Consiglio di Stato Sez.II n. 5305 del 27 giugno 2022
Urbanistica.Cessione di cubatura e contiguità dei fondi
Ai fini della cessione di cubatura la contiguità dei fondi deve essere intesa come una effettiva e significativa vicinanza, che tuttavia non implica necessariamente che gli immobili siano tra loro confinanti. Ciò significa che in concreto non è possibile adottare un criterio generale ed astratto in base al quale affermare la contiguità tra fondi, ma che la vicinanza deve essere valutata caso per caso in relazione alle caratteristiche morfologiche dell’area interessata, alle sue dimensioni e tenuto conto delle esigenze urbanistiche della stessa.
Pubblicato il 27/06/2022
N. 05305/2022REG.PROV.COLL.
N. 01666/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1666 del 2022, proposto da Soc. Arcadia 2007 A R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fabrizio Federici e Monica Galano, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Monica Galano in Roma, via Toscana, n. 30;
contro
Comune di Ladispoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Mario Paggi, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda, n. 12928/2021, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Ladispoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 giugno 2022 il Cons. Stefano Filippini;
uditi per le parti gli avvocati Monica Galano e Mario Paggi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso al TAR per il Lazio la Soc. Arcadia 2007 A R.L., esponeva in fatto:
- di aver acquistato nel 2018 un’area sita nel in Comune di Ladispoli (alla Via Ancona 42/44), ubicata in zona B di completamento- sottozona B5 del PRG, nella quale con permesso di costruzione n. 3 del 6.6.2018–rilasciato a favore dei danti causa, cui la ricorrente è subentrata giusta voltura n. 8 del 13.7.2018 - era stata assentita la realizzazione di un intervento di demolizione e ricostruzione volta all’edificazione di un fabbricato residenziale;
- che il progetto inizialmente prevedeva la costruzione di un immobile su area “A” di mq. 834,00, sviluppante, in base all’indice di fabbricabilità fondiaria di 3 mc/mq previsto per la zona B 5, una cubatura pari a 2.502,00 mc.;
- che tuttavia la società, ritenendo necessario, al fine di realizzare “una costruzione armonica e funzionalmente utilizzabile”, un aumento di cubatura per realizzare il quarto piano (al fine di raggiungere l’altezza e la cubatura degli edifici adiacenti), aveva deciso di utilizzare a tal fine la cubatura ancora disponibile in area contigua, avente le medesime caratteristiche di destinazione urbanistica (sottozona con destinazione B5 del vigente PRG), sita nel medesimo comparto (in Via Genova 12/12¬A, area B);
- che tale area, estesa per mq. 500,40, sviluppava, in base all’indice di zona una cubatura pari a mc. 1501,20 mc, di cui era stata già utilizzata solo una quota (pari a mc 308,07), con conseguente potenzialità residua pari a mc 693,13, sicchè con atto di cessione di cubatura del 23.7.2018 la società medesima aveva acquisito in parte, per una quota di mc 200, i diritti edificatori ancora esprimibili da tale lotto;
- che, al fine di ampliare l’immobile progettato sfruttando il trasferimento di volumetria del lotto “contiguo” asservito, la ricorrente società aveva presentato al Comune di Ladispoli una domanda di variante in corso d’opera, reiterata, a seguito di un primo diniego, con altra istanza;
- che l’Amministrazione in data 21.11.2019 aveva comunicato un preavviso di diniego ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 s.m.i., contestando la “contiguità” delle aree in questione, l’appartenenza al medesimo comparto e il superamento dei limiti di volumetria edificabile nell’area;
- che la società medesima aveva contrastato i motivi ostativi addotti dal Comune mediante proprie osservazioni difensive;
- che tuttavia il Comune, in data 12.12.2019, aveva rigettato la richiesta di variante;
- che avendo la società nel frattempo già realizzato l’intervento costruttivo assentito con il permesso di costruire nonché la progettata variante ampliativa, in data 27.12.2019 aveva presentato una richiesta di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 DPR 380/2001 e dell’art. 18 LR 15/2008;
- che il Comune, dopo aver comunicato il preavviso di diniego in data 20.1.2020 ai sensi dell’art. 10 bis legge n. 241/1990, con provvedimento del 6.2.2020 aveva negato il rilascio della sanatoria dell’intervento di ampliamento, in variante all’originario titolo abilitativo, asserendo che il volume complessivo del fabbricato eccedeva il limite massimo prescritto, in assenza di strumento attuativo, dall’art. 41 quinquies legge 1150/42, di 3 mc/mq sul lotto asservito.
