Cass. Sez. III n. 5954 del 10 febbraio 2015 (Cc 15 gen 2015)
Pres. Teresi Est. Pezzella Ric. Chiacchiaro
Beni Ambientali.Opere realizzate nel sottosuolo

In tema di tutela del paesaggio a nulla rileva il fatto che si tratti di opere realizzate nel sottosuolo, in quanto il reato di cui all'art. 181, comma 1bis D.Igs. n. 4212004, che si pone come tipica ipotesi di reato di pericolo, si configura anche in caso di lavori realizzati, in difetto di autorizzazione, nel sottosuolo di zone sottoposte a determinati vincoli paesaggistici in quanto la norma in parola vieta l'esecuzione di lavori di qualunque genere su beni paesaggistici, dovendosi ritenere realizzata anche in tali casi una modificazione, anche se non immediatamente visibile, dell'assetto del territorio. La ratio della norma incriminatrice è, infatti, la tutela massima del paesaggio, dovendosi escludere il reato solo nella residuale ipotesi che, nemmeno in via astratta, l'opera realizzata o in corso di esecuzione sia idonea a pregiudicare il bene paesaggistico protetto dalla norma

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Salerno, sezione riesame, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente C.A.R., con ordinanza del 30.5.2014 rigettava l'istanza di riesame e, per l'effetto, confermava l'impugnato decreto di sequestro preventivo, con condanna al pagamento delle spese processuali di fase.

Il GIP del Tribunale di Salerno, in data 15.5.2014, aveva emesso decreto di sequestro preventivo in relazione ai seguenti capi d'incolpazione contestati a C.A.R.:

A) reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) perchè, in qualità di legale rappresentante della società "MYTOS di Antonio Raffaele CHIACCHIARO & C. s.a.s." che gestisce la struttura ricettiva denominata "(OMISSIS)" sita in località (OMISSIS), in zona dichiarata di notevole interesse pubblico D.Lgs. n. 42 del 2004, ex art. 136 con D.M. 7 giugno 1967, nonchè sottoposta a vincolo di tutela del patrimonio artistico e storico D.Lgs. n. 42 del 2004, ex art. 10 classificata sismica S-6 ai sensi del D.M. 3 giugno 1981, e rientrante nelle zone di cui alla L. n. 37 del 1994, artt. 1 e 3 (vincolo archeologico), in assenza dei prescritti titoli, nella parte interrata sita al lato est di un preesistente fabbricato, realizzava una struttura in cemento armato di circa 175 mq., con altezza interna di circa m. 2,65 interamente piastrellata, munita di tutti gli impianti, all'interno della quale venivano realizzati due depositi, sei celle frigo, una zona destinata al lavaggio delle stoviglie, un ufficio e due locali adibiti a spogliatoi e w.c., il tutto direttamente asservito all'attività di ristorazione esercitata dalla struttura recettiva, a cui si accede attraverso una rampa delimitata da muratura a secco che conduce al varco di accesso realizzato con strutture portanti in cemento armato;

B) reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis perchè, nella medesima qualità di cui al capo A) realizzava le opere di cui al capo A) in zona dichiarata di notevole interesse pubblico ed in assenza della prescritta autorizzazione, così alterando e comunque modificando l'originario stato dei luoghi;

C) reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 64 e 71 perchè, nella medesima qualità di cui al capo A) realizzava le opere di cui al capo A) senza la previa redazione di un progetto e senza la direzione di un tecnico competente;

D) reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 65 e 72 perchè, nella medesima qualità di cui al capo A) iniziava la costruzione delle opere di cui al capo A) senza averne fatto previa denuncia allo Sportello Unico;

E) reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93 e 95 per aver eseguito i lavori indicati al capo A) in zona sismica, senza dame preavviso scritto allo Sportello Unico, omettendo il contestuale deposito dei progetti presso quest'ultimo Ufficio ed omettendo di attenersi ai criteri tecnico-descrittivi per le zone sismiche;

F) reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 75 perchè, nella medesima qualità di cui al capo A) realizzava le opere di cui al capo A) asservite alla struttura ricettiva e di ristorazione, consentendone l'utilizzo a terzi ed in particolare ai propri dipendenti, senza che fosse stato rilasciato il prescritto certificato di collaudo.

Accertato in (OMISSIS).

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, C.A.R., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

- Violazione di legge art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione all'art. 321 cod. proc. pen.; manifesta illogicità della motivazione.

