Pres. Varrone Est. Lanzillo
Beni Ambientali. Danno al paesaggio
Il danno da alterazione delle bellezze naturali di luoghi sottoposti a tutela ambientale è in re ipsa solo se lamentato dalla pubblica amministrazione, per espressa disposizione di legge. Il privato che affermi di aver subito un danno nel godimento del proprio fondo, sottoposto a tutela, in virtù degli illeciti edilizi eseguiti sul fondo del vicino grazie ad autorizzazioni illegittimamente concesse, è tenuto invece a dimostrare l\'esistenza e l\'entità del danno. (Nella specie, l\'azione di risarcimento danni proposta contro un sindaco, condannato nel giudizio penale anche al pagamento di una provvisionale, è stata rigettata perché priva di prova del pregiudizio concretamente arrecato al fondo dell\'attore dalle costruzioni abusive erette sul terreno confinante ed a distanza significativa dal confine). (fonte Corte di Cassazione)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 450 del 15.3.1986 il Pretore penale di Padova ha condannato Luigi Irnerio Moronato perché, abusando delle sue funzioni di sindaco, aveva rilasciato concessioni di ristrutturazione illegittime in favore di Giovanni e Giampietro Lindeo, ed aveva concorso al deterioramento della bellezza di luoghi sottoposti a speciale protezione ambientale, in violazione degli art. 734 e 323 cod. pen.
Lo ha altresì condannato al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, in favore di Carlo Burali, costituitosi parte civile anche in nome e per conto del figlio Luca, attribuendo alle parti civili una provvisionale di £. 3 milioni.
Il Tribunale di Padova ha in parte annullato la suddetta sentenza e ha disposto non doversi procedere contro il Moronato per i reati di cui agli art. 323 e 734 cod. pen., perché estinti per amnistia, confermando le sanzioni civili.
Sulla base di tali sentenze Carlo Burali, in proprio e nell\'interesse del figlio Luca - quali proprietari del fondo confinante con quello a cui si riferivano gli illeciti penali - ha convenuto il Moronato davanti al Tribunale di Padova, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, quantificati in £ 500 milioni.
Il Moronato ha resistito, chiedendo di essere assolto da ogni domanda.
Con sentenza n. 1445/1996 il Tribunale di Padova ha condannato il convenuto a pagare agli attori la somma di £ 60 milioni in risarcimento dei danni, con gli interessi legali a decorrere dal 21.12.1983.
Su appello del Moronato ed in contraddittorio con il Burali la Corte di appello di Venezia - con sentenza 26 marzo-29 luglio 2003 n. 1171 - ha rigettato ogni domanda dei Burali, condannando gli stessi alla restituzione di quanto ricevuto e al pagamento delle spese dei due gradi del giudizio.
Con atto notificato in data 8 luglio 2004 i Burali propongono ricorso per cassazione, affidandone l\'accoglimento a tre motivi. Resiste con controricorso il Moronato.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Burali ha chiesto altresì, con apposita istanza ai sensi dell\'art. 376, 2° comma, cod. proc. civ., che la causa sia rimessa alle Sezioni Unite di questa Corte, in relazione al prospettato contrasto giurisprudenziale circa l\'efficacia delle statuizioni civili contenute nella sentenza penale passata in giudicato, nei giudizi civili di risarcimento dei danni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di appello di Venezia, pur riconoscendo la sussistenza degli illeciti accertati in sede penale ed il passaggio in giudicato della sentenza emessa in quella sede, quanto alle sanzioni civili, ha respinto le domande risarcitorie degli appellanti con la motivazione che il giudice penale non ha in alcun modo accertato che essi abbiano risentito specifico e concreto pregiudizio dagli illeciti edilizi, ma solo ha rilevato la potenziale capacità lesiva del fatto dannoso, consistito nel deturpamento delle bellezze naturali; che a differenza dello Stato e degli enti territoriali, cui spetta la tutela risarcitoria per ogni situazione dannosa per l\'ambiente, a prescindere da ulteriori accertamenti - i privati che si dichiarino danneggiati hanno l\'onere di fornire la prova specifica dei danni, dimostrando la perdita del valore commerciale del loro fondo od altro, e che i Burali non vi hanno in alcun modo provveduto.
