TAR Campania (NA), Sez. VII, n. 4737, del 5 settembre 2014
Elettrosmog.Illegittimità diniego di adeguamento tecnologico di una SRB a meno di 350 metri dai luoghi sensibili, quali scuole di ogni ordine e grado

Il Comune non può mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia urbanistica, adottare misure le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radiobase per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino in considerazione della lata nozione di sito sensibile, quale dettata dall’art. 3 del Regolamento che  include tutti gli ambienti chiusi adibiti a residenza o a permanenza non occasionale di persone per periodi superiori alle quattro ore, quali residenze, scuole di ogni ordine e grado, case di cura, ospedali, edifici commerciali e produttivi. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04737/2014 REG.PROV.COLL.

N. 05981/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5981 del 2013, proposto da: 
H3g S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Guido Bardelli, Maria Alessandra Bazzani, Jacopo Recla, Carlo Maria Iaccarino, con domicilio eletto presso Carlo Iaccarino in Napoli, via S. Pasquale A Chiaia, 55;

contro

Comune di Pompei, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Gennaro Barbato, con domicilio eletto presso Bruno Ricciardelli in Napoli, piazza G. Bovio n. 8; 
Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliata in Napoli, via Diaz, 11;

per l'annullamento,

previa sospensione dell’efficacia,

del provvedimento prot. 29235 del 1/10/2013 con il quale il Comune di Pompei ha rigettato l'istanza di autorizzazione presentata dalla H3g s.p.a. per l'adeguamento tecnologico di un impianto di telefonia mobile esistente sito in via Lepanto n. 144;

del Regolamento per l’istallazione e l’esercizio di impianti di radio telecomunicazioni, come da ultimo approvato mediante Delibera C.C. n. 70 del 30/12/2005;

di tutti gli atti presupposti, ivi compresa la nota di comunicazione di avvio del procedimento e di comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza;



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Pompei e di Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 luglio 2014 la dott.ssa Diana Caminiti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1. Con atto notificato in data 10/12/2013 e depositato il successivo 18/12/2013, la società H3g S.p.A, licenziataria del servizio di telefonia mobile, ha impugnato il provvedimento prot. 29235 del 1/10/2013, con il quale il Comune di Pompei ha rigettato l'istanza di autorizzazione presentata dalla medesima società per l'adeguamento tecnologico di un impianto di telefonia mobile esistente, sito in via Lepanto n.144, sulla base del rilievo del contrasto con gli artt. 3 e 7 del Regolamento per l’istallazione e l’esercizio di impianti di radio telecomunicazioni, come da ultimo approvato mediante Delibera C.C. n. 70 del 30/12/2005, ed in particolare del contrasto dell’impianto de quo, classificabile quale “macrostazione” con il criterio distanziale prescritto dall’art. 7 del citato Regolamento, fissato in 350 metri dai “luoghi sensibili”, quali definiti dall’art. 3 del citato Regolamento, comprensivo anche delle “scuole di ogni ordine e grado”, essendo situato a circa 263 metri dal Liceo Scientifico “E. Pascal”, ubicato in via Unità d’Italia n. 42.

2. A sostegno del ricorso la società ricorrente deduce in fatto di avere presentato istanza in data 28/01/2013 ai sensi degli artt. 87 e ss. del Dlgs. 259/2003 per la riconfigurazione del predetto impianto, richiedendo contestualmente anche il rilascio del titolo paesaggistico e che in data 27 maggio 2013 il Comune Le aveva comunicato il preavviso di rigetto della indicata istanza, sulla base del rilievo del contrasto con le previsioni regolamentari innanzi citate.

2.1. Parte ricorrente presentava quindi le proprie osservazioni in merito in data 11/06/2013, evidenziando da un lato l’illegittimità delle invocate previsioni regolamentari in quanto finalizzate alla tutela sanitaria demandata allo Stato (essendo tra l’altro intervenuto il parere favorevole dell’A.R.P.A.C.) e dall’altro la circostanza che le stesse non potessero applicarsi all’impianto di cui è causa, dovendosi intendere riferite solo ai nuovi impianti, laddove nell’ipotesi di specie veniva in considerazione la riconfigurazione di un impianto già assentito.

