Cass. Sez. III n. 26708 del 10 luglio 2007 (Up 16 mag. 2007)
Pres. Papa Est. Ianniello Ric. Manica
Acque. Delega di funzioni (requisiti)

La delega di funzioni nell'ambito dei una impresa dai vertici aziendali ai sottoposti, seppure non necessita di atto scritto, per poter conseguire l'effetto di escludere la responsabilità penale del delegante originariamente tenuto per legge a determinati comportamenti attivi od omissivi, deve essere espressa (anche attraverso la concreta preposizione a settori autonomi in cui è stata articolata una organizzazione aziendale complessa), inequivoca nel contenuto e certa e deve investire persona dotata delle necessarie nozioni e capacità tecniche, alla quale devono essere attribuiti poteri decisionali e di intervento anche finanziario nel settore di competenza, fermo l'obbligo del datore di lavoro di vigilare che il delegato usi correttamente i poteri delegati. Nell'ottica considerata, non appaiono delegabili o comunque nella pratica non sono delegati se non eccezionalmente i poteri relativi alla decisione in ordine alla struttura e alla organizzazione aziendale in quanto di stretta pertinenza dell'imprenditore, mentre sono delegabili e sono ampliamente delegati, soprattutto nelle strutture complesse, i poteri inerenti l'ordinario funzionamento dell'organizzazione data o dell'impianto prescelto per il tipo di produzione o servizio intrapreso.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 5 luglio 2006, la Corte d’appello di Trento ha ridotto a dieci giorni di arresto (sostituiti da € 380,00 di ammenda) ed € 2.000,00 di ammenda la pena inflitta con sentenza in data 15 marzo 2005 - per il resto confermata - dal Tribunale di Rovereto a Paolo Manica, riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 59, comma del D.Lgs. 11 maggio 1999 n. 152, per avere effettuato - in qualità di legale rappresentante della s.p.a. Manica & C. -, a mezzo del collettore delle acque bianche superficiali con recapito nel fiume Adige, uno scarico di acque reflue industriali contenenti rame e provenienti dalla vasca di contenimento posta all’interno della società, creando in tal modo lungo un tratto della sponda sinistra del fiume, subito a valle dello stabilimento, una scia di colore azzurro, con elevate concentrazioni di rame pari a 60 mg/lt. Con la recidiva generica (come accertato in Rovereto il 15 ottobre 2003).

Avverso tale sentenza propone ora ricorso per cassazione l’imputato personalmente, deducendo:

1 - la violazione di legge per aver ritenuto la responsabilità dell’imputato nonostante la delega da lui rilasciata a favore di Guido Bellini.

Tale delega risulterebbe in maniera implicita dai poteri attribuiti al Bellini all’interno dell’azienda con la lettera con la quale egli, dipendente della società da 26 anni, era stato nominato dirigente dal 1° settembre 2002 nonché dalle dimensioni e dalla struttura dell’azienda richiedente, come tale, nei singoli settori, un’ampia autonomia operativa da parte di soggetti in possesso delle competenze tecniche necessarie.

2 - il vizio di motivazione con riferimento alla mancata valutazione dell’esistenza del delegato Bellini, nonostante la richiesta di rinnovazione del dibattimento, disattesa immotivatamente.

3 - il vizio di motivazione per aver ritenuto l’ingerenza dell’imputato nella conduzione aziendale sulla base di elementi del tutto evanescenti (la sua presenza, del resto non continuativa, in azienda, il fatto di avere incaricato professionisti esterni dello studio di un nuovo sistema automatizzato di produzione o il fatto che il giorno dello sversamento fosse presente all’atto dei prelievi per le analisi).

4 - la violazione di legge (art. 28 comma 3° del D. Lgs. n. 152/99) e vizio di motivazione sul punto.

Le analisi non sarebbero state condotte correttamente, perché il prelievo è stato operato esclusivamente nella vasca in cui venivano convogliate le acque di raffreddamento, mentre la sentenza aveva affermato che uno dei prelievi era relativo all’acqua del fiume (viceversa il teste Arman vigile del fuoco avrebbe detto che l’acqua dell’Adige era bassa per cui le chiazze del liquido fuoriuscito erano sul greto ma non nel fiume e che erano state tempestivamente aspirate).