2.- Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione degli art. 2909 cod. civ. e 489 cod. pen. (nel testo in vigore all\'epoca dei fatti), nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, affermano che la Corte di merito è incorsa nella violazione del giudicato penale, in quanto il Pretore di Padova ha accertato non solo gli illeciti, ma anche l\'esistenza dei danni ed il nesso di causalità fra gli uni e gli altri, là dove ha dichiarato che il proprietario del fondo finitimo è legittimato all\'esercizio dell\'azione civile nel processo penale per costruzione abusiva ed è anche titolare di un diritto all\'integrità del fondo stesso; che i proprietari di aree comprese in zona sottoposta a vincolo paesaggistico risentono un danno immediato e diretto dalla violazione delle bellezze naturali; e, sulla base di queste premesse, ha condannato il Moronato e gli altri imputati al pagamento di una provvisionale di £ 3 milioni, da imputarsi nella liquidazione definitiva.
Ad avviso dei ricorrenti sussiste in materia un contrasto giurisprudenziale, in quanto alcune sentenze di questa Corte affermano che la sentenza penale che disponga la condanna generica al risarcimento dei danni in favore delle parti civili ha efficacia di giudicato nel giudizio civile (Cass. n. 27723/2005; Cass. n. 7637/2003; Cass. 2177/1998 [rectius, 2127 del 1998]).
Altre invece attribuirebbero al giudice civile il potere di decidere liberamente in ordine all\'esistenza e all\'entità dei danni (Cass. n. 329/2001; Cass. n.495/2000; Cass. n. 3634/1980 ed altre). Chiedono quindi che la decisione venga rimessa alle Sezioni Unite.
3.- Con il secondo motivo, deducendo violazione dell\'art. 196 cod. proc. civ., ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, i ricorrenti affermano che la Corte di appello ha omesso di chiarire circostanze di fatto rimaste incerte, quali la visibilità delle opere abusive dai fabbricati di proprietà dei Burali, senza disporre il rinnovo della CTU, e contraddittoriamente - dopo avere ammesso che gli interventi abusivi avevano comportato l\'ampliamento di un\'antica fornace, trasformata in ristorante e munita di ampio parcheggio, con rilevante incremento della cubatura edificata e notevole deterioramento della bellezza dei luoghi - ha affermato che l\'illecito non risulterebbe provato. Ha poi omesso di motivare in ordine al rilievo che la proprietà Burali praticamente circoscrive la proprietà Lindeo e che pertanto gli interventi abusivi erano da essa ben visibili.
4.- Con il terzo motivo, denunciando violazione degli art. 2729, 1226 e 2056 cod. civ., 196 cod. proc. civ., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, i ricorrenti lamentano che erroneamente la Corte di appello abbia omesso di disporre il rinnovo o l\'integrazione della CTU a fronte delle gravi violazioni accertate in danno delle bellezze naturali e dell\'incertezza sullo stato dei luoghi e sulla visibilità delle opere deturpanti il paesaggio dal loro fondo, sebbene essi ne avessero fatto espressa richiesta.
5.- I tre motivi - che debbono essere congiuntamente esaminati, perché strettamente connessi - debbono essere disattesi.
Non sussiste, in primo luogo, alcuna violazione del giudicato penale, poiché la Corte di appello non ha in alcun modo interferito con quanto deciso dal giudice penale in ordine al risarcimento dei danni ed alla provvisionale liquidata, che è rimasta ferma e acquisita al patrimonio dei danneggiati. Ha solo escluso che fosse stata dimostrata l\'esistenza di danni ulteriori rispetto a quelli liquidati in sede penale.
