LE CARENZE DEL SISTEMA DEPURATIVO
di Luigi Antonio Pezone
Nel giugno 2006 il dott. Luca Ramacci scrisse un breve ma durissimo articolo sul sito "www.lexambiente.it" dal titolo "Depuratori disgrazia nazionale". Denunciava, principalmente, la cattiva conduzione degli impianti, da parte dei gestori e amministratori locali. Il sottoscritto, vorrebbe ritornare sull'argomento, con altrettanta durezza, esaminando i limiti operativi del sistema; e partendo da questi, arrivare alle responsabilità che sono ancora al di sopra dei gestori e amministratori locali. Non mancano riferimenti a fatti concreti.
Come è noto, il sistema è costituito dalla rete fognaria e dai depuratori, stop. Mancano almeno tre elementi da inserire in modo stabile nel ciclo depurativo:
1) Il trattamento preliminare degli scarichi in pubblica fogna per adeguarli, almeno, ai limiti tabellari della tabella 3 dell'allegato 5 del T.U.A., prevista appositamente per tali scarichi. L'esperienza ha dimostrato che il sistemaha un vizio di origine: Non può pretendere di trattare in modo efficace, contemporaneamente e con costi accettabili scarichi civili e industriali, legali e abusivi dopo averli accuratamente mescolati nelle reti fognarie. Non essendo possibile creare una rete fognaria per ogni tipo di scarico, per limitare i danni, dovuti a tale rimescolamento, è indispensabile effettuare un trattamento, almeno, fino allo stadio secondario, prima dello scarico in fogna.
2) Restringere il campo di tolleranza del PH in generale, il cui limite acido, in pubblica fognatura, incoraggia la formazione di idrogeno solforato nella rete fognaria ed entrambi i limiti sono intollerabili per gli scarichi in acque superficiali per i danni alla fauna e alla flora acquatica.
3) Abbassare il limite di tolleranza del fosforo in acque superficiali e degli scarichi in fogna da 10mg/L a 4 mg/L anticipando di fatto, a livello locale la rimozione del fosforo, che troppo spesso sfugge al trattamento sia per l'inesistenza di impianti di trattamento, sia l'inadeguatezza degli impianti di depurazione privi di trattamento terziario.
Queste importantissime innovazioni, necessarie e auspicabili per l'ambiente, oggi il Legislatore non le può imporre al cittadino perché lo stato della tecnica depurativa non lo consente, nonostante i progressi tecnologici avvenuti nel settore. Perlomeno non lo consente con soluzioni economicamente sostenibili, anche se potrebbe consentirlo, come vedremo.
HOsservando attentamente tabella 3 dell'allegato 5 del T.U.A. e gli articoli che la riguardano, si nota la volontà del legislatore di prevedere dei limiti di emissione anche per gli scarichi domestici avendoli accomunati in una sola tabella insieme agli scarichi industriali, riservando a questi ultimi dei correttivi riportati negli allegati 3A e tab. 5. Tuttavia, condizionato, appunto, dallo stato dell'arte che esprime diverse soluzioni al problema, ma nessuna predominante, applicabile universalmente ed economicamente sostenibile, se ne è lavato le mani, delegando alle regioni la soluzione del problema. a espresso, semplicemente, una nota (già presente nel precedente DL 152/1999), all’articolo 107, comma 2 del D.L. 152 / 2006 che riporto integralmente: "Gli scarichi di acque reflue domestiche che recapitano in reti fognarie sono sempre ammessi purché osservino i regolamenti emanati dal soggetto gestore del servizio idrico integrato ed approvati dall’Autorità d’ambito competente". E', in realtà, una deroga che comporta grave pregiudizio all’ambiente, anche se il gestore garantisce il risultato finale all’uscita del depuratore, come si sott’intende. Sarebbe stato meglio se la nota (o deroga) non fosse mai esistita e i tecnici costretti ad aguzzare l'ingegno per eliminare, alla fonte, parte dell'inquinamento, come, appunto, prevede la tabella. Naturalmente, non stimolati da una prescrizione tassativa, nemmeno i tecnici regionali hanno aguzzato l'ingegno e i regolamenti attuativi che avrebbero, potuto limitare i danni, non lo hanno fatto. I limiti tabellari sono rimasti in vigore solo per gli scarichi di natura industriale, legali. La situazione è aggravata dall'art. 101, c. 3, che dice: "Tutti gli scarichi, ad eccezione di quelli domestici e di quelli assimilati ai sensi del comma 7, lettera e), devono essere resi accessibili per il campionamento da parte dell'autorità competente per il controllo....". Non richiedere l'obbligo di accessibilità per i controlli agli scarichi domestici e assimilabili, che sono circa il 90% del totale, è stato un invito a delinquere da parte dello stesso legislatore.
Per completare il quadro bisogna citare alcuni articoli che trattano i fanghi di depurazione, che sono molto chiari e non lasciano alcun dubbio ma è opportuno citarli per evidenziare che gli impianti di depurazione, senza trattamenti preliminari, a monte degli stessi, non danno nessun contributo nel perseguire gli obiettivi enunciati da tali articoli:
L'articolo 184 classifica i fanghi di depurazione tra i rifiuti speciali e la parte quarta del D.L. dedica molti articoli alle norme di gestione dei rifiuti, sono importanti gli articoli 177 - 178 -179 - 180 - 181 -182. Cito solo due comma: L'articolo 179 comma 1: "Le Pubbliche amministrazioni perseguono, nell'esercizio delle proprie competenze iniziative dirette a favorire prioritariamente la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti." L'articolo 181 comma 1 : "Ai fini di una corretta gestione dei rifiuti le pubbliche amministrazioni favoriscono la riduzione dello smaltimento finale attraverso: a) il riutilizzo, il riciclaggio e il reimpiego..."
