TAR Veneto, Sez. III, n. 137, del 5 febbraio 2013
Ambiente in genere. Impianto produzione calcestruzzo .
Quand’anche il progetto per la produzione di calcestruzzo dovesse essere qualificato come ampliamento di quello di frantumazione, si dovrebbe comunque definire il medesimo come comportante una variante sostanziale al progetto originario in quanto tale assoggettabile alla medesima disciplina applicabile ai nuovi impianti ai sensi dell’art. 208, comma 19, del Dlgs. n. 152 del 2006, per il quale le procedure di autorizzazione di nuovi impianti si applicano anche per la realizzazione di varianti sostanziali a seguito delle quali gli impianti non sono più conformi all'autorizzazione rilasciata. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00137/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00080/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 80 del 2012, proposto da:
Associazione Nazionale Legambiente Onlus, rappresentata e difesa dall'avv. Fausto Renzo Scappini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Luigi Carponi Schittar in Venezia - Mestre, via Filiasi, 57;
contro
Provincia di Verona, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Riccardo Ruffo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alessandra Volpato in Venezia, Santa Croce, 468/B;
Arpav - Agenzia Regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto - Osservatorio Regionale dei Rifiuti, rappresentata e difesa dall'avv. Maddalena Mazzoleni, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R. ai sensi dell’art. 25 cod. proc. amm.;
nei confronti di
Ecoblu S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Stefano Baciga e Antonio Sartori, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Venezia - Mestre, Calle del Sale, 33;
e con l'intervento di
Comune di Caprino Veronese, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Giulio Pasquini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giorgio Pinello in Venezia, San Polo, 3080/L;
Comune di Rivoli Veronese, non costituitosi in giudizio;
per l'annullamento
- della determinazione n. 4567/2011 del 28.10.2011 del Dirigente del Settore Ambiente della Provincia di Verona avente ad oggetto: "approvazione del progetto ed autorizzazione alla realizzazione di un impianto per la produzione di calcestruzzo con materiali inerti e rifiuti non pericolosi in ampliamento di un impianto di recupero rifiuti inerti, da realizzarsi in località Mirabei nel Comune di Caprino Veronese (VR), di proprietà della ditta Ecoblu S.r.l. con sede legale in via Morgagni 14 nel Comune di Verona”;
- del parere favorevole n. 10 allegato al verbale n. 3 della seduta del 20.06.2011 espresso dalla C.T.P.A. con prescrizioni;
- del parere prot. ARPAV n. 013774072011 e prot. Provincia n. 122040 del 16.11.2010 espresso dal Direttore del Dipartimento ARPAV di Treviso per conto dell'Osservatorio Regionale rifiuti con il quale è stata esclusa la necessità di una preventiva deliberazione del Consiglio Provinciale di Verona ai sensi dell'art. 16, comma 2 della L.R. n. 11/2010;
- della determinazione n. 2355/2010 del 04.05.2010 del Dirigente del Settore Ambiente della Provincia di Verona che ha escluso il progetto dalla preventiva procedura di valutazione di impatto ambientale;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Verona e dell’Arpav e del Comune di Caprino Veronese e di Ecoblu S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 novembre 2012 il dott. Stefano Mielli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Nel Comune di Caprino Veronese in località Mirabei vi è una cava di notevole estensione che sorge in un’area che il piano d’area Baldo Garda, adottato con deliberazione della Giunta regionale n. 827 del 15 marzo 2012, individua come “anfiteatro morenico di Rivoli” e definisce di rilevante interesse paesistico ambientale, dettando specifiche norme di tutela all’art. 39 delle norme tecniche di attuazione.
In una parte della cava ormai estinta la controinteressata Eco Blu Srl è stata autorizzata a procedere ad un riordino ambientale mediante la realizzazione di una discarica di inerti, in un’altra porzione di cava estinta la Società Eco Inerti Camapagnari esercita l’attività di recupero di rifiuti inerti e non pericolosi mediante frantumazione e vagliatura, nonché l’attività di produzione di calcestruzzo, mentre in una parte di cava attiva all’interno della quale opera l’odierna controinteressata Ecoblu Srl, subentrata alla Società Mirabei Srl, viene tutt’ora esercitata l’attività di estrazione di ghiaia, la cui autorizzazione è stata da ultimo prorogata con decreto n. 42 del 22 marzo 2010 del Dirigente regionale per le attività estrattive, con la prescrizione di concludere definitivamente ed inderogabilmente i lavori di coltivazione e sistemazione ambientale entro il 31 dicembre 2013.