E\' indubbio che la sentenza penale abbia nella specie accertato che gli illeciti hanno prodotto un danno e che l\'importo minimo di quel danno è la somma attribuita come provvisionale. Ma è altrettanto indubbio che essa non si è in alcun modo pronunciata sull\'esistenza e l\'entità dei danni ulteriori, dichiarando espressamente di rimetterne l\'accertamento al giudice civile.
La Corte di appello, con valutazione di merito adeguatamente e logicamente motivata, ha ritenuto non raggiunta la prova del danno ulteriore, rilevando che il giudice penale non ne ha accertato l\'esistenza in concreto, ma solo si è pronunciato sull\'astratta potenzialità lesiva dei comportamenti illeciti e sull\'ammissibilità in via di principio dell\'azione risarcitoria da parte dei privati danneggiati.
I ricorrenti sembrano ritenere che, nella specie, il danno sia da ravvisare "in re ipsa", per effetto dell\'obiettiva natura degli illeciti, consistenti nell\'alterazione delle bellezze naturali che connotavano il contesto in cui è situato il loro fondo.
Ma un tal genere di danno è risarcibile solo in favore della pubblica amministrazione, in virtù di espressa disposizione di legge (art. 18 legge 8 luglio 1986 n. 349).
I privati sono tenuti, per contro, a dimostrare la concreta perdita patrimoniale in cui siano incorsi, fornendone quanto meno gli elementi minimi affinché il giudice possa procedere alla quantificazione del danno con valutazione equitativa. Pur con riguardo ai danni non patrimoniali - che peraltro nella specie non risultano essere stati richiesti o menzionati - occorre che vengano quanto meno dedotte le circostanze idonee a dimostrarne natura e consistenza.
Né sussiste il prospettato contrasto giurisprudenziale, ove i principi enunciati dalle sentenze citate dal ricorrente vengano esattamente interpretati, in relazione alle fattispecie esaminate.
La giurisprudenza è concorde nell\'affermare che le statuizioni civili contenute nelle sentenze penali passate in giudicato (come anche le condanne generiche al risarcimento dei danni, emesse in sede civile) non vincolano il giudice investito della liquidazione del quantum, qualora si pronuncino solo sull\'astratta idoneità dell\'illecito a produrre un danno risarcibile.
Sono invece vincolanti se, e nei limiti in cui, procedano all\'accertamento in concreto dell\'esistenza e dell\'entità dei danni (cfr. Cass. civ. 11 gennaio 2001 n. 329; Cass. civ., Sez. 3, 26 febbraio 1998 n. 2127; Cass. civ., Sez. 3, 8 novembre 1994 n. 9261).
Non è esatto che si sia ritenuto addirittura precluso al giudice penale che emetta condanna generica al risarcimento di pronunciare sull\'esistenza e sull\'entità dei danni, pena l\'irrilevanza della decisione in materia, secondo l\'interpretazione offerta dai ricorrenti delle sentenze n. 27723/2005; 7637/2003; 2127/1998. Le suddette sentenze affermano, per contro, che qualora il giudice limiti la sua decisione alla condanna generica al risarcimento dei danni, la sentenza, pur se passata in giudicato, non vincola il giudice della liquidazione, nel senso che resta salvo il potere dovere dello stesso di escludere l\'esistenza stessa di un danno risarcibile, o causalmente collegato all\'illecito, ove la parte interessata non fornisca in concreto le relative prove.
Nel caso in esame, la Corte di appello ha rilevato che il fondo di proprietà dei ricorrenti - esteso per 165.000 metri quadrati - è composto da terreni agricoli, boschi e terreni edificabili che, in mancanza di ogni prova in materia, non si può ritenere abbiano risentito alcun pregiudizio per effetto delle opere illegittimamente realizzate, opere che si trovano a notevole distanza dai fabbricati posti sul fondo medesimo, dai quali neppure risultano visibili, stando a quanto accertato dalla CTU esperita nel corso del giudizio.
