TAR LOMBARDIA (BS) Sez. II sent. 420 del 29 gennaio 2010
Ambiente in genere. Industrie insalubri
L'art. 216 del T.U. delle leggi sanitarie ha conferito ai Comuni la possibilità di precludere l’esercizio dell’attività insalubre, anche prescindendo da situazioni di emergenza e dall'autorizzazione a suo tempo rilasciata, a condizione però che siano dimostrati, da congrua e seria istruttoria, gli inconvenienti igienici e che si sia vanamente tentato di eliminarli. L'eventuale carenza di presupposti non può essere superata dal mero riscontro della circostanza per cui l’attività, risultando insediata in zona residenziale, sarebbe incompatibile sia con lo strumento urbanistico vigente, che con la variante generale al tempo in itinere.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 00420/2010 REG.SEN.
N. 01307/1998 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1307 del 1998, proposto da:
Capelli Giacomo, rappresentato e difeso dagli avv. Gianni Morabito, Alessandro Pagano, con domicilio eletto presso Gianni Morabito in Brescia, via Romanino, 12;
contro
Comune di Sedrina, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
DELL’ORDINANZA SINDACALE 9.10.98, N. 25, DI SOSPENSIONE DELL’ATTIVITA' DI CARROZZERIA PER ASSENZA DI AGIBILITA' E NULLA OSTA ALL'ESERCIZIO.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2010 la dott. Mara Bertagnolli e udito il procuratore di parte ricorrente come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
A seguito di una visita ispettiva del Servizio d’igiene pubblica ambientale e tutela della salute nei luoghi di lavoro, avvenuto in data 9 settembre 1998 presso i locali in cui il sig. Capelli esercita da vent’anni un’impresa di carrozzeria, allo stesso veniva prescritto di provvedere a denunciare e verificare l’impianto di messa a terra della carrozzeria e a sottoporre a visita medica obbligatoria i tre dipendenti che non lo erano stati regolarmente, nonché di adottare alcuni accorgimenti nello stoccaggio dei rifiuti, senza che, peraltro, sotto tale profilo fosse stata accertata alcuna violazione passibile di sanzione.
La relazione di servizio sul sopralluogo veniva, in data 28 settembre 1998, trasmessa anche al Sindaco del Comune di Cedrina con una nota nella quale il suddetto Servizio d’igiene faceva presente che: “rimanendo in attesa dei provvedimenti che saranno assunti in merito all’acquisizione dei certificati di licenza d’uso e nulla osta all’esercizio, si ritiene opportuno che la S.V. quale autorità sanitaria locale provveda ad ordinare al titolare della ditta il rispetto delle prescrizioni contenute nella presente relazione”.
In ragione di tale comunicazione e della circostanza per cui l’attività risulta insediata in zona residenziale, nonché della riscontrata assenza di un certificato di agibilità dei locali, il Sindaco, con ordinanza n. 25, prot. n. 3904 del 9 ottobre 1998, disponeva la sospensione immediata dell’attività lavorativa di carrozzeria.
Ritenendo illegittimo tale provvedimento, il sig. Capelli lo ha impugnava, deducendo:
1. eccesso di potere per travisamento dei fatti e mancata applicazione dell’art. 35, comma 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 ed errata applicazione del regolamento locale d’igiene. Inopinatamente il Sindaco avrebbe affermato che i locali adibiti all’esercizio dell’attività di carrozzeria “non sono stati mai dichiarati agibili con regolare autorizzazione”, dal momento che, in data 16 febbraio 1998, accogliendo l’istanza di condono ai sensi dell’art. 39 della legge 22 dicembre 1994, n. 724, ha rilasciato al ricorrente una concessione in sanatoria per l’ampliamento e la modifica di destinazione d’uso dei locali seminterrati trasformati da deposito a carrozzeria con forno ed accessori; il rilascio della concessione in sanatoria determinerebbe anche il rilascio del certificato d’abitabilità o agibilità anche in deroga alle norme regolamentari.