Come anticipato il sistema attuale, in materia di fanghi disattente completamente gli auspici del legislatore. I fanghi non riciclabili, in Italia sono circa il 70% , in Europa il 60%. E’ lecito avere dei dubbi anche sulle certifcazioni della già bassa percentuale di fanghi utilizzabili nella situazione attuale, non essendo possibile controllare a monte tutti gli sversamenti né tantomeno controllare la totalità dei fanghi. Tanto è vero che un Paese come la Svizzera, all’avanguardia nella tutela dell’Ambiente, applicando principi precauzionali, ha legiferato il divieto dei fanghi di depurazione in agricoltura fin dal maggio 2003.
Soffermandoci sull'aspetto, tecnico - concettuale, anzi, più concettuale che tecnico, esaminiamo quello che gli impianti non possono fare perché avviene prima che il liquame arrivi a destinazione e nessun altra struttura depurativa provvede:
A) Non possono Prevenire i danni derivanti dagli sversamenti, dovuti agli eccessi di pioggia, che bypassano gli impianti, e scaricano liquame privo di qualsiasi trattamento. Anche in questo caso , dei trattamenti preliminari potrebbero limitare i danni.
B) Non possono prevenire i danni dovuti al degrado della qualità dell’effluente nei periodi estivi nei posti di villeggiatura, quando raddoppia o triplica la popolazione. Anche gli effetti di questo problema, si potrebbero attenuare solo con dei trattamenti preliminari.
C) Non possono prevenire la produzione di fanghi inquinati da scarichi abusivi. Anche questo problema si potrebbe attenuare, salvando una parte dei fanghi, solo con dei trattamenti preliminari.
D) Non possono prevenire i danni dovuti al fosforo presente nei detersivi di natura inorganica, dove gli impianti di depurazione non esistono, o non sono in grado di provvedere all'abbattimento.
Anche in questo caso i danni e gli investimenti economici si potrebbero limitare con dei trattamenti preliminari, che potrebbero risolvere addirittura il problema a monte.
E) Non possono prevenire i danni economici e ambientali dovuti al degrado che il liquame subisce lungo il percorso che li porta agli impianti. Basti pensare che una città come Roma, secondo L'Acea, ha uno sviluppo fognario di circa 3500 Km. Se si volessero limitare i danni dovuti a tale degrado dovremmo avere un impianto di depurazione al massimo entro il limite di una decina di km di rete fognaria, oppure prevedendo dei limiti di emissione, misurati in PH, che prevengano la formazione dell’idrogeno solforato nella rete fognaria. Ovviamente la città di Roma non ha 350 impianti di depurazione e il PH 5,5 ammesso allo scarico, è il viatico per l'innesco del processo che porterà il liquame alla completa putrefazione prima di raggiungere l'impianto. In questa direzione va pure il recupero delle acque piovane, sicuramente acide. Queste se verranno utilizzate all'interno degli appartamenti e non all'esterno, creeranno più danni che benefici. E sorprende che a sollevare questo problema sia stato il sottoscritto in due precedenti articoli, mentre non esiste nessun riferimento legislativo ne commenti più autorevoli; nel frattempo le regioni si accingono con leggerezza alla applicazione dell'art.1, comma 228 della legge 244/2007. Se è vero che allo stato dell'arte, oggi non esiste un sistema sostenibile per regolare il Ph allo scarico (e non è vero perché il sistema proposto dal sottoscritto lo consente ed è sostenibile) si evitino almeno gli scarichi al limite della tabella (troppo permissiva) che si possono evitare. Se si pensa che il 90% degli enormi consumi energetici degli impianti di depurazione è dovuto alla necessità di produrre ossigeno da fornire al liquame per ridargli vita prima di restituirlo all'ambiente, si può facilmente intuire che questa energia può essere in larga parte risparmiata prevenendo il degrado del liquame. Il modo più semplice ed economico per prevenire tale degrado è appunto la correzione chimica del PH, che guarda caso, eccedendo nei dosaggi, potrebbe consentire anche la rimozione del fosforo (altro effetto indesiderato per le nostre Autorità ambientali) Ma, ovviamente, la prevenzione riguarderebbe anche i minori costi di manutenzione della rete fognaria e la riduzione delle perdite inquinanti della stessa. Anche questi indesiderati?
I casi citati, reali e noti ai cittadini, ai legislatori, alle autorità locali, ai gestori e naturalmente, agli Istituti di ricerca ambientale; confermano che gli impianti di depurazione non possono coprire tutte le esigenze del territorio, ma, purtroppo, sembra che l'intera politica ambientale sia dettata dal solo stato dell’arte dei depuratori, dove questi non arrivano, non si incentiva la ricerca di soluzioni integrative che possano aiutarli a completare il lavoro. Se qualcuno propone qualcosa, di propria iniziativa, viene rigettato dagli anticorpi del sistema.