Né sono ammissibili in questa sede le censure dei ricorrenti, quanto all\'omessa decisione della Corte di merito di disporre il rinnovo della CTU, trattandosi di decisione affidata alla discrezionale valutazione del giudice di merito, il quale vi procede sulla base degli elementi di prova acquisiti al giudizio e del convincimento maturato in ordine ai fatti di causa.
6.- Il ricorso deve essere rigettato.
7.- Considerata la natura della causa e degli inte-ressi coinvolti, si ritiene che ricorrano giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 26.2.2008
Con sentenza n. 450 del 15.3.1986 il Pretore penale di Padova ha condannato Luigi Irnerio Moronato perché, abusando delle sue funzioni di sindaco, aveva rilasciato concessioni di ristrutturazione illegittime in favore di Giovanni e Giampietro Lindeo, ed aveva concorso al deterioramento della bellezza di luoghi sottoposti a speciale protezione ambientale, in violazione degli art. 734 e 323 cod. pen.
Lo ha altresì condannato al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, in favore di Carlo Burali, costituitosi parte civile anche in nome e per conto del figlio Luca, attribuendo alle parti civili una provvisionale di £. 3 milioni.
Il Tribunale di Padova ha in parte annullato la suddetta sentenza e ha disposto non doversi procedere contro il Moronato per i reati di cui agli art. 323 e 734 cod. pen., perché estinti per amnistia, confermando le sanzioni civili.
Sulla base di tali sentenze Carlo Burali, in proprio e nell\'interesse del figlio Luca - quali proprietari del fondo confinante con quello a cui si riferivano gli illeciti penali - ha convenuto il Moronato davanti al Tribunale di Padova, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, quantificati in £ 500 milioni.
Il Moronato ha resistito, chiedendo di essere assolto da ogni domanda.
Con sentenza n. 1445/1996 il Tribunale di Padova ha condannato il convenuto a pagare agli attori la somma di £ 60 milioni in risarcimento dei danni, con gli interessi legali a decorrere dal 21.12.1983.
Su appello del Moronato ed in contraddittorio con il Burali la Corte di appello di Venezia - con sentenza 26 marzo-29 luglio 2003 n. 1171 - ha rigettato ogni domanda dei Burali, condannando gli stessi alla restituzione di quanto ricevuto e al pagamento delle spese dei due gradi del giudizio.
Con atto notificato in data 8 luglio 2004 i Burali propongono ricorso per cassazione, affidandone l\'accoglimento a tre motivi. Resiste con controricorso il Moronato.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Burali ha chiesto altresì, con apposita istanza ai sensi dell\'art. 376, 2° comma, cod. proc. civ., che la causa sia rimessa alle Sezioni Unite di questa Corte, in relazione al prospettato contrasto giurisprudenziale circa l\'efficacia delle statuizioni civili contenute nella sentenza penale passata in giudicato, nei giudizi civili di risarcimento dei danni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di appello di Venezia, pur riconoscendo la sussistenza degli illeciti accertati in sede penale ed il passaggio in giudicato della sentenza emessa in quella sede, quanto alle sanzioni civili, ha respinto le domande risarcitorie degli appellanti con la motivazione che il giudice penale non ha in alcun modo accertato che essi abbiano risentito specifico e concreto pregiudizio dagli illeciti edilizi, ma solo ha rilevato la potenziale capacità lesiva del fatto dannoso, consistito nel deturpamento delle bellezze naturali; che a differenza dello Stato e degli enti territoriali, cui spetta la tutela risarcitoria per ogni situazione dannosa per l\'ambiente, a prescindere da ulteriori accertamenti - i privati che si dichiarino danneggiati hanno l\'onere di fornire la prova specifica dei danni, dimostrando la perdita del valore commerciale del loro fondo od altro, e che i Burali non vi hanno in alcun modo provveduto.