Con il ricorso in epigrafe l’Associazione nazionale Legambiente, impugna la determinazione n. 4567 del 28 ottobre 2011, del dirigente del settore ambiente della Provincia di Verona, con la quale è stato approvato il progetto per la realizzazione da parte della controinteressata Ecoblu Srl di un impianto per la produzione di calcestruzzo con materiali inerti e rifiuti non pericolosi nella parte di cava nella quale la medesima Società esercita l’attività di cava, unitamente al parere espresso dalla commissione tecnica provinciale per l’ambiente, al parere reso dal direttore del dipartimento dell’Arpav di Treviso per l’Osservatorio regionale rifiuti, e alla determinazione n. 2355/10 del 4 maggio 2010 del dirigente del settore ambiente della Provincia di Verona che ha escluso la necessità di sottoporre il progetto alla procedura di valutazione di impatto ambientale, per le seguenti censure:
I) violazione ed errata applicazione dell’art. 16 della legge regionale 16 febbraio 2010, n. 11, dell’art. 42 del Dlgs. 18 agosto 2000, n. 267, e dell’art. 5 della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, ed incompetenza dell’osservatorio rifiuti dell’Arpav in quanto l’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010, applicabile alla fattispecie in esame, impedisce l’approvazione di progetti come quello presentato dalla controinteressata in assenza di una deliberazione del consiglio provinciale e le argomentazioni proposte dall’Arpav al fine di consentire l’approvazione del progetto sono erronee;
II) violazione ed errata applicazione dell’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010, dell’art. 11, commi 1, 2 e 33 della legge regionale n. 3 del 2000, e degli artt. 182 bis e 199 comma 3, lett. d), g), h), e l) del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, nonché violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per carenza di motivazione, perché l’Arpav nel parere espresso non ha considerato che non sono rispettati i principi di prossimità ed indispensabilità dell’impianto;
III) violazione dell’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010, incompetenza, travisamento, carenza e contraddittorietà del parere dell’Arpav, in quanto enuncia esso stesso gli elementi dai quali si evince che l’impianto non può essere autorizzato in assenza del pronunciamento favorevole del consiglio provinciale;
IV) violazione degli artt. 1, 3 e 7 della legge regionale 26 marzo 1999, n. 10, e dell’art. 20 del Dlgs. n. 152 del 2006, motivazione illogica e contraddittoria, difetto di istruttoria e contraddittorietà perché la mancata sottoposizione del progetto alla valutazione di impatto ambientale è immotivata e contraddice le indicazioni contenute nella determinazione con la quale è stato espresso il giudizio favorevole di compatibilità ambientale rispetto all’attività di frantumazione e betonaggio della Società Ecoinerti Campagnari;
V) violazione dell’art. 21 della legge regionale n. 3 del 2000 e degli artt. 43 e 44 della legge regionale n. 11 del 2004 per la mancata indicazione delle ragioni per le quali è stata concessa la deroga per gestione di rifiuti aventi codici CER non ricompresi nel DM 5 febbraio 1998, e per la mancata considerazione della non assentibilità dell’impianto in zona agricola;
VI) violazione degli artt. 10 e 20 del piano d’area Baldo Garda che vietano l’apertura di cave e il riutilizzo di cave abbandonate o dismesse;
VII) violazione del piano di risanamento delle acque, carenza di istruttoria e di motivazione per la mancata considerazione che l’area è interessata dalle falde sotterranee ed in parte in fascia di ricarica degli acquiferi.
Si sono costituiti in giudizio la controinteressata Ecoblu Srl, la Provincia di Verona e il Comune di Caprino Veronese, i primi due chiedendo la reiezione del ricorso, e il terzo associandosi alle difese della parte ricorrente.
La Provincia di Verona ha anche eccepito la tardività dell’impugnazione della determinazione n. 2355/10 del 4 maggio 2010 del dirigente del settore ambiente della Provincia di Verona che ha escluso la necessità di sottoporre il progetto alla procedura di valutazione di impatto ambientale, e l’inammissibilità dell’intervento del Comune di Caprino Veronese perché non notificato alle parti del giudizio.
Con ordinanza n. 204 dell’8 marzo 2012, è stata motivatamente accolta la domanda cautelare, confermata in appello dalla V Sezione del Consiglio di Stato con ordinanza n. 2500 del 26 giugno 2012, per la mancata dimostrazione dell’esistenza di un danno grave ed irreparabile per la ditta nei tempi occorrenti ad una decisione di merito del ricorso.