Si ha l’impressione che gli stessi impegni ambientali europei, per il raggiungimento dello stato di “buono” dei nostri corpi idrici entro il 23 dicembre 2015, previsto nel T.U.A. (titolo II obiettivi di qualità), languono per mancanza di fondi: i grandi impianti richiedono grandi risorse e altrettanto gli ampliamenti necessari. Ma mancano soprattutto le idee. Anche considerando le deroghe motivate, concesse con la legge n. 101 del 06/06/2008, non ci si potrà scostare molto da tale data. Supponiamo, per assurdo, che con investimenti enormi, dovuti a tassazioni straordinarie, risolvessimo il problema del fosforo e del deficit depurativo, ampliando tutti gli impianti di depurazione a fanghi attivi con l'inserimento di trattamenti terziari, e costruissimo nuovi impianti già adeguati, gli altri problemi a monte dei depuratori, che si ripercuotono anche sul cattivo funzionamento e sui consumi energetici degli stessi, sopra citati, chi li risolve?
E il fosforo che non arriva agli impianti di depurazione che inquina lo stesso i corpi idrici, come lo intercettiamo e lo trattiamo? Anche in questo caso la risposta è una sola: mancano i trattamenti preliminari e locali. Qualcuno dirà che il problema del fosforo è stato risolto con ilD.M. 413/98 che ridusse per legge la percentuale di fosforo nei detersivi. Ma non è così, a parte il fatto che il decreto escluse dal provvedimento i detergenti usati per lavastoviglie, senza trattamenti terziari si superano ugualmente i limiti stabiliti, e tra i componenti utilizzati per sostituirlo ci sono anche gli acidi carbossilici, non sufficientemente testati, che potrebbero essere dannosi per la salute umana, lo afferma la relazione Com 234 del 04/05/2007. Se la rimozione del fosforo diventa semplice e i fanghi, ricchi di questo elemento, utilizzabili, teniamoci il fosforo ed eliminiamo gli acidi carbossilici.
Probabilmente con la sperimentazione del "sistema di scarico fisico chimico",brevettato dal sottoscritto in Europa con la formula "Phosphor removal from detergents wastewater and grey water recycling system for flushing toilets" si potrebbero risolvere insieme tutti i casi menzionati, in modo economicamente sostenibile, per giunta risparmiando il 25 - 30 % del nostro consumo procapite di acqua potabile. Purtroppo si deve usare il condizionale perché le "nostre Autorità Ambientali" fingono, da quasi due anni, che il progetto non esista, fino a che non venga, a loro, presentato con tanto di sperimentazione su un piatto d'argento. Cosa che forse potrebbero fare le aziende, le associazioni, non certamente un cittadino comune, per giunta pensionato monoreddito.
Il sistema proposto non è proponibile alle aziende che operano nel settore delle depurazione perché la riduzione degli inquinanti alla fonte riduce il loro volume di affari. Non è proponibile ai produttori degli attuali sistemi di scarico, che difendono gli investimenti fatti per la produzione dei loro prodotti non compatibili con il nuovo sistema. Ovviamente la proposta a entrambe le categoria è stata fatta, ma, altrettanto ovviamente, le risposte sono state zero. Si può comprendere l'atteggiamento degli imprenditori che difendono i loro prodotti e i loro investimenti. Ma le nostre Autorità ambientali che cosa difendono? Il loro prodotto non dovrebbe essere la tutela dell'ambiente e la promozione di tutte le possibili innovazioni e sperimentazioni per raggiungere tale obiettivo?
Ritengo che le nostre Istituzioni, proprio in virtù della loro funzione Istituzionale, abbiano il dovere di collaborare con un progetto di "Pubblica Utilità" presentato da un cittadino, non solo dal punto di vista morale, ma come compito implicito della loro stessa funzione. Mi riferisco soprattutto a quegli Enti Pubblici che si fregiano nella stessa denominazione sociale di parole come "Istituto Superiore di Ricerca - Prevenzione -Vigilanza ecc, rferendosi a risorse idriche e ambientali", a livello Nazionale, e in secondo luogo alle agenzie regionali. Se non vogliono farlo, sono tenute comunque assumersi delle responsabilità, formalizzando delle critiche al progetto con argomentazioni tecniche e scientifiche. L'unica cosa che non possono fare è tacere, perché il Paese, quelle risposte, le pretende da loro. Se un cittadino si cimenta a studiare un problema di pubblica utilità ambientale è perché quelle risposte non le hanno date.
Che cosa intendo per trattamenti preliminari e locali?
Trattamento preliminare (o pretrattamento) è un trattamento con tecnologia e costi sostenibili, che si propone il risparmio idrico, la rimozione del fosforo, la prevenzione dell'idrogeno solforato e una parziale depurazione, prima di scaricare il liquame in fogna o a un successivo impianto di depurazione.
Trattamento locale è un vero e proprio impianto di depurazione completo e autonomo in grado di rispettare i limiti di emissione previsti nel T.U.A. con o senza l'ausilio del trattamento preliminare.
Pertanto, i trattamenti preliminari sono una cosa completamente diversa dai trattamenti locali. Di trattamenti locali, ne esistono di diversi tipi da molti decenni. Se avessero potuto svolgere le funzioni, ipoteticamente, sopra affidate ai "trattamenti preliminari", i problemi depurativi sopra denunciati, sarebbero stati risolti almeno da qualche decennio. Ma i trattamenti locali, pur essendo tecnicamente idonei a svolgere tale funzione, non possono farlo per molte ragioni: costi, versatilità di impiego, ingombri, impatto ambientale, problemi di gestione e manutenzione.