2.- Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione degli art. 2909 cod. civ. e 489 cod. pen. (nel testo in vigore all\'epoca dei fatti), nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, affermano che la Corte di merito è incorsa nella violazione del giudicato penale, in quanto il Pretore di Padova ha accertato non solo gli illeciti, ma anche l\'esistenza dei danni ed il nesso di causalità fra gli uni e gli altri, là dove ha dichiarato che il proprietario del fondo finitimo è legittimato all\'esercizio dell\'azione civile nel processo penale per costruzione abusiva ed è anche titolare di un diritto all\'integrità del fondo stesso; che i proprietari di aree comprese in zona sottoposta a vincolo paesaggistico risentono un danno immediato e diretto dalla violazione delle bellezze naturali; e, sulla base di queste premesse, ha condannato il Moronato e gli altri imputati al pagamento di una provvisionale di £ 3 milioni, da imputarsi nella liquidazione definitiva.
Ad avviso dei ricorrenti sussiste in materia un contrasto giurisprudenziale, in quanto alcune sentenze di questa Corte affermano che la sentenza penale che disponga la condanna generica al risarcimento dei danni in favore delle parti civili ha efficacia di giudicato nel giudizio civile (Cass. n. 27723/2005; Cass. n. 7637/2003; Cass. 2177/1998 [rectius, 2127 del 1998]).
Altre invece attribuirebbero al giudice civile il potere di decidere liberamente in ordine all\'esistenza e all\'entità dei danni (Cass. n. 329/2001; Cass. n.495/2000; Cass. n. 3634/1980 ed altre). Chiedono quindi che la decisione venga rimessa alle Sezioni Unite.
3.- Con il secondo motivo, deducendo violazione dell\'art. 196 cod. proc. civ., ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, i ricorrenti affermano che la Corte di appello ha omesso di chiarire circostanze di fatto rimaste incerte, quali la visibilità delle opere abusive dai fabbricati di proprietà dei Burali, senza disporre il rinnovo della CTU, e contraddittoriamente - dopo avere ammesso che gli interventi abusivi avevano comportato l\'ampliamento di un\'antica fornace, trasformata in ristorante e munita di ampio parcheggio, con rilevante incremento della cubatura edificata e notevole deterioramento della bellezza dei luoghi - ha affermato che l\'illecito non risulterebbe provato. Ha poi omesso di motivare in ordine al rilievo che la proprietà Burali praticamente circoscrive la proprietà Lindeo e che pertanto gli interventi abusivi erano da essa ben visibili.
4.- Con il terzo motivo, denunciando violazione degli art. 2729, 1226 e 2056 cod. civ., 196 cod. proc. civ., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, i ricorrenti lamentano che erroneamente la Corte di appello abbia omesso di disporre il rinnovo o l\'integrazione della CTU a fronte delle gravi violazioni accertate in danno delle bellezze naturali e dell\'incertezza sullo stato dei luoghi e sulla visibilità delle opere deturpanti il paesaggio dal loro fondo, sebbene essi ne avessero fatto espressa richiesta.
5.- I tre motivi - che debbono essere congiuntamente esaminati, perché strettamente connessi - debbono essere disattesi.
Non sussiste, in primo luogo, alcuna violazione del giudicato penale, poiché la Corte di appello non ha in alcun modo interferito con quanto deciso dal giudice penale in ordine al risarcimento dei danni ed alla provvisionale liquidata, che è rimasta ferma e acquisita al patrimonio dei danneggiati. Ha solo escluso che fosse stata dimostrata l\'esistenza di danni ulteriori rispetto a quelli liquidati in sede penale.
E\' indubbio che la sentenza penale abbia nella specie accertato che gli illeciti hanno prodotto un danno e che l\'importo minimo di quel danno è la somma attribuita come provvisionale. Ma è altrettanto indubbio che essa non si è in alcun modo pronunciata sull\'esistenza e l\'entità dei danni ulteriori, dichiarando espressamente di rimetterne l\'accertamento al giudice civile.
