Cass. Sez.III n. 37755 del 15 settembre 2014 (ud.21 mag. 2014)
Pres. Mannino Est. Scarcella Ric. PM in proc. Chianese ed altri
Alimenti.Prodotto DOP denominato "mozzarella di bufala campana"
Il reato di frode nell'esercizio del commercio, per le condotte antecedenti al 30 giugno 2013, non è integrato dalla immissione sul mercato del prodotto DOP denominato "mozzarella di bufala campana", che sia stata realizzata in caseifici non dedicati esclusivamente a tale produzione o all'interno di stabilimenti nei quali siano detenute anche materie prime e cagliate diverse da quelle idonee alla lavorazione del predetto alimento, in quanto l'art. 1 del D.M. 10 aprile 2013, che ha stabilito la separazione degli stabilimenti destinati alla produzione della mozzarella di bufala DOP da quelli in cui ha luogo la preparazione di altri formaggi non è applicabile ai fatti posti in essere in epoca antecedente alla sua entrata in vigore.
RITENUTO IN FATTO
1. Con separate ordinanze emesse in data 14/10/2013, ambedue depositate in data 15/11/2013, il tribunale del riesame di NAPOLI - decidendo sull'appello cautelare sia personale che reale proposto dal P.M. avverso l'ordinanza del GIP presso il medesimo Tribunale del 4/07/2012, con cui veniva rigettata sia la richiesta di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di diciannove indagati ( CH., M., C., G. R. n. (OMISSIS), GA. R. n. (OMISSIS), CI., GR., O., CA., ON. P., ON. F., V., P., c., PR., PA. F., PA. P., PA. D. e PI.) sia la richiesta di sequestro preventivo di 28 aziende - dichiarava inammissibile l'appello con riferimento al rigetto della richiesta di sequestro della ONORATI s.r.l. per rinuncia al gravame, rigettando, nel resto, sia l'appello cautelare reale che personale.
2. Giova precisare, per migliore intelligibilità della questione, che il procedimento penale nel quale i predetti sono indagati, nelle qualità e con le condotte per ciascuno meglio indicate nei capi delle imputazioni cautelari di cui al ricorso, riguarda i seguenti reati:
1) associazione per delinquere (art. 416 c.p., commi 1, 2, 3 e 5), aggravata ai sensi della D.L. n. 152 del 1991, art. 7, finalizzata a commettere un numero indefinito di delitti contro l'industria ed il commercio (delitti di cui agli artt. 515, 516 e 517 bis c.p.), imputazione riguardante tutti i predetti indagati (fatto contestato come commesso in (OMISSIS) e provincia, (OMISSIS) e provincia ed altre località del territorio nazionale fino al (OMISSIS));
2) frode nell'esercizio del commercio continuata ed aggravata in concorso (art. 40 cpv c.p., art. 81 cpv. c.p., artt. 110, 515 e 517 bis c.p.), imputazione riguardante gli indagati M., co., ON., O. e CH. (fatto contestato come commesso nel territorio della provincia di (OMISSIS));
3) frode nell'esercizio del commercio continuata ed aggravata in concorso (art. 40 cpv. c.p., art. 81 cpv. c.p., artt. 110, 515 e 517 bis c.p.), imputazione riguardante gli indagati C., ON., O. e CH. (fatto contestato come commesso nel territorio della provincia di (OMISSIS));
4) frode nell'esercizio del commercio continuata ed aggravata in concorso (art. 40 cpv. c.p., art. 81 cpv. c.p., artt. 110, 515 e 517 bis c.p.), imputazione riguardante gli indagati G., ON., O. e CH. (fatto contestato come commesso nel territorio della provincia di (OMISSIS));
5) frode nell'esercizio del commercio continuata ed aggravata in concorso (art. 40 cpv. c.p., art. 81 cpv. c.p., artt. 110, 515 e 517 bis c.p.), imputazione riguardante gli indagati CI., ON., O. e CH. (fatto contestato come commesso nel territorio della provincia di (OMISSIS));
6) frode nell'esercizio del commercio continuata ed aggravata in concorso (art. 40 cpv c.p., art. 81 cpv. c.p., artt. 110, 515 e 517 bis c.p.), imputazione riguardante gli indagati GR., ON., O. e CH. (fatto contestato come commesso nel territorio della provincia di (OMISSIS));
7) frode nell'esercizio del commercio continuata ed aggravata in concorso (art. 40 cpv. c.p., art. 81 cpv. c.p., artt. 110, 515 e 517 bis c.p.), imputazione riguardante gli indagati M., CA., V., PI., PR., c. e P. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS));
8) frode nell'esercizio del commercio continuata (artt. 81 cpv e 515 c.p.), imputazione riguardante l'indagato MA. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS));
9) frode nell'esercizio del commercio continuata (artt. 81 cpv e 515 c.p.), imputazione riguardante l'indagato F. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS));
10) frode nell'esercizio del commercio continuata (artt. 81 cpv. e 515 c.p.), imputazione riguardante l'indagato T. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS));
11) frode nell'esercizio del commercio continuata (artt. 81 cpv e 515 c.p.), imputazione riguardante l'indagato D.C. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS));
12) frode nell'esercizio del commercio continuata (artt. 81 cpv e 515 c.p.), imputazione riguardante l'indagata DI.MA. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS));
13) frode nell'esercizio del commercio continuata in concorso (artt. 110, 81 cpv e 515 c.p.), imputazione riguardante gli indagati A. e B. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS));
14) frode nell'esercizio del commercio continuata (artt. 81 cpv e 515 c.p.), imputazione riguardante l'indagato L. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS));
15) frode nell'esercizio del commercio continuata (artt. 81 cpv e 515 c.p.), imputazione riguardante l'indagata D.S. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS));
16) frode nell'esercizio del commercio continuata (artt. 81 cpv e 515 c.p.), imputazione riguardante l'indagato m. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS));
17) frode nell'esercizio del commercio continuata (artt. 81 cpv e 515 c.p.), imputazione riguardante l'indagato R. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS));
18) frode nell'esercizio del commercio continuata (artt. 81 cpv e 515 c.p.), imputazione riguardante l'indagato AS. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS));
19) frode nell'esercizio del commercio continuata (artt. 81 cpv e 515 c.p.), imputazione riguardante l'indagato VI. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS));
20) frode nell'esercizio del commercio continuata (artt. 81 cpv e 515 c.p.), imputazione riguardante l'indagato MU. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS));
21) frode nell'esercizio del commercio continuata (artt. 81 cpv e 515 c.p.), imputazione riguardante l'indagata MU. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS));
22) frode nell'esercizio del commercio continuata in concorso (artt. 110, 81 cpv e 515 c.p.), imputazione riguardante gli indagati MO. R. e MO.MA. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS));
23) frode nell'esercizio del commercio continuata in concorso (artt. 110, 81 cpv e 515 c.p.), imputazione riguardante gli indagati CO.LU. e CO.EU. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS));
24) frode nell'esercizio del commercio continuata (artt. 81 cpv e 515 c.p.), imputazione riguardante l'indagato S. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS));
25) frode nell'esercizio del commercio e vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine continuata ed aggravata in concorso (artt. 110, 81 cpv, 515, 516 e 517 bis c.p.), imputazioni riguardanti gli indagati PA.DO., PA.PA. e PA.FR. (fatti contestati come commessi in (OMISSIS));
26) frode nell'esercizio del commercio continuata (artt. 81 cpv e 515 c.p.), imputazione riguardante l'indagato BU. (fatto contestato come commesso in (OMISSIS)).