Alla pubblica udienza del 29 novembre 2012, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità dell’intervento del Comune di Caprino Veronese, perché questi chiede, al pari della parte ricorrente, l’annullamento degli atti impugnati, acquisendo quindi la qualifica di cointeressato e non di controinteressato, e ad esso pertanto non è consentita la mera costituzione in giudizio con atto non notificato, avendo egli l'onere di proporre autonomo e separato ricorso (cfr. Tar Umbria, Sez. I, 28 agosto 2012, n. 329) ed essendo peraltro ormai decaduto dall’esercizio dell’azione (cfr. art. 28, comma 2, cod. proc. amm.).
1.1 Va invece disattesa l’eccezione di tardività dell’impugnazione della determinazione n. 2355/10 del 4 maggio 2010 del dirigente del settore ambiente della Provincia di Verona che ha escluso la necessità di sottoporre il progetto alla procedura di valutazione di impatto ambientale.
Il Collegio non ignora che in alcune pronunce è stata affermata l’immediata ed autonoma impugnabilità del provvedimento che, nell’ambito della procedura di screening, decide sulla sottoposizione o meno di un determinato progetto alla valutazione di impatto ambientale (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 16 febbraio 2012, n. 265; Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 marzo 2009, n. 1213), ma ritiene di dover puntualizzare che l’impugnazione del provvedimento di esclusione dalla sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale, costituisce una facoltà e non un onere per la parte ricorrente, in quanto è vero che già da questa determinazione scaturiscono effetti potenzialmente lesivi dei valori ambientali, ma va tuttavia considerato che solo l’approvazione del progetto ha carattere costitutivo degli effetti connessi alla sua realizzazione.
Ad una tale conclusione conduce l’art. 29, comma 1, del Dlgs. n. 152 del 2006, il quale prevede che “la valutazione di impatto ambientale costituisce, per i progetti di opere ed interventi a cui si applicano le disposizioni del presente decreto, presupposto o parte integrante del procedimento di autorizzazione o approvazione. I provvedimenti di autorizzazione o approvazione adottati senza la previa valutazione di impatto ambientale, ove prescritta, sono annullabili per violazione di legge”.
Conseguentemente, stante il rapporto di necessario collegamento espressamente sancito a livello normativo tra i diversi atti che compongono l'atto finale, l'omessa tempestiva impugnazione del provvedimento che ha escluso la necessità di sottoporre il progetto alla procedura di valutazione di impatto ambientale, non determina alcuna preclusione all'ammissibilità, né rifluisce sulla procedibilità, del ricorso proposto contro la delibera di approvazione ed autorizzazione del progetto, e può costituire oggetto di censura al momento dell’impugnazione dell’atto costitutivo degli effetti finali della procedura (in modo non dissimile a quanto accade in caso di impugnazione del piano regolatore dove vi è la facoltà ma non l’obbligo di impugnazione immediata del piano adottato).
2. Nel merito il ricorso è fondato e deve essere accolto nei termini di seguito precisati.
L’art. 16, comma 2, della legge regionale n. 11 del 2010, ha previsto che nelle more dell’approvazione del piano regionale di gestione dei rifiuti speciali, “non possono essere rilasciati provvedimenti di approvazione dei progetti di impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, né concesse autorizzazioni all’esercizio di nuovi impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, in assenza di una deliberazione del consiglio provinciale competente per il territorio, previo parere dell’Osservatorio rifiuti dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del Veneto, che accerti l’indispensabilità degli impianti stessi ai fini dello smaltimento o recupero, in ragione dell’osservanza del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento prescritto dall’articolo 11, commi 1 e 2, della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3 e dall’articolo 199, comma 3, lettera d), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.
Nel caso in esame la Provincia di Verona si è rivolta all’Osservatorio rifiuti dell’Arpav e questo con parere n. 01377407211 del 16 novembre 2010, ha affermato che il progetto presentato non è soggetto alle limitazioni dettate dalla predetta norma, in quanto va qualificato come mero ampliamento di impianti esistenti in termini di potenzialità, superficie o modifiche gestionali, e quindi come rientrante nelle esenzioni previste dalla deliberazione della Giunta regionale n. 1210 del 23 marzo 2010, recante disposizioni attuative della legge regionale.