La Corte di appello, con valutazione di merito adeguatamente e logicamente motivata, ha ritenuto non raggiunta la prova del danno ulteriore, rilevando che il giudice penale non ne ha accertato l\'esistenza in concreto, ma solo si è pronunciato sull\'astratta potenzialità lesiva dei comportamenti illeciti e sull\'ammissibilità in via di principio dell\'azione risarcitoria da parte dei privati danneggiati.
I ricorrenti sembrano ritenere che, nella specie, il danno sia da ravvisare "in re ipsa", per effetto dell\'obiettiva natura degli illeciti, consistenti nell\'alterazione delle bellezze naturali che connotavano il contesto in cui è situato il loro fondo.
Ma un tal genere di danno è risarcibile solo in favore della pubblica amministrazione, in virtù di espressa disposizione di legge (art. 18 legge 8 luglio 1986 n. 349).
I privati sono tenuti, per contro, a dimostrare la concreta perdita patrimoniale in cui siano incorsi, fornendone quanto meno gli elementi minimi affinché il giudice possa procedere alla quantificazione del danno con valutazione equitativa. Pur con riguardo ai danni non patrimoniali - che peraltro nella specie non risultano essere stati richiesti o menzionati - occorre che vengano quanto meno dedotte le circostanze idonee a dimostrarne natura e consistenza.
Né sussiste il prospettato contrasto giurisprudenziale, ove i principi enunciati dalle sentenze citate dal ricorrente vengano esattamente interpretati, in relazione alle fattispecie esaminate.
La giurisprudenza è concorde nell\'affermare che le statuizioni civili contenute nelle sentenze penali passate in giudicato (come anche le condanne generiche al risarcimento dei danni, emesse in sede civile) non vincolano il giudice investito della liquidazione del quantum, qualora si pronuncino solo sull\'astratta idoneità dell\'illecito a produrre un danno risarcibile.
Sono invece vincolanti se, e nei limiti in cui, procedano all\'accertamento in concreto dell\'esistenza e dell\'entità dei danni (cfr. Cass. civ. 11 gennaio 2001 n. 329; Cass. civ., Sez. 3, 26 febbraio 1998 n. 2127; Cass. civ., Sez. 3, 8 novembre 1994 n. 9261).
Non è esatto che si sia ritenuto addirittura precluso al giudice penale che emetta condanna generica al risarcimento di pronunciare sull\'esistenza e sull\'entità dei danni, pena l\'irrilevanza della decisione in materia, secondo l\'interpretazione offerta dai ricorrenti delle sentenze n. 27723/2005; 7637/2003; 2127/1998. Le suddette sentenze affermano, per contro, che qualora il giudice limiti la sua decisione alla condanna generica al risarcimento dei danni, la sentenza, pur se passata in giudicato, non vincola il giudice della liquidazione, nel senso che resta salvo il potere dovere dello stesso di escludere l\'esistenza stessa di un danno risarcibile, o causalmente collegato all\'illecito, ove la parte interessata non fornisca in concreto le relative prove.
Nel caso in esame, la Corte di appello ha rilevato che il fondo di proprietà dei ricorrenti - esteso per 165.000 metri quadrati - è composto da terreni agricoli, boschi e terreni edificabili che, in mancanza di ogni prova in materia, non si può ritenere abbiano risentito alcun pregiudizio per effetto delle opere illegittimamente realizzate, opere che si trovano a notevole distanza dai fabbricati posti sul fondo medesimo, dai quali neppure risultano visibili, stando a quanto accertato dalla CTU esperita nel corso del giudizio.
Né sono ammissibili in questa sede le censure dei ricorrenti, quanto all\'omessa decisione della Corte di merito di disporre il rinnovo della CTU, trattandosi di decisione affidata alla discrezionale valutazione del giudice di merito, il quale vi procede sulla base degli elementi di prova acquisiti al giudizio e del convincimento maturato in ordine ai fatti di causa.
6.- Il ricorso deve essere rigettato.
7.- Considerata la natura della causa e degli inte-ressi coinvolti, si ritiene che ricorrano giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 26.2.2008