Come già detto, i trattamenti preliminari aspettano, da qualche anno, che le nostre Autorità ambientali, si rendano conto della necessità degli stessi e ne promuovano almeno la sperimentazione, per dare una svolta agli attuali sistemi di gestione, verso una maggiore "sostenibilità ambientale" .
Ma a chi compete promuovere la "sostenibilità ambientale" in Italia? Purtroppo, come dicevo, tra le tante Istituzioni presenti in Italia non ho trovato un interlocutore sul tema. Solo silenzi. Nemmeno risposte formali per dire che l’argomento non è di competenza dell’Ente. Mi sia consentita l’ironia: Urge la creazione dell’I.S.R.S.A. (Istituto superiore per la ricerca sulla sostenibilità ambientale), anche se l'ambiente potrebbe competere con il calcio, per il numero di squadre che può mettere in campo: Commissione Ambiente, Ministero dell'Ambiente, 20 regioni, 110 province, 8101 comuni, 91 A.A.T.O. (Autorità ambito territoriale ottimale), 20 Agenzie ARPA (agenzie regionali per la protezione dell'ambiente), C.O.V.I.R.I (Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche), C.N.L.S.D. (Comitato nazionale per la lotta alla siccità e desertificazione), I.S.P.R.A. (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), I.R.S.A. (Istituto di ricerca sulle acque), E.N.E.A (Ente Nazionale energia e ambiente),47 Università Pubbliche, 3986 gestori dei servizi idrici rilevati alla fine del 2007 dall'ISTAT ( dimezzati rispetto al 1999, anno in cui erano 7826). associazioni ambientali varie. Nonostante questo gran numero di squadre difficilmente parteciperemo ai campionati mondiali ambientali.
A una di queste istituzioni, il C.O.V.I.R.I., che nella relazione 2008 denuncia la scarsità di investimenti nel settore, insisto nel dire che l'Italia più che dei grandi impianti, ha bisogno della prevenzione ambientale, che costa molto di meno e rende molto di più. La stessa cosa vale anche l’I.S.P.R.A, I.R.S.A, ecc. dai quali i cittadini si aspetterebbero, di tanto in tanto, il reso conto della loro attività di ricerca.
All'ENEA che da quasi un decennio, a tutti i convegni, presenta agli italiani il progetto "Acquasave" per dimostrare che il risparmio idrico conveniente e solo quello dovuto all'utilizzo di componenti a basso consumo, quello strutturale costa troppo, consiglio di archiviare quel progetto e di confrontarsi con questa proposta con maggiore obiettività. Il risparmio idrico strutturale, non solo si può, con costi inferiori ai 10 millesimi di euro a m3 contro i 30 del loro progetto. Ma, aggiugendo al semplice impianto di recupero acque domestico, senza alcuna modifica, il dosaggio chimico, come anzi detto, si può prevenire l'idrogeno solforato, correggere il ph degli scarichi e rimuovere il fosforo (non consentito dai comuni impianti a fanghi attivi). Con questi impianti, installabili da comuni artigiani, senza oneri di progettazione, senza nessun impatto ambientale, senza spese di gestione, con consumi energetici irrisori, potremo rispondere alla gran parte delle aspettative dell'ambiente e sopperire al deficit depurativo che coinvolge in maniera diversa, tutte le regioni d'Italia. Potremo effettuare il pretrattamento dei reflui domestici scaricati in fogna auspicati dalla legge e disattesi per l'attuale assenza di una idonea soluzione tecnica; evitare costosi ampliamenti di impianti di depurazione, reti fognarie e relativi impianti di sollevamento; ridurre il consumo di acqua potabile, e le spese per il rifacimento delle reti di distribuzione; produrre fanghi di migliore qualità per l'agricoltura e ridurre la produzione di quelli non riciclabili; prevenire la formazione di idrogeno solforato nella rete fognaria; ridurre le perdite inquinanti e i costi di manutenzione di tali reti; ridurre i costi della depurazione finale per la migliore qualità del liquame.
Il legislatore, prodigo di deroghe per i gestori, deve incentivare la sperimentazione di questo sistema semplice e "multifunzione" riservandogli qualche tolleranza in più rispetto a processi che si propongono gli stessi obiettivi con costi e impatti ambientali infinitamente superiori.
Rispondere agli auspici del T.U.A. enunciati negli articoli 98, 107 (senza deroga), 144, 179, 181 senza costi per la comunità, utilizzando "mini impianti di scarico"e fosse Imhoff ormai dismesse dalla legislatura ambientale è una sfida che merita maggiore considerazione e rispetto di quella, fino ad ora, riservata a questo progetto. Come già scritto, in precedenti articoli, lanciati in rete per illustrare il progetto ai lettori guardando i diversi aspetti trattati (La rivolta dei sindaci; La prevenzione dell'idrogeno solforato; Undici ragioni per rivalutare le fosse Imhoff; L'applicazione della legge 244/2007; La flocculazione in casa....) questi trattamenti, strettamente legati alle nostre abitazioni, addirittura ai nostri appartamenti, in quanto sostituirebbero gli attuali sistemi di scarico, potrebbero restituire ai comuni parte della gestione depurativa che perderanno entro il 2010, per l'applicazione dell'art. 23 bis della legge del 6/08/2008 n. 133. Sempre che i sindaci sappiano cogliere questa occasione, organizzando una gestione cittadina parallela ai futuri gestori.
