Presidente: Vitalone C. Estensore: Franco A. Relatore: Franco A. Imputato: Bigi ed altri. P.M. Di Popolo A. (Conf.)
(Annulla con rinvio, Trib. lib. Reggio Emilia, 21 Settembre 2005)
REATI CONTRO L'ECONOMIA PUBBLICA, L'INDUSTRIA E IL COMMERCIO - DELITTI CONTRO L'INDUSTRIA E IL COMMERCIO - VENDITA DI SOSTANZE ALIMENTARI NON GENUINE COME GENUINE - Violazione del disciplinare di produzione - Reato di cui all'art. 516 cod. pen. - Configurabilità - Fattispecie.
Configura il reato di cui all'art. 516 cod. pen., vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine, la vendita di un alimento prodotto senza il rispetto di tutte le modalità di produzione prescritte dal disciplinare, come nel caso di violazione delle modalità di alimentazione degli animali destinati alla produzione del latte con il quale viene preparato un formaggio individuato dal regolamento sul riconoscimento delle denominazioni. (Fattispecie relativa alla violazione del d.P.R. 9 febbraio 1990 contenente il disciplinare di produzione della denominazione di origine del formaggio parmigiano reggiano).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi
Magistrati: Camera di consiglio
Dott. VITALONE Claudio - Presidente - del 16/12/2005
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - N. 1448
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 38687/2005
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Bigi Dante, quale legale rappresentante della S.p.a. Nuova Castelli,
Facchetti Giuseppe Primo, quale amministratore unico della s.r.l.
Agricola Ghiara, e da Gandini Maria Neve, quale socia della s.r.l.
Agricola Ghiara;
avverso l'ordinanza emessa il 21 settembre 2005 dal tribunale di Reggio
Emilia, quale Giudice del riesame;
udita nell'udienza in Camera di consiglio del 16 dicembre 2005 la
relazione fatta dal Consigliere Dott. Franco Amedeo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Di Popolo Angelo, che ha concluso per l'annullamento con
rinvio dell'ordinanza impugnata;
udito il difensore avv. Soda Antonio, per Bigi Dante. SVOLGIMENTO DEL
PROCESSO
1. Con decreto dell'11 agosto 2005 il Giudice per le indagini
preliminari del tribunale di Reggio Emilia dispose il sequestro
preventivo del caseificio Olma, sito in Novellate, condotto in affitto
dalla srl Agricola Ghiara, di 323 forme di formaggio destinato a
diventare parmigiano - reggiano rinvenute nel caseificio e di 7820
analoghe forme di formaggio rinvenute presso i magazzini generali GEMA.
Ciò in relazione agli ipotizzati reati di cui all'art. 516
cod. pen. e L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, per i quali erano
indagati Gandini Maria Neve, Gandini Giulio e Facchetti Giuseppe Primo
per avere prodotto, al fine di porlo in commercio, parmigiano reggiano
non genuino, perché ottenuto con latte insudiciato ed in
stato di alterazione, non idoneo alla produzione di parmigiano reggiano.
2. Il tribunale del riesame di Reggio Emilia, con ordinanza del 21
settembre 2005, respinse la richiesta di riesame, osservando, tra
l'altro:
a) che nel giornale di produzione il casaro Brovini Luigi aveva
annotato che nel caseificio Orma era stato lavorato latte da lui
definito non idoneo alla produzione di parmigiano reggiano, ottenuto da
animali malati di mastite, insudiciato con residui fecali e in un caso
anche da tracce di detersivo ed aveva fatto commenti negativi anche
sulle condizioni del caseificio e delle stalle che ad esso conferivano
il latte;
b) che alcuni campioni di latte ivi prelevati avevano presentato
cellule somatiche anche se avevano dato esito negativo alla prova di
impurità del latte, mentre il veterinario aveva accertato
che i capi di bestiame non presentavano problemi;
c) che successivamente, anche a seguito delle dichiarazioni di un
lavoratore straniero addetto alle stalle, il Giudice per le indagini
preliminari aveva ritenuto sussistente sia il fumus dei reati
contestati, perché era stato prodotto, per metterlo in
commercio, formaggio parmigiano reggiano non genuino perché
ottenuto dalla lavorazione di latte insudiciato da cellule somatiche e
da residui fecali, sia il periculum in mora, perché il
sequestro delle forme e della struttura produttiva era necessario ad
impedire la commissione di ulteriori reati;
d) che effettivamente dai suddetti atti di indagine emergeva che nel
caseificio Olma, nel periodo gennaio-maggio 2005, era stato utilizzato
latte proveniente da animali affetti da mastite e non alimentati
correttamente, nonché insudiciato da residui fecali ed in
un'occasione da detersivo e conservato in un frigorifero sporco;
e) che tali modalità di lavorazione del latte protratte per
un lungo periodo integravano il fumus dei reati contestati, anche se
poi nel corso del successivo giudizio si sarebbe dovuta verificare
l'ipotesi accusatoria ed accertare se effettivamente, come sostenuto
dalla difesa, il processo di lavorazione del parmigiano reggiano
comporti l'eliminazione delle impurità e la neutralizzazione
delle cariche microbiche, con conseguente assenza di pericolo per la
salute umana;
f) che allo stato era infatti sufficiente osservare che l'impiego di
latte con le rilevate impurità pareva integrare una
violazione delle basilari norme igieniche e poteva quindi comportare la
sussistenza del reato di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, e, con la
successiva messa in commercio del prodotto finito, anche del reato di
cui all'art. 516 cod. pen.;
g) che l'esigenza cautelare consisteva, quanto alle forme di formaggio,
nel pericolo di aggravamento delle conseguenze del reato,
poiché la distribuzione del prodotto preparato con latte
insudiciato avrebbe potuto causare pericolo alla salute pubblica e,
quanto alla struttura produttiva, nel pericolo di commissione di
ulteriori analoghi reati, desumibile dal periodo di tempo per il quale
si erano protratte le censurate modalità di lavorazione del
latte e dalla assenza di elementi che dimostrassero un risanamento
della struttura aziendale.