3. Ha proposto tempestivi e separati ricorsi il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, impugnando le predette ordinanze (recanti, rispettivamente, il n. 1364/2012 RIMC reali ed il n. 5540/2014 RIMC personali) e deducendo quattro identici motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
3.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e), in relazione agli artt. 416, 416 bis e 649 c.p.p..
In sintesi, il PM ricorrente muove alle ordinanze impugnate tre distinte censure:
a) una prima censura di ordine processuale, in quanto il tribunale del riesame, dopo aver ritenuto nelle premesse inammissibile l'appello del PM per genericità, sarebbe passato ad esaminare il merito dell'imputazione, come emerge dalla stessa formula adottata (rigetto); vi sarebbe, quindi, contraddittorietà ed illogicità della motivazione sul punto;
b) una seconda censura investe le ordinanze impugnate quanto al profilo delle esigenze cautelari; le ordinanze impugnate affermano che il PM sarebbe stato generico sul punto; tale motivazione sarebbe errata, atteso che il PM ha utilizzato la tecnica della motivazione per relationem, ossia richiamando - quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari - la richiesta dello stesso PM di applicazione della misura, opportunamente integrata con riferimento alla valutazione in ordine all'attualità delle predette esigenze, tenuto conto dei rilievi del GIP in sede di rigetto della richiesta; anche su tale punto, le ordinanze impugnate sarebbero illogiche, errate in diritto ed incongrue;
c) una terza censura, infine, investe le ordinanze impugnate nella parte in cui hanno rigettato l'appello cautelare in ordine all'imputazione con cui si addebita la partecipazione dell'indagato M. ad un'associazione per delinquere semplice, sia pure aggravata ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7; in sostanza, il tribunale del riesame sostiene, erroneamente, che l'imputazione de qua contrasterebbe con altra imputazione, relativa a diverso procedimento (proc. n. 52938/2005 DDA Napoli) riguardante sempre l'indagato M., in cui è contestata la partecipazione di quest'ultimo a clan LA TORRE, perdurante fino al 2003; in base a tale premessa, il tribunale del riesame, ritenendo che l'attuale imputazione consista in una duplicazione della precedente, ha ritenuto inaccoglibile la richiesta di applicazione della misura in quanto sarebbe stato violato il principio del ne bis in idem; sostiene il PM ricorrente che tale motivazione è affetta da "travisamento dei fatti", in quanto: a) si tratta di due procedimenti doversi; b) gli stessi riguardano tempi diversi (fino al 2003, quanto alla partecipazione alla prima associazione; dal 2006 in poi, quanto alla partecipazione alla seconda associazione), associazioni diverse (il clan LA TORRE, la prima; il clan dei Casalesi, la seconda) e fatti diversi (l'imputazione attuale è solo un'associazione per delinquere semplice, con finalità per alcuni soggetti, tra cui il M., di operare per realizzare delitti con carattere organizzato, al fine di far ottenere al clan del casalesi - e non al clan LA TORRE come nel diverso procedimento -, vantaggi derivanti dai reati attinenti l'adulterazione di sostanze alimentari); le ordinanze impugnate sarebbero, pertanto, illogiche e contraddittorie sul punto, oltre che in violazione degli artt. 416 e 416 bis c.p. e art. 649 c.p.p., avendo richiamato erroneamente l'esistenza di un giudicato, il ne bis in idem e la preclusione processuale.
3.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e).
In sintesi, il PM ricorrente muove alle ordinanze impugnate una censura afferente il giudizio di insussistenza della partecipazione alla contestata associazione per delinquere da parte degli indagati CH. ed O. (estendendo tale censura "in genere" a tutti gli associati), nell'accertata loro condotta di pressione sul Ministero delle politiche agricole al fine di ottenere la modifica del disciplinare che regolamenta l'immissione in commercio del prodotto DOP denominato "mozzarella di bufala campana"; la motivazione del tribunale sul punto (viene trascritto in ricorso il passaggio argomentativo a pag. 20 dell'impugnata ordinanza) sarebbe illogica in quanto riterrebbe fisiologico intervenire sul Ministero per rimuovere una causa che, se mantenuta, permea di illiceità la condotta fino ad allora posta in essere dagli associati, ossia quella di produrre mozzarella di bufala campana DOP con latte diverso da quello casertano; il tribunale, dunque, giungerebbe a determinazioni paradossali, non valorizzando il dato nella sua oggettività (ossia il tentativo di rendere giustificabile una condotta che istituzionalmente non è tale), attribuendogli un valore indiziario opposto.
3.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione agli artt. 515 e 517 c.p..
