbe disatteso la richiesta di proscioglimento per l'estinzione del reato di indole urbanistica a seguito di demolizione spontanea dell'opera da parte dell'imputato, richiamando la giurisprudenza di legittimità sul punto, in quanto era stato in seguito rilasciato il permesso di costruire una recinzione e pertanto l'imputato avrebbe addirittura potuto ottenere il rilascio di titolo abilitativo in sanatoria, con conseguente estinzione del reato. I giudici di appello hanno invece ritenuto che l'opera assentita ("recinzione in legno e rete metallica senza cordolo di cemento armato") sarebbe stata diversa da quella realizzata "blocchi in cemento", con ciò travisando la differenza tra blocco e cordolo di cemento armato.
3. con riferimento alla L. n. 394 del 1991, artt. 6 e 30, comma 1,. La sentenza impugnata avrebbe affermato con motivazione apparente che l'opera realizzata, per il suo impatto estetico in ragione dei materiali utilizzati (cemento e blocchi cementizi), integrava anche la violazione delle misure di salvaguardia del Parco del Cilento, disattendendo la censura avanzata in sede di gravame relativa al fatto che l'opera, per le modeste dimensioni del muro ed i materiali utilizzati (blocchi cementizi), non avrebbe potuto essere qualificata come intervento di "rilevante trasformazione del territorio", alla luce della lettera I) del predetto D.P.R. 5 giugno 1995, art. 7, che stabilisce che "sono sottoposti ad autorizzazione dell'Ente parco, i nuovi interventi di rilevante trasformazione del territorio". 4. con riferimento agli artt. 133 e 62 c.p., n. 6.
I giudici di appello, con motivazione illogica e contraddittoria, avrebbero rigettato anche il motivo di impugnazione sul punto della determinazione della pena inflitta quanto al diniego della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., comma 1, n. 6), argomentando che il ripristino dello stato dei luoghi non sarebbe idoneo a riparare interamente il pericolo cagionato attraverso la condotta illecita. Ma anche se risponde al vero che la demolizione era stata effettuata dopo il "riscontro della situazione di illiceità dell'opera", non è stato tenuto conto che la stessa aveva avuto luogo senza che l'autorità amministrativa avesse "medio tempore" adottato alcun provvedimento repressivo: e, in materia urbanistica, a seguito della demolizione dell'opera abusiva, dovrebbe escludersi ogni possibilità di vulnus al bene giuridico tutelato. 5. con riferimento agli artt. 605, 129, 531 c.p.p., in relazione agli artt. 157 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c). Il ricorrente ha eccepito l'estinzione dei reati per prescrizione alla data della pronuncia della sentenza impugnata, in quanto, pur avendo i giudici di appello dato atto che il termine prescrizionale aveva subito, in primo grado, una sospensione per l'adesione del difensore dell'imputato all'astensione delle udienze proclamata dall'associazione di categoria, al momento della gravata sentenza era ampiamente decorso il termine massimo di prescrizione di quattro anni e mezzo stabilito dal previgente art. 157 c.p. (da applicarsi in quanto legge più favorevole), considerando il 3 luglio 2004 giorno di accertamento del fatto (data del sequestro disposto in via d'urgenza dai Carabinieri). Di conseguenza, la Corte di appello avrebbe dovuto riformare la sentenza di primo grado dichiarando l'estinzione di tutti i reati ascritti allo imputato. CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
In base alla giurisprudenza di questa Corte sono lavori di "nuova costruzione", ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, per i quali occorre il permesso di costruire, quelli che realizzano manufatti che si elevano al di sopra del suolo e che comunque trasformano durevolmente il territorio impegnato. In riferimento ai muri di recinzione, è stato affermato che occorre il permesso a costruire quando, tenuto conto della struttura e dell'estensione, essi modifichino l'assetto urbanistico del territorio (tra le altre, Sez. 3, Sentenza n. 35898 del 14/5/2008. dep. 19/9/2008, Rv. 241075). Il motivo di ricorso si risolve, pertanto, nella richiesta a questa Corte di una valutazione in fatto sulla consistenza del citato muro ed alla sua idoneità a comportare una trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio. Tale valutazione, che è preclusa al giudice di legittimità, è stata compiuta, con descrizione esaustiva, dai giudici di merito, i quali hanno ritenuto che l'opera di cui trattasi rientra nel disposto di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, in quanto ha prodotto una modificazione dello stato dei luoghi integrante una vera e propria trasformazione urbanistica del territorio.
La Corte non ravvisa carenza o contraddittorietà nella motivazione della sentenza impugnata che ha escluso la natura pertinenziale del muro abusivamente realizzato nel terreno di proprietà dell'imputato. Non è infatti possibile ritenere, come propugnato dalla difesa, che il legislatore del 2001, nell'introdurre una normativa che si caratterizza per un maggiore rigore, abbia voluto estendere la categoria delle pertinenze con riferimento, oltre che ad edifici preesistenti, anche a fondi agricoli o aree: va pertanto ribadito il principio della impossibilità di riconoscere la nozione di pertinenza rispetto ad un fondo agricolo o ad un'area (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 6109 dell'8/1/2008, dep. 7/2/2008, Rv. 238994). Nessun errore di logica argomentativa è pertanto ravvisabile nella parte della motivazione dove si da atto del fatto che all'interno dell'area di proprietà del \Bove\, ricadente nel Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano, sorge anche l'abitazione dello stesso, in quanto, con chiarezza, i giudici danno atto delle risultanze probatorie (verbale di sequestro, rilievi fotografici, documentazione prodotta, esame testimoniale dell'ufficiale di p.g. verbalizzante) dalle quali è stata verificata l'esecuzione dell'intervento edilizio consistente nella "realizzazione di un muro di recinzione a chiusura dell'area di proprietà": la mera presenza all'interno di un appezzamento agricolo di un edificio adibito ad abitazione non trasforma in una mera pertinenza dell'edificio la realizzazione del muro di recinzione del fondo, ritenuto dai giudici di merito intervento di trasformazione urbanistica del territorio.