Per quanto attiene, inoltre, alla carenza del nulla osta all’esercizio dell’attività di carrozzeria, il Sindaco avrebbe trascurato di considerare che già il 9 dicembre 1978 il sig. Capelli aveva comunicato al Comune l’inizio della propria attività, così come previsto dalla normativa allora vigente, che non imponeva l’obbligo del nulla-osta preventivo, introdotto solo nel giugno del 1985. Sin dal 1983, peraltro, il ricorrente è stato autorizzato dal Comune all’apposizione di cartelli pubblicitari ed ha provveduto a pagare l’ICIAP, dal che se ne potrebbe dedurre, secondo il medesimo, la contradditorietà del comportamento del Comune;
2. violazione di legge per mancata o comunque falsa o errata applicazione degli artt. 216 e 217 del T.U.L.S. approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, nonché mancata ed errata applicazione dell’art. 2.7.3.8. del regolamento locale d’igiene. Nonostante l’impugnato provvedimento faccia riferimento al riscontro, in sede di sopralluogo, di “inconvenienti igienico sanitari derivanti dall’attività di carrozzeria” ed adduca a motivazione la necessità di “intervenire in merito alla salvaguardia della pubblica salute” ai sensi degli artt. 216 e 217 del Testo unico citato, tutto ciò non troverebbe fondamento alcuno nella relazione della competente autorità sanitaria. In ogni caso l’ordine di sospensione dell’attività insalubre dovrebbe essere necessariamente preceduto dall’ordine di predisporre le cautele necessarie per prevenire o impedire il danno e il pericolo alla salute riscontrato;
3. violazione di legge per mancata o errata applicazione dell’art. 38 della legge 8 giugno 1990, n. 142, secondo il quale le ordinanze contingibili ed urgenti dovrebbero essere motivate mettendo in evidenza il pericolo di un danno imminente e l’impossibilità di fronteggiarlo con mezzi ordinari;
4. violazione di legge per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento in conformità all’art. 7 della legge n. 241/90, onde consentire al destinatario del provvedimento finale di presentare osservazioni e memorie idonee a dimostrare, ex art. 216 T.U.L.L.S.S.., di aver adottato cautele sufficienti per evitare rischi di nocumento alla salute del vicinato.
A seguito della formulazione della domanda incidentale di sospensione cautelare degli effetti del provvedimento, il Sindaco stesso, in autotutela, con provvedimento del 30 novembre 1998, ha disposto in via amministrativa la suddetta sospensione, fino alla pronuncia definitiva sulla legittimità del provvedimento impugnato da parte del giudice amministrativo.
In vista della pubblica udienza parte ricorrente ha depositato documenti e prodotto memoria nella quale, preso atto della mancata costituzione in giudizio del Comune, ha sviluppato ulteriormente le proprie tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 14 gennaio 2010 la causa, su conforme richiesta del procuratore del ricorrente, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il ricorso merita accoglimento.
Il provvedimento censurato si fonda, infatti, su tre presupposti fondamentali:
a) la circostanza secondo cui dalla comunicazione dell’Azienda sanitaria locale della Provincia di Bergamo si potrebbe inferire che sono stati riscontrati inconvenienti igienico sanitari derivanti dall’attività di carrozzeria;
b) il dato di fatto per cui l’attività risulta insediata in zona residenziale, in contrasto con le previsioni degli strumenti urbanistici;
c) i locali utilizzati per l’attività non sarebbero mai stati dichiarati agibili con regolare autorizzazione.
Sulla base di questi il Sindaco ha ritenuto di ravvisare la necessità di intervenire in merito alla salvaguardia della pubblica salute, vietando lo svolgimento dell’attività, richiamando a tal fine gli artt. 216 e 217 del T.U. delle leggi sanitarie e l’art. 38, comma 2, della legge 142/90.
Dall’esame della documentazione depositata si evince chiaramente come il sopralluogo effettuato dal Servizio d’igiene pubblica ambientale e tutela della salute nei luoghi di lavoro non abbia evidenziato alcuna violazione delle normativa in materia igienico sanitaria, tant’è che la stessa struttura dell’Azienda sanitaria sollecita un intervento del Sindaco al solo fine di ordinare al titolare il rispetto delle prescrizioni contenute nella relazione, nonché dell’assunzione dei provvedimenti del caso “in merito all’acquisizione dei certificati di licenza d’uso e nulla osta all’esercizio”.
Peraltro lo stesso provvedimento non collega la sospensione dell’attività all’adozione di particolari cautele o all’esecuzione di interventi preordinati a rimuovere eventuali, non individuati, “inconvenienti sanitari”.