Il ricorrente ricostruisce brevemente il fatto, lamentando l'errore del tribunale, che avrebbe portato a ritenere il periculum in mora.

Sarebbero stati assunti a livello di prova, dei semplici luoghi comuni, la cui valutazione, discostatasi dalla realtà, deborderebbe in errore logico.

Sarebbe stato ipotizzato un oggettivo aggravio su opere collettive quali la viabilità, la rete idrica e fognaria, le condutture elettriche del gas.

Nella realtà, invece, il locale sarebbe privo di allacciamento del gas, la condotta elettrica godrebbe di una parte di energia autoprodotta, il maggior consumo di acqua potabile e l'aumento di acqua immessa nelle fognature sarebbero escluse in quanto tali consumi sarebbero collegati all'afflusso della clientela, collegato alla ricettività del ristorante, che sarebbe assolutamente immutata.

In relazione alla viabilità, invece, l'ingresso nel ristorante sarebbe garantito da una stradina privata.

Pertanto le valutazioni operate sul periculum locale sarebbero state affidate a clausole di stile.

Le stesse considerazioni varrebbero anche per il reato di cui al capo B).

Ancora sarebbe dubbio ritenere che la tutela prevista dalla legge della misura cautelare per le violazioni delle norme a tutela dell'urbanistica possa estendersi automaticamente a situazioni di fatto che andrebbero inserite in un complesso sistematico ambientale.

L'elemento pregnante della valutazione operata per l'applicazione della misura, sarebbe l'attentato all'ecosistema, che sarebbe insito in qualunque intervento umano, nel caso di specie riguardante il sottosuolo senza considerare l'incidenza sul carico urbanistico.

Tale tesi comporterebbe che la totalità degli interventi umani potrebbero essere lesivi dell'ecosistema.

Il tribunale salernitano, in riferimento alle imputazioni di cui ai capi C), D), E) ed F), avrebbe rifiutato di considerare e valutare la documentazione prodotta dalla difesa, allegata alla memoria difensiva riguardante il collaudo, sia per quanto attiene al c.a. che per quanto riguarda l'aspetto urbanistico.

L'assunto del tribunale avrebbe violato il principio del favor rei e il principio di economia processuale, ritenendo ininfluente sull'astratta ipotizzabilità delle contravvenzioni contestate, la documentazione che esclude ogni sussistenza dei reati o ne elide in radice gli effetti.

Il giudice del riesame avrebbe comunque dovuto tener conto della documentazione prodotta che non avrebbe comportato alcun esercizio poteri istruttori in quanto essi promanerebbero dalla difesa.

Chiede, pertanto, l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con ogni effetto sul decreto di sequestro.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il proposto ricorso è manifestamente infondato e ne va pertanto dichiarata l'inammissibilità.

2. Va ricordato, in premessa, che l'art. 325 cod. proc. pen. prevede contro le ordinanza in materia di riesame di misure cautelari reali il ricorso per cassazione per sola violazione di legge.

E' vero, tuttavia, che la giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha più volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, rv. 239692; conf. Sez. 5, n. 43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093). E che ancora più di recente è stato precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perchè sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'"iter" logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato, (così sez. 6, n. 6589 del 10.1.2013, Gabriele, rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati previsti dagli artt. 416, 323, 476, 483 e 353 cod. pen. con riguardo all'affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue, le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di riesame, non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarità amministrative).

Di fronte all'assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell'atto.

Nel caso in esame, tuttavia, la motivazione da parte del Tribunale del Riesame di Salerno c'è e non paiono sussistenti vizi motivazionali tanto intensi da configurare una violazione di legge.

Peraltro i proposti motivi di ricorso sono assolutamente generici e hanno natura esclusivamente fattuale.

3. I giudici salernitani ritengono - ed evidenziano nella motivazione del provvedimento impugnato che appare congrua e logica - che, pur tenendo conto del collaudo statico, nonchè dell'autorizzazione dei lavori in sanatoria e dell'autorizzazione sismica in sanatoria depositati dalla difesa (atti che dunque sono stati esaminati, a differenza di quanto si sostiene in ricorso), sussista il fumus degli ipotizzati reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis di cui ai capi A) e B) della rubrica. Ciò in quanto, come emerge dall'informativa di P.G. in data 1.4.2014, nonchè dagli allegati rilievi planimetrici e fotografici, il C. aveva realizzato, nella parte interrata sita al lato est di un preesistente fabbricato, in assenza dei prescritti titoli abilitativi in zona dichiarata di notevole interesse pubblico, nonchè sottoposta a vincolo di tutela del patrimonio artistico storico ed archeologico, le opere edilizie di cui al capo A) della rubrica (e cioè una struttura in cemento armato di circa 175 mq., con altezza interna di circa m. 2,65 interamente piastrellata, munita di tutti gli impianti, all'interno della quale venivano realizzati due depositi, sei celle frigo, una zona destinata al lavaggio delle stoviglie, un ufficio e due locali adibiti a spogliatoi e w.c., il tutto direttamente asservito all'attività di ristorazione esercitata dalla struttura recettiva, a cui si accede attraverso una rampa delimitata da muratura a secco che conduce al varco di accesso realizzato con strutture portanti in cemento armato).