2. Per quello che concerne il secondo motivo di ricorso, afferente il mancato proscioglimento dal reato edilizio per effetto della demolizione del muro, lamentato anche sulla base del fatto che l'imputato aveva successivamente ottenuto il rilascio di un titolo abilitativo in sanatoria, i giudici di merito hanno dato congrua motivazione della circostanza che il successivo rilascio al \Bove\ di un diverso permesso a costruire una recinzione "in legno e rete metallica", senza cordolo di cemento, dimostra proprio la non conformità allo strumento urbanistico vigente dell'opera realizzata in precedenza dall'imputato.
Il motivo di gravame risulta pertanto manifestamente infondato:
questa Corte ha affermato (da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 17535 del 24/3/2010, dep. 7/5/2010, Rv. 247167) che la demolizione dell'opera abusivamente eseguita non produce l'effetto estintivo del reato urbanistico, in quanto la violazione si perfeziona per il solo fatto di aver realizzato la costruzione senza concessione e la demolizione non può eliminare tale antigiuridicità (come sostenuto del resto anche dal Giudice delle leggi) in quanto il territorio, bene giuridico oggetto di tutela, ha comunque subito un vulnus, nonostante vi sia stata un'attività spontanea successiva volta ad eliminare le conseguenze dannose del reato.
3. Anche il terzo motivo di ricorso, circa l'impatto dell'opera abusiva sull'area del Parco del Cilento, è inammissibile, in quanto volto ad ottenere un riesame nel merito, rivalutando gli elementi probatori acquisiti nel corso dei giudizi di primo e secondo grado. Nella sentenza impugnata la valutazione positiva della violazione delle misure di salvaguardia di cui al D.P.R. 5 giugno 1995, art. 7, è stata logicamente motivata a ragione della trasformazione del territorio operata con l'intervento di edificazione in oggetto, sia facendo riferimento agli elementi già indicati nella decisione a proposito della violazione edilizia, sia menzionando espressamente il fatto dell'impiego di materiali, quali il cemento ed i blocchi di cemento, certamente significativi di un impatto anche estetico dell'opera stessa sull'area del Parco.
4. Per quanto attiene alla censurata illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla determinazione della pena inflitta ed in relazione al diniego della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, ritiene la Corte che il motivo sia manifestamente infondato.
La circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, non è applicabile quando la demolizione di un manufatto abusivo sia posta in essere a seguito dell'accertamento della violazione edilizia e a consistente distanza di tempo dalla realizzazione dell'illecito, sia perché manca il necessario requisito soggettivo della spontaneità del ravvedimento, sia perché nel periodo di mantenimento ed utilizzazione dell'opera, e prima dell'elisione od attenuazione delle conseguenze del reato, la condotta illecita posta in essere dall'autore del reato ha realizzato appieno la propria offensività. Legittimamente i giudici di merito hanno denegato l'attenuante nella fattispecie in esame, ritenendo il ripristino dello stato dei luoghi (accertato il 18 luglio 2005) mera conseguenza dell'accertamento dell'illecito edilizio (effettuato nel luglio 2004) e non idoneo a dare riparazione al pericolo cagionato nel periodo di mantenimento del manufatto abusivo.
5. Anche il quinto motivo di ricorso, relativo all'intervenuta prescrizione delle fattispecie penali in grado di appello, secondo il computo della disciplina previgente, applicabile sulla base del principio del favor rei L. n. 251 del 2005, ex art. 10 va dichiarato manifestamente infondato. La Corte di appello, nel dichiarare la prescrizione del reato di cui all'art. 734 c.p., ha dato atto dell'intervenuta sospensione dei termini di prescrizione nel giudizio di primo grado (pari a mesi sei e giorni venticinque). A tale sospensione deve essere aggiunto il periodo di sospensione del processo in grado di appello, e dei relativi termini prescrizionali, disposta dalla Corte di appello all'udienza del 9 ottobre 2008, conseguente al rinvio della trattazione - del D.L. n. 92 del 2008, ex art. 2 ter, comma 2, convertito nella L. n. 125 del 2008 - all'udienza del 30 novembre 2009, per un tempo pari ad un anno, un mese e giorni ventuno. Di conseguenza, il periodo complessivo relativo alle sospensioni dei termini di prescrizione risulta essere pari ad un anno, mesi otto e giorni sedici. Pertanto alla data della decisione di appello (30 novembre 2009), i reati ascritti al \Bove\ non risultavano ancora prescritti. Difatti, considerando come tempus commissi delicti luglio del 2004, atteso il tempo massimo di prescrizione per i reati ascritti di quattro anni, mesi sei, cui vanno aggiunti i due periodi di sospensione sopraindicati, ne deriva un tempo complessivo di anni cinque, mesi sette, giorni ventuno, per cui la data di prescrizione doveva essere individuata, al più tardi, nel marzo 2010. Quindi nel giudizio di appello conclusosi il 30 novembre 2009 non si era verificata nessuna estinzione dei reati ascritti all'imputato per intervenuta prescrizione. L'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen., come affermato da questa Corte a Sezioni Unite, sentenza n. 32 del 22/11/2000, dep. 21/12/2000, De Luca, Rv. 217266. Nella specie non è consentito dichiarare la prescrizione del reato maturata dopo la sentenza di appello impugnata con il ricorso. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio e della somma di 1000,00 Euro alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2010