3. Propone ricorso per Cassazione la s.p.a. Nuova Castelli, in persona
del legale rappresentante Bigi Dante, proprietaria delle forme di
formaggio in fase di stagionatura sequestrate presso i magazzini
generali Gema, deducendo violazione degli artt. 321 e 324 cod. proc.
pen., dell'art. 516 cod. pen., della L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5,
lett. d), del D.P.R. 30 ottobre 1955, art. 1, relativamente al processo
di lavorazione, maturazione e caratteristiche merceologiche del
parmigiano reggiano, del D.P.R. 14 gennaio 1997, n. 54, art. 9
(formaggi a lunga maturazione), contenente il regolamento recante la
attuazione delle direttive 92/46 e 92/47 CEE in tema di produzione ed
immissione sul mercato di latte e di prodotti a base di latte, del
regolamento CEE 1107/96 del 12 giugno 1996, del D.Lgs. n. 155 del 1997,
art. 2 di attuazione della direttive 93/43 CEE e 96/3/CE
nonché manifesta arbitrarietà delle ipotesi di
reato configurate con riferimento alle forme di pasta di formaggio in
fase di stagionatura.
Lamenta che il tribunale del riesame ha in sostanza rinviato alla fase
del successivo giudizio la verifica della stessa
configurabilità delle ipotesi di reato contestate, ritenendo
erroneamente che questo accertamento attenga a valutazioni probatorie,
mentre esso discende direttamente dalla normativa di lavorazione
propria del parmigiano reggiano e dalla natura stessa dei reati
contestati. Infatti, il legislatore nazionale e quello europeo hanno
tenuto conto, nel dettare le prescrizioni di igiene e di
genuinità del formaggio parmigiano reggiano, delle
peculiarità del suo processo produttivo. Il legislatore ha
invero codificato il processo di lavorazione escludendo ogni
trattamento di risanamento del latte per non alterarne la composizione
biologica e l'attitudine casearia, ha previsto la scrematura per
affioramento, la coagulazione, la cottura, l'acidificazione, la
salatura ed ha prescritto un termine non inferiore a nove mesi (di
regola 18 - 24 mesi) per la sua stagionatura. Al termine di questo
processo di lavorazione gli organi di tutela accertano le
caratteristiche organolettiche, la genuinità e
naturalità e impongono il marchio. Questo processo di
lavorazione è dovuto al fatto che gli accertamenti
scientifici hanno escluso in questo tipo di formaggio batteri,
coliformi o altri agenti patogeni. La salubrità e la
sicurezza del prodotto alimentare sono l'effetto sinergico dei sistemi
enzimatici antimicrobici attivi nel latte crudo, del sistema di
lavorazione e della lunga maturazione. È proprio per questo
che il D.P.R. n. 54 del 1997, art. 9, prevede, per i formaggi che
richiedono un periodo di maturazione di almeno sessanta giorni, delle
deroghe alla caratteristiche del latte crudo, relativamente al tenore
dei germi ed al titolo di cellule somatiche. Per espressa previsione
normativa, quindi, valori di germi e cellule somatiche superiori alla
norma non escludono la caseificazione del latte per la produzione di
parmigiano reggiano, che sarà comunque genuino. Inoltre, ai
sensi del regolamento CEE 1107/96 si ha parmigiano reggiano solo dopo
la stagionatura e la apposizione del marchio di riconoscimento
qualitativo. Il tribunale del riesame, poi, imputando al caseificio, ed
allo stagionatore, l'asserita sporcizia del latte proveniente dalle
stalle degli allevatori, ha erroneamente applicato alla fase della
mungitura (ossia della produzione primaria) le misure di igiene
propriamente dettate per le fasi successive, e ciò in
violazione del D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 155, art. 2, che esclude la
mungitura (e le stalle in cui essa avviene) dalle misure dettate per la
produzione degli alimenti. Il che è evidente
perché, per il luogo stesso in cui la mungitura avviene,
possono aversi impurità nel prodotto, mentre ciò
che rileva sono le condizioni di igiene nei luoghi e nelle fasi di
produzione successive alla primaria. E ciò, per il
parmigiano reggiano, è assicurato dal rispetto delle misure
di igiene e sicurezza nel caseificio e nei locali di stagionatura e dal
rispetto del suo processo produttivo. Il tribunale del riesame ha
ignorato tutte le disposizioni normative in materia e non ha
così tenuto conto che la immissione in commercio di un
prodotto qualificabile come parmigiano reggiano può avvenire
solo dopo la stagionatura, verificata dagli organi competenti. Prima
della conclusione del processo di trasformazione e stagionatura non vi
è ancora prodotto alimentare costituente cibo, ne' vi
è oggettivamente alcuna vendita o immissione in commercio di
sostanza alimentare. Il che esclude alla radice la stessa
configurabilità del reato di cui all'art. 516 cod. pen..