- che con successiva ordinanza n. 19 del 18.2.2020 il Comune aveva ingiunto la demolizione dall’intervento di ampliamento realizzato in assenza di titolo abilitativo, qualificato come variazione essenziale al permesso di costruire.
Ciò premesso, la società impugnava sia il provvedimento di diniego della sanatoria dell’intervento, sia l’ordinanza di demolizione, ritenuti illegittimi alla stregua di plurimi motivi di diritto, lamentando in sostanza la violazione della normativa in tema di edificazione e di quella di repressione in materia edilizia.
Il Comune si è costituto in giudizio per contrastare la domanda.
Il TAR, disposta verificazione (comprensiva di richiesta di chiarimenti e di relazione integrativa, con la sentenza in epigrafe indicata, resa all’esito della camera di consiglio del 12.10.2021, ha respinto il ricorso e compensato le spese di lite (ad eccezione di quelle di verificazione, poste a carico della ricorrente).
Avverso detta pronuncia ha proposto appello la Soc. Arcadia 2007 R.L., affidando il gravame a motivi che ripercorrono le medesime doglianze già esposte al TAR e che possono così riassumersi:
1.- circa il diniego di sanatoria, si lamenta il travisamento del concetto di “vicinanza significativa ed effettiva” tra fondi, erroneamente esclusa nella fattispecie; si ripercorrono le condizioni cui l’ordinamento subordina l’ammissibilità del trasferimento di diritti edificatori, richiamandosi i criteri dettati dalla sentenza n. 544 del 2020 del Consiglio di Stato, asseritamente ricorrenti nella fattispecie; si deduce la mancanza di imparzialità del Comune, manifestata da atteggiamenti altalenanti e contraddittori nonché da molteplici permessi di costruire rilasciati sul presupposto di cessioni di cubature fra fondi separati tra loro anche da distanze maggiori di quella che divide i fondi di specie.
2. si lamenta che il verificatore (le cui conclusioni sono state condivise dal giudice di prime cure) prima e il TAR poi abbiano fornito una motivazione “postuma” al diniego dell’Amministrazione, richiamando e valorizzando una delibera (la n. 231 del 29/11/2019) che la stessa Amministrazione aveva omesso di menzionare;
3.- quanto all’ordine di demolizione, lo stesso presenta vizi propri: il provvedimento dovrebbe indicare l’opera e l’area che vengono acquisiti di diritto, mentre al riguardo rimane ambiguo; analogamente è a dire per l’area di sedime da acquisire al patrimonio comunale che risulta indicata in maniera del tutto generica
Si è tardivamente costituito il Comune appellato, con memoria che ripercorre le difese in atti e richiama gli argomenti accolti dalla sentenza impugnata, chiedendo il rigetto del gravame. L’appellante nulla ha eccepito in relazione alla tardività della costituzione avversaria.
La Sezione con ordinanza in data 15.3.2022 ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata al fine di mantenere ancora integra la situazione di fatto e ha disposto la sollecita fissazione dell’udienza di merito.
Sulle memorie difensive e conclusioni in atti, la controversia è stata trattenuta in decisione all’udienza del 7.6.2022.
DIRITTO
L’appello è infondato.
Come accennato, la controversia è insorta a seguito del rigetto, da parte del Comune di Ladispoli, dell’istanza di sanatoria ex art. 36 DPR 380/2001, e della conseguente adozione dell’ordinanza di demolizione, di intervento in difformità del permesso di costruire consistente nell’ampliamento, mediante chiusura del terrazzo coperto al terzo piano (di 67 mq), che ha determinato un incremento di volumetria di circa 200 mc., che la ricorrente riteneva di poter conseguire grazie alla cessione di cubatura di altro fondo sito a circa 250 metri di distanza.