Ne discende che il provvedimento non può trovare giustificazione nella necessità di intervenire per la salvaguardia della pubblica salute, la messa in pericolo della quale è sola asserita, ma non dimostrata da riscontri oggettivi. Così come evidenziato nella seconda doglianza, quindi, il ricorso al potere di intervento di cui all’art. 216 del T.U. delle leggi sanitarie risulta essere privo dei presupposti di legge, dal momento che tale norma ha conferito ai Comuni la possibilità di precludere l’esercizio dell’attività insalubre, anche prescindendo da situazioni di emergenza e dall'autorizzazione a suo tempo rilasciata, a condizione però che siano dimostrati, da congrua e seria istruttoria, gli inconvenienti igienici e che si sia vanamente tentato di eliminarli (in tal senso T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 04 luglio 2008 , n. 882). Nessuna delle suddette condizioni risulta essere stata rispettata nel caso di specie: non solo non è dato di riscontrare l’accertamento di inconvenienti igienici, ma non vi è traccia di un eventuale, precedente o contestuale alla sospensione dell’attività, intimazione a provvedere alla loro eliminazione.
Tale carenza di presupposti non può essere superata dal mero riscontro della circostanza per cui l’attività, risultando insediata in zona residenziale, sarebbe incompatibile sia con lo strumento urbanistico vigente, che con la variante generale al tempo in itinere. A tal fine basti ricordare che, alla luce dell’art. 216 citato e della giurisprudenza formatasi sulla sua interpretazione: “L'insediamento di una industria insalubre nell'ambito di centri abitati o di aree paesaggisticamente sensibili non è vietato in assoluto, essendo subordinato alla verifica di compatibilità dell'impianto con il contesto di riferimento: ai sensi dell'art. 216 comma 5, r.d. n. 1265 del 1934, è consentita la permanenza di un'industria insalubre di prima classe nell'abitato, allorché sia provato che il suo esercizio, per le speciali cautele introdotte, non rechi danno alla salute dei residenti” (cosi T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 16 giugno 2008 , n. 671”. Anche sotto il profilo urbanistico, quindi, l’intervento del Sindaco ai sensi dell’art. 216 del T.U.L.S. avrebbe dovuto essere preceduto da un’adeguata istruttoria volta ad accertare gli eventuali rischi per la salute dei residenti, della quale non vi è traccia alcuna nel caso di specie.
Per quanto attiene alla ravvisata carenza di idoneo certificato di agibilità, il Collegio ritiene di poter condividere quanto sostenuto da parte ricorrente circa gli effetti del rilascio della concessione in sanatoria ai sensi dell’art. 35 della legge n. 47/85 rispetto all’agibilità dei locali che ne sono oggetto.
La disposizione citata prevede, infatti, che il rilascio della concessione in sanatoria determini il rilascio del certificato d’abitabilità o d’agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, così introducendo una sorta di automatismo che, considerato come i locali adibiti dal ricorrente a carrozzeria sono stati oggetto di apposita concessione in sanatoria, esclude che la mancanza, in concreto del certificato di agibilità possa legittimare la sospensione dell’attività. Tanto più se si considera che, come affermato dal Consiglio di stato, sez. V, nella sentenza del 10 febbraio 2004 , n. 477 con riferimento ad un’attività commerciale, a cui si ritiene possa essere equiparata anche quella produttiva, “l'eventuale mancanza di certificato di agibilità e le questioni di carattere edilizio possono avere rilievo in altri ambiti dell'attività amministrativa ma non in quello strettamente commerciale”.
Anche la prima doglianza merita, quindi, accoglimento, così come quelle rubricate sub 3 e 4, nelle quali si censura la carenza di motivazione (riscontrabile per le ragioni più sopra riportate ed in particolare per la mancata esplicitazione delle ragioni di tutela della salute che avrebbero, secondo il Comune, legittimato l’intervento), nonché la violazione del principio della partecipazione al procedimento che, laddove garantita, avrebbe consentito al ricorrente di dimostrare di aver adottato cautele sufficienti per evitare rischi di nocumento alla salute del vicinato.
Le spese del giudizio possono essere parzialmente compensate, atteso il comportamento del Comune che ha provvisoriamente auto-sospeso l’efficacia del provvedimento impugnato, così da escludere, nelle more del giudizio, effetti lesivi dello stesso sull’attività del ricorrente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, sezione seconda di Brescia, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe indicato e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Compensa parzialmente, tra le parti, le spese di lite e condanna il Comune al pagamento della restante parte, nella misura di Euro 4.000,00 (quattromila,00) oltre ad IVA, C.P.A. e rimborso forfetario come per legge.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2010 con l'intervento dei Magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Stefano Tenca, Primo Referendario
Mara Bertagnolli, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/01/2010