Sentenza Ilva, una decisione discutibile: è solo casuale?
di Gianfranco AMENDOLA
Molto si è scritto in questi giorni sull’ annullamento, da parte della corte d’appello di Lecce, della sentenza ILVA (3.700 pagine di motivazione con 26 condanne per circa 270 anni di carcere nei confronti di dirigenti, manager e politici) emessa dalla corte d’assise di Taranto nel 2021; con rimessione, per nuovo giudizio, alla corte d’assise d’appello di Potenza. Probabilmente, quindi, l’annullamento è intervenuto per una presunta incompetenza territoriale dei giudici tarantini, già prospettata dalla difesa degli imputati nel giudizio di primo grado sulla base dell’art. 11 del codice di procedura penale il quale impone lo spostamento di competenza territoriale per “i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato, ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato”
Ovviamente, per dare un parere completo, sarà opportuno attendere le motivazioni della decisione. Tuttavia, sin da ora si possono fornire alcuni elementi di giudizio basandosi, appunto, su quanto già risulta, in proposito, nella sentenza di primo grado che ha invece respinto questa eccezione. Si legge, infatti, nella sentenza che le difese “si sono profuse in analisi concrete e documentate con riferimento a numerosi magistrati tarantini che devono considerarsi persone danneggiate da reato rispetto alle concrete contestazioni mosse dal P.M. e che, quindi, legittimano il ricorso alla regola eccezionale di individuazione del giudice competente ex art. 11 c.p.p”. Insomma, sarebbe “sufficiente essere residenti in modo formale o di fatto in Taranto per essere considerati persone danneggiate da reato, condizione alla quale non sfugge la maggior parte dei magistrati di Taranto”, dei quali si forniva un elenco nominativo con documentazione anagrafica e catastale circa la loro residenza e le loro proprietà immobiliari; allegando addirittura una cartina “nella quale sono stati posizionati gli immobili di proprietà o residenza dei magistrati tarantini messi a confronto con quelli delle parti civili, al fine di dimostrarne la contiguità”. Il tutto avallato da un parere pro veritate a firma del prof. Giorgio Spangher (ordinario di procedura penale presso l’Università La Sapienza) sull’applicabilità dell’art. 11. Dimenticava, però, di dire che questa tesi era già stata più volte respinta dalla Cassazione la quale, anche recentemente (terza sezione, sent. n. 6558 del 14 febbraio 2024) ha confermato che, “in tema di competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati, le previsioni di cui all'art. 11 cod. proc. pen. hanno natura eccezionale, trovando applicazione nei soli casi in cui il magistrato abbia assunto la qualità di indagato, di imputato, di persona offesa o danneggiata in relazione a un reato che lo riguardi, come tale, in via diretta, non riflessa e non in quelli in cui predetto sia meramente prospettato quale potenziale danneggiato, ma tale qualifica non emerga in termini immediati e certi, in ragione della mancata proposizione, da parte sua, dell'azione civile nel giudizio penale”. Anche perché, ragionando altrimenti, non si potrebbe fare alcun processo nelle città dove sono situati impianti inquinanti visto che vi risiedono, appunto, i giudici competenti per territorio (potenziali danneggiati). E proprio per questo, nella sentenza Ilva tale eccezione veniva respinta evidenziando che “nessun magistrato si è costituito parte civile né ha concretamente assunto la veste di persona offesa e/o danneggiata da reato”.
In realtà, tuttavia, risulta dagli atti che nel primo processo vi era stata la costituzione di parte civile di due giudici di pace e di un membro laico della sezione agraria del tribunale (parificato di fatto a un magistrato); ma uno di loro aveva ritirato la richiesta di risarcimento e gli altri due la avevano presentata nel 2016 quando avevano già cessato il loro ruolo e, quindi, al momento della celebrazione del processo, non rivestivano la qualifica di magistrati in servizio e non rientravano nella ipotesi dell’art. 11, come, peraltro recentemente chiarito dalla Cassazione (sez. 2, n. 23311 del 15 giugno 2022) proprio a proposito dei giudici onorari. Insomma, come precisato nella sentenza Ilva, ci deve essere lo spostamento territoriale – in deroga ad un altro principio di rango costituzionale qual è quello della individuazione del giudice naturale anche per territorio – “nel caso di magistrato trasferito ma ancora appartenente all’ordine giudiziario, e non quando lo stesso abbia cessato di appartenere all’ordine giudiziario”.
Una ultima osservazione, non proprio giuridica: in questi stessi giorni, proprio mentre l’Ilva ritorna vergine, si sta discutendo della sua vendita a qualche colosso giapponese. E’ solo una coincidenza?