Non vi è dubbio che l’istituto dell'asservimento di un fondo astrattamente serve proprio ad accrescere la potenzialità edilizia di un altro fondo, sfruttando in tutto o in parte la cubatura ancora esprimibile dal primo; in tal caso, la volumetria spettante al fondo cedente viene “trasferita” sul fondo di intervento, che, per l’effetto, va considerato come “idealmente unitario”; in tale evenienza, ai fini della verifica del rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria, si deve computare non solo la superficie del lotto di intervento, ma anche quella del fondo cedente, che va ad aggiungere la propria cubatura residua proprio al fine di incrementare la potenzialità edificatoria del primo.
Tuttavia, pur a fronte dell’astratta utilità dell’istituto dell’accorpamento, nella specie è risultato carente un importante indicatore che la giurisprudenza ha individuato come necessario per il legittimo operare del trasferimento di cubatura utile, quello della contiguità dei due fondi (cedente e cessionario). Detto requisito è inteso dalla giurisprudenza non in senso letterale e fisico, ossia adiacenza o contiguità territoriale, ma nel senso che, anche qualora quella manchi, tra area cedente ed area ricevente sussista pur sempre una effettiva e significativa vicinanza, con la precisazione che tale continuità viene comunque a mancare quando tra i fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche incompatibili con l’edificazione.
Invero, come ribadito anche di recente dalla Corte di legittimità (cfr., Cass., Sezione 3 Penale, sentenza n. 43253 del 19/09/2019), la cessione di cubatura è un istituto di fonte negoziale, la cui legittimità è stata ripetutamente avallata in sede giurisprudenziale (per tutte si veda Consiglio di Stato, Sezione V, 28 giugno 2000, n. 3636), in forza del quale è consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due terreni, la "cessione" della cubatura edificabile propria di un fondo in favore di altro fondo, cosicché, invariata la cubatura complessiva risultante, il fondo cessionario sarà caratterizzato da un indice di edificabilità superiore a quello originariamente goduto. Tuttavia, onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla realizzazione di manufatti edili in funzione della corretta gestione del territorio, il legittimo ricorso a tale meccanismo è soggetto a determinate condizioni, una delle quali - rilevante proprio nella vicenda esaminata - è costituita dall'essere i terreni in questione, se non precisamente contermini, quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità, perché altrimenti, attraverso l'utilizzazione di tale strumento, astrattamente legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei ed, anzi, contrastanti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio.
Quanto alla individuazione dei criteri in base ai quali procedere alla valutazione della contiguità dei fondi, è stato anche di recente (Cons. Stato, Sez. 2, n. 544 del 2020) ricordato come la giurisprudenza amministrativa sia concorde nel ritenere che la contiguità deve essere intesa come una effettiva e significativa vicinanza (cfr. Cons St, sez. V, n. 1525/2004), che tuttavia non implica necessariamente che gli immobili siano tra loro confinanti. Ciò significa che in concreto non è possibile adottare un criterio generale ed astratto in base al quale affermare la contiguità tra fondi, ma che la vicinanza deve essere valutata caso per caso in relazione alle caratteristiche morfologiche dell’area interessata, alle sue dimensioni e tenuto conto delle esigenze urbanistiche della stessa.
In tale ottica del tutto adeguata risulta la scelta del primo giudice di procedere a verificazione al fine di accertare la concreta situazione. E’ così emerso: - che i fondi in questione sono siti a distanza di 260,41 metri l’uno dall’altro, sicchè per nulla evidente è la loro contiguità in rapporto all’estensione complessiva del Comune (quasi 26 kmq) ed alla lunghezza dell’area urbanizzata, (di circa 2,8 km); - che sussistono comunque strutture capaci di rompere l’ideale “unità” dell’area di insistenza dei fondi, in quanto gli stessi sono separati da alcune strade e da abitazioni, che operano un effetto "barriera" e interrompono la continuità spaziale; - che le caratteristiche del tracciato viario seguono il classico modello a cardine e decumano, utilizzato anche all’epoca della fondazione della cittadina di Ladispoli; - che Viale Italia costituisce l’asse viario principale (collegante la stazione ferroviaria al lungomare Regina Elena) e ha le caratteristiche classiche del “Corso” in cui sono siti i negozi, cinema, piazza principale contornata da giardini, inclusi tra le parallele Via Ancona e Via Odescalchi; - che lateralmente l’ambito è definito da Via Venezia (a sinistra) e Via Trieste (a destra); - che la proprietà dell’appellante è sita nella centralissima Via Ancona (SP 14b), nel lato a destra del “Corso” Italia, così come il fondo di cui vorrebbe sfruttare parte della potenzialità edificatoria residua, che è collocato a Via Genova 12, parallela di Via Trieste; - che si tratta di vie previste nel PRG che dividono il tessuto urbano in isolati secondo uno schema che intende distribuire la volumetria nei diversi quadranti dalla stessa spartiti.