Inoltre, considerare astrattamente non genuina, o alterata e
contraffatta, o insudiciata la pasta di formaggio in corso di
stagionatura per completare il processo di trasformazione del latte in
formaggio solo in ragione della cosiddetta sporcizia del latte,
significa violare tutti gli studi scientifici in materia e le stesse
previsioni legislative che prescrivono il processo produttivo del
parmigiano reggiano e prevedono, quanto al latte, le deroghe in ordine
alle sua caratteristiche, al tenore dei germi ed al titolo di cellule
somatiche. Anche sotto questo profilo della non
configurabilità dell'elemento della non genuinità
della sostanza appare arbitraria la imputazione di vendita di sostanze
alimentari non genuine come genuine. Ugualmente arbitraria è
la configurazione della contravvenzione di cui alla L. 30 aprile 1962,
n. 283, art. 5, perché il tribunale del riesame non ha
considerato le disposizioni legislative che pongono deroghe per il
parmigiano reggiano proprio in tema di germi e cellule somatiche del
latte utilizzato. Manca quindi totalmente il fumus e la stessa
configurabilità dei reati ipotizzati.
Inoltre, il tribunale del riesame si è sottratto anche
all'obbligo di verificare la necessità di conservazione del
sequestro per il pericolo di aggravamento o protrazione della
conseguenze del reato. Osserva infine che il tribunale del riesame non
ha dato alcuna risposta ne' a tutti i suddetti rilievi ed eccezioni,
ne' alle censure sugli errori del Giudice per le indagini preliminari
che aveva scambiato le analisi sul latte come analisi di campioni di
formaggio sequestrato e sulla totale mancata analisi della pasta di
formaggio sequestrata. In pratica si è mantenuta in
sequestro una sostanza che potrà essere immessa in commercio
solo se e in quanto ne sarà accertata la
genuinità e naturalità dai previsti organi di
tutela. E ciò in danno dello stagionatore e solo in ragione
dei rilievi di sporcizia del latte semmai attribuibili al produttore
del latte stesso.
4. Propone ricorso per Cassazione anche Facchetti Giuseppe Primo, quale
amministratore unico della s.r.l. Agricola Ghiara, che conduce in
affitto il Caseificio Olma, deducendo:
1) violazione degli artt. 321 e 324 cod. proc. pen. in relazione
all'art. 516 cod. pen. e L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. d).
Osserva che l'ordinanza impugnata (la quale ha affermato che l'impiego
del latte contenente impurità pare integrare una violazione
delle norme igieniche e può quindi comportare la sussistenza
della contravvenzione ipotizzata e con la successiva messa in commercio
del prodotto finito anche del reato di cui all'art. 516 cod. pen. si
è in realtà basata sulla sola astratta
configurabilità di un reato ritenuto espressamente
insussistente, non essendosi verificata la messa in commercio del
prodotto finito "parmigiano reggiano" non ancora venuto ad esistenza
come prodotto alimentare e non essendosi tenuto conto della specifica
disciplina che regola la produzione del latte e dei prodotti a base di
latte, ed in particolare del parmigiano reggiano. Il tribunale ha
inoltre omesso la valutazione delle prove (assenza di rilievi sui
requisiti igienici del caseificio e sullo stato di salute delle vacche
visitate dal veterinario, esito negativo della prova di sudiciometria,
nessuna analisi eseguita sulla pasta destinata a diventare formaggio)
dando valore solo alle annotazioni soggettive del casaro, prive di
alcun riscontro oggettivo.
b) violazione dell'art. 321 cod. proc. pen. in relazione al sequestro
preventivo del caseificio, inteso quale stabilimento di trasformazione,
nonché del D.P.R. n. 327 del 1980, art. 28, dell'allegato B)
al D.P.R. n. 54 del 1957 ed all'art. 1 e art. 3 n. 17 del reg. CEE
178/2002.
b1) Osserva che nella ordinanza impugnata non vi è alcun
cenno alla pericolosità intrinseca del caseificio e tanto
meno ad una sua riscontrata carenza dei requisiti minimi obbligatori
per gli stabilimenti destinati alla produzione di sostanze alimentari
ed in particolare alla lavorazione del latte. Sotto il profilo logico
qualsiasi caseificio della zona tipica di produzione del parmigiano
reggiano sarebbe sequestrabile perché le aziende agricole
produttrici del latte in questione potrebbero continuare a conferire lo
stesso latte prodotto giornalmente nei loro allevamenti ad altri
caseifici per la sua trasformazione in pasta di formaggio destinata,
forse, a divenire parmigiano reggiano. Gli stabilimenti destinati alla
trasformazione del latte sono muniti dei necessari accorgimenti per
rispettare le norme igieniche e poiché è noto che
il latte di per sè non può essere pulitissimo,
sono state dettate norme di igiene generale per le stalle da dove
proviene il latte crudo, ma è stata esclusa la applicazione
di tali principi alla fase di produzione primaria, nella quale
è compresa la mungitura. b2) Rileva che il pericolo di
reiterazione del reato non è eliminato con il sequestro del
caseificio in quanto il latte delle aziende agricole continua ad essere
prodotto e venduto. Il tribunale ha inoltre omesso di considerare che
proprio attraverso le tecniche adottate in ogni caseificio vengono
eliminate le eventuali impurità del latte (nella specie
peraltro risultate alle analisi inesistenti). E la attività
nella specie svolta dal caseificio si esauriva appunto nella
lavorazione e nella cottura del latte per la produzione della pasta
destinata, forse, a divenire dopo la stagionatura parmigiano reggiano
ed era diretta proprio ad eliminare le impurità
eventualmente presenti nel latte.