In sintesi, il PM ricorrente muove alle ordinanze impugnate due distinte censure: a) la prima censura investe l'affermazione del tribunale secondo cui non vi sarebbe in atti la prova del fatto che il latte estero, pacificamente acquistato dai caseifici oggetto d'indagine, sia servito per la produzione di mozzarella di bufala DOP; in sostanza, per i giudici del riesame, l'accertato acquisto di materia prima estera (non DOP) utilizzata per la lavorazione, apparirebbe perfettamente lecito, essendo intervenuto il divieto legislativo in tal senso solo a far data dal mese di giugno 2013, per effetto del D.L. n. 171 del 2008, art. 4 quinquiesdecies; tale affermazione sarebbe, secondo il PM ricorrente, illogica e contraddittoria con quanto prima affermato dallo stesso tribunale del riesame, laddove, da un lato, ritiene che quella realizzata dagli associati fosse una condotta finalizzata a modificare il disciplinare DOP per esigenze di tipo imprenditoriale (consistite nella maggiore richiesta di prodotto DOP) mentre, dall'altro, attesta che l'acquisto del latte congelato estero serviva verosimilmente per immettere in commercio prodotti non DOP;
b) la seconda censura investe le ordinanze impugnate per aver erroneamente interpretato la legge penale; in estrema sintesi, le doglianze del PM ricorrente attingono le ordinanze impugnate per aver, da un lato, applicato retroattivamente una norma di legge (la L. n. 4 del 2011) non in vigore al momento del fatto (essendo all'epoca in vigore il D.Lgs. n. 109 del 1992) e, dall'altro, per aver interpretato erroneamente la stessa L. n. 4 del 2011, così incorrendo in un gravissimo vizio logico del ragionamento del giudice sotto il profilo della coerenza logica dell'argomentazione; in particolare, emergerebbe anzitutto una contraddizione logica dalla stessa motivazione laddove afferma che la condotta posta in essere potesse trarre in inganno il consumatore (dunque ammettendo la configurabilità dell'art. 515 c.p.), poi affermando però che tale condotta fosse pienamente conforme alla normativa; più specificamente la censura attinge la motivazione del tribunale ove, per attestare la conformità a legge della condotta, richiama una normativa (la L. n. 4 del 2011) che, rispetto ai fatti contestati, non era stata ancora promulgata; in particolare, il tribunale precisa che anche tale normativa ha ribadito che il luogo di origine o provenienza dei prodotti alimentari trasformati si identifica nel luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale; il richiamo corretto, in relazione al periodo temporale per cui si procede, avrebbe dovuto essere fatto al D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 2, il cui inequivoco tenore qualificava come illecite le condotte poste in essere dagli indagati, sicchè il tribunale avrebbe violato il principio generale dell'applicabilità ai fatti delle norme vigenti al tempo della commissione del fatto; peraltro, aggiunge il PM ricorrente, il tribunale sarebbe caduto in errore anche nell'interpretazione della nuova normativa (L. n. 4 del 2011) che, correttamente interpretata, consente di affermare che non è la trasformazione che qualifica la provenienza di un prodotto, ma anche e soprattutto "il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti".
3.4. Deduce, con il quarto ed ultimo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione all'art. 274 c.p.p. ed all'art. 321 c.p.p..
In sintesi, il PM ricorrente muove sul punto alle ordinanze impugnate due distinte censure:
a) una prima censura afferente il mancato riconoscimento delle esigenze cautelari non in relazione all'art. 274 c.p.p. bensì in relazione al fatto che il PM non avrebbe notificato l'avviso ex art. 415 bis c.p.p. nè richiesto il giudizio nei confronti degli indagati, cosi effettuando una valutazione sulle esigenze cautelari che esula del tutto dai parametri normativi;
b) una seconda censura riguarda l'erronea interpretazione dell'art. 321 c.p.p.; il tribunale, nel rigettare la richiesta di sequestro preventivo per i caseifici, ha ritenuto che gli stessi non potessero considerarsi come pertinenti al reato (nell'accezione di cui alla norma processuale richiamata) di cui agli artt. 515 e 517 c.p., sia perchè non sussisterebbe il fumus del delitto sia perchè l'azienda non sarebbe ad esso strumentale, dovendo considerarsi tale solo la materia prima utilizzata per la produzione dell'alimento; tale affermazione sarebbe errata in diritto e contrastante con l'interpretazione di questa Corte, essendo del tutto pacifico che l'intera azienda di un caseificio serva necessariamente alla produzione degli alimenti in questione.
4. Con separate memorie (relative sia al proc. n. 53581/13 RG e n. 53582/13RG), depositate presso la cancelleria di questa Corte in data 14/05/2014, l'avv. O. Bigolin, nell'interesse dell'indagato MO. M., in proprio e nella qualità di legale rappresentante pro tempore della LATTERIA e CASEIFICIO MORO s.r.l. con sede in (OMISSIS), ha chiesto il rigetto dei ricorsi proposti dal P.M..
5. Con separate memorie (relative sia al proc. n. 53581/13 RG e n. 53582/13 RG), depositate presso la cancelleria di questa Corte, rispettivamente, in data 14/05/2014 ed in data 15/05/2014, l'avv. A. Serafino, nell'interesse dell'indagata A.V., in proprio e nella qualità di legale rappresentante pro tempore del CASEIFICIO MOLISE s.r.l. nonchè nell'interesse dell'indagato B.G., ha chiesto dichiararsi inammissibili per assoluta genericità dei motivi o, in subordine, rigettarsi i ricorsi del P.M..
6. Con separate memorie d'identico contenuto (relative al solo proc. n. 53582/13 RG), trasmesse a mezzo fax alla cancelleria di questa Corte, rispettivamente, alle ore 8.16 ed alle ore 10.02 del 15/05/2014, l'avv. G. Forte, nell'interesse degli indagati CO. L. e CO.Eu., ha chiesto dichiararsi inammissibile per violazione dell'art. 325 c.p.p. o, in subordine, rigettarsi il ricorso del P.M..
7. Con separate memorie d'identico contenuto (relative al solo proc. n. 53582/13 RG), tutte depositate presso la cancelleria di questa Corte in data 14/04/2014, gli indagati L. G. (in proprio e nella qualità di legale rappresentante della ditta LA BOVARINA s.r.l. con sede in (OMISSIS)), D.C. S. (in proprio e nella qualità di legale rappresentante della ditta LA TRINACRIA DALLI CARDILLO s.p.a.), S. A. (in proprio e nella qualità di legale rappresentante della ditta FUNETTA s.r.l. con sede a (OMISSIS)), hanno chiesto rigettarsi il ricorso del P.M..