2.2. Ciononostante il Comune adottava l’atto di diniego oggetto di impugnativa, in cui evidenziava la non accoglibilità delle controdeduzioni in quanto le modifiche delle caratteristiche trasmissive dell’impianto esistente previsto in progetto erano tali da inquadrare lo stesso come “macrostazione”, oggetto delle prescrizioni della delibera di C.C. n. 70 del 30/12/2005.

3. Ciò posto, parte ricorrente, ritenendo illegittime le prescrizioni regolamentari su cui è stato fondato l’atto di diniego, ha impugnato le stesse ed in via subordinata l’atto di diniego, articolando in tre motivi di ricorso diverse censure di violazione di legge e di eccesso di potere.

3.1. Segnatamente parte ricorrente assume la violazione dell’art. 8 comma 6 della l. 36/2001, degli artt. 86,87 ed 87 bis del Dlgs. 259/2003, dei principi affermati dalla Corte Costituzionale nelle sentenze 303,308,331/2003 nonché 336 2005 e 103/2006, l’eccesso di potere sotto svariati profili (primo e secondo motivo di ricorso), la violazione del D.P.C.M. 8 luglio 2003 e l’incompetenza del Comune rispetto a previsioni aventi finalità di tipo sanitario (terzo motivo di ricorso).

Con un quarto motivo di ricorso la società ricorrente assume poi l’illegittimità autonoma del provvedimento di diniego, sulla base dell’assunto dell’errata applicazione dell’art. 7 del Regolamento Comunale, in quanto relativa alla installazione di impianti realizzati con antenne radiobase (macrostazioni) su un traliccio posizionato a terra (tipologia “raw land”) e pertanto nella prospettazione attorea agli impianti ex novo mentre nell’ipotesi di specie veniva in rilievo la mera riconfigurazione di un impianto già esistente e realizzato sulla sommità di un edificio (“c.d. “roof top”).

Con un quinto motivo di ricorso assume del pari l’illegittimità in via autonoma dell’atto di diniego sulla base del rilievo che lo stesso Comune nell’anno precedente all’adozione dell’atto di diniego impugnato in questa sede nulla aveva opposto in merito ad analogo intervento di riconfigurazione eseguito sul medesimo impianto.

4. Si è costituito il Comune resistente, instando per il rigetto del ricorso, deducendo in via preliminare con memoria difensiva depositata in data 13/01/2014 e nelle note del 17/01/2014 l’inammissibilità dello stesso per mancata impugnazione delle previsioni regolamentari poste a base dell’atto di diniego nel termine di decadenza, sulla base del rilievo che la società ricorrente aveva avuto contezza di dette previsioni già con la trasmissione della nota di comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

4.1 Si è del pari costituito il Ministero dei Beni Ambientali e Culturali, eccependo in via preliminare il proprio difetto di legittimazione passiva, non venendo in rilievo l’impugnativa di alcun atto imputabile al medesimo Ministero.

5. All’esito dell’udienza fissata per la trattazione dell’istanza cautelare la Sezione ha accolto l’istanza medesima con ordinanza n. 119 del 23/01/2014.

6. La società ricorrente ha prodotto documenti in data 23 maggio 2014 e memoria difensiva in data 12 giugno 2014, in vista dell’udienza di discussione, mentre alcun altra memoria è stata prodotta dal Comune resistente.

7. Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’esito dell’udienza pubblica del 3 luglio 2014.

8. In via preliminare va accolta l’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dal Ministero intimato, non venendo in rilievo nella presente sede alcun atto imputabile al medesimo Ministero.

8.1 Del pari in via preliminare va evidenziato come non possa tenersi conto della memoria difensiva depositata dalla società ricorrente in data 12 giugno 2014, ovvero oltre trenta giorni prima dell’udienza di discussione, non potendo la parte avvalersi in difetto di produzione di memoria difensiva ad opera del Comune in vista dell’udienza di discussione del termine previsto per il deposito delle memorie difensive di replica, termine che non può essere utilizzato per replicare alle argomentazioni delle memorie prodotte in vista dell’udienza camerale per la trattazione dell’incidente cautelare, dovendo la parte a tali fini avvalersi del normale termine previsto per la produzione di memorie difensive dirette, laddove il termine previsto per le memoria di replica deve essere utilizzato per replicare alle memoria prodotte dalla controparte in vista dell’udienza di discussione, secondo la corretta scansione temporale prescritta dall’art. 73 comma 1 c.p.a. .