2) violazione degli artt. 321 e 324 cod. proc. pen., dell'art. 516 cod.
pen., della L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. d), del D.P.R. 30
ottobre 1955, n. 1269, art. 1, relativamente al processo di
lavorazione, maturazione e caratteristiche merceologiche del parmigiano
reggiano, del D.P.R. 14 gennaio 1997, n. 54, art. 9 (formaggi a lunga
maturazione), contenente il regolamento recante la attuazione delle
direttive 92/46 e 92/47 CEE in tema di produzione ed immissione sul
mercato di latte e di prodotti a base di latte, del regolamento CEE
1107/96 del 12 giugno 1996, del D.Lgs. n. 155 del 1997, art. 2 e 5 di
attuazione della direttive 93/43 CEE e 96/3/CE, degli artt. 1, comma
32, e 3, comma 13, del regolamento CEE n. 178/2002, nonché
manifesta arbitrarietà delle ipotesi di reato configurate
con riferimento alle forme di pasta di formaggio in fase di
stagionatura rinvenute nel caseificio Olma.
Svolge, in sostanza le stesse considerazioni svolte nel ricorso della
s.p.a. Nuova Castelli, rilevando in particolare che la pasta ricavata
dalla lavorazione del latte secondo le procedure codificate non
può essere considerata astrattamente come non genuina o
adulterata o contraffatta o insudiciata perché, da una
parte, non costituisce ancora una sostanza alimentare e, dall'altra
parte, deve ancora sottostare nella sua fase di preparazione ad una
disciplina codificata di produzione che ne garantisce all'esito la
perfetta salubrità e sicurezza quando, dopo i controlli,
potrà fregiarsi della denominazione di parmigiano reggiano.
Proprio per questo il legislatore non impone particolari esami su
eventuali contaminazioni particellari del latte proveniente dalla
mungitura, ritenendo sufficiente che il latte sia separato dalle
impurità o filtrato, operazione che può
realizzarsi nella stalla o nel caseificio. È quindi evidente
nella specie la assoluta arbitrarietà della contravvenzione
di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. d), proprio
perché non sono state considerate le specifiche deroghe
normative previste sia per il latte sia per la fase di mungitura. 2b)
Ricorda che prima del termine del periodo di stagionatura, della
marchiatura e dei preventivi controlli, non esiste il formaggio
parmigiano reggiano. Nella specie la destinazione delle forme
sequestrate a divenire parmigiano reggiano era in realtà
ancora molto lontana, perché si trattava di forme di pasta
di latte cotto e posto in salamoia, nemmeno ipoteticamente
classificabili come parmigiano reggiano e tanto meno come sostanza
alimentare di cui potesse ragionevolmente prevedersi la destinazione
alla ingestione da parte di esseri umani. Non è quindi
ravvisabile l'ipotesi della messa in vendita o in commercio di sostanze
alimentari non genuine come genuine.
5. Propone altresì ricorso per Cassazione Gandini Maria
Neve, indagata quale socia della s.r.l. Agricola Ghiara, deducendo:
1) violazione degli artt. 321 e 324 cod. proc. pen. in relazione agli
artt. 516 cod. pen. e L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. d), e
del D.P.R. 14 gennaio 1997, n. 54, art. 9.
1a) violazione ed erronea applicazione dell'art. 516 cod. pen.,
perché in mancanza di qualsiasi commercializzazione o di una
detenzione al fine della messa in commercio, non è
configurabile il reato in questione. Il latte presente in un caseificio
ove si produce formaggio che potrà in futuro divenire
parmigiano reggiano non è infatti destinato alla
commercializzazione diretta, ma alla produzione proprio di quel
formaggio del quale, dopo un trattamento di prolungata stagionatura per
molti mesi, sarà consentita la marchiatura come parmigiano
reggiano in caso di superamento positivo dell'apposito esame di
controllo.
1b) violazione ed erronea applicazione della L. 30 aprile 1962, n. 283,
art. 5, lett. d), perché, ai sensi del D.Lgs. N. 115 DEL
1997, art. 2, per la fase della mungitura non sono applicabili le
misure di igiene previste in tema di alimenti. Nella specie il latte
utilizzato nel caseificio per la preparazione di formaggio proviene
direttamente dalla mungitura e non può essere considerato ad
ogni effetto sostanza alimentare, perché rientra ancora
nella fase primaria di produzione ed è privo di qualsiasi
trattamento, a differenza del latte destinato alla alimentazione umana.