Si tratta di opere - si legge ancora nella motivazione del provvedimento impugnato - che, come correttamente evidenziato dal G.I.P., hanno comportato un'integrale ristrutturazione della preesistente caverna, attuata mediante un invasivo intervento strutturale tale da determinare la creazione di un organismo edilizio del tutto diverso con modifica, quanto meno, della destinazione d'uso.

Sul punto - va qui evidenziato - il Tribunale di Salerno appare fare assoluto buon governo della consolidata giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide e che va qui riaffermata, secondo cui a nulla rileva il fatto che si tratti di opere realizzate nel sottosuolo, in quanto il reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis che si pone come tipica ipotesi di reato di pericolo, si configura anche in caso di lavori realizzati, in difetto di autorizzazione, nel sottosuolo di zone sottoposte a determinati vincoli paesaggistici in quanto la norma in parola vieta l'esecuzione di lavori di qualunque genere su beni paesaggistici, dovendosi ritenere realizzata anche in tali casi una modificazione, anche se non immediatamente visibile, dell'assetto del territorio.

La ratio della norma incriminatrice è, infatti, la tutela massima del paesaggio, dovendosi escludere il reato solo nella residuale ipotesi che, nemmeno in via astratta, l'opera realizzata o in corso di esecuzione sia idonea a pregiudicare il bene paesaggistico protetto dalla norma (viene richiamata sul punto la pronuncia 21842 del 17.2.2011, Iacono, non massim. di questa sez. 3). (Cass. Sez. 3A 16.1.2007 n. 7292, Armenise ed altro, Rv. 236080).

Corretto appare anche il richiamo alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, laddove si ricorda che i giudici amministrativi hanno affermato che non appare dubbio che, alla luce dell'individuazione dei beni paesaggistici contenuta nel D.Lgs. n. 42 del 2004, artt. 136 e segg., con il termine paesaggio il legislatore abbia inteso designare una determinata parte del territorio che, per le sue caratteristiche naturali e/o indotte dalla presenza dell'uomo, è ritenuta meritevole di particolare tutela, che non può ritenersi limitata al mero aspetto esteriore o immediatamente visibile dell'area vincolata, così che ogni modificazione dell'assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi tipo di opera, è soggetta al rilascio della prescritta autorizzazione. E perciò, da tale nozione ampia di paesaggio, deriva che il vincolo ambientale- paesaggistico sia operante anche con riferimento alle opere realizzate nel sottosuolo, in quanto anche queste ultime implicano una utilizzazione del territorio idonea a modificarne l'assetto, specie quando si tratti di opere di rilevante entità (così la ricordata pronuncia del Consiglio di Stato, sez. 6, 5.8.2013 n. 4079).

Già in precedenza, peraltro, si era affermato, in relazione ad un caso in cui erano stati realizzati dei garage interrati, che in tema di tutela del paesaggio, il reato di cui al D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181 si configura anche relativamente ad opere realizzate, in difetto di autorizzazione, nel sottosuolo di zone sottoposte a vincolo, atteso che il citato art. 181 vieta l'esecuzione di lavori di qualunque genere su beni paesaggistici e che anche per tali opere si realizza una modificazione, anche se non immediatamente visibile, dell'assetto del territorio (così questa sez. 3, n. 7292 del 16.1.2007, Armenise ed altro, rv. 236080). E in altra pronuncia si era anche ancora precisato che nessun rilievo può avere la natura pertinenziale dell'opera che si va a realizzare (sez. 3, n. 11128 del 16.2.2006, Silvestri, rv. 233675).

4. Nel caso che ci occupa, come detto, il vincolo cautelare reale è stato imposto sia in relazione al reato edilizio di cui all'art. 44 lett. e) che in relazione alla violazione paesaggistica sanzionata D.Lgs. n. 42 del 2004, ex art. 181, comma 1 bis.