8.1.1. Ed invero, come più volte evidenziato dalla Sezione, il termine per la produzione di documenti e di memorie difensive prescritto dall’art. 73 comma 1 c.p.a. deve considerarsi perentorio in quanto fissato a garanzia del contraddittorio e del corretto lavoro del giudice.

Come chiarito anche di recente dalla giurisprudenza infatti “i termini fissati dall'art. 73 comma 1, c.p.a. per il deposito di memorie difensive e documenti hanno carattere perentorio in quanto espressione di un precetto di ordine pubblico processuale posto a presidio del contraddittorio e dell'ordinato lavoro del giudice; sicché la loro violazione conduce all'inutilizzabilità processuale delle memorie e dei documenti presentati tardivamente, che vanno considerati tamquam non essent” (Consiglio di Stato sez. III, 25 marzo 2013, n. 1640).

Già questa Sezione si è invero più volte pronunciata in questo senso (ex multis sent. 4544 del 09/11/2012) ritenendo che detti termini devono considerarsi perentori e sottratti alla disponibilità delle parti, qualora non sussistano i presupposti di cui all’art. 54 comma 1 c.p.a., sia pure nella formulazione attuale risultante dalla modifica apportata dal art. 1 lett m), dlgs 15 novembre 2011 n. 195, ovvero la difficoltà di produzione nel termine di legge e che dette conclusioni sono avvalorate anche da un consolidato orientamento giurisprudenziale, formatosi ancora prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, che ha configurato come perentori i termini per il deposito di documenti e memorie difensive, in quanto posti a salvaguardia non solo del diritto al contraddittorio ma anche del corretto svolgimento del processo (cfr Consiglio Stato, sez. IV, 09 luglio 2010, n. 4462, secondo cui “nel processo amministrativo non si può tener conto delle memorie o della documentazione depositate dalla parte dopo la scadenza del termine previsto per tali adempimenti dall'art. 23, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, applicabile anche al giudizio d'appello, essendo espressione del generale principio di rispetto del contraddittorio, a sua volta riconducibile al principio dell'equo processo di cui all'art. 6, Conv. Europea dei diritti dell'uomo, resa esecutiva con l. 4 agosto 1955 n. 848”; Consiglio Stato, sez. V, 17 novembre 2009, n. 7166, secondo cui “nel giudizio amministrativo, il termine assegnato alle parti per il deposito delle memorie è perentorio e non può subire deroghe nemmeno con il consenso delle parti, essendo esso previsto non solo a tutela del contraddittorio, ma anche a garanzia del corretto svolgimento del processo e dell'adeguata e tempestiva conoscenza degli atti di causa da parte del collegio giudicante”).

9. Il ricorso è fondato e va pertanto accolto alla luce di quanto di seguito precisato.

10. I motivi di ricorso vanno esaminati secondo l’ordine formulato da parte ricorrente, avendo riguardo alla sua manifestazione di volontà, per cui vanno esaminati prioritariamente i motivi di ricorso formulati avvero le previsioni degli artt. 3 e 7 del Regolamento di cui alla delibera di C.C. n. 70 del 30/12/2005, non avendo parte ricorrente manifestato la volontà di impugnare dette previsioni regolamentari solamente in via subordinata ed essendo per contro detti motivi di carattere assorbente rispetto agli ultimi due motivi di ricorso, con cui si deduce l’illegittimità in via autonoma del provvedimento di diniego.

11. In via preliminare va peraltro delibata rispetto a tali motivi di ricorso l’eccezione di intempestività dell’impugnativa del Regolamento eccepita dal Comune resistente.

11.1 La stessa è infondata in quanto il Regolamento comunale per l'installazione e l'esercizio degli impianti di telecomunicazione per telefonia cellulare costituisce un atto di carattere generale avente natura regolamentare, in conformità a quanto previsto dall'art. 8, l. n. 36 del 2001, con la conseguenza che le relative disposizioni vanno impugnate unitamente agli atti applicativi, perché è solo con questi ultimi che la lesione presenta i caratteri dell'attualità e della concretezza (T.A.R. Puglia- Bari, sez. II, 14/05/2013, n. 733), dovendosi ritenere che il regolamento in quanto atto generale ed astratto si presenti come volizione preliminare, mentre solo l’atto applicativo, volizione azione, attualizza e concretizza la lesione della sfera giuridica dei destinatari.