Dalle relazioni dei consulenti tecnici risulta che nella preparazione
del parmigiano reggiano sono osservati precisi e rigorosi procedimenti,
normativamente previsti, e che tali modalità di preparazione
escludono che il formaggio possa in qualche modo essere nocivo per la
salute pubblica. Del resto residui fecali ed insudiciamento sono
presenti anche nell'uva che viene mostata o utilizzata per la
produzione del vino, ma non per questo a tale uva si applica la L. 30
aprile 1962, n. 283, perché anche tale attività
rientra nella produzione primaria. La inapplicabilità della
L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. d), deriva comunque anche dal
fatto che le analisi sui campioni del latte prelevato hanno dato esito
negativo alla prova di sudiciometria.
1b - 2) Ricorda che il D.P.R. n. 54 del 1997, art. 9, comma 1, lett. a)
prevede espressamente la deroga ai limiti batterici per il latte
destinato alla produzione di formaggi a lunga maturazione, come il
parmigiano reggiano. Mancano quindi limiti legali alla presenza di
germi tali da ritenere che il latte non sia sudicio ai sensi della L.
30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. d). Si tratta del resto di norma
speciale che, in applicazione delle direttive CEE 92/46 e 92/47, in
materia di latte e di prodotti a base di latte risulta l'unica
applicabile in ordine ai limiti legali di germi nel latte. 2)
violazione degli artt. 321 e 324 cod. proc. pen. in relazione all'art.
516 cod. pen. e L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. d), e del
D.P.R. 14 gennaio 1997, n. 54, art. 9. Osserva che manca il periculum
in mora, inteso quale pericolo concreto che il bene possa essere
strumentale allo aggravamento o al protrarsi delle conseguenze del
reato ipotizzato o l'agevolazione alla commissione di altri reati.
Difetta invero il rapporto di funzionalità tra caseificio e
attività realizzatrice del reato, ossia il rapporto di
causalità tra la struttura in cui sarebbe avvenuto
l'illecito e la violazione, sicché difetta anche l'esigenza
cautelare. L'illecito potrebbe infatti avvenire anche in luoghi diversi
dove fosse utilizzato il latte considerato insudiciato. Non
è poi vero che non vi è stato alcun risanamento
del caseificio, dal momento che non sono stati segnalati rilievi di
sorta.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi sono fondati nei limiti che seguono.
1. Innanzitutto, ed in via generale, va rilevato che effettivamente il
tribunale del riesame si è sottratto al compito demandatogli
rinviando in sostanza alla successiva fase del giudizio lo stesso
accertamento della sussistenza del fumus dei reati ipotizzati
nonché lo stesso esame delle argomentazioni e degli elementi
addotti dalla difesa, limitandosi alla sola astratta
configurabilità dei reati ipotizzati dall'accusa.
In proposito, va ricordato che la giurisprudenza di questa Suprema
Corte ha affermato i principi secondo i quali:
- il richiamo normativo, costante e reiterato, al "reato" - sotto i due
profili che solo cose ad esso pertinenti ben possono essere oggetto di
sequestro e che questo deve mirare a evitare l'aggravarsi o il
protrarsi delle relative conseguenze, nonché la commissione
di altri fatti di reato - rende evidente che presupposto
perché possa essere disposto il sequestro preventivo
è che un reato sia stato commesso, ossia che storicamente si
sia verificato un fatto avente i connotati dell'illecito penale,
ancorché non ne sia ancora ben definita la qualificazione
giuridica o ne siano ignoti gli autori (Sez. 6^, 6 agosto 1992, Liotti,
m. 191.957);
- in tema di sequestro preventivo la motivazione del provvedimento e
dell'ordinanza di riesame non possono consistere nella formulazione di
frasi di stile, nelle quali sia meramente affermata la sussistenza del
reato in concreto e dell'astratta configurabilità
dell'ipotesi tipica. In particolare, il Giudice del riesame deve
esercitare un controllo non puramente formale ed apparente della
legalità della misura cautelare adottata, ma penetrante e
preciso, sicché è indispensabile che
nell'ordinanza stessa siano indicati, in modo puntuale e coerente, gli
elementi in base ai quali il tribunale ritenga esistente in concreto il
fumus del reato configurato e la conseguente possibilità di
sussumere questa fattispecie in quella astratta (cfr. Sez. 3^, 1 luglio
1996, Chiatellino, m. 206.240). 2. Sempre in via preliminare e generale
va altresì rilevato come questa Corte non condivida
l'assunto difensivo secondo cui le particolari modalità di
produzione del formaggio parmigiano reggiano non consentirebbero in
pratica un controllo sulla qualità delle materie prime
utilizzate ed escluderebbero in modo assoluto la stessa
configurabilità dei reati contestati.
2.1. Quanto all'ipotizzato reato di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283,
art. 5, infatti, va ricordato che questo vieta non solo la vendita o la
somministrazione delle sostanze alimentari ivi indicate - fra cui
quelle con cariche microbiche superiori ai limiti stabiliti,
insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque
nocive, e così via - ma anche l'impiego di tali sostanze
nella preparazione di alimenti e bevande.