Spero che non me ne vogliano le nostre Autorità Ambientali e le Istituzioni menzionate per la durezza dell'articolo, che avrei preferito non scrivere, ma spero anche che recitino il "mea culpa" e, di tanto in tanto, per ispirarsi nel proprio lavoro, respirino l'odore nauseabondo del liquame in arrivo ai depuratori, che ho ancora nelle narici sebbene non lo respiri da circa 5 anni
Luigi Antonio Pezone
(Perito industriale impiantista ambientale in pensione).
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Come è noto, il sistema è costituito dalla rete fognaria e dai depuratori, stop. Mancano almeno tre elementi da inserire in modo stabile nel ciclo depurativo:
1) Il trattamento preliminare degli scarichi in pubblica fogna per adeguarli, almeno, ai limiti tabellari della tabella 3 dell'allegato 5 del T.U.A., prevista appositamente per tali scarichi. L'esperienza ha dimostrato che il sistemaha un vizio di origine: Non può pretendere di trattare in modo efficace, contemporaneamente e con costi accettabili scarichi civili e industriali, legali e abusivi dopo averli accuratamente mescolati nelle reti fognarie. Non essendo possibile creare una rete fognaria per ogni tipo di scarico, per limitare i danni, dovuti a tale rimescolamento, è indispensabile effettuare un trattamento, almeno, fino allo stadio secondario, prima dello scarico in fogna.
2) Restringere il campo di tolleranza del PH in generale, il cui limite acido, in pubblica fognatura, incoraggia la formazione di idrogeno solforato nella rete fognaria ed entrambi i limiti sono intollerabili per gli scarichi in acque superficiali per i danni alla fauna e alla flora acquatica.
3) Abbassare il limite di tolleranza del fosforo in acque superficiali e degli scarichi in fogna da 10mg/L a 4 mg/L anticipando di fatto, a livello locale la rimozione del fosforo, che troppo spesso sfugge al trattamento sia per l'inesistenza di impianti di trattamento, sia l'inadeguatezza degli impianti di depurazione privi di trattamento terziario.
Queste importantissime innovazioni, necessarie e auspicabili per l'ambiente, oggi il Legislatore non le può imporre al cittadino perché lo stato della tecnica depurativa non lo consente, nonostante i progressi tecnologici avvenuti nel settore. Perlomeno non lo consente con soluzioni economicamente sostenibili, anche se potrebbe consentirlo, come vedremo.
HOsservando attentamente tabella 3 dell'allegato 5 del T.U.A. e gli articoli che la riguardano, si nota la volontà del legislatore di prevedere dei limiti di emissione anche per gli scarichi domestici avendoli accomunati in una sola tabella insieme agli scarichi industriali, riservando a questi ultimi dei correttivi riportati negli allegati 3A e tab. 5. Tuttavia, condizionato, appunto, dallo stato dell'arte che esprime diverse soluzioni al problema, ma nessuna predominante, applicabile universalmente ed economicamente sostenibile, se ne è lavato le mani, delegando alle regioni la soluzione del problema. a espresso, semplicemente, una nota (già presente nel precedente DL 152/1999), all’articolo 107, comma 2 del D.L. 152 / 2006 che riporto integralmente: "Gli scarichi di acque reflue domestiche che recapitano in reti fognarie sono sempre ammessi purché osservino i regolamenti emanati dal soggetto gestore del servizio idrico integrato ed approvati dall’Autorità d’ambito competente". E', in realtà, una deroga che comporta grave pregiudizio all’ambiente, anche se il gestore garantisce il risultato finale all’uscita del depuratore, come si sott’intende. Sarebbe stato meglio se la nota (o deroga) non fosse mai esistita e i tecnici costretti ad aguzzare l'ingegno per eliminare, alla fonte, parte dell'inquinamento, come, appunto, prevede la tabella. Naturalmente, non stimolati da una prescrizione tassativa, nemmeno i tecnici regionali hanno aguzzato l'ingegno e i regolamenti attuativi che avrebbero, potuto limitare i danni, non lo hanno fatto. I limiti tabellari sono rimasti in vigore solo per gli scarichi di natura industriale, legali. La situazione è aggravata dall'art. 101, c. 3, che dice: "Tutti gli scarichi, ad eccezione di quelli domestici e di quelli assimilati ai sensi del comma 7, lettera e), devono essere resi accessibili per il campionamento da parte dell'autorità competente per il controllo....". Non richiedere l'obbligo di accessibilità per i controlli agli scarichi domestici e assimilabili, che sono circa il 90% del totale, è stato un invito a delinquere da parte dello stesso legislatore.
Per completare il quadro bisogna citare alcuni articoli che trattano i fanghi di depurazione, che sono molto chiari e non lasciano alcun dubbio ma è opportuno citarli per evidenziare che gli impianti di depurazione, senza trattamenti preliminari, a monte degli stessi, non danno nessun contributo nel perseguire gli obiettivi enunciati da tali articoli:
L'articolo 184 classifica i fanghi di depurazione tra i rifiuti speciali e la parte quarta del D.L. dedica molti articoli alle norme di gestione dei rifiuti, sono importanti gli articoli 177 - 178 -179 - 180 - 181 -182. Cito solo due comma: L'articolo 179 comma 1: "Le Pubbliche amministrazioni perseguono, nell'esercizio delle proprie competenze iniziative dirette a favorire prioritariamente la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti." L'articolo 181 comma 1 : "Ai fini di una corretta gestione dei rifiuti le pubbliche amministrazioni favoriscono la riduzione dello smaltimento finale attraverso: a) il riutilizzo, il riciclaggio e il reimpiego..."