8. Con memoria (relativa al solo proc. n. 53582/13 RG), depositata presso la cancelleria di questa Corte in data 6/05/2014, l'Avv. F. Cannizzo, nell'interesse degli indagati ON.Pa. ed ON. F., ha chiesto rigettarsi il ricorso del P.M. 9. Infine, con memoria (relativa al solo proc. n. 53582/13 RG), pervenuta a mezzo fax presso la cancelleria di questa Corte in data 15/05/2014, l'Avv. G. Forte, nell'interesse dell'indagato F. M., ha chiesto dichiararsi inammissibile per violazione dell'art. 325 c.p.p. o, in subordine, rigettarsi il ricorso del P.M..
CONSIDERATO IN DIRITTO
10. Il ricorso del P.M. dev'essere rigettato per le ragioni di cui si dirà oltre.
11. Quale generale premessa in diritto, per quanto concerne i profili di doglianza che investono la misura cautelare reale, dev'essere in questa sede ricordato che in sede di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l'art. 325 c.p.p., ammette il sindacato di legittimità solo per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di "violazione di legge" rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non l'illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e) (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 - dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003 - dep. 10/06/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).
12. Per quanto, invece, concerne le doglianze che investono l'ordinanza reiettiva con riferimento alla misura cautelare personale, deve premettersi che le valutazioni compiute dal giudice ai fini dell'adozione di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio prognostico di "elevata probabilità di colpevolezza", tanto lontano da una sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure presuntivo, poichè di tipo "statico" e condotto, allo stato degli atti, sui soli elementi già acquisiti dal pubblico ministero, e non su prove, ma su indizi (Corte Cost, sent. n. 121 del 2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent. n. 71 del 1996, sent. n. 432 del 1995).
La specifica valutazione prevista in merito all'elevata valenza indiziante degli elementi a carico dell'accusato, che devono tradursi in un giudizio probabilistico di segno positivo in ordine alla sua colpevolezza, mira, infatti, a offrire maggiori garanzie per la libertà personale e a sottolineare l'eccezionalità delle misure restrittive della stessa.
Il contenuto del giudizio da farsi da parte del giudice della cautela è evidenziato anche dagli adempimenti previsti per l'adozione dell'ordinanza cautelare. L'art. 292 c.p.p., come modificato dalla L. n. 332 del 1995, prevedendo per detta ordinanza uno schema di motivazione vicino a quello prescritto per la sentenza di merito dall'art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), impone, invero, al giudice della cautela sia di esporre gli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, di indicare gli elementi di fatto da cui sono desunti e di giustificare l'esito positivo della valutazione compiuta sugli stessi elementi a carico, sia di esporre le ragioni per le quali ritiene non rilevanti i dati conoscitivi forniti dalla difesa, e comunque a favore dell'accusato (comma 2, lett. c) e c bis).
12.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che - contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova - non valgono di per sè a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilità dell'indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e altro, Rv. 202002, e, tra le successive conformi, Sez. 2, n. 3777 del 10/09/1995, dep. 22/11/1995, Tomasello, Rv. 203118; Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep. 15/04/1999, Capriati e altro, Rv. 212998; Sez. 6, n. 2641 del 07/06/2000, dep. 03/07/2000, Dascola, Rv. 217541; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep. 09/02/2004, Acanfora, Rv. 227511).
A norma dell'art. 273 c.p.p., comma 1 bis, nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza per l'adozione di una misura cautelare personale si applicano, tra le altre, le disposizioni contenute nell'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, (Sez. F, n. 31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377; Sez. 1, n. 29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003, Esposito, Rv. 226191; Sez. 6, n. 36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799; Sez. 6, n. 45441 del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755; Sez. 1, n. 19867 del 04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601).
Relativamente alle regole da seguire, questo Collegio ritiene che, alla stregua del condivisibile orientamento espresso da questa Corte, dell'art. 273 c.p.p., comma 1 bis, nel delineare i confini del libero convincimento del giudice cautelare con il richiamo alle regole di valutazione di cui all'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, pone un espresso limite legale alla valutazione dei "gravi indizi".
12.2. Si è, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, quando sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai limiti che ad esso ineriscono, all'esame del contenuto dell'atto impugnato e alla verifica dell'adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 2050 del 17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104; Sez. 6, n. 3529 del 12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565; Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012), senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre, Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; Sez. 1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331).
Il detto limite del sindacato di legittimità in ordine alla gravità degli indizi riguarda anche il quadro delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della cautela valutare "in concreto" la sussistenza delle stesse e rendere un'adeguata e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, dep. 14/03/1998, Martorana, Rv. 210019).
Peraltro, secondo l'orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, in tema di misure cautelari, "l'ordinanza del tribunale del riesame che conferma il provvedimento impositivo recepisce, in tutto o in parte, il contenuto di tale provvedimento, di tal che l'ordinanza cautelare e il provvedimento confermativo di essa si integrano reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze motivazionali di un provvedimento possono essere sanate con le argomentazioni addotte a sostegno dell'altro" (Sez. 2, n. 774 del 28/11/2007, dep. 09/01/2008, Beato, Rv. 238903; Sez. 6, n. 3678 del 17/11/1998, dep. 15/12/1998, Panebianco R., Rv. 212685).
13. Tanto premesso, seguendo l'ordine logico e cronologico proposto nella sequenza procedimentale dei singoli motivi, deve essere esaminato anzitutto da questa Corte il primo, articolato, motivo, con cui, come visto, il P.M. deduce numerose doglianze.
13.1. Quanto al primo profilo di doglianza di cui al primo motivo, deve, anzitutto, escludersi che l'ordinanza impugnata possa ritenersi affetta dal vizio di contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione (a tacer d'altro, per quanto concerne la misura cautelare reale, lo stesso sarebbe oltremodo non rilevabile, atteso che il predetto vizio motivazionale esula dal sindacato previsto dall'art. 325 c.p.p.).