Pertanto, in relazione al profilo del periculum in mora, quanto al primo, andava valutato se si prospettasse l'esigenza di impedire le conseguenze del reato, consistenti in un aggravamento del cd. carico urbanistico, derivante dalla utilizzazione degli immobili anche dopo il loro completamento, quanto al secondo nell'eventuale permanere della lesione del bene paesaggistico determinata dalla realizzazione dell'edificio senza la previa autorizzazione della autorità competente (cfr. sul punto questa sez. 3, n. 1262 del 25.9.2012, dep. il 10.1.2013, Righi ed altri, rv. 254145).

Ebbene, nel provvedimento impugnato, diversamente da quanto si sostiene nell'odierno ricorso, si offre anche una motivazione logica e congrua in ordine al periculum in mora.

Per quanto riguarda quest'ultimo i giudici salernitani ricordano essere pacifico che, in ordine alla sequestrabilità di manufatti realizzati abusivamente in zona non vincolata paesaggisticamente, il pericolo, attinente alla libera disponibilità del bene, debba presentare i caratteri della concretezza e dell'attualità e che spetti al giudice di merito, con adeguata motivazione, compiere un'attenta valutazione del pericolo derivante dal libero uso della cosa pertinente all'illecito penale (così le richiamate Sez. Un. n. 12878 del 2003).

Va aggiunto che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 12878/2003 hanno definitivamente risolto la questione della applicabilità del sequestro preventivo all'immobile ultimato riconoscendo la validità dell'orientamento che ne riteneva l'ammissibilità.

In tale decisione, che il Collegio tuttora condivide, si afferma che il giudice di merito deve valutare attentamente e, conseguentemente, motivare, la sussistenza del pericolo derivante dalla libera disponibilità del bene pertinente al reato, considerando, in particolare, la reale compromissione degli interessi riguardanti il territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale della cosa, da parte dell'indagato o di terzi, possa comportare un' effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero se l'attuale disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il profilo della offensività. A titolo di esempio, con specifico riferimento all'incidenza sul carico urbanistico, si aggiunge che la delibazione, in fatto, sotto tale profilo deve essere effettuata considerando la consistenza reale e l'intensità del pregiudizio temuto, tenendo conto della situazione esistente al momento dell'adozione della misura.

Corretto, dunque, è anche il richiamo che i giudici salernitani operano alla giurisprudenza successiva, nettamente prevalente, di questa Corte di legittimità, che ha costantemente ribadito che il sequestro preventivo di cose pertinenti la reato può essere adottato anche su un'opera ultimata, se la libera disponibilità di essa possa concretamente pregiudicare gli interessi attinenti alla gestione del territorio ed incidere sul carico urbanistico, il pregiudizio del quale va valutato avendo riguardo agli indici di consistenza dell'insediamento edilizio, del numero dei nuclei familiari, della dotazione minima degli spazi pubblici per abitare, nonchè della domanda di strutture e di opere collettive (vengono ricordate le pronunce di questa sez. 3 n. 6599 del 24.11.2011 dep. il 17.2.2012, Susinno, rv. 252016, ed in precedenza sez. 3 n. 19761 del 25.2.2003, sez. 4 n. 15821 del 31.1.2007, sez. 3 n. 4745 del 12.12.2007, sez. 2 n. 17170 del 23.4.2010, DE Monaco, rv. 246854).

Quanto alla nozione di carico urbanistico, peraltro, la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha fornito puntuali indicazioni, osservando, che la nozione de quo deriva dall'osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento c.d. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all'insediamento primario, ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell'attività da costoro svolte.

Pertanto, s'intende per carico urbanistico l'effetto che viene prodotto dall'insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio. Si tratta di un concetto, non definito dalla vigente legislazione, ma che è in concreto preso in considerazione in vari istituti di diritto urbanistico: 1) negli standards urbanistici di cui al D.M. 2/4/1968 n. 1444 che richiedono l'inclusione, nella formazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni minime di spazi pubblici per abitante a seconda delle varie zone; 2) nella sottoposizione a concessione e, quindi, a contributo sia di urbanizzazione che sul costo di produzione, delle superfici utili degli edifici., in quanto comportino la costituzione di nuovi vani capaci di produrre nuovo insediamento; 3) nel parallelo esonero da contributo di quelle opere che non comportano nuovo insediamento, come le opere di urbanizzazione o le opere soggette ad autorizzazione; 4) nell'esonero da ogni autorizzazione e perciò da ogni contributo per le opere interne (L. n. 47 del 1985, art. 26 e L. n. 493 del 1993, art. 4, comma 7) che non comportano la creazione di nuove superfici utili, ferma restando la destinazione dell'immobile;

e) nell'esonero da sanzioni penali delle opere che non costituiscono nuovo o diverso carico urbanistico (L. n. 47 del 1985, art. 10 e L. n. 493 del 1993, art. 4).