Deve pertanto ritenersi che anche nella preparazione del parmigiano
reggiano non possano essere utilizzate sostanze alimentari insudiciate,
o invase da parassiti, o in stato di alterazione o comunque nocive,
anche se poi, in concreto, nel verificare se le sostanze alimentari
utilizzate abbiano o meno tali caratteristiche si dovrà
anche tener conto delle particolari modalità di produzione
di questo tipo di formaggio, delle sue peculiarità di
maturazione e fare riferimento alle disposizioni normative speciali,
nazionali e comunitarie, che eventualmente apportino una deroga alla
richiamata normativa generale.
2.2. Quanto al reato di cui all'art. 516 cod. pen., va ricordato che
esistono una serie di disposizioni normative, comunitarie e
regolamentari, che disciplinano il processo di produzione del
parmigiano reggiano e la cui violazione potrebbe, in ipotesi, far
configurare il reato in questione o quanto meno il tentativo di una
messa in commercio come genuine di sostanze alimentari non genuine.
3.1. Sotto il profilo della L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, quindi,
va ricordato il D.P.R. 14 gennaio 1997, n. 54 (contenente il
regolamento recante attuazione delle direttive 92/46 e 92/47/CEE in
materia di produzione e immissione sul mercato di latte e di prodotti a
base di latte), il quale, in relazione ai formaggi a lunga maturazione
(quale appunto è il parmigiano reggiano) all'art. 9, comma
1, dispone che "nel caso di formaggi che richiedono un periodo di
maturazione di almeno sessanta giorni sono consentite le seguenti
deroghe: a) per quanto concerne le caratteristiche del latte crudo,
all'allegato A, capitolo 4^; b) per quanto concerne i requisiti degli
stabilimenti, all'allegato B, capitoli 1^ e 5^, fermo restando il
possesso dei requisiti prescritti dal D.P.R. 26 marzo 1980, n. 327,
art. 28 ...".
Per quanto interessa poi nel presente giudizio, il capitolo 4^
dell'allegato A), al punto 2 della lett. A) fissa i valori limite di
germi (100.000 per ml. a 30 C^) e di cellule somatiche (400.000 per
ml.) che può contenere il latte crudo di vacca destinato
alla fabbricazione di prodotti a base di latte.
Nel caso di specie, quindi, si sarebbe dovuto specificare se i germi e
le cellule somatiche contenuti nel latte utilizzato dal caseificio in
questione superassero o meno tali valori limite perché se
fossero stati inferiori non era esclusa la caseificazione del latte per
la produzione di parmigiano reggiano.
E va altresì ricordato che la lett. E. del cap. 4^, del
ricordato allegato A), dispone che "l'osservanza delle norme indicate
alle lettere A, B e C deve essere verificata con prelievi effettuati
per sondaggio al momento della raccolta presso l'azienda di produzione,
o al momento dell'ammissione del latte crudo nello stabilimento di
trattamento o di trasformazione".
3.2.1 ricorrenti hanno ricordato anche il D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 155
(recante Attuazione delle direttive 95/43/CEE e 96/3/CE concernenti
l'igiene dei prodotti alimentari), che all'art. 2, lett. a), stabilisce
che per igiene alimentare si intendono "tutte le misure necessarie per
garantire la sicurezza e la salubrità dei prodotti
alimentari. Tali misure interessano tutte le fasi successive alla
produzione primaria, che include tra l'altro la raccolta, la
macellazione e la mungitura, e precisamente: la preparazione, la
trasformazione, la fabbricazione, il confezionamento, il deposito, il
trasporto, la distribuzione, la manipolazione, la vendita o la
fornitura, compresa la somministrazione, al consumatore".
Spetterà peraltro al Giudice del merito stabilire se tale
norma sia rilevante nel caso in esame, in cui la contestazione non
riguarda la fase della mungitura ma quella della utilizzazione del
latte per la produzione del formaggio parmigiano reggiano. E
ciò tenendo anche conto che il Regolamento (CE) n. 178/2002
del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002 (che detta i
principi ed i requisiti generali della legislazione alimentare),
all'art. 3, n. 16), stabilisce che per "fasi della produzione, della
trasformazione e della distribuzione" si intende "qualsiasi fase,
importazione compresa, a partire dalla produzione primaria di un
alimento inclusa fino al magazzinaggio, al trasporto, alla vendita o
erogazione al consumatore finale inclusi e, ove pertinente,
l'importazione, la produzione, la lavorazione, il magazzinaggio, il
trasporto, la distribuzione, la vendita e l'erogazione dei mangimi", ed
al n. 17) stabilisce che per "produzione primaria" si intendono "tutte
le fasi della produzione, dell'allevamento o della coltivazione dei
prodotti primari, compresi il raccolto, la mungitura e la produzione
zootecnica precedente la macellazione e comprese la caccia e la pesca e
la raccolta di prodotti selvatici".
L'assunto difensivo, secondo cui le misure di igiene non troverebbero
applicazione nella specie perché si verterebbe ancora nella
fase di produzione primaria, potrebbe quindi avere un fondamento se la
contestazione riguardasse la fase della mungitura, mentre sarebbe
infondato se - come sembra sulla base della ordinanza impugnata - la
contestazione riguarda (anche o solo) la fase della produzione o della
trasformazione, ossia la fase di utilizzazione del latte per la
produzione di parmigiano reggiano.
