ACQUE METEORICHE E DI PRIMA PIOGGIA: UNO SGUARDO APPROFONDITO ALLA NORMATIVA NAZIONALE
di Luigi Fanizzi - ECOACQUE
di Luigi Fanizzi - ECOACQUE
Nel D.Lgs. n. 152/2006 (c.d. TUA), così come novellato dal D. Lgs. N. 4/2008, di riforma, non vi è una precisa definizione di cosa si deve normalmente intendere per acque meteoriche e, il concetto, va dunque ricavato, in maniera indiretta, combinando i disposti dei vari articoli. Va osservato, prima di tutto, che il legislatore delegato utilizza tre terminologie:
Acque meteoriche (art. 54, comma 1, lettera b, TUA);
Acque meteoriche di dilavamento (art. 74, comma 1, lettera h, TUA);
Acque di prima pioggia (art. 113, comma 3, TUA);
dove i termini “acque meteoriche di dilavamento” ed “acque di prima pioggia”, che ad una prima vista superficiale potrebbero apparire come sinonimi, in realtà non lo sono affatto. Le acque meteoriche di dilavamento assumono rilevanza giuridica, ai fini del D. Lgs. n. 152/2006, nel momento in cui danno luogo ad uno scarico, che il citato decreto definisce come “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione”. Il termine da evidenziare, primariamente, è “refluo”. Le acque meteoriche di dilavamento, infatti, essendo per definizione, diverse dai reflui (ossia dalle acque reflue), non possono costituire uno scarico. In realtà, anche le acque meteoriche di dilavamento possono trovare recapito sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo (mai, direttamente, nelle acque sotterranee), nel caso particolare in cui fossero raccolte e convogliate in reti fognarie separate, provengano da agglomerato e siano dotate di dispositivi per la raccolta e la separazione delle acque di prima pioggia (che ne permettano, cioè, la diversificazione dalle acque reflue urbane): questo, in forza dell’art. 103, comma 1, lettera e) del TUA, laddove il legislatore consente lo scarico sul suolo e negli strati superficiali del sottosuolo:
“per gli scarichi di acque meteoriche convogliate in reti fognarie separate”.
La distinzione tra “acque meteoriche” ed “ acque meteoriche di dilavamento” si può ricavare dalla lettura del testo dell’art. 113”, comma 1, del TUA, che recita:
1. “Ai fini della prevenzione di rischi idraulici e ambientali, le Regioni disciplinano:
a) le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate;
b) i casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l’ eventuale autorizzazione.
2. Le acque meteoriche non disciplinate ai sensi de comma precedente non sono soggette a vincoli o prescrizioni derivanti dal presente decreto”.
Sembrerebbe, quindi, che la disciplina delle Regioni, cui sono demandate le forme di controllo e prevenzione ambientale delle immissioni idriche d’apporto meteorico, interessi soltanto le acque meteoriche che siano:
di dilavamento convogliate in reti fognarie separate (provenienti, cioè, da agglomerato);
di dilavamento, convogliate in altre condotte separate (diverse cioè dalle reti fognarie separate e provenienti da aree esterne).
Vi è, difatti, un ulteriore riferimento delle acque meteoriche di dilavamento, nell’art. 74, comma 1, lettera ee), del TUA:
“fognatura separata: la rete fognaria costituita da due canalizzazioni, la prima delle quali adibita alla raccolta ed al convogliamento delle sole acque meteoriche di dilavamento, e dotata o meno di dispositivi per la raccolta e la separazione delle acque di prima pioggia, e la seconda adibita alla raccolta ed al convogliamento delle acque reflue urbane unitamente alle eventuali acque di prima pioggia”.
Se l’aggettivazione “di dilavamento” ha un ben preciso significato, cioè identifica un “fuori standard” rispetto ad una pura e semplice acqua meteorica, si dovrebbe ritenere che essa indichi il caso nel quale vi sia il rischio che le acque meteoriche siano contaminate da sostanze inquinanti che possono essersi depositate sulle aree esterne (aree urbanizzate diverse dalle aree agricole).