Da questo punto di vista pertanto irrilevante è la circostanza, dedotta dal Comune resistente, che la società ricorrente abbia avuto conoscenza delle previsioni regolamentari asseritamente lesive già con la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, trattandosi di atto endoprocedimentale non immediatamente lesivo della sfera giuridica di parte ricorrente, per cui la lesione si è concretizzata ed attualizzata solo nel momento dell’adozione dell’atto attuativo, correttamente oggetto di gravame nelle presente sede congiuntamente alla prescrizioni regolamentari poste a suo fondamento.

Ed invero ad analoghe conclusioni si perviene anche avendo riguardo alla giurisprudenza del Consiglio di Stato relativa all’impugnazione delle prescrizioni edilizie ed urbanistiche dettate dal Comune (ex multis Consiglio di Stato sez. III, 16/04/2014, n. 1955 secondo cui “In tema di disposizioni dirette a regolamentare l'uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa regionale, vanno distinte le prescrizioni che, in via immediata, stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata (nel cui ambito rientrano le norme di c.d. zonizzazione, la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici, la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo) e le altre regole che, più in dettaglio, disciplinano l'esercizio dell'attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio (disposizioni sul calcolo delle distanze e delle altezze, sull'osservanza di canoni estetici, sull'assolvimento di oneri procedimentali e documentali, regole tecniche sull'attività costruttiva, ecc.): mentre per le disposizioni appartenenti alla prima categoria s'impone, in relazione all'immediato effetto conformativo dello ius aedificandi dei proprietari dei suoli interessati che ne deriva, ove se ne intenda contestare il contenuto, un onere di immediata impugnativa in osservanza del termine decadenziale a partire dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio, a diversa conclusione deve pervenirsi, invece, con riguardo alle prescrizioni di dettaglio contenute nelle norme di natura regolamentare destinate a regolare la futura attività edilizia, che sono suscettibili di ripetuta applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui è adottato l'atto applicativo e, dunque, possono essere oggetto di censura in occasione della sua impugnazione”).

11.2. Peraltro, vi è da evidenziare, ad abundantiam, che, anche in assenza di impugnativa, le disposizioni regolamentari poste a fondamento dell’impugnato atto applicativo, ove ritenute illegittime, sarebbero comunque disapplicabili in questa sede; infatti secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 29 maggio 2008, n. 2535; T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, 19 febbraio 2009, n. 1322), il giudice amministrativo ha il potere di disapplicare un regolamento non conforme a legge, valutando così direttamente il contrasto tra provvedimento e legge, ed annullando il provvedimento, a prescindere dall’impugnazione congiunta del regolamento e del relativo provvedimento attuativo.

12. Ciò posto, i primi tre motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione oggettiva, formulati avverso il combinato disposto degli artt. 3 e 7 del citato Regolamento, sono fondati, come già evidenziato in sede cautelare.

12.1 Ciò in considerazione del rilievo che la potestà attribuita all'ente locale dall'art. 8 comma 6 l. n. 36 del 2001 di disciplinare <<il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione a campi elettromagnetici>> deve tradursi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi di rilievo pubblico (in relazione, ad esempio, al particolare valore paesaggistico/ambientale o storico/artistico di individuate porzioni del territorio, ovvero alla presenza di siti che per la loro destinazione d'uso possano essere qualificati particolarmente sensibili alle immissioni elettromagnetiche) (Consiglio Stato , sez. VI, 15 luglio 2010, n. 4557) e che le relative prescrizioni non debbono consistere in vere limitazioni all’istallazione negandola in ampie parti del territorio comunale con criteri generici e disomogenei, bensì debbono consistere, in criteri logici ed omogenei di localizzazione in relazione alle particolari condizioni del territorio (Consiglio di Stato sez. VI sentenza 19/11/2009 n. 7292).