3.3. Sotto il profilo dell'art. 516 cod. pen. assumono rilievo le norme
relative alla procedimento di produzione del formaggio parmigiano
reggiano, ricordate anche dai ricorrenti, fra cui il D.P.R. 30 ottobre
1955, n. 1269 (contenente il regolamento ministeriale sul
Riconoscimento delle denominazioni circa i metodi di lavorazione,
caratteristiche merceologiche e zone di produzione dei formaggi),
modificato dal D.P.R. 15 ottobre 1973, dal D.P.R. 15 luglio 1983 e dal
D.P.R. 9 febbraio 1990, che contiene il Disciplinare di produzione
della Denominazione di origine del formaggio Parmigiano Reggiano e che
qualifica il parmigiano reggiano come "formaggio semigrasso, a pasta
dura, cotta ed a lenta maturazione, prodotto con coagulo ad
acidità di fermentazione dal latte di vacca proveniente da
animali, in genere a periodo di lattazione stagionale, la cui
alimentazione base è costituita da foraggi di prato polifita
o di medicaio. Viene impiegato il latte delle mungiture della sera e
del mattino, riposato e parzialmente scremato per affioramento. La
cagliatura è effettuata con caglio di vitello. Non
è ammesso l'impiego di sostanze antifermentative. Dopo
qualche giorno si procede alla salatura, che viene praticata per 20- 30
giorni circa. La maturazione è naturale e deve protrarsi per
almeno 12 mesi anche se la resistenza alla maturazione è
notevolmente superiore...".
E va anche ricordato il "Regolamento di alimentazione delle bovine",
modificato da ultimo dal Regolamento (CE) n. 1571/2003 della
Commissione, del 5 settembre 2003 (che modifica alcuni elementi del
disciplinare relativo alla denominazione figurante nell'allegato del
regolamento (CE) n. 1107/96 (Parmigiano Reggiano)), il quale
"stabilisce le modalità per l'alimentazione delle vacche che
producono latte destinato alla produzione di Parmigiano-Reggiano" (art.
1), individuando dettagliatamente l'impiego dei foraggi, l'integrazione
con mangimi, l'origine dei foraggi, il tipo di foraggi ammessi, i
foraggi ed i sottoprodotti vietati, i mangimi ed il loro uso, le
materie prime ed i prodotti vietati, e così via. 4. Ne
deriva che il rispetto di tutte le prescritte modalità di
produzione, ivi comprese le norme relative al latte utilizzato ed alle
modalità di alimentazione delle vacche che producono il
latte destinato alla produzione del parmigiano reggiano, è
sicuramente rilevante al fine della configurabilità del
reato di cui all'art. 516 cod. pen., nella forma consumata o tentata.
Ritiene infatti la Corte che non può essere condivisa
l'argomentazione dei ricorrenti secondo cui le concrete
modalità di produzione del parmigiano reggiano sarebbero
irrilevanti ai fini dell'art. 516 cod. pen., anche sotto il profilo del
tentativo, perché sarebbero poi superate dalle particolari
caratteristiche di maturazione del formaggio (che porterebbe alla
eliminazione naturale di qualsiasi elemento inquinato, o alterato, o
insudiciato o nocivo) e dalla eventuale apposizione del marchio di
riconoscimento qualitativo da parte degli organi di tutela, di modo che
qualora il marchio non venga apposto non vi sarebbe nemmeno un
formaggio qualificabile come parmigiano reggiano mentre qualora venga
apposto, esso sarebbe sufficiente a certificare la genuinità
del prodotto rendendo irrilevante tutto ciò che è
successo nella fase di produzione.
Ed invero, il formaggio Parmigiano-Reggiano è un prodotto a
Denominazione d'Origine Protetta (D.O.P.), secondo la norma europea del
Reg. CEE 2081/92 ed il riconoscimento del Reg. (CE) n. 1107/96.
Può fregiarsi del marchio Parmigiano - Reggiano
esclusivamente il formaggio prodotto secondo le regole raccolte nel
Disciplinare di produzione. Ne deriva che qualora non siano state
seguite le regole di produzione normativamente fissate, ivi comprese -
per quel che qui interessa - quelle relative alla qualità
del latte utilizzato ed alle modalità di alimentazione delle
vacche da cui il latte proviene, l'eventuale apposizione del marchio da
parte del Consorzio del formaggio parmigiano reggiano dovrà
ritenersi irrilevante (se non anche invalida) ed il prodotto posto in
commercio come genuino formaggio parmigiano reggiano dovrà
invece ritenersi non genuino, con conseguente
configurabilità del reato di cui all'art. 516 cod. pen..
5. Tutto ciò considerato, va però rilevato che
nel caso di specie l'ordinanza impugnata, pur essendo ineccepibile, per
le ragioni indicate, nella parte in cui riconosce la
configurabilità in astratto dei reati di cui all'art. 516
cod. pen. e L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, è poi
totalmente carente nella motivazione relativa alla sussistenza, nello
specifico caso concreto, di elementi idonei a far ipotizzare
un'effettiva violazione delle norme relative alla produzione del
formaggio.