In effetti, l’art. 113, comma 3, del TUA, recita ancora:
“Le regioni disciplinano altresì i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolare ipotesi nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento dalle superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici”.
Questo equivale all’obbligo, sempre nei casi individuati dalle Regioni, di trasformare le acque di prima pioggia in uno “scarico” (separato), e di fare altrettanto per le acque di lavaggio delle aree esterne qualora, per esse, sussistano le medesime ipotesi di rischio idraulico-ambientale. Il TUA, tuttavia pone come limite, alle Regioni, che dal dilavamento di sostanze inquinanti (in particolare quelle elencate nell’Allegato 8 alla Parte III del TUA), può derivare un “pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici”.
Ai sensi del primo comma dell’art. 113 del TUA, è affermata la potestà delle Regioni di disciplinare, in materia di acque meteoriche di dilavamento:
1) le forme di controllo degli scarichi provenienti da reti fognarie separate;
2) i casi in cui può essere richiesto che le immissioni (in qualunque corpo recettore compresa, dunque, la rete fognaria non separata), effettuate tramite altre condotte separate (diverse dalle reti fognarie separate), siano sottoposte a particolari prescrizioni (come trattamenti particolari), ivi compresa l’eventuale autorizzazione.
Il secondo caso si differenzia dal primo perché non ha ad oggetto “scarichi” bensì immissioni delle acque meteoriche di dilavamento e quindi una fattispecie idrica diversa (cioè non costituita da acque reflue) che è “effettuata tramite altre condotte separate”, cioè condotte diverse dalla rete fognaria separata. Il secondo comma sembra enunciare un principio di carattere generale e cioè che le acque meteoriche non disciplinate a sensi del comma primo del summenzionato articolo del D. Lgs. n. 152/2006, e cioè quelle che sono diverse dalle acque “di dilavamento”, non sono soggette a vincoli o prescrizioni derivanti dal medesimo decreto. Le pure e semplici acque meteoriche, dunque, essendo, per definizione, prive di sostanze inquinanti, non sono, in se stesse, considerate “acque reflue” nel concetto di cui alle definizioni enunciate all’art. 74, comma 1, del TUA.
Acque meteoriche (art. 54, comma 1, lettera b, TUA);
Acque meteoriche di dilavamento (art. 74, comma 1, lettera h, TUA);
Acque di prima pioggia (art. 113, comma 3, TUA);
dove i termini “acque meteoriche di dilavamento” ed “acque di prima pioggia”, che ad una prima vista superficiale potrebbero apparire come sinonimi, in realtà non lo sono affatto. Le acque meteoriche di dilavamento assumono rilevanza giuridica, ai fini del D. Lgs. n. 152/2006, nel momento in cui danno luogo ad uno scarico, che il citato decreto definisce come “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione”. Il termine da evidenziare, primariamente, è “refluo”. Le acque meteoriche di dilavamento, infatti, essendo per definizione, diverse dai reflui (ossia dalle acque reflue), non possono costituire uno scarico. In realtà, anche le acque meteoriche di dilavamento possono trovare recapito sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo (mai, direttamente, nelle acque sotterranee), nel caso particolare in cui fossero raccolte e convogliate in reti fognarie separate, provengano da agglomerato e siano dotate di dispositivi per la raccolta e la separazione delle acque di prima pioggia (che ne permettano, cioè, la diversificazione dalle acque reflue urbane): questo, in forza dell’art. 103, comma 1, lettera e) del TUA, laddove il legislatore consente lo scarico sul suolo e negli strati superficiali del sottosuolo:
“per gli scarichi di acque meteoriche convogliate in reti fognarie separate”.