Ed invero, il tribunale del riesame, dopo aver dichiarato inammissibile per difetto di specificità l'impugnazione proposta dal P.M., ha proceduto ad esaminare, comunque, il merito delle doglianze;
il giudice del riesame, infatti, ben può procedere all'esame del merito delle censure proposte al fine di valutarne "comunque" l'infondatezza, giungendo - come avvenuto nel caso in esame - ad un rigetto dell'"impugnazione, senza per ciò incorrere nel denunciato vizio di motivazione.
A ciò, poi, si aggiunga che difetta, nel caso in esame, qualsiasi interesse del P.M. ad impugnare un provvedimento che abbia rigettato anzichè dichiarato inammissibile l'impugnazione del P.M. Non può, infatti, sussistere interesse meramente teorico e formale all'esattezza della decisione, priva di riflessi in punto di utilità concreta, dovendo l'impugnazione essere sempre diretta al conseguimento di un risultato favorevole, che sia anche indirettamente utile al proponente. Da ciò discende, ancora, che tale carenza d'interesse, quand'anche non la si voglia ravvisare come preesistente, debba comunque ritenersi sopravvenuta in tutte le ipotesi in cui vada rigettato anzichè dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal P.M. avverso il medesimo provvedimento impugnato dal pubblico ministero.
Del resto, come ricordato dalle Sezioni Unite di questa Corte, nel sistema processuale penale, la nozione di interesse ad impugnare non può essere basata sul concetto di soccombenza - a differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti - ma va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un'utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011 - dep. 17/02/2012, Marinaj, Rv. 251693).
13.2. Quanto, poi, al secondo profilo di doglianza mosso con il primo motivo di ricorso, con cui il P.M. censura l'ordinanza impugnata per aver ritenuto insussistenti le esigenze cautelari, deducendo un vizio motivazionale in quanto sarebbero state richiamate "per relationem" quelle indicate nella richiesta di applicazione della misura cautelare, il medesimo è parimenti infondato. Ed infatti, il tribunale fornisce alle pagg. 4 e 5 dell'impugnata ordinanza un'esposizione ragionata delle ragioni giustificative di tale soluzione, precisando il motivo per il quale il tribunale ha ritenuto inammissibile l'impugnazione della Pubblica Accusa, atteso che quest'ultima non conteneva alcuna specifica critica al provvedimento del GIP (essendosi limitato sul punto il P.M. ad affermare "quanto alle esigenze cautelari, ci si riporta integralmente a quanto esposto in sede di richiesta cautelare").
La soluzione cui è approdato il giudice del riesame dev'essere condivisa. Ed infatti, è stato già affermato da questa Corte che l'appello del pubblico ministero avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di misura cautelare è inammissibile per genericità dei motivi se, per l'illustrazione delle censure, si limita a richiamare la richiesta rigettata e non indica i punti di fatto e le questioni di diritto rimesse alla cognizione del giudice dell'impugnazione (Sez. 6, n. 39926 del 16/10/2008 - dep. 24/10/2008, P.M. in proc. Alpignano e altri, Rv. 242248).
Trattasi di principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che, anche di recente, ha infatti, ribadito che in tema misure cautelari, i motivi di appello predisposti dal pubblico ministero avverso le decisioni di rigetto non possono limitarsi al semplice richiamo del contenuto della richiesta cautelare ma, per soddisfare i requisiti di specificità previsti a pena di inammissibilità, devono indicare i punti del provvedimento impugnato oggetto di doglianza e gli argomenti di fatto e di diritto addotti a fondamento delle censure (Sez. 6, n. 46025 del 24/09/2013 - dep. 15/11/2013, Ciciliano, Rv. 257448).
13.3. Non miglior sorte merita il terzo profilo di doglianza mossa con il primo motivo di ricorso, con cui il P.M. ricorrente deduce un vizio di "travisamento del fatto", in quanto il tribunale del riesame avrebbe in sintesi confuso tra le due associazioni di cui l'indagato M. avrebbe fatto parte (quella del clan La Torre, fino al 2003; quella del clan dei Casalesi, dal 2006 in poi). La doglianza si appalesa, all'evidenza, infondata.
Ed invero, premesso che, in questa sede di legittimità, non è deducibile l'evocato vizio di travisamento del fatto (posto che, a seguito delle modifiche dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8, mentre non è consentito dedurre il "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, è, invece, consentito dedurre il vizio di "travisamento della prova", che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano: v., ex multis, Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007 - dep. 23/10/2007, Casavola e altri, Rv. 238215), è indubbio che le argomentazioni svolte dal giudice del riesame sulla questione non possono essere certo tacciate da manifesta illogicità (laddove, in particolare, e conclusivamente, il tribunale precisa di trovarsi di fronte alla singolare situazione per cui, nei confronti del M. con riferimento alla contestazione del reato associativo, sul medesimo fatto e sulle medesime fonti probatorie si è già pronunciato il tribunale del riesame - il riferimento è all'ordinanza 30 luglio 2012 - ma anche questa Corte che aveva dichiarato inammissibile il ricorso del P.M. avverso tale ordinanza).
A ciò, poi, deve aggiungersi l'ulteriore rilievo per il quale è inibito in sede di legittimità svolgere censure in ordine alla violazione del c.d. "ne bis in idem" in quanto ciò - come nel caso in esame, in cui il ricorso del P.M. si fonda su elementi acquisiti in procedimento diverso da quello oggetto di esame, relativo a diversa fattispecie associativa - imporrebbe lo svolgimento di accertamenti di fatto per verificare la correttezza o meno delle valutazioni operate dal medesimo tribunale del riesame, al fine di ritenere sussistente (o meno) la dedotta preclusione processuale; in altri termini, se relativa allo stesso fatto o a fatti diversi, in cui è coinvolto il medesimo indagato M., nè potendo fare riferimento il P.M. ad argomenti concernenti elementi fattuali, la cui valutazione è rimessa esclusivamente al giudice di merito.