La Provincia di Verona, la Società controinteressata e l’Arpav nelle proprie difese sostengono la tesi enunciata in tale parere, affermando che nel caso di specie l’impianto per la produzione di calcestruzzo deve considerarsi ampliamento dell’impianto di frantumazione, e che questo deve considerarsi già esistente in quanto già autorizzato, ai fini della non applicabilità dei vincoli previsti dall’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010, come previsto dalla sopra menzionata deliberazione della Giunta regionale.
Questa tesi non può essere condivisa perché si basa su di una non corretta interpretazione delle norme.
Dalla cronistoria delle procedure autorizzative intercorse emerge che:
- la dante causa dell’odierna controinteressata Ecoblu Srl, la ditta Cava Mirabei Srl, è stata autorizzata con determinazione n. 270/04 del 16 gennaio 2004 alla realizzazione di un impianto per l’attività di recupero di materiali inerti e rifiuti tramite frantumazione, non realizzato, e la cui scadenza del termine di realizzazione è stata più volte prorogata, da ultimo fino al 26 giugno 2011, dal provvedimento impugnato;
- il progetto originario che ha dato luogo alla determinazione n. 270/04 del 16 gennaio 2004 prevedeva, unitamente alla realizzazione dell’impianto di frantumazione, anche la realizzazione di un impianto di betonaggio per la produzione di calcestruzzo e di una tettoia per ricovero mezzi, ma la parte di progetto relativa a tale impianto non è stata approvata in quanto ritenuta afferente ad un insediamento produttivo non attinente al recupero dei rifiuti, e pertanto di competenza del Comune e non della Provincia (nel progetto era previsto l’utilizzo di rifiuti provenienti da scavi e demolizioni; cocciame da estrazioni e lavorazioni di pietre naturali per l’ottenimento di inerti a granulometria stabilizzata utilizzabili per la realizzazione di sottofondi di capannoni e la costruzione di opere stradali, come risulta dal parere n. 113 di cui al verbale n. 18 del 13 ottobre 2003 della commissione tecnica provinciale per l’ambiente della Provincia di Verona allegato al doc. 17 del ricorso);
- successivamente, in data 11 maggio 2004, la ditta ha presentato domanda di approvazione di un diverso progetto per un impianto per la produzione di calcestruzzo con materiali inerti e rifiuti provenienti da centrali termoelettriche ed altri rifiuti compatibili;
- l’istanza per ottenere l’autorizzazione di tale progetto è stata respinta con determinazione prot. n. 65504 del 25 giugno 2008 del dirigente del settore ecologia della Provincia di Verona, facendo riferimento a ragioni di tutela paesaggistica;
- il Tar Veneto, Sez. II, con sentenza 14 novembre 2008, n. 3567, ha annullato il diniego di autorizzazione accogliendo la censura di difetto di motivazione;
- in esecuzione di tale sentenza, il dirigente del settore ambiente della Provincia di Verona con nota prot. n. 24271 del 5 marzo 2009, ha inviato una comunicazione di avvio del procedimento per il riesame del progetto, e successivamente ha sospeso i termini per la conclusione del procedimento, in quanto vi era la necessità di verificare l’assoggettabilità del progetto alla valutazione di impatto ambientale;
- in data 30 novembre 2009, la ditta ha presentato domanda di verifica di assoggettabilità del progetto a valutazione di impatto ambientale;
- il dirigente del settore ambiente della Provincia di Verona con determinazione n. 2355/10 del 4 maggio 2010, ha escluso dalla procedura di valutazione di impatto ambientale il progetto denominato “impianto di recupero di materiali inerti tramite frantumazione, mediante l’inserimento di un impianto per la produzione di calcestruzzo con materiali e rifiuti inerti”;
- tale provvedimento reca tuttavia la prescrizione che, prima dell’approvazione del progetto, deve essere presentato uno studio con la valutazione degli effetti cumulativi con le altre attività di gestione dei rifiuti presenti sulle aree limitrofe;
- il 19 ottobre 2010 la Provincia di Verona ha chiesto all’Osservatorio rifiuti dell’Arpav il parere prescritto dall’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010;
- l’Arpav ha affermato che il progetto non soggiace alle limitazioni previste dall’art. 16 delle legge regionale n. 11 del 2010, e pertanto può essere autorizzato senza l’acquisizione del parere del consiglio provinciale circa l’indispensabilità dello stesso ai fini dello smaltimento o recupero dei rifiuti, in ragione dell’osservanza del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento.