La distinzione tra “acque meteoriche” ed “ acque meteoriche di dilavamento” si può ricavare dalla lettura del testo dell’art. 113”, comma 1, del TUA, che recita:
1. “Ai fini della prevenzione di rischi idraulici e ambientali, le Regioni disciplinano:
a) le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate;
b) i casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l’ eventuale autorizzazione.
2. Le acque meteoriche non disciplinate ai sensi de comma precedente non sono soggette a vincoli o prescrizioni derivanti dal presente decreto”.
Sembrerebbe, quindi, che la disciplina delle Regioni, cui sono demandate le forme di controllo e prevenzione ambientale delle immissioni idriche d’apporto meteorico, interessi soltanto le acque meteoriche che siano:
di dilavamento convogliate in reti fognarie separate (provenienti, cioè, da agglomerato);
di dilavamento, convogliate in altre condotte separate (diverse cioè dalle reti fognarie separate e provenienti da aree esterne).
Vi è, difatti, un ulteriore riferimento delle acque meteoriche di dilavamento, nell’art. 74, comma 1, lettera ee), del TUA:
“fognatura separata: la rete fognaria costituita da due canalizzazioni, la prima delle quali adibita alla raccolta ed al convogliamento delle sole acque meteoriche di dilavamento, e dotata o meno di dispositivi per la raccolta e la separazione delle acque di prima pioggia, e la seconda adibita alla raccolta ed al convogliamento delle acque reflue urbane unitamente alle eventuali acque di prima pioggia”.
Se l’aggettivazione “di dilavamento” ha un ben preciso significato, cioè identifica un “fuori standard” rispetto ad una pura e semplice acqua meteorica, si dovrebbe ritenere che essa indichi il caso nel quale vi sia il rischio che le acque meteoriche siano contaminate da sostanze inquinanti che possono essersi depositate sulle aree esterne (aree urbanizzate diverse dalle aree agricole).
In effetti, l’art. 113, comma 3, del TUA, recita ancora:
“Le regioni disciplinano altresì i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolare ipotesi nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento dalle superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici”.
Questo equivale all’obbligo, sempre nei casi individuati dalle Regioni, di trasformare le acque di prima pioggia in uno “scarico” (separato), e di fare altrettanto per le acque di lavaggio delle aree esterne qualora, per esse, sussistano le medesime ipotesi di rischio idraulico-ambientale. Il TUA, tuttavia pone come limite, alle Regioni, che dal dilavamento di sostanze inquinanti (in particolare quelle elencate nell’Allegato 8 alla Parte III del TUA), può derivare un “pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici”.
Ai sensi del primo comma dell’art. 113 del TUA, è affermata la potestà delle Regioni di disciplinare, in materia di acque meteoriche di dilavamento:
1) le forme di controllo degli scarichi provenienti da reti fognarie separate;
2) i casi in cui può essere richiesto che le immissioni (in qualunque corpo recettore compresa, dunque, la rete fognaria non separata), effettuate tramite altre condotte separate (diverse dalle reti fognarie separate), siano sottoposte a particolari prescrizioni (come trattamenti particolari), ivi compresa l’eventuale autorizzazione.
Il secondo caso si differenzia dal primo perché non ha ad oggetto “scarichi” bensì immissioni delle acque meteoriche di dilavamento e quindi una fattispecie idrica diversa (cioè non costituita da acque reflue) che è “effettuata tramite altre condotte separate”, cioè condotte diverse dalla rete fognaria separata. Il secondo comma sembra enunciare un principio di carattere generale e cioè che le acque meteoriche non disciplinate a sensi del comma primo del summenzionato articolo del D. Lgs. n. 152/2006, e cioè quelle che sono diverse dalle acque “di dilavamento”, non sono soggette a vincoli o prescrizioni derivanti dal medesimo decreto. Le pure e semplici acque meteoriche, dunque, essendo, per definizione, prive di sostanze inquinanti, non sono, in se stesse, considerate “acque reflue” nel concetto di cui alle definizioni enunciate all’art. 74, comma 1, del TUA.