In tal senso, osserva il Collegio, dev'essere data continuità al principio già affermato da questa stessa Corte secondo cui non è deducibile dinanzi alla Corte di Cassazione la violazione del divieto del "ne bis in idem", atteso che è escluso in sede di legittimità l'accertamento del fatto necessario per verificare la preclusione derivante dalla coesistenza di procedimenti iniziati per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona, e non potendo la parte produrre documenti concernenti elementi fattuali, la cui valutazione è rimessa esclusivamente al giudice di merito (Sez. 4, n. 35831 del 27/06/2013 - dep. 30/08/2013, Maini, Rv. 256883; contra, una minoritaria giurisprudenza ritiene che la violazione del divieto del "bis in idem" si risolve in un "error in procedendo" - v., ad esempio, da ultimo, Sez. 6, n. 44632 del 31/10/2013 - dep. 05/11/2013, Pironti, Rv. 257809 -, soluzione, tuttavia, che non può essere preferita, atteso che quella cui questo Collegio aderisce è senza alcun dubbio maggiormente rispondente al limitato ambito cognitivo della S.C., che esclude qualsiasi accertamento fattuale, necessario presupposto per la verifica dell'esistenza di un preteso "ne bis in idem").
14. Può, quindi, procedersi all'esame del secondo motivo di ricorso, con cui il P.M. articola una censura di vizio motivazionale per illogicità nella parte in cui l'ordinanza riterrebbe fisiologico l'intervento sul Ministero delle politiche agricole per tentare di ottenere una modifica del disciplinare di produzione della mozzarella di bufala campana DOP per consentire l'impiego di latte diverso da quella casertano.
Orbene, rileva il Collegio come tale censura non tiene conto del fatto che la stessa ordinanza sottolinea come la contestazione mossa dal P.M. (quanto alle posizioni degli indagati CH. - O.) è fondata sull'erronea attribuzione di ruoli e competenze tra i vari organi del Consorzio (cfr., in particolare, le pagg. 18 e 19 dell'ordinanza impugnata). A ciò si aggiunga, poi, come la doglianza della valutazione operata dal tribunale che, nell'ottica del P.M. ricorrente, determinerebbe il raggiungimento di conseguenze paradossali, si traduce in una richiesta a questa Corte di valutare il merito e non di sindacare il percorso logico - giuridico con cui il tribunale ha motivato l'inammissibilità, risolvendosi, in ultima analisi, nel dissenso sul risultato della valutazione del compendio indiziario operata dal tribunale del riesame, operazione non consentita in questa sede.
Deve, infatti, essere ribadito che il vizio di mancanza della motivazione dell'ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto (Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011 - dep. 04/01/2012, Siciliano, Rv. 251761).
15. Passando, quindi, ad esaminare il terzo motivo di ricorso, con lo stesso il P.M. ricorrente muove una censura afferente, in via esclusiva, i delitti - fine di cui agli artt. 516 e 517 c.p.; in sostanza, con tale profilo di censura, il P.M. si duole della illogica e contraddittoria motivazione secondo la quale quella realizzata dagli associati sarebbe stata una condotta finalizzata a modificare il disciplinare DOP. 15.1. La censura, in particolare, investe l'ordinanza impugnata in quanto illogica e contraddittoria per aver ritenuto che non vi fosse prova in atti del fatto che il latte estero, pacificamente acquistato dai caseifici oggetto di indagine, fosse servito per la produzione della mozzarella di bufala DOP; in altri termini, il vizio dedotto si manifesterebbe in tutta la sua evidenza laddove il tribunale, da un lato, ritiene che quella realizzata dagli associati fosse una condotta finalizzata a modificare il disciplinare DOP per esigenze di tipo imprenditoriale (ossia, soddisfare la maggiore richiesta di prodotto DOP) e, dall'altro, attesta che l'acquisto del latte congelato estero servisse verosimilmente per immettere in commercio prodotti non DOP. A ciò si aggiungerebbe un errore nell'applicazione della legge penale, in particolare costituito dall'aver il tribunale applicato una norma (la L. 3 febbraio 2011, n. 4) successiva ai fatti, la quale prevede che il luogo d'origine o provenienza dei prodotti alimentari trasformati si identifica nel luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale. In realtà, sostiene il P.M. ricorrente, l'unica norma applicabile, alla data del sequestro (marzo 2010) sarebbe stata il D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 2,: così operando, il tribunale avrebbe violato il principio generale dell'applicabilità ai fatti delle norme vigenti al tempo della commissione del fatto. L'errore esegetico, poi, sarebbe ulteriormente aggravato dal fatto che, pur volendo ritenere applicabile la nuova normativa, la stessa sarebbe stata erroneamente interpretata dal tribunale, in quanto la L. n. 4 del 2011, art. 4, comma 2, non si limiterebbe a dire quanto affermato dai giudici campani, ma specificherebbe che l'indicazione della provenienza non va limitata alla sola trasformazione, in quanto non sarebbe detta trasformazione che qualifica la provenienza, ma anche e soprattutto il luogo di coltivazione ed allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti.
Nonostante, come si vedrà, l'impostazione - almeno parzialmente - del P.M. sia corretta, il motivo di ricorso, a giudizio del Collegio, non può essere accolto.
Ed invero - a parte l'erroneità della censura del P.M. secondo cui non sarebbe applicabile ai fatti pregressi una legge sopravvenuta avente, come nel caso in esame, natura extrapenale integratrice del precetto penale (atteso che il principio tempus regit actum, si applica alle sole norme processuali penali, laddove, nel caso di successione di leggi, trova applicazione il regime di cui all'art. 2 c.p. relativo all'applicabilità della disposizione più favorevole, norma chiaramente riferibile esclusivamente solo al diritto penale sostanziale, come risulta chiaro anche dalla locuzione "tempo in cui fu commesso il reato" contenuta nella citata norma: v., sul punto: Sez. 5, n. 622 del 12/09/1975 - dep. 18/12/1975, Marini, Rv. 131559) - l'esegesi normativa operata dal P.M. non potrebbe comunque condurre all'annullamento dell'impugnata ordinanza.
15.2. La censura si appunta criticamente contro l'interpretazione della normativa applicata dal tribunale, che giustifica l'applicazione della citata L. n. 4 del 2011 alla luce dell'ulteriore considerazione (che, invece, il PM ricorrente trascura) secondo cui tutti i caseifici interessati, accanto ad una produzione di mozzarella di bufala DOP, ne curavano anche una non DOP (v., in particolare, le pagg. 20 e 21 dell'ordinanza impugnata).
Sul punto, va, in particolare, ricordato che solo con il D.M. 10 aprile 2013 del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (pubblicato nella G.U. n. 96 del 24 aprile 2013) sono state fissate le "Modalità per l'attuazione della separazione degli stabilimenti di produzione della DOP Mozzarella di Bufala Campana".