Da quanto esposto risulta quindi che il progetto ricade tra quelli assoggettati alla disciplina dell’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010, perché si tratta di un progetto relativo ad un nuovo impianto.
In fatto emerge che in passato non è stata mai approvata l’autorizzazione di un impianto per la produzione del calcestruzzo con materiali inerti e rifiuti (la produzione del calcestruzzo mediante l’utilizzo di rifiuti rende ininfluente, ai fini della definizione della controversia, la preesistenza di un impianto di betonaggio molto risalente), in quanto la richiesta di approvazione del progetto relativo ad un impianto di questo tipo presentata nel 2003, era stata respinta, e che l’impianto di recupero di inerti mediante frantumazione autorizzato con la determinazione n. 270/04 del 16 gennaio 2004, che si pretenderebbe oggetto di ampliamento, non è stato ancora realizzato, in quanto il termine di scadenza dell’autorizzazione è stato ripetutamente prorogato.
Ne discende, contrariamente a quanto afferma l’Arpav nel proprio parere, la non applicabilità al progetto relativo all’impianto per la produzione di calcestruzzo con inerti e rifiuti, della disciplina sulle esenzioni previste dalla deliberazione della Giunta regionale n. 1210 del 23 marzo 2010, recante disposizioni attuative dell’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010.
Questa infatti, che ha valenza interpretativa della legge regionale, precisa le casistiche che non devono ritenersi soggette all’applicazione dell’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010, e tra queste menziona le domande relative alla “realizzazione di interventi di ampliamento di impianti esistenti autorizzati allo smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non, in termini di potenzialità, superficie o modifiche gestionali”.
Nel caso in esame il progetto per la produzione di calcestruzzo con materiali inerti e rifiuti non può essere definito come mero ampliamento in termini di potenzialità, superficie o modifiche gestionali del progetto di realizzazione di un impianto di recupero di inerti mediante frantumazione, in primo luogo perché non può parlarsi di ampliamento tra impianti tra loro diversi, strutturalmente e funzionalmente autonomi, che sono solo collegati tra loro, in secondo luogo perché l’impianto di frantumazione, quand’anche fosse da qualificare, secondo la prospettazione delle parti resistenti e della controinteressata, come ampliato dall’impianto di produzione del calcestruzzo, non potrebbe neppure essere definito come già “esistente”, atteso che, benché autorizzato, non è stato ancora realizzato e l’espressione impianti “esistenti ed autorizzati” utilizzata dalla citata deliberazione della Giunta regionale non costituisce un’endiadi.
Infatti laddove il legislatore ha definito cosa debba intendersi per “impianto esistente”, ha inteso fare riferimento non solo all’impianto che abbia ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie, ma che sia anche entrato in funzione (in tali termini l’art. 5, comma 1, lett. i quinquies del Dlgs. n. 152 del 2006 dispone che si definisce impianto esistente “un impianto che, al 10 novembre 1999, aveva ottenuto tutte le autorizzazioni ambientali necessarie all'esercizio, o il provvedimento positivo di compatibilità ambientale, o per il quale a tale data erano state presentate richieste complete per tutte le autorizzazioni ambientali necessarie per il suo esercizio, a condizione che esso sia entrato in funzione entro il 10 novembre 2000”).
Una tale conclusione è coerente, sotto un profilo sistematico, con la logica sottesa alla norma regionale, posto che l’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010, si prefigge di non compromettere il raggiungimento degli obiettivi della pianificazione, nelle more del perfezionamento dell’iter di approvazione del piano regionale di gestione dei rifiuti speciali.
Solo per completezza va anche soggiunto che, quand’anche il progetto per la produzione di calcestruzzo dovesse essere qualificato come ampliamento di quello di frantumazione, si dovrebbe comunque definire il medesimo come comportante una variante sostanziale al progetto originario in quanto tale assoggettabile alla medesima disciplina applicabile ai nuovi impianti ai sensi dell’art. 208, comma 19, del Dlgs. n. 152 del 2006, per il quale le procedure di autorizzazione di nuovi impianti si applicano anche per la realizzazione di varianti sostanziali a seguito delle quali gli impianti non sono più conformi all'autorizzazione rilasciata.