Come anticipato il sistema attuale, in materia di fanghi disattente completamente gli auspici del legislatore. I fanghi non riciclabili, in Italia sono circa il 70% , in Europa il 60%. E’ lecito avere dei dubbi anche sulle certifcazioni della già bassa percentuale di fanghi utilizzabili nella situazione attuale, non essendo possibile controllare a monte tutti gli sversamenti né tantomeno controllare la totalità dei fanghi. Tanto è vero che un Paese come la Svizzera, all’avanguardia nella tutela dell’Ambiente, applicando principi precauzionali, ha legiferato il divieto dei fanghi di depurazione in agricoltura fin dal maggio 2003.
Soffermandoci sull'aspetto, tecnico - concettuale, anzi, più concettuale che tecnico, esaminiamo quello che gli impianti non possono fare perché avviene prima che il liquame arrivi a destinazione e nessun altra struttura depurativa provvede:
A) Non possono Prevenire i danni derivanti dagli sversamenti, dovuti agli eccessi di pioggia, che bypassano gli impianti, e scaricano liquame privo di qualsiasi trattamento. Anche in questo caso , dei trattamenti preliminari potrebbero limitare i danni.
B) Non possono prevenire i danni dovuti al degrado della qualità dell’effluente nei periodi estivi nei posti di villeggiatura, quando raddoppia o triplica la popolazione. Anche gli effetti di questo problema, si potrebbero attenuare solo con dei trattamenti preliminari.
C) Non possono prevenire la produzione di fanghi inquinati da scarichi abusivi. Anche questo problema si potrebbe attenuare, salvando una parte dei fanghi, solo con dei trattamenti preliminari.
D) Non possono prevenire i danni dovuti al fosforo presente nei detersivi di natura inorganica, dove gli impianti di depurazione non esistono, o non sono in grado di provvedere all'abbattimento.
Anche in questo caso i danni e gli investimenti economici si potrebbero limitare con dei trattamenti preliminari, che potrebbero risolvere addirittura il problema a monte.
E) Non possono prevenire i danni economici e ambientali dovuti al degrado che il liquame subisce lungo il percorso che li porta agli impianti. Basti pensare che una città come Roma, secondo L'Acea, ha uno sviluppo fognario di circa 3500 Km. Se si volessero limitare i danni dovuti a tale degrado dovremmo avere un impianto di depurazione al massimo entro il limite di una decina di km di rete fognaria, oppure prevedendo dei limiti di emissione, misurati in PH, che prevengano la formazione dell’idrogeno solforato nella rete fognaria. Ovviamente la città di Roma non ha 350 impianti di depurazione e il PH 5,5 ammesso allo scarico, è il viatico per l'innesco del processo che porterà il liquame alla completa putrefazione prima di raggiungere l'impianto. In questa direzione va pure il recupero delle acque piovane, sicuramente acide. Queste se verranno utilizzate all'interno degli appartamenti e non all'esterno, creeranno più danni che benefici. E sorprende che a sollevare questo problema sia stato il sottoscritto in due precedenti articoli, mentre non esiste nessun riferimento legislativo ne commenti più autorevoli; nel frattempo le regioni si accingono con leggerezza alla applicazione dell'art.1, comma 228 della legge 244/2007. Se è vero che allo stato dell'arte, oggi non esiste un sistema sostenibile per regolare il Ph allo scarico (e non è vero perché il sistema proposto dal sottoscritto lo consente ed è sostenibile) si evitino almeno gli scarichi al limite della tabella (troppo permissiva) che si possono evitare. Se si pensa che il 90% degli enormi consumi energetici degli impianti di depurazione è dovuto alla necessità di produrre ossigeno da fornire al liquame per ridargli vita prima di restituirlo all'ambiente, si può facilmente intuire che questa energia può essere in larga parte risparmiata prevenendo il degrado del liquame. Il modo più semplice ed economico per prevenire tale degrado è appunto la correzione chimica del PH, che guarda caso, eccedendo nei dosaggi, potrebbe consentire anche la rimozione del fosforo (altro effetto indesiderato per le nostre Autorità ambientali) Ma, ovviamente, la prevenzione riguarderebbe anche i minori costi di manutenzione della rete fognaria e la riduzione delle perdite inquinanti della stessa. Anche questi indesiderati?
I casi citati, reali e noti ai cittadini, ai legislatori, alle autorità locali, ai gestori e naturalmente, agli Istituti di ricerca ambientale; confermano che gli impianti di depurazione non possono coprire tutte le esigenze del territorio, ma, purtroppo, sembra che l'intera politica ambientale sia dettata dal solo stato dell’arte dei depuratori, dove questi non arrivano, non si incentiva la ricerca di soluzioni integrative che possano aiutarli a completare il lavoro. Se qualcuno propone qualcosa, di propria iniziativa, viene rigettato dagli anticorpi del sistema.
Si ha l’impressione che gli stessi impegni ambientali europei, per il raggiungimento dello stato di “buono” dei nostri corpi idrici entro il 23 dicembre 2015, previsto nel T.U.A. (titolo II obiettivi di qualità), languono per mancanza di fondi: i grandi impianti richiedono grandi risorse e altrettanto gli ampliamenti necessari. Ma mancano soprattutto le idee. Anche considerando le deroghe motivate, concesse con la legge n. 101 del 06/06/2008, non ci si potrà scostare molto da tale data. Supponiamo, per assurdo, che con investimenti enormi, dovuti a tassazioni straordinarie, risolvessimo il problema del fosforo e del deficit depurativo, ampliando tutti gli impianti di depurazione a fanghi attivi con l'inserimento di trattamenti terziari, e costruissimo nuovi impianti già adeguati, gli altri problemi a monte dei depuratori, che si ripercuotono anche sul cattivo funzionamento e sui consumi energetici degli stessi, sopra citati, chi li risolve?