Detto decreto, in particolare, attua il D.L. 3 novembre 2008, n. 171, art. 4 quinquiesdecies recante misure urgenti per il rilancio competitivo del settore agroalimentare (convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 2008, n. 205, art. 1, comma 1), disponendo che a decorrere dal 1 gennaio 2013 la produzione della Mozzarella di Bufala Campana DOP sia effettuata in stabilimenti separati da quelli in cui ha luogo la produzione di altri tipi di formaggi o preparati alimentari.
A tale disposizione normativa era seguita l'emanazione del decreto ministeriale 6 marzo 2013 recante disposizioni per la produzione della Mozzarella di Bufala Campana DOP in attuazione dell'art. 4 quinquiesdecies, che però non teneva conto della inevitabile produzione di sottoprodotti o derivati del latte proveniente da allevamenti inseriti nel sistema di controllo della DOP Mozzarella di Bufala Campana, inclusa la ricotta, sicchè, si è ritenuto necessario includere la lavorazione dei sottoprodotti o derivati del latte provenienti da allevamenti inseriti nel sistema di controllo della DOP Mozzarella di Bufala Campana all'interno degli stabilimenti che producono Mozzarella di Bufala Campana DOP. Da qui, l'emanazione del richiamato D.M. 10 aprile 2013 che, abrogando il predetto D.M. 6 marzo 2013 (art. 2), all'art. 1, stabilisce che, a decorrere dal 30 giugno 2013, in attuazione dell'art. 4 quinquiesdecies, gli operatori inseriti nel sistema di controllo della DOP Mozzarella di Bufala Campana producono il formaggio Mozzarella di Bufala Campana nonchè i sottoprodotti o derivati della stessa materia prima, inclusa la ricotta, in stabilimenti esclusivamente dedicati a tali produzioni, nel contempo vietando, da un lato, la produzione in tali stabilimenti di altri tipi di formaggi o preparati alimentari e, dall'altro, vietando la detenzione e lo stoccaggio di materie prime e cagliate diverse da latte e cagliate bufaline idonee alle lavorazioni di cui sopra e ad esse esclusivamente dedicate.
Quanto sopra, quindi, conferma che, alla data del sequestro (marzo 2010), non fossero ancora operativi tali divieti, con conseguente liceità della condotta allora posta in essere.
A ciò, poi, si aggiunga l'ulteriore considerazione per la quale, in materia di mozzarella di bufala campana DOP, la normativa europea di riferimento è costituita dal Regolamento (CE) n. 1107/1996 della Commissione del 12 giugno 1996 (in G.U.C.E. L. 21 giugno 1996, n. 148), con il quale è stata registrata la denominazione d'origine protetta "Mozzarella di Bufala Campana". Detta normativa è stata successivamente integrata dal Reg. (CE) 21 novembre 2012, n. 1151/2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari (pubblicato nella G.U.U.E. 14 dicembre 2012, n. L 343) entrato in vigore il 3 gennaio 2013 e dal Reg. (CE) 25 ottobre 2011, n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori (pubblicato nella G.U.U.E. 22 novembre 2011, L. n. 304), entrato in vigore il 12 dicembre 2011.
15.3. Premessa la normativa europea (e quella regolamentare, v. D.M. 10 aprile 2013) applicabile in materia, devono peraltro essere svolte alcune considerazioni in relazione alle norme richiamate di cui è stata fatta applicazione nel caso in esame. Come detto, il tribunale del riesame ha ritenuto applicabile - a differenza di quanto, invece sostenuto dal P.M. ricorrente, che ritiene applicabile il D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 109, art. 2 che, sotto la rubrica "Finalità dell'etichettatura dei prodotti alimentari", in particolare prevede che la stessa deve essere effettuata in modo da non indurre in errore l'acquirente sulle caratteristiche del prodotto alimentare e precisamente......sull'origine o la provenienza....": lett. a) -, la L. 3 febbraio 2011, n. 4, art. 4 (recante Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari), norma che, in particolare, prevede che (art. 4, comma 2) "Per i prodotti alimentari non trasformati, l'indicazione del luogo di origine o di provenienza riguarda il Paese di produzione dei prodotti. Per i prodotti alimentari trasformati, l'indicazione riguarda il luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti".
Come in precedenza esposto, il P.M. ricorrente sostiene che l'esegesi del tribunale sarebbe errata, in quanto in realtà il citato art. 4, comma 2, specificherebbe che l'indicazione della provenienza non va limitata alla sola trasformazione, in quanto non sarebbe detta trasformazione che qualifica la provenienza, ma anche e soprattutto il luogo di coltivazione ed allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti. Da qui, quindi, la configurabilità degli illeciti - fine in quanto il latte utilizzato nella produzione della mozzarella di bufala non sarebbe solo latte casertano.
Tale esegesi, a giudizio di questo Collegio, appare corretta, anche alla luce della considerazione che, per quanto riguarda i prodotti agroalimentari trasformati, la disciplina dettata dalla L. n. 4 del 2011, art. 4, comma 2, deve essere interpretata nel senso che l'indicazione del luogo di origine o di provenienza degli stessi è definita dalla loro derivazione geografica, ed indipendentemente dalla localizzazione delle fasi di lavorazione, esclusivamente per i prodotti recanti marchio DOP (denominazione di origine protetta) ovvero IGP (indicazione geografica protetta) attributivi di una garanzia di tipicità e di qualità, mentre per tutti gli altri prodotti agroalimentari "generici" perchè sprovvisti di detti marchi, per stabilirne l'origine o la provenienza deve farsi riferimento ai criteri dettati dal codice doganale europeo, la cui disciplina è attualmente contenuta nel Reg. (CE) 9 ottobre 2013, n. 952/2013 (v., in precedenza: Sez. 3, n. 27250 del 15/03/2007 - dep. 12/07/2007, P.M. in proc. Contarini, Rv. 237812).