Sulla base di tali elementi, ragionevole e sufficientemente motivato risulta il provvedimento di diniego, secondo il quale la collocazione a distanza dei fondi in parola costituisce un elemento di discontinuità tale da impedirne l’accorpamento al fine dello sfruttamento edificatorio di proprietà in quanto non è ravvisabile il presupposto dell’appartenenza ad un medesimo contesto unitario.
Per giunta, come rilevato dal TAR, il fondo cedente, sito in via Genova, risulta collocato ai margini del confine del nucleo storico, in prossimità del canalone (Fiume Sanguinara), che segna l’originario “confine” della cittadina, in posizione eccentrica rispetto al fondo di destinazione, aumentando l’effetto disgregatore del tracciato ortogonale delle vie, che definiscono i diversi “isolati”, separati tra loro, giustamente considerati dal Comune “unità a sé stanti” con conseguente esclusione dell’accorpabilità dei fondi al di fuori di tali “comparti”.
Né possono avere valore determinante le considerazioni dell’appellante, secondo cui, invece, il fondo cedente, sito in via Genova, non sarebbe ai margini del nucleo storico e le Vie Ancona, Trieste, Venezia e Genova, più che dividere il tessuto urbano in isolati, avrebbero una “funzione di collegamento, di comunicazione tra le diverse parti del territorio e riconduzione ad un medesimo contesto unitario”; invero, trattasi di mere opinioni personali, prive di oggettività, incapaci di palesare una evidente illogicità della valutazione posta a base della scelta discrezionale dell’Amministrazione.
In definitiva, come già affermato dal TAR, nel caso in esame, non si può affermare la ricorrenza di alcun irragionevole operare dell’Amministrazione.
Inoltre, deve pur sempre considerarsi che compete alla parte richiedente l’onere di provare che, al momento della presentazione dell’istanza, sussista l’asserita irrilevanza del trasferimento di cubatura ai fini dell’equilibrio urbanistico (profilo ostativo pure implicitamente evocato dall’Amministrazione laddove, nel preavviso di rigetto, evidenzia la non omogeneità dei comparti edilizi interessati dal trasferimento). Dimostrazione che, nel caso di specie, non può dirsi raggiunta.
Le considerazioni che precedono risultano assorbenti rispetto al secondo motivo di impugnazione.
Quanto, infine, al terzo motivo, adeguate sono le ragioni di dissenso già espresse dal TAR, secondo cui l’ordinanza di demolizione è sufficientemente chiara nell’individuare la parte dell’immobile ritenuta abusivamente realizzata (e quella conseguente da acquisire in caso di inottemperanza), grazie al richiamo in essa contenuto alla richiesta di variante e al rigetto di sanatoria che avevano ad oggetto l’ampliamento di 200 mc all’ultimo piano.
Del resto, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, la mancata precisazione, nel corpo dell’ordinanza di demolizione, delle parti da acquisire non costituisce un vizio che inficia la legittimità della stessa, trattandosi di operazione che può essere effettuata in un momento successivo, e che troverà la sua formalizzazione in apposito provvedimento.
L’appello risulta quindi infondato.
Tuttavia le spese di lite anche di questo grado possono essere interamente compensate tra le parti tenuto conto delle peculiarità del caso.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2022 con l'intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli, Presidente
Giovanni Sabbato, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere
Carla Ciuffetti, Consigliere
Stefano Filippini, Consigliere, Estensore