Da quanto premesso, discende che il progetto ricade tra quelli assoggettati alla disciplina dell’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010, e che non può quindi essere autorizzato senza una deliberazione del consiglio provinciale competente per territorio che, previo parere dell’Osservatorio rifiuti dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del Veneto, accerti l’indispensabilità degli impianti stessi ai fini dello smaltimento o recupero, in ragione dell’osservanza del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento.
2.1 La parte controinteressata sul punto eccepisce l’incostituzionalità dell’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010, per aver sospeso sine die l’approvazione di tali tipologie di impianti in attesa dell’approvazione del piano regionale di gestione dei rifiuti speciali, affidando nelle more alla discrezionalità del consiglio provinciale la loro autorizzazione, in violazione dei principi di libertà di iniziativa di cui all’art. 41 della Costituzione e di separazione tra politica ed amministrazione enucleabile dall’art. 97 della Costituzione.
Il Collegio ritiene la questione manifestamente infondata, atteso che la Regione è comunque tenuta a procedere alla suddetta pianificazione, e l’inosservanza del termine ricavabile dalla legge regionale n. 3 del 2000 e dall’art. 2, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, per la definizione dei procedimenti di pianificazione, pur non comportando la decadenza dal potere, connota in termini di illegittimità il comportamento della pubblica amministrazione, con conseguente possibilità per i soggetti interessati di ricorrere in giudizio avverso il silenzio-rifiuto ritualmente formatosi (per una fattispecie analoga cfr. Corte costituzionale, 22 giugno 2004, n. 176), e la legge regionale non prevede in realtà una assoluta non autorizzabilità dei progetti di nuovi impianti, ma la subordina ad una valutazione rimessa allo stesso organo competente all’approvazione del piano, proprio al fine di non rendere vano il raggiungimento degli obiettivi da questo previsti, nelle more della sua approvazione.
3. Parimenti fondata è la censura con la quale la parte ricorrente lamenta la perplessità e la contraddittorietà del provvedimento con il quale è stata decisa la non assoggettabilità del progetto alla valutazione di impatto ambientale.
Nell’area è presente un’attività di frantumazione e betonaggio esercitata dalla Società Ecoinerti Campagnari, ed è presente una discarica di inerti gestita dalla stessa controinteressata finalizzata alla ricomposizione ambientale della cava.
Il provvedimento con il quale è stata decisa la non assoggettabilità del progetto alla valutazione di impatto ambientale, contiene la prescrizione che, prima dell’approvazione del progetto, la ditta deve presentare uno studio con la valutazione degli effetti cumulativi con le altre attività di gestione dei rifiuti presenti sulle aree limitrofe.
Orbene, ritiene il Collegio contraddittorio decidere di non sottoporre il progetto a valutazione di impatto ambientale, che implica proprio l’analisi e la valutazione di tali effetti cumulativi, prescrivendo al contempo la necessità di svolgere tali valutazioni prima dell’approvazione del progetto, ed illogico che sia stata ignorata immotivatamente la raccomandazione di non aggravare l’area di ulteriori impianti di gestione dei rifiuti contenuta in precedenti atti del medesimo ente.
Infatti nel parere favorevole di compatibilità ambientale n. 144 del 22 febbraio 2007, avente ad oggetto il progetto di ricomposizione ambientale della parte di cava estinta mediante la realizzazione di una discarica di inerti, si raccomanda “che le attività esercitate dalle ditte sopracitate (Cava Mirabei e Camapagnari Bruno) allo stato attuale già approvate, non vengano in alcun modo modificate con ulteriori ampliamenti o integrazioni”.
Il parere della commissione relativamente al progetto in esame si limita ad affermare, incongruamente, che la prescrizione da ultimo citata va ignorata perché il precedente diniego di cui alla determinazione prot. n. 65504 del 25 giugno 2008 (cfr. doc. 20 allegato al ricorso), nel quale la medesima prescrizione era stata richiamata per motivare il diniego di autorizzazione, è stato annullato dal Tar con sentenza n. 3567 del 2008, sopra citata, senza curarsi della circostanza che la sentenza in realtà non ha statuito nulla in proposito, limitandosi ad annullare il diniego di autorizzazione in accoglimento solamente della censura di difetto di motivazione.
E’ inoltre sintomatica di una non corretta valutazione di tutti gli elementi rilevanti nella fattispecie, la circostanza che l’impianto della ditta Campagnari, consistente in un impianto di frantumazione e vagliatura di inerti e di produzione del calcestruzzo, analogo a quello del progetto presentato dalla parte controinteressata, sia stato in passato dichiarato assoggettabile alla procedura di impatto ambientale con determinazione n. 2357/10 del 4 maggio 2010 (cfr. doc. 35 allegato al ricorso).