L'aggravamento del carico urbanistico è stato da questa Corte Suprema riconosciuto anche con riferimento alle ipotesi di realizzazione di opere interne comportanti il mutamento della originaria destinazione d'uso di un edificio (così questa sez. 3 n. 22866/2007; conf. sez. 4, n. 34976/2010).

In alcune pronunce vengono, inoltre, indicate ipotesi specifiche di incidenza dei singoli interventi sul carico urbanistico, richiamando, ad esempio, il contenuto della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 sexies come modificato dalla L. n. 122 del 1989 e L. n. 246 del 2005 che richiede, per le nuove costruzioni ed anche per le aree di pertinenza delle costruzioni stesse, la esistenza di appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione (sez. 3 n. 28479/2009, cit.); la rilevanza di nuove costruzioni in termini di esigenze di trasporto, smaltimento rifiuti, viabilità etc. (sez. 3 n. 22866/07, cit.);

l'ulteriore domanda di strutture ed opere collettive, sia in relazione alle prescritte dotazioni minime di spazi pubblici per abitante nella zona urbanistica interessata (sez. 3 n. 34142/2005).

Ribadendo tali principi si è stabilito, inoltre, che l'incidenza di un intervento edilizio sul carico urbanistico deve essere considerata con riferimento all'aspetto strutturale e funzionale dell'opera ed è rilevabile anche nel caso di una concreta alterazione della originaria consistenza sostanziale di un manufatto in relazione alla volumetria, alla destinazione o alla effettiva utilizzazione, tale da determinare un mutamento dell'insieme delle esigenze urbanistiche valutate in sede di pianificazione con particolare riferimento agli standard fissati dal D.M. n. 1444 del 1968 (così, ex plurimis, sez. 3, n. 36104/2011 e n. 6599/2012 richiamate anche dalla più recente sez. 3 n. 42363/2013).

Tale giurisprudenza, che il Collegio condivide e che va ribadita, ha dunque chiaramente individuato entro quale ambito possa procedersi ad una corretta valutazione dei presupposti per l'applicazione del sequestro preventivo nei reati edilizi con riferimento all'aggravio del carico urbanistico.

5. Nella fattispecie, la verifica di cui si è detto appare essere stata correttamente operata dai giudici salernitani, i quali hanno adeguatamente considerato la consistenza delle opere eseguite e la concreta rilevanza delle stesse.

Corretta è l'affermazione secondo cui i principi di diritto sopra ricordati debbano essere ritenuti applicabili anche ad opere realizzate in zone sottoposte a vincolo paesaggistico, rientrando, nella finalità del sequestro preventivo, ai sensi dell'art. 321 c.p.p., che il pericolo debba essere effettivo e concreto (sez. 3, n. 4745, 30 gennaio 2008; conf. sez. 6, n. 21734, 29 maggio 2008; sez. 2, n. 17170, 5 maggio 2010) e chiarendo che, a tal fine, l'abuso va considerato unitariamente (sez. 3, n. 28479, 10 luglio 2009; Sez. 3, n. 18899, 9 maggio 2008).

Tuttavia, quanto al sequestro preventivo per reati paesaggistici, questo Collegio ritiene di dover ribadire il principio assolutamente preponderante nella giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo cui la sola esistenza di una struttura abusiva integra il requisito dell'attualità del pericolo, indipendentemente dall'essere l'edificazione ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio e all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio e dall'incremento del carico urbanistico, perdura in stretta connessione con l'utilizzazione della costruzione ultimata, (così, in ultimo, questa sez. 3, n. 42363 del 18.9.2013, Colicchio, rv. 42363, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro di un manufatto costituente ampliamento di un edificio già abitato dal medesimo nucleo familiare; conf. sez. 3, n. 24539 del 20.3.2013, Chiantone, rv. 255560; sez. 2, n. 23681 del 14.5.2008, Cristallo, rv. 240621; sez. 3, n. 30932 del 19.5.2009, Tortora, rv. 245207).

Già in altra pronuncia, più risalente, si era peraltro evidenziato come qