Cass. Sez. III n. 40849 del 18 novembre 2010 (Ud. 21 ott. 2010)
Pres. Ferrua Est. Franco Ric. Rocchi
Aria. Polveri e getto pericoloso di cose
Il reato di cui all’art. 674 cod. pen. è ravvisabile in qualsiasi comportamento materiale (getto, lancio, versamento, emissione) avente ad oggetto cose materiali o immateriali e che può oggettivamente provocare offesa o molestia alle persone. Quando però si tratti di una attività socialmente utile, ed in quanto tale legislativamente o amministrativamente disciplinata, il comportamento, quand’anche idoneo a provocare offesa o molestia, resta ugualmente lecito sotto il profilo penale se non supera i limiti previsti dalla normativa di settore.
UDIENZA del 21.10.2010
SENTENZA N.1578
REG. GENERALE N. 24230/2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
1. Dott.ssa Giuliana Ferrua Presidente
2. Dott. Alfredo Teresi Consigliere
3. Dott. Amedeo Franco Consigliere(est.)
4. Dott. Silvio Amoresano Consigliere
5. Dott. Giulio Sarno Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sul ricorso proposto da Rocchi Maria Cristina, nata a Bagnoregio l'x.x.xadx;
- avverso la sentenza emessa l'8 aprile 2009 dal giudice del tribunale di Montepulciano;
- udita nella pubblica udienza del 21 ottobre 2010 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
- udito il Pubblico Ministero in persona Sostituto Procuratore Generale dott.ssa Maria Giuseppina Faradoni, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore avv. Luca Stanghellini;
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Montepulciano dichiarò Rocchi Maria Cristina, quale presidente del consiglio di amministrazione del consorzio agrario di Siena, colpevole del reato di cui all'art. 674 cod. pen. perché, non adottando gli opportuni accorgimenti al fine di evitare che dai silos si alzassero polveri durante le operazioni di stoccaggio e lavorazione delle granaglie, aveva provocato emissioni atte a molestare le persone, condannandola alla pena di € 150,00 di ammenda.
L'imputata propone ricorso per cassazione deducendo:
1) inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 40 e 42 cod. pen. e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui non ha ritenuto provata la delega, da parte della presidente del consorzio agrario di Siena, nei confronti del direttore dello stesso consorzio delle funzioni imprenditoriali riguardanti la gestione dell'impianto di stoccaggio di cereali posto in Montepulciano Scalo.
2) inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 42 e 674 cod. pen. nonché manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui il giudice ha omesso di assolvere l'imputata per mancanza dello elemento soggettivo del reato, che presuppone l'effettiva conoscenza delle emissioni.
3) mancanza o manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui il giudice ha omesso completamente di valutare che l'attività in questione era oggetto di autorizzazione tacita o provvisoria alle emissioni in atmosfera ex art. 269 d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nonché inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 674 cod. pen., con riferimento all'inciso nei casi non consentiti dalla legge, in relazione alla disciplina speciale in materia ambientale, prevista dal d.p.R. n. 203/1988 e dal d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nell'ipotesi in cui l'attività che provoca le emissioni risulti regolarmente autorizzata, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 674 cod. pen. sufficiente il superamento della normale tollerabilità delle emissioni e non necessaria, invece, la puntuale e specifica dimostrazione che esse superino i limiti di legge.
4) inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 42, 47, 674 cod. pen. nonché mancanza o manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui il giudice non ha assolto l'imputata per mancanza dello elemento soggettivo del reato, determinato dalla falsa rappresentazione dello elemento psicologico, inerente alla liceità della condotta.
Motivi della decisione
Il terzo ed assorbente motivo è fondato.
Risulta dalla stessa sentenza impugnata che lo svolgimento della attività nell'impianto in questione, esistente già in data anteriore al luglio del 1988, è stato tacitamente autorizzato ai sensi dell'art. 12 del d.p.R. 24 maggio 1988, n. 203, essendo stata presentata la relativa domanda di autorizzazione alle emissioni in atmosfera entro dodici mesi dall'entrata in vigore del suddetto decreto ed essendo decorso inutilmente il termine di cui all'art. 13, comma 2, del decreto stesso. L'impianto è stato altresì autorizzato con la circolare regionale del 31 maggio 1993, in quanto impianto esistente in data anteriore al luglio del 1988 e per il quale era stata presentata in termini la domanda e la documentazione tecnica. In ogni modo, si tratta pacificamente di impianto disciplinato dal ricordato art. 12 del d.p.R. d.p.R. 24 maggio 1988, n. 203, ed ora dall'art. 281 del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il quale, per gli impianti anteriori al 1988 ed autorizzati anche in via provvisoria o in forma tacita, ha previsto l'obbligo di presentare una domanda di autorizzazione ai sensi dell'art. 269 entro il 31 dicembre 2011.
E' dunque pacifico che l'attività di stoccaggio in questione è disciplinata da specifiche disposizioni legislative ed è oggetto di appositi provvedimenti amministrativi di autorizzazione. La stessa sentenza impugnata afferma poi che i limiti consentiti alle emissioni di polveri provenienti dall'impianto in questione sono fissati da un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
Ciò posto, la sentenza impugnata ha altresì accertato in punto di fatto (pag. 4) che manca la prova che le emissioni di polveri abbiano superato i limiti normativamente imposti, e ciò per la ragione che non si è provveduto alla misurazione per non meglio specificati «motivi tecnici». La sentenza ha tuttavia ritenuto che la mancata prova del superamento delle soglie di legge non escludesse la sussistenza del reato contestato, per la cui configurabilità sarebbe necessario e sufficiente solo il superamento della soglia della normale tollerabilità e l'attitudine a recare nocumento alle persone. Ha quindi ritenuto realizzato il reato di cui alla seconda ipotesi dell'art. 674 cod. pen. perché, pur in mancanza di prova del superamento dei limiti di legge, le emissioni di polveri eccedevano la normale tollerabilità.
L'interpretazione acriticamente seguita dal giudice si fonda chiaramente su un risalente ed in precedenza dominante orientamento giurisprudenziale, secondo il quale, anche quando vi sia una normativa di settore o un provvedimento dell'autorità che regoli l'attività e che imponga limiti di emissione ed anche quando i limiti tabellari non siano stati superati, la contravvenzione di cui all'art. 674 cod. pen. sarebbe ugualmente configurabile qualora l'attività abbia comunque prodotto emissioni eccedenti i limiti di tollerabilità alla luce dei parametri indicati dall'art. 844 cod. civ., ed eliminabili mediante opportuni accorgimenti tecnici. E ciò perché non potrebbe considerarsi lecito l'esercizio di una attività che, anche se rispettosa dei limiti tabellari, implichi comunque la sopportazione di inconvenienti eccedenti la normale tollerabilità, in quanto l'agente era in ogni caso obbligato a ricorrere alla migliore tecnologia disponibile per contenere al massimo possibile le emissioni inquinanti, al fine della tutela della salute umana e dell'ambiente (cfr. Sez. I, 7 novembre 1995, Guarnero, m. 203130; Sez. I, 11 aprile 1997, Sartor, m. 207383; Sez. III, 25 giugno 1999, Zompa, m. 214633; Sez. III, 28 settembre 2005, Riva, m. 232359; Sez. III, 21.6.2007, n. 35489, Torna, in. 237382). Secondo tale orientamento, dunque, l'inciso «nei casi non consentiti dalla legge» dovrebbe intendersi riferito non solo alla specifica normativa di settore, ma alla legge in generale e quindi anche alle prescrizioni del codice civile (in particolare, dell'art. 844 cod. civ.).
Tale orientamento è stato però sottoposto a numerose critiche ed è stato da tempo superato da un orientamento diverso ed ormai prevalente - che il Collegio condivide pienamente - secondo il quale l'espressione «nei casi non consentiti dalla legge» costituisce una precisa indicazione della necessità, ai fini della configurazione del reato, che, qualora si tratti di attività considerata dal legislatore socialmente utile e che per tale motivo sia prevista e disciplinata, l'emissione avvenga in violazione delle norme o prescrizioni di settore che regolano la specifica attività. In tali ipotesi, invero, deve ritenersi che la legge contenga una sorta di presunzione di legittimità delle emissioni che non superino la soglia fissata dalle norme speciali in materia. Quindi, per una affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui all'art. 674 cod. pen., non è sufficiente il rilievo che le emissioni siano astrattamente idonee ad arrecare offesa o molestia, ma è indispensabile anche la puntuale e specifica dimostrazione oggettiva che esse superino i parametri fissati dalle norme speciali. Qualora invece le emissioni, pur quando abbiano arrecato concretamente offesa o molestia alle persone, siano state tuttavia contenute nei limiti di legge, saranno eventualmente applicabili le sole norme di carattere civilistico contenute nell'art. 844 cod. civ. In altri termini, all'inciso «nei casi non consentiti dalla legge» deve riconoscersi, contrariamente a quanto ritenuto dal precedente orientamento, un valore rigido e decisivo, tale da costituire una sorta di spartiacque tra il versante dell'illecito penale da un lato e quello dell'illecito civile dall'altro (Sez. I, 16 giugno 2000, Meo, m. 216621; Sez. I, 24 ottobre 2001, Tulipano, m. 220.678; Sez. III, 23 gennaio 2004, Pannone, m. 228010; Sez. III, 19 marzo 2004, n. 16728, Parodi; Sez. I, 20 maggio 2004, Invernizzi, m. 229170; Sez. III, 18 giugno 2004, Provi- denti, m. 229619; Sez. III, 10 febbraio 2005, Montinaro, m. 230982; Sez. III, 21 giugno 2006, Bortolato, m. 235056; Sez. III, 26 ottobre 2006, Gigante; Sez. III, 11 maggio 2007, Pierangeli, m. 236682; Sez. III, 9.10.2007, n. 41582, Saetti, m. 238011; nonché, in riferimento alla emissione di onde elettromagnetiche, Sez. I, 14 marzo 2002, Rinaldi; Sez. I, 12 marzo 2002, Pagano; Sez. I, 25 novembre 2003, n. 4192/04, Valenziano, non massimata).
Il principio di diritto seguito ormai dal «diritto vivente» é dunque quello secondo cui il reato di cui all'art. 674 cod. pen. non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata o da una attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali e siano contenute nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti amministrativi che le riguardano, il cui rispetto implica una presunzione di legittimità del comportamento (cfr., da ultimo, Sez. III, 9.1.2009, n. 15707, Abbaneo, m. 243433; Sez. III, 27.2.2008, n. 15653, Colombo, m. 239864; Sez. III, 13.5.2008, n. 36845, Tucci, m. 240768; Sez. III, 1 febbraio 2006, n. 8299, Tortora, m. 233562). Questo principio deve essere confermato, non potendosi ritenere sufficienti a superarlo alcune decisioni in senso contrario (cfr. Sez. 1, 27.3.2008, n. 16693, Polizzi, m. 240117; Sez. III, 12.2.2009, n. 15734, Schembri, m. 243387), che si sono limitate a richiamare alcune massime espressione del precedente orientamento, senza apportare particolari argomentazioni avverso l'interpretazione che qui viene ribadita.
Nella specie la sentenza impugnata ha espressamente ritenuto (pag. 4) che la condotta contestata all'imputata - consistente nella omessa adozione di accorgimenti idonei ad evitare il sollevamento di polveri durante le operazioni di stoccaggio dei granaglie - avesse violato la seconda ipotesi, e non già la prima ipotesi, dell'art. 674 cod. pen. Se così fosse non vi sarebbero dubbi sulla applicabilità della espressione «nei casi non consentiti dalla legge» contenuta nell'art. 674 cod. pen., e quindi del principio di diritto dianzi affermato relativamente alle emissioni provenienti da una attività regolarmente autorizzata o prevista da speciali atti normativi.
Deve tuttavia per completezza ricordarsi che, relativamente alle emissioni di polveri, mentre la giurisprudenza più risalente riteneva che «le immissioni nella atmosfera di polveri degli impianti di uno stabilimento industriale in virtù di un processo produttivo non integrano le condotte del "gettare" o "versare" previste dalla prima parte dell'art. 674 cod. pen. che sono riferibili ad una attività primaria e diretta, prevalentemente di natura dolosa» (Sez. 1, 1.6.1987, n. 11844, Barbetti, m. 177099; conf. Sez. VI, 16.5.1985, n. 8449, Spallanzani, m. 170537), la giurisprudenza successiva ha invece prevalentemente ritenuto che «nel concetto di "gettare o versare" di cui all'art. 674 cod. pen., che punisce il getto pericoloso di cose, rientra anche quello di diffondere polveri nell'atmosfera» (Sez. III, 23.10.2002, n. 42924, Lorusso, m. 223033), e che «il concetto di gettare o versare di cui all'art. 674 cod. pen. va inteso estensivamente fino a comprendere la diffusione, comunque, di polveri nelle aree circostanti» (Sez. I, 9.1.1995, n. 3919, Tinerelli, m. 201594; Sez. I, 22.9.1993, n. 447/94, Pasini, m. 195922).