La tesi del P.M. ricorrente, dunque, può ritenersi fondata per quanto concerne la contestazione relativa alla frode in commercio ed alla violazione dell'art. 517 c.p., essendo dunque inapplicabile il codice doganale e, diversamente, applicabile il criterio oggi contemplato dall'art. 60 del citato reg. CE n. 952/2013, trattandosi di prodotto agroalimentare trasformato con marchio DOP. Tuttavia, a fronte del rilievo, già in precedenza esposto, che solo a decorrere dal 30 giugno 2013 sono operative le disposizioni che impongono il divieto di promiscuità presso gli stabilimenti dedicati alla produzione di mozzarella di bufala campana DOP, deve ritenersi che la previsione normativa dettata dal citato L. n. 4 del 2011, art. 4, comma 2, oltre che ad essere successiva ai fatti (periodo di consumazione settembre 2010), non consente di ritenere configurabile "ora per allora" detti illeciti, in quanto, all'epoca dei fatti, era consentita all'interno degli stabilimenti interessati la detenzione e lo stoccaggio di materie prime e cagliate diverse da latte e cagliate bufaline idonee alle lavorazioni DOP Mozzarella di Bufala Campana e ad esse esclusivamente dedicate (divieto, come detto, introdotto solo con il D.M. 10 aprile 2013, art. 2, comma 2, dal 3 giugno 2013).
A questo, poi, va aggiunto che - in ogni caso -non è prospettabile un interesse del P.M. quanto all'impugnazione dell'ordinanza con riferimento alle misure cautelari personali, poichè la questione riguarderebbe i reati - fine, per i quali, pacificamente (pur se aggravati ex art. 517 bis c.p.), non sarebbe possibile emettere alcuna misura custodiale in relazione ai limiti edittali previsti dall'art. 280 c.p.p. (con gli inevitabili riflessi sul delitto associativo, essendo stata costituita l'associazione, secondo la prospettazione accusatoria, al fine di commettere un numero indefinito di reati - fine, come detto, all'epoca dei fatti non penalmente perseguibili per le ragioni suesposte).
16. Deve, infine, essere esaminato il quarto ed ultimo motivo di ricorso, con cui il P.M. ricorrente svolge una doglianza in ordine alla pretesa mancata valutazione delle regole previste dall'art. 274 c.p.p..
Il motivo è infondato, atteso che il ricorrente non muove alcuna critica specifica all'ordinanza impugnata, non potendosi certamente ritenere sufficiente il mero richiamo alla parte della motivazione in cui il tribunale esprime apprezzamenti in ordine alla mancata notifica dell'avviso di conclusione indagini ex art. 415 bis c.p.p. o alla mancata richiesta di rinvio a giudizio.
Deve, ancora una volta, essere qui ricordato che l'impugnazione è inammissibile per genericità dei motivi se manca ogni indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità (Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007 - dep. 10/09/2007, Scicchitano, Rv. 236945).
Ad analogo approdo, infine, deve pervenirsi con riferimento alla doglianza relativa alla presunta violazione dell'art. 321 c.p.p., con cui il P.M. ricorrente censura quanto affermato dal tribunale secondo cui non potrebbero considerarsi "cose pertinenti al reato" le aziende produttrici della mozzarella di bufala non DOP. Ed invero, se ben può ritenersi in astratto applicabile la misura cautelare reale con riferimento allo stabilimento di produzione della mozzarella di bufala (atteso che, come ricorda il P.M. ricorrente, l'espressione "cose pertinenti al reato", cui fa riferimento l'art. 321 c.p.p., è più ampia di quella di corpo di reato, così come definita dall'art. 253 c.p.p., e comprende non solo qualunque cosa sulla quale o a mezzo della quale il reato fu commesso o che ne costituisce il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate anche indirettamente alla fattispecie criminosa: Sez. 2, n. 34986 del 19/06/2013 - dep. 14/08/2013, Pini, Rv. 256100), purtuttavia il già richiamato rilievo secondo cui la rilevanza penale della c.d. promiscuità produttiva si è avuta solo a far data dall'entrata in vigore del D.M. 10 aprile 2013, fa venir meno il profilo di attualità della misura avuto riguardo a fatti avvenuti quattro anni or sono, quando ancora i divieti indicati dal D.M. 10 aprile 2013 non erano operativi.
Ed invero, dev'essere in questa sede ricordato l'autorevole insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui il sequestro preventivo di cosa pertinente al reato è consentito anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi, purchè il pericolo della libera disponibilità della cosa stessa - che va accertato dal giudice con adeguata motivazione - presenti i requisiti della concretezza e dell'attualità e le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano connotazione di antigiuridicità, consistano nel volontario aggravarsi o protrarsi dell'offesa al bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita e possano essere definitivamente rimosse con l'accertamento irrevocabile del reato (Sez. U, n. 12878 del 29/01/2003 - dep. 20/03/2003, P.M. in proc. Innocenti, Rv. 223721).
Nel caso di specie, la distanza cronologica rispetto ai fatti e, soprattutto, l'incidenza dello ius superveniens (D.M. 10 aprile 2013) che ha attribuito carattere di illiceità penale a condotte all'epoca del fatto non integranti le fattispecie penali ipotizzate, esclude la ricorrenza delle condizioni per l'adozione della misura cautelare richiesta. Non va, infine, nemmeno trascurato l'ulteriore argomento sviluppato dal tribunale del riesame che, in particolare, richiama l'operatività, nel caso in esame, del criterio di proporzionalità, di cui opera una corretta applicazione, richiamando infatti la giurisprudenza di questa Corte secondo cui i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall'art. 275 c.p.p., per le misure cautelari personali, sono applicabili anche alle misure cautelari reali, dovendo il giudice motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso altri e meno invasivi strumenti cautelari (sez. 5, n. 8382 del 16/01/2013 - dep. 20/02/2013, Caruso, rv. 254712), ditalchè può essere ritenuto legittimo il sequestro preventivo di un'intera azienda anche se soltanto alcuni dei beni che la compongono siano stati utilizzati per la consumazione del reato, ma il giudice, in ossequio al principio di proporzionalità, deve motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato della misura cautelare con misure invasive, anche di natura interdittiva (sez. 4, n. 18603 del 21/03/2013 - dep. 24/04/2013, P.M. in proc. Camerini, rv. 256068).
Anche da ultimo motivo dev'essere, pertanto, rigettato.
17. Il ricorso del PM, dev'essere, quindi, complessivamente, rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso del PM.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 21 maggio 2014.