5.1. Ed infatti, l'ordinanza impugnata riporta esclusivamente i
seguenti elementi di fatto:
- il casaro Bravini aveva dichiarato alla guardia di finanza - in sede
di un accertamento fiscale e tributario - che il latte lavorato nel
caseificio sarebbe stato marcio, non idoneo alla produzione di
parmigiano reggiano, proveniente da animali ammalati, insudiciato,
mentre le stalle non sarebbero state idonee;
- un lavoratore straniero addetto alle stalle aveva dichiarato che le
vacche sarebbero state alimentate solo con foraggio proveniente dai
campi circostanti;
- gli esami di laboratorio effettuati dalla AUSL su alcuni campioni del
latte conferito al caseificio, avevano evidenziato la presenza di
cellule somatiche anche se avevano dato esito negativo all'esame di
sudiciometria;
- il veterinario della AUSL aveva fatto un accertamento presso le
stalle da cui proveniva il latte per il caseificio, accertando che i
capi di bestiame non presentavano nessuna problematica. Non
è poi chiaro se siano state o no effettuate analisi sulle
forme di formaggio sequestrate ed, in ogni modo, di tale eventuale
accertamento - che sarebbe stato sicuramente rilevante, almeno ai fini
del reato di cui all'art. 516 cod. pen. - non viene fatta alcuna
menzione nella motivazione della ordinanza impugnata. 5.2. È
evidente come si tratti di elementi del tutto insufficienti per poter
ravvisare il fumus dei reati ipotizzati.
Quanto infatti alle modalità di alimentazione delle vacche
che producevano il latte destinato al caseificio, è appena
il caso di rilevare che le dichiarazioni del lavoratore addetto alle
stalle - almeno per quanto risulta dalla motivazione della ordinanza
impugnata - appaiono del tutto generiche, perché non
indicano con precisione nè le modalità di
alimentazione ne' i periodi di tempo cui si riferiscono ne' se si
trattava di modalità abituali, e comunque perché
non è specificata per quali ragioni e sotto quali profili
l'uso di foraggio proveniente dai campi circostanti dovrebbe ritenersi
non consentito, quando l'art. 2 del ricordato Regolamento di
alimentazione delle bovine pone come principio generale per il
razionamento quello che "il razionamento delle vacche da latte si basa
sull'impiego di foraggi locali".
L'ordinanza impugnata non ha poi in alcun modo preso in considerazione
il fatto che l'accertamento effettuato dal veterinario della AUSL non
aveva dato luogo a rilievi di sorta, ne' in ordine ai capi di bestiame
ne' in ordine alle condizioni delle stalle, ed ha completamente omesso
di spiegare perché questa circostanza sarebbe stata
irrilevante.
Quanto alla qualità del latte utilizzato per la produzione
del formaggio, possono farsi analoghi rilievi in ordine alle
dichiarazioni del casaro che - così come riportate dalla
ordinanza impugnata - appaiono del tutto generiche ed ipotetiche e
sicuramente non idonee a far ritenere che il latte non avesse le
caratteristiche indicate dalla lett. A), punto 2, del cap. 4^
dell'allegato A) del D.P.R. 14 gennaio 1997, n. 54, e fosse quindi non
idoneo ad essere utilizzato per la produzione di un formaggio a lunga
maturazione. Si tratta infatti di semplici valutazioni soggettive sulla
non idoneità de latte, che oltretutto non specificano i
periodi di tempo cui si riferiscono e sono assolutamente inidonee a
costituire anche semplice indizio che fossero stati effettivamente
superati i limiti di cui alla citata disposizione.
Si trattava di dichiarazioni che assurgevano al solo rango di sospetto
e che erano idonee a far disporre - così come in effetti
sono state opportunamente disposte, - analisi tecniche dirette ad
accertare la qualità del latte e l'eventuale superamento dei
limiti normativamente prescritti.
Per quanto riguarda infine il risultato delle analisi effettuate su
campioni di latte "conferito al caseificio" va osservato che:
a) non si comprende bene dalla ordinanza impugnata se il latte
"conferito" su cui furono fatte le analisi si trovava ancora nelle
stalle o era già stato trasferito nel caseificio ossia se si
trovava nel luogo di mungitura o nel luogo di produzione;
b) non è specificato se i prelievi furono effettuati per
sondaggio e secondo le modalità indicate dalla lett. E. del
cap. 4^, dell'allegato A), del D.P.R. 14 gennaio 1997, n. 54;
c) non è specificato se le cellule somatiche superavano il
valore limite (400.000 per ml.) indicato dal punto 2 della lett. A),
del ricordato cap. 4^, dell'allegato A);
d) l'esame di sudiciometria aveva comunque dato esito negativo, il che
significava che il latte non conteneva impurità e non era
insudiciato.
6 Dalle considerazioni dianzi esposte emerge che l'ordinanza impugnata
è affetta da mancanza di motivazione e va quindi annullata
con rinvio per nuovo esame al tribunale di Reggio Emilia che
dovrà accertare se esistono sufficienti elementi concreti
per ritenere che nella specie siano state violate le norme relative
alla qualità del latte utilizzato ed alle
modalità di produzione del parmigiano reggiano e se quindi
se possa ritenersi sussistente il fumus dei reati ipotizzati.
Gli altri motivi - compresi quelli relativi alla mancata analisi della
pasta di formaggio sequestrata ed alla sussistenza del periculum in
mora - restano allo stato assorbiti.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla l'ordinanza impugnata con rinvio
al tribunale di Reggio Emilia.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di
Cassazione, il 16 dicembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2006