La determinazione n. 4567 del 28 ottobre 2011 del dirigente del settore ambiente della Provincia di Verona, di approvazione del progetto, il parere dell’Arpav, e la determinazione n. 2355/10 del 4 maggio 2010 del dirigente del settore ambiente della Provincia di Verona che ha escluso la necessità di sottoporre il progetto alla procedura di valutazione di impatto ambientale, devono pertanto essere annullati in accoglimento delle censure di cui al primo, terzo e quarto motivo.
4. La censura di incompetenza formulata nell’ambito del primo motivo con la quale la parte ricorrente lamenta il vizio di incompetenza del parere espresso dall’Osservatorio regionale dei rifiuti dell’Arpav, perché sottoscritto dal Dirigente del dipartimento di Treviso, va invece respinta perché, come chiarito dall’Arpav nelle proprie difese, l’Osservatorio regionale sui rifiuti è stato istituito dall’art. 5 della legge regionale n. 3 del 2000, presso l’Arpav, e questa, nell’ambito della propria autonomia organizzatoria, lo ha incardinato, quale struttura a valenza regionale, nel Sevizio rifiuti e compostaggio del Dipartimento Arpav di Treviso, funzionalmente sottordinato al Direttore del Dipartimento che, sottoscrivendo il parere, non ha quindi esorbitato dalle proprie competenze.
5. Il secondo motivo, con il quale in sostanza la parte ricorrente lamenta che l’autorizzazione impugnata viola i principi di prossimità ed indispensabilità dell’impianto, è invece inammissibile, perché sconfina nel merito delle valutazioni di merito che sono riservate al Consiglio provinciale, che peraltro non si è ancora pronunciato sul punto.
6. Il quinto motivo, con il quale la parte ricorrente lamenta la mancata motivazione delle ragioni per le quali è stata concessa la deroga per gestione di rifiuti aventi codici CER non ricompresi nel DM 5 febbraio 1998, e la mancata considerazione della non assentibilità dell’impianto in zona agricola, è infondato, perché, come chiarito dalla Provincia nelle proprie difese, alcuni dei codici CER oggetto di contestazione erano già stati autorizzati con il provvedimento 270/04 del 16 gennaio 2004, e due dei codici non sono in realtà presenti nella tabella dei codici autorizzati, mentre la localizzazione di tale tipo di impianti all’interno di aree destinate ad attività di cava in esercizio o estinta, è espressamente ammessa dall’art. 21, comma 3, lett. b), della legge regionale n. 3 del 2000.
7. E’ infondato anche il sesto motivo, con il quale la parte ricorrente lamenta la violazione degli artt. 10 e 20 del piano d’area Baldo Garda che vietano l’apertura di cave e il riutilizzo di cave abbandonate o dismesse, in quanto tali disposizioni in realtà non impediscono la realizzazione né dell’impianto di produzione di calcestruzzo, né dell’impianto di frantumazione.
8. Anche la censura di cui al settimo motivo, con la quale la parte ricorrente lamenta la mancata considerazione che l’area è interessata dalle falde sotterranee ed in parte in fascia di ricarica degli acquiferi, deve essere respinta, in quanto dall’istruttoria compiuta risultano valutati gli impatti sull’ambiente idrico e sul suolo e sottosuolo (cfr. i paragrafi A.3.2 e A.3.3 del parere della commissione provinciale valutazione impatto ambientale allegato alla determinazione n. 2355 del 4 maggio 2010 del dirigente del settore ambiente della Provincia di Verona di cui al doc. 4 della parte ricorrente).
In definitiva, va dichiarata l’inammissibilità dell’intervento del Comune di Caprino Veronese, l’inammissibilità del secondo motivo, e vanno accolti in parte il primo, il secondo ed il quarto motivo, con conseguente annullamento degli atti impugnati nel senso sopra precisato.
Tenuto conto della novità delle questioni interpretative poste dell’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010, le spese di giudizio possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando:
- dichiara l’inammissibilità dell’intervento del Comune di Caprino Veronese;
- in parte dichiara inammissibile il ricorso, in parte lo respinge, in parte lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati nel senso precisato in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 29 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Di Nunzio, Presidente
Riccardo Savoia, Consigliere
Stefano Mielli, Primo Referendario, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)