Questo orientamento è stato di recente ribadito, riaffermandosi che «La diffusione di polveri nell'atmosfera rientra nella nozione di "versamento di cose" ai sensi della prima ipotesi dell'art. 674 cod. pen. e non in quella di "emissione di fumo" contemplata dalla seconda ipotesi, in quanto mentre il fumo è sempre prodotto della combustione, la polvere è prodotto di frantumazione e non di combustione» (Sez. III, 18.12.2008, n. 16286, Del Balzo, m. 243454). Da questo affermazione è stata però poi fatta derivare la conseguenza che alla emissione di polveri nella atmosfera non si potrebbe mai applicare il principio di diritto, che qui è stato confermato, relativo alle emissioni provenienti da una attività regolarmente autorizzata o prevista da speciali atti normativi. E ciò perché «la clausola "nei casi non consentiti dalla legge", contemplata nell'art. 674 cod. pen., non è riferibile alla condotta di getto o versamento pericoloso di cose di cui alla prima parte della norma citata, ma esclude il reato solo per le emissioni di gas, vapori o fumo che sono specificamente consentite attraverso limiti tabellari o altre determinate disposizioni amministrative. (Fattispecie nella quale è stata esclusa l'applicabilità di tale clausola in un caso di diffusione di polveri nell'atmosfera provocate nel corso di un'attività produttiva)» (Sez. III, 18.12.2008, n. 16286, Del Balzo, m. 243456).
Questa ultima tesi non può però essere condivisa per le ragioni - valevoli allo stesso modo anche per l'ipotesi di emissione di polveri - già evidenziate da questa Sezione in numerose decisioni relative alle emissioni di onde elettromagnetiche, che sono state parimenti fatte rientrare nella prima ipotesi dell'art. 674 cod. pen. (Sez. III, 13.5.2008, n. 36845, Tucci, m. 240767, secondo cui «In tema di getto pericoloso di cose, il reato previsto dall'art. 674 cod. pen. non prevede due distinte ed autonome ipotesi di reato ma un reato unico, in quanto la condotta consistente nel provocare emissioni di gas, vapori o fumo rappresenta una "species" del più ampio "genus" costituito dal "gettare" o "versare" cose atte ad offendere, imbrattare o molestare persone. (In motivazione la Corte, nell'enunciare il predetto principio, ha precisato che la previsione della condotta di "provocare emissioni" ha solo il fine di specificare che, quando si tratta d'attività disciplinata per legge, la rilevanza penale delle emissioni medesime è subordinata al superamento dei limiti e delle prescrizioni di settore)»; conf. Sez. III, 9.1.2009, n. 15707, Abbaneo; nonché Sez. III, 15708, 15709, 15710, 15711, 15712, 15713, 15714, 15715, 15716 del 2009, non massimate).
Si è infatti in quelle occasioni rilevato che, se si dovesse ritenere che il principio dianzi enunciato - ossia che il reato di cui all'art. 674 cod. pen. non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata o prevista e disciplinata da atti normativi speciali e non siano superati i limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti amministrativi che le riguardano, il cui rispetto implica una presunzione di legittimità del comportamento - si applichi esclusivamente alla seconda ipotesi prevista dall'art. 674 cod. pen. (emissione di gas, vapori o fumo) e che quindi non possa applicarsi anche all'emissione di onde elettromagnetiche o di polveri (non rientrando le stesse tra i gas, vapori e fumo), ne deriverebbe una disciplina manifestamente irrazionale. Ed invero, si dovrebbe ritenere che la contravvenzione in esame sarebbe, del tutto irragionevolmente, integrata nel caso di emissione di onde elettromagnetiche o di polveri pur avvenuta nell'esercizio di una attività autorizzata o disciplinata per legge e pur quando non siano superati i limiti stabiliti dalla legge o dai regolamenti o da specifici atti amministrativi, ma solo perché vi sia possibilità di offesa o molestia, mentre per tutte le altre attività anch'esse autorizzate o disciplinate da leggi speciali, la contravvenzione non è configurabile quando tali limiti non sono superati, sussistendo in tal caso una presunzione di legittimità delle emissioni. La diversità di disciplina sarebbe palesemente ingiustificata, e quindi irrazionale, perché l'elemento che caratterizza e giustifica la previsione speciale è costituito dal riferirsi ad una attività socialmente utile e quindi disciplinata e non già dalla natura dell'oggetto dell'emissione (gas, vapori o fumo).
Si è quindi ritenuto che possa darsi una interpretazione adeguatrice all'art. 674 cod. pen., nel senso esso non preveda in realtà due distinte e separate ipotesi di reato, ma un solo ed unitario reato nel quale la seconda ipotesi (emissione di gas, vapori o fumo) non è altro che una specificazione della prima ipotesi, caratterizzata non tanto dal fatto del particolare oggetto dell'emissione (gas, vapori, fumo) quanto piuttosto dalla circostanza che è possibile che l'emissione, ossia l'attività pericolosa, in quanto socialmente utile, sia disciplinata dalla legge o da un provvedimento dell'autorità, e che in tal caso il reato è configurabile esclusivamente quando essa non sia consentita, ossia quando siano superati i limiti previsti per la specifica attività, dovendo altrimenti presumersi legittima. In altre parole, le emissioni di cui alla seconda ipotesi rientrano già nell'ampio significato dell'espressione «gettare cose», di cui in realtà costituiscono una specie, e sono state espressamente previste dalla disposizione solo per specificare che, quando si tratta di attività disciplinata per legge - e per tale motivo ritenuta dal legislatore di un qualche interesse pubblico e generale - la loro rilevanza penale nasce soltanto con il superamento dei limiti e delle prescrizioni di setto
re.
Quindi, il reato di cui all'art. 674 cod. pen. è ravvisabile in qualsiasi comportamento materiale (getto, lancio, versamento, emissione) avente ad oggetto cose materiali o immateriali e che può oggettivamente provocare offesa o molestia alle persone. Quando però si tratti di una attività socialmente utile, ed in quanto tale legislativamente o amministrativamente disciplinata, il comportamento, quand'anche idoneo a provocare offesa o molestia, resta ugualmente lecito sotto il profilo penale se non supera i limiti previsti dalla normativa di settore.
E si è anche rilevato che questa conclusione può restare ferma anche qualora si ritenga che le due ipotesi dell'art. 674 cod. pen. debbano restare distinte e separate. Ed invero, una volta che le onde elettromagnetiche o le polveri si sono fatte rientrare nel getto di cose previsto dalla prima ipotesi della disposizione in esame, alle stesse si può poi applicare, in via analogica, il principio, desumibile dalla seconda ipotesi, secondo cui il comportamento deve presumersi legittimo ed il reato non sussiste quando si tratta di attività regolamentata e non siano superati i limiti tabellari. In questo caso, invero, si tratterebbe di analogia in bonam partem, che quindi non è vietata, e che sarebbe diretta a dare una interpretazione adeguatrice della disposizione. Sembra poi indiscutibile l'esistenza dei presupposti per questa applicazione analogica, in quanto fra le due fattispecie esiste sicuramente una somiglianza rilevante, dato che la qualità comune ad entrambe (attività regolamentata e non superamento dei limiti) costituisce la ragione sufficiente per cui al caso regolato è stata data quella disciplina.
In conclusione, nella specie, da un lato è pacifico che si tratta di attività autorizzata da provvedimento amministrativo e comunque disciplinata da specifiche norme di settore e, da un altro lato, il giudice del merito ha accertato che non vi è alcuna prova che siano stati superati i limiti di tollerabilità normativamente fissati. Non vi sono quindi gli elementi per l'integrazione del reato contestato.
La sentenza impugnata deve dunque essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Cosi deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 21 ottobre 2010.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA Il 18 Nov. 2010