E il fosforo che non arriva agli impianti di depurazione che inquina lo stesso i corpi idrici, come lo intercettiamo e lo trattiamo? Anche in questo caso la risposta è una sola: mancano i trattamenti preliminari e locali. Qualcuno dirà che il problema del fosforo è stato risolto con ilD.M. 413/98 che ridusse per legge la percentuale di fosforo nei detersivi. Ma non è così, a parte il fatto che il decreto escluse dal provvedimento i detergenti usati per lavastoviglie, senza trattamenti terziari si superano ugualmente i limiti stabiliti, e tra i componenti utilizzati per sostituirlo ci sono anche gli acidi carbossilici, non sufficientemente testati, che potrebbero essere dannosi per la salute umana, lo afferma la relazione Com 234 del 04/05/2007. Se la rimozione del fosforo diventa semplice e i fanghi, ricchi di questo elemento, utilizzabili, teniamoci il fosforo ed eliminiamo gli acidi carbossilici.
Probabilmente con la sperimentazione del "sistema di scarico fisico chimico",brevettato dal sottoscritto in Europa con la formula "Phosphor removal from detergents wastewater and grey water recycling system for flushing toilets" si potrebbero risolvere insieme tutti i casi menzionati, in modo economicamente sostenibile, per giunta risparmiando il 25 - 30 % del nostro consumo procapite di acqua potabile. Purtroppo si deve usare il condizionale perché le "nostre Autorità Ambientali" fingono, da quasi due anni, che il progetto non esista, fino a che non venga, a loro, presentato con tanto di sperimentazione su un piatto d'argento. Cosa che forse potrebbero fare le aziende, le associazioni, non certamente un cittadino comune, per giunta pensionato monoreddito.
Il sistema proposto non è proponibile alle aziende che operano nel settore delle depurazione perché la riduzione degli inquinanti alla fonte riduce il loro volume di affari. Non è proponibile ai produttori degli attuali sistemi di scarico, che difendono gli investimenti fatti per la produzione dei loro prodotti non compatibili con il nuovo sistema. Ovviamente la proposta a entrambe le categoria è stata fatta, ma, altrettanto ovviamente, le risposte sono state zero. Si può comprendere l'atteggiamento degli imprenditori che difendono i loro prodotti e i loro investimenti. Ma le nostre Autorità ambientali che cosa difendono? Il loro prodotto non dovrebbe essere la tutela dell'ambiente e la promozione di tutte le possibili innovazioni e sperimentazioni per raggiungere tale obiettivo?
Ritengo che le nostre Istituzioni, proprio in virtù della loro funzione Istituzionale, abbiano il dovere di collaborare con un progetto di "Pubblica Utilità" presentato da un cittadino, non solo dal punto di vista morale, ma come compito implicito della loro stessa funzione. Mi riferisco soprattutto a quegli Enti Pubblici che si fregiano nella stessa denominazione sociale di parole come "Istituto Superiore di Ricerca - Prevenzione -Vigilanza ecc, rferendosi a risorse idriche e ambientali", a livello Nazionale, e in secondo luogo alle agenzie regionali. Se non vogliono farlo, sono tenute comunque assumersi delle responsabilità, formalizzando delle critiche al progetto con argomentazioni tecniche e scientifiche. L'unica cosa che non possono fare è tacere, perché il Paese, quelle risposte, le pretende da loro. Se un cittadino si cimenta a studiare un problema di pubblica utilità ambientale è perché quelle risposte non le hanno date.
Che cosa intendo per trattamenti preliminari e locali?
Trattamento preliminare (o pretrattamento) è un trattamento con tecnologia e costi sostenibili, che si propone il risparmio idrico, la rimozione del fosforo, la prevenzione dell'idrogeno solforato e una parziale depurazione, prima di scaricare il liquame in fogna o a un successivo impianto di depurazione.
Trattamento locale è un vero e proprio impianto di depurazione completo e autonomo in grado di rispettare i limiti di emissione previsti nel T.U.A. con o senza l'ausilio del trattamento preliminare.
Pertanto, i trattamenti preliminari sono una cosa completamente diversa dai trattamenti locali. Di trattamenti locali, ne esistono di diversi tipi da molti decenni. Se avessero potuto svolgere le funzioni, ipoteticamente, sopra affidate ai "trattamenti preliminari", i problemi depurativi sopra denunciati, sarebbero stati risolti almeno da qualche decennio. Ma i trattamenti locali, pur essendo tecnicamente idonei a svolgere tale funzione, non possono farlo per molte ragioni: costi, versatilità di impiego, ingombri, impatto ambientale, problemi di gestione e manutenzione.
Come già detto, i trattamenti preliminari aspettano, da qualche anno, che le nostre Autorità ambientali, si rendano conto della necessità degli stessi e ne promuovano almeno la sperimentazione, per dare una svolta agli attuali sistemi di gestione, verso una maggiore "sostenibilità ambientale" .