5 - la mancata assunzione di una prova decisiva chiesta in appello sulla delega;

6 - violazione di legge nel rigetto del motivo legato all’imprevedibilità dell’evento: la sentenza dice che si era rotta la camiciatura del serbatoio e che ciò era prevedibile, ma non ha verificato se effettivamente questa fosse stata la causa dello sversamento o piuttosto questo derivasse un errore di manovra da parte di un operaio.

7 - i giudici avrebbero tenuto conto illegittimamente di una recidiva generica con riferimento ad un precedente caso di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. per il reato di oltraggio ex 341 c.p., abrogato dall’art. 18 della legge n. 205/1999.

Il ricorrente chiede pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.

Alla pubblica udienza del 16 maggio 2007, le parti hanno assunto le conclusioni in epigrafe indicate.

 

Motivi della decisione

Col primo, col secondo e col quinto motivo di ricorso l’imputato censura la sentenza impugnata per violazione di legge, vizio di motivazione e mancata assunzione di una prova decisiva relativamente alla esistenza di una delega dal lui al dirigente Guido Bellini in ordine alla gestione, manutenzione e ammodernamento degli impianti.

Trattasi di censure in buona parte in fatto, che contrastano valutazioni esplicitamente o implicitamente operate dai giudici di merito sulla base delle risultanze dell’istruttoria dibattimentale, ritenute sufficienti a sostenere in maniera ragionevole tali valutazioni.

Si premette che secondo la giurisprudenza di questa Corte la delega di funzioni nell’ambito di una impresa dai vertici aziendali ai sottoposti, seppure non necessiti di atto scritto (Cass. 7 ottobre 2004 n. 39268), per poter conseguire l’effetto di escludere la responsabilità penale del delegante originariamente tenuto per legge a determinati comportamenti attivi od omissivi, deve essere espressa (anche attraverso la concreta preposizione a settori autonomi in cui è stata articolata una organizzazione aziendale complessa: Cass. 25 gennaio 2007 n. 2592), inequivoca nel contenuto e certa e deve investire persona dotata delle necessarie nozioni e capacità tecniche, alla quale devono essere attribuiti poteri decisionali e di intervento anche finanziario nel settore di competenza, fermo l’obbligo del datore di lavoro di vigilare che il delegato usi correttamente i poteri delegati (Cass. 22 novembre 2006 n. 38425).

Nell’ottica considerata, non appaiono delegabili o comunque nella pratica non sono delegati se non eccezionalmente i poteri relativi alla decisione in ordine alla struttura e alla organizzazione aziendale (cfr., in proposito, la citata Cass. n. 39268/04), in quanto di stretta pertinenza dell’imprenditore, mentre sono delegabili e sono ampliamente delegati, soprattutto nelle strutture complesse, i poteri inerenti l’ordinario funzionamento dell’organizzazione data o dell’impianto prescelto per il tipo di produzione o servizio intrapreso.

Alla luce di tali principi vanno valutate le argomentazioni dei giudici di merito in ordine all’esistenza di una delega dal legale rappresentante della società esercitante l’impresa al dirigente Bellini.

A parte una qualche incertezza rilevata in ordine alla reale collocazione in azienda di tale (unico?) dirigente, definita in modi diversi da lui stesso o dagli altri testimoni e che lo stesso ricorso non descrive sufficientemente nel suo concreto inserimento in una struttura aziendale rimasta in gran parte ignota, il dato fondamentale su cui vanno ricostruite la valutazioni dei giudici di merito consiste nella analisi delle ragioni dell’avvenuto sversamento di rame dalla azienda al fiume Adige.

Al riguardo, la Corte, richiamando anche la sentenza di primo grado, ha individuato cause connesse al funzionamento dell’impianto e cause strutturali.

Tra le prime, ha collocato principalmente, alla stregua delle risultanze istruttorie (e non arbitrariamente, come indicato nel sesto motivo di ricorso) l’avvenuta rottura della camiciatura del serbatoio contenente solfato di rame, con conseguente fuoriuscita nella vasca di contenimento e da qui attraverso una condotta nel fiume Adige nonché il difettoso funzionamento della saracinesca che, chiudendosi, dovrebbe impedire la fuoriuscita dei liquidi.