Sulla base di tali rilievi invero la giurisprudenza ha ritenuto non illegittima una previsione di distanza da strutture sensibili perché ciò corrisponde ad un principio di precauzione con riferimento ad un criterio di localizzazione che non è generico ed indeterminato né disomogeneo, ma tiene conto della realtà secondo dati di comune esperienza, che consigliano e giustificano una particolare disciplina relativamente a quei siti, senza che questo impedisca una ragionevole dislocazione degli impianti nel territorio comunale in modo da assicurare la fruizione del servizio pubblico delle telecomunicazioni (Consiglio di Stato sez. VI sentenza 19/11/2009 n. 7292; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, sent. 2167 del 10/05/2012 che ha ritenuto legittima la previsione dell’art. 6 del Regolamento comunale per l’insediamento urbanistico e territoriale degli impianti di telefonia mobile e per minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, del Comune di Frattamaggiore approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 76 del 28 dicembre 2006, il quale vieta l’istallazione di impianti ad una distanza inferiore a cento metri dal perimetro esterno dei recettori sensibili, in considerazione sia del ridotto limite distanziale dai siti sensibili che del rilievo che l’art. 6 ultimo capoverso del citato regolamento comunale prevede la possibilità di deroga al prescritto criterio distanziale ove la parte istante dimostri l’impossibilità tecnica di localizzazione alternativa (cioè di conseguire il completamento della rete cellulare, o la efficace copertura di un’area con il segnale irradiato, anche se di qualità inferiore, se non posizionando la stazione radio base nel punto vietato da detti criteri distanziali)).

12.2 Per contro, nell’ipotesi di specie, come già evidenziato in sede cautelare, la prescrizione di cui al citato art. 7 deve ritenersi illegittima, in considerazione dell’eccessività del criterio distanziale da esso fissato e del novero dei siti sensibili, quali latamente definiti dal precedente art. 3 (“tutti gli ambienti chiusi adibiti a residenza o a permanenza non occasionale di persone per periodi superiori alle quattro ore, quali residenze, scuole di ogni ordine e grado, case di cura, ospedali, edifici commerciali e produttivi”), che di fatto impedirebbero l’installazione degli impianti contemplati dal medesimo articolo 7 all’interno del centro abitato, secondo quanto dedotto da parte ricorrente nel secondo motivo di ricorso.

Ciò avuto riguardo al rilievo che la selezione dei criteri di insediamento degli impianti deve tener conto della nozione di rete di telecomunicazione, che per definizione richiede una diffusione capillare sul territorio, segnatamente nei casi di telefonia mobile c.d. cellulare, che alla debolezza del segnale di antenna associa un rapporto di maggiore contiguità delle singole stazioni radio base. L' assimilazione per effetto dell' art. 86 del d.lgs. n. 259 del 2003 delle infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria implica, inoltre, che le stesse debbano collegarsi ed essere poste al servizio dell'insediamento abitativo e non essere dalle stesso avulse (cfr. da ultimo Cons. St., VI, n. 2434 del 28 aprile 2010; Cons. Stato Sez. VI, Sent., 27-12-2010, n. 9404).

12.3. Pertanto ancorchè il Comune mantenga intatte le proprie competenze in materia di governo del territorio, queste tuttavia, per espressa valutazione legislativa, non possono interferire con quelle relative alla installazione delle reti di telecomunicazione e, in particolare, non possono determinare vincoli e limiti così stringenti da concretizzarsi in un divieto di carattere pressoché generalizzato (e senza prevedere alcuna possibile localizzazione alternativa) in contrasto con le esigenze tecniche necessarie a consentire la realizzazione effettiva della rete di telefonia cellulare che assicuri la copertura del servizio nell'intero nel territorio comunale.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 331/2003 ha, infatti, chiarito che nell'esercizio dei suoi poteri, il Comune non può rendere di fatto impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, trasformando i criteri di individuazione, che pure il Comune può fissare, in limitazioni alla localizzazione con prescrizioni aventi natura diversa da quella consentita dalla legge quadro n. 36 del 2001.