Ma a chi compete promuovere la "sostenibilità ambientale" in Italia? Purtroppo, come dicevo, tra le tante Istituzioni presenti in Italia non ho trovato un interlocutore sul tema. Solo silenzi. Nemmeno risposte formali per dire che l’argomento non è di competenza dell’Ente. Mi sia consentita l’ironia: Urge la creazione dell’I.S.R.S.A. (Istituto superiore per la ricerca sulla sostenibilità ambientale), anche se l'ambiente potrebbe competere con il calcio, per il numero di squadre che può mettere in campo: Commissione Ambiente, Ministero dell'Ambiente, 20 regioni, 110 province, 8101 comuni, 91 A.A.T.O. (Autorità ambito territoriale ottimale), 20 Agenzie ARPA (agenzie regionali per la protezione dell'ambiente), C.O.V.I.R.I (Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche), C.N.L.S.D. (Comitato nazionale per la lotta alla siccità e desertificazione), I.S.P.R.A. (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), I.R.S.A. (Istituto di ricerca sulle acque), E.N.E.A (Ente Nazionale energia e ambiente),47 Università Pubbliche, 3986 gestori dei servizi idrici rilevati alla fine del 2007 dall'ISTAT ( dimezzati rispetto al 1999, anno in cui erano 7826). associazioni ambientali varie. Nonostante questo gran numero di squadre difficilmente parteciperemo ai campionati mondiali ambientali.
A una di queste istituzioni, il C.O.V.I.R.I., che nella relazione 2008 denuncia la scarsità di investimenti nel settore, insisto nel dire che l'Italia più che dei grandi impianti, ha bisogno della prevenzione ambientale, che costa molto di meno e rende molto di più. La stessa cosa vale anche l’I.S.P.R.A, I.R.S.A, ecc. dai quali i cittadini si aspetterebbero, di tanto in tanto, il reso conto della loro attività di ricerca.
All'ENEA che da quasi un decennio, a tutti i convegni, presenta agli italiani il progetto "Acquasave" per dimostrare che il risparmio idrico conveniente e solo quello dovuto all'utilizzo di componenti a basso consumo, quello strutturale costa troppo, consiglio di archiviare quel progetto e di confrontarsi con questa proposta con maggiore obiettività. Il risparmio idrico strutturale, non solo si può, con costi inferiori ai 10 millesimi di euro a m3 contro i 30 del loro progetto. Ma, aggiugendo al semplice impianto di recupero acque domestico, senza alcuna modifica, il dosaggio chimico, come anzi detto, si può prevenire l'idrogeno solforato, correggere il ph degli scarichi e rimuovere il fosforo (non consentito dai comuni impianti a fanghi attivi). Con questi impianti, installabili da comuni artigiani, senza oneri di progettazione, senza nessun impatto ambientale, senza spese di gestione, con consumi energetici irrisori, potremo rispondere alla gran parte delle aspettative dell'ambiente e sopperire al deficit depurativo che coinvolge in maniera diversa, tutte le regioni d'Italia. Potremo effettuare il pretrattamento dei reflui domestici scaricati in fogna auspicati dalla legge e disattesi per l'attuale assenza di una idonea soluzione tecnica; evitare costosi ampliamenti di impianti di depurazione, reti fognarie e relativi impianti di sollevamento; ridurre il consumo di acqua potabile, e le spese per il rifacimento delle reti di distribuzione; produrre fanghi di migliore qualità per l'agricoltura e ridurre la produzione di quelli non riciclabili; prevenire la formazione di idrogeno solforato nella rete fognaria; ridurre le perdite inquinanti e i costi di manutenzione di tali reti; ridurre i costi della depurazione finale per la migliore qualità del liquame.
Il legislatore, prodigo di deroghe per i gestori, deve incentivare la sperimentazione di questo sistema semplice e "multifunzione" riservandogli qualche tolleranza in più rispetto a processi che si propongono gli stessi obiettivi con costi e impatti ambientali infinitamente superiori.
Rispondere agli auspici del T.U.A. enunciati negli articoli 98, 107 (senza deroga), 144, 179, 181 senza costi per la comunità, utilizzando "mini impianti di scarico"e fosse Imhoff ormai dismesse dalla legislatura ambientale è una sfida che merita maggiore considerazione e rispetto di quella, fino ad ora, riservata a questo progetto. Come già scritto, in precedenti articoli, lanciati in rete per illustrare il progetto ai lettori guardando i diversi aspetti trattati (La rivolta dei sindaci; La prevenzione dell'idrogeno solforato; Undici ragioni per rivalutare le fosse Imhoff; L'applicazione della legge 244/2007; La flocculazione in casa....) questi trattamenti, strettamente legati alle nostre abitazioni, addirittura ai nostri appartamenti, in quanto sostituirebbero gli attuali sistemi di scarico, potrebbero restituire ai comuni parte della gestione depurativa che perderanno entro il 2010, per l'applicazione dell'art. 23 bis della legge del 6/08/2008 n. 133. Sempre che i sindaci sappiano cogliere questa occasione, organizzando una gestione cittadina parallela ai futuri gestori.
Spero che non me ne vogliano le nostre Autorità Ambientali e le Istituzioni menzionate per la durezza dell'articolo, che avrei preferito non scrivere, ma spero anche che recitino il "mea culpa" e, di tanto in tanto, per ispirarsi nel proprio lavoro, respirino l'odore nauseabondo del liquame in arrivo ai depuratori, che ho ancora nelle narici sebbene non lo respiri da circa 5 anni
Luigi Antonio Pezone
(Perito industriale impiantista ambientale in pensione).