Sul piano considerato, sebbene si tratti almeno in parte di eventi attinenti all’ordinario funzionamento degli impianti e quindi controllabili da poteri delegati, i giudici hanno non irragionevolmente valutato un difetto di vigilanza da parte del legale rappresentante della società in ordine al mantenimento in buona efficienza degli impianti in relazione ad episodi del tutto prevedibili nel lungo periodo di funzionamento.

Ma la Corte ha altresì ritenuto insufficiente l’assetto strutturale dell’impianto da cui si era verificato lo sversamento, sia in ragione del fatto che la citata saracinesca non era azionabile in maniera automatica al rilievo periodico (ogni quindici minuti) nelle acque di raffreddamento di valori del rame superiori ai limiti consentiti, sia e soprattutto per la mancata adozione di cautele ulteriori, che avrebbero sicuramente impedito la produzione dell’evento, rappresentate dalla predisposizione di “una doppia vasca di contenimento, tale da garantire lo scarico delle acque solo se con componenti mantenute entro i limiti tabellari”.

Questi difetti sono stati direttamente imputabili alla mancata iniziativa dell’imprenditore, i cui poteri al riguardo sono in linea di massima non delegabili e sono stati ritenuti nel caso in esame non delegati, in quanto valutati come attinenti ad elementi importanti della struttura aziendale e implicanti l’impiego di risorse finanziarie anche ingenti e che comunque non sono stati specificatamente dedotti come delegati sia in sede di merito che in quella di legittimità, neppure col richiamo alla lettera di nomina del Bellini come dirigente, in cui appaiono delineati poteri di ordinaria gestione e di proposta di spesa e non di diretta iniziativa al riguardo.

Infine una conferma di tale mancanza di delega, seppure superflua alla luce delle considerazioni svolte, è stata dalla Corte territoriale rinvenuta nel fatto che era stato il ricorrente e non il Bellini a commissionare ad un esperto lo studio di un sistema automatizzato di analisi delle acque reflue utilizzate nell’impianto dell’impresa.

Sulla base degli elementi così raccolti la Corte ha altresì conseguentemente ritenuto inutile la richiesta rinnovazione parziale dell’istruttoria dibattimentale.

I tre motivi indicati sono pertanto infondati, unitamente a quello n. 3 riportato nella parte narrativa.

Manifestamente infondato è poi il quarto motivo di ricorso, avendo i giudici di merito correttamente fatto riferimento alle testimonianze assunte in dibattimento e alle fotografie scattate al momento dell’intervento dei vigili del fuoco e che mostravano una striscia di colore azzurro lungo un tratto della sponda sinistra del fiume Adige - subito a valle dello stabilimento della società Manica & C. s.p.a. -, dalle cui acque era stato estratto uno dei due campioni analizzati e che avevano rivelato una concentrazione di rame eccedente il limite consentito.

Il ricorrente contesta la corrispondenza delle dichiarazioni dei giudici ai dati istruttori indicati, col rilevare che il teste vigile urbano Arman aveva escluso che al momento dell’intervento e prima dell’eliminazione del versamento, le acque inquinate avessero raggiunto l’acqua del fiume, per cui non corrisponderebbe a verità che uno dei prelievi di acqua aveva riguardato il fiume Adige.

Avendo in proposito controllato le dichiarazioni testimoniali del vigile Arman, come reso necessario dal tipo di censura svolta, il Collegio ha al riguardo costatato che le dichiarazioni da questi effettuate e indicate nel ricorso sono state nel corso del medesimo esame ritrattate dal teste, che ha affermato di essersi confuso con un’altra delle varie occasioni in cui era dovuto intervenire per problemi di inquinamento del fiume.

infine, anche l’ultimo motivo di ricorso è infondato, la recidiva contestata non essendo stata poi ritenuta nella sentenza, che ha applicato direttamente all’imputato la diminuzione di pena conseguente al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Concludendo, sulla base delle considerazioni svolte, il ricorso va respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.