Ciò anche in considerazione del rilievo che l'art. 90 del citato D.Lgs. n. 259/2003 dispone che gli impianti in questione e le opere accessorie occorrenti per la loro funzionalità hanno "carattere di pubblica utilità", con possibilità, quindi, di essere ubicati in qualsiasi parte del territorio comunale, essendo compatibili con tutte le destinazioni urbanistiche (residenziale, verde, agricola, ecc.: cfr., in tal senso, C.G.A. ordinanza 5 luglio 2006, n. 543; Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2006, n. 5096; T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, Sent., 09-03-2011, n. 419).

13. Fondati sono peraltro anche il primo e il terzo motivo di ricorso, in quanto il Comune non può, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia urbanistica, adottare misure le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radiobase per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino (cfr. anche, in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 2006, n. 6994;T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 06 aprile 2009, n. 661), in considerazione della lata nozione di sito sensibile, quale dettata dall’art. 3 dell’impugnato Regolamento che, come innanzi accennato, vi include “tutti gli ambienti chiusi adibiti a residenza o a permanenza non occasionale di persone per periodi superiori alle quattro ore, quali residenze, scuole di ogni ordine e grado, case di cura, ospedali, edifici commerciali e produttivi”.

13.1 Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l'art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l'individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell'Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, IV, 3 giugno 2002, n. 3095, 20 dicembre 2002, n. 7274, 14 febbraio 2005, n. 450, 5 agosto 2005, n. 4159; sez. VI, 1° aprile 2003, n. 1226, 30 maggio 2003, n. 2997, 30 luglio 2003, n. 4391; 26 agosto 2003, n. 4841, 15 giugno 2006, n. 3534). Ciò avuto altresì riguardo alla circostanza che, come dedotto da parte ricorrente nel terzo motivo di ricorso, in relazione all’impianto de quo era stato rilasciato, ben due mesi prima dall’adozione dell’atto oggetto di impugnativa, il parere favorevole dell’A.R.P.A.C. - organo istituzionalmente deputato al controllo dei limiti di esposizione fissati dalla normativa statale - tempestivamente comunicato al Comune.

14. In considerazione di tali rilievi e del carattere assorbente dei profili di illegittimità articolati nei primi tre motivi di ricorso - riferiti alle previsioni regolamentari su cui è fondato l’atto attuativo di diniego - il ricorso va accolto, con assorbimento degli ultimi due motivi di ricorso, derivando dall’illegittimità del combinato disposto dell’art. 3 (nella parte in cui definisce i siti sensibili) e dell’art. 7 (nella parte in cui fissa il limite distanziale delle macrostazioni dai siti sensibili) dell’impugnato regolamento l’illegittimità in via derivata dell’atto attuativo.

15. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, nei rapporti fra parte ricorrente ed il Comune, mentre sussistono eccezionali ragioni, in considerazione del motivo procedurale eccepito dal Ministero intimato e dell’attività difensiva spiegata, per la compensazione delle spese di lite nei sui confronti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima), pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il combinato disposto degli art. 3 (nella parte in cui definisce i siti sensibili) e 7 (nella parte in cui fissa i criteri distanziali dai siti sensibili delle “macrostazioni” ) del Regolamento per l’istallazione e l’esercizio di impianti di radio telecomunicazioni, come da ultimo approvato mediante Delibera C.C. n. 70 del 30/12/2005, nonché il provvedimento prot. 29235 del 1/10/2013 con il quale il Comune di Pompei ha rigettato l'istanza di autorizzazione presentata dalla società ricorrente per l'adeguamento tecnologico di un impianto di telefonia mobile esistente sito in via Lepanto 144, sulla base del rilievo del contrasto con i citati artt. 3 e 7.

Dichiara il difetto di legittimazione passiva del Ministero per i Beni e Le Attività Culturali.

Condanna il Comune resistente alla refusione delle spese di lite nei confronti di parte ricorrente, liquidate in complessivi euro 2.000,00 (duemila/00), oltre oneri accessori, se dovuti, come per legge.

Compensa le spese di lite nei rapporti fra la società ricorrente ed il Ministero per i Beni e Le Attività Culturali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 3 luglio 2014 con l'intervento dei magistrati:

Alessandro Pagano, Presidente

Diana Caminiti, Primo Referendario, Estensore

Luca De Gennaro, Primo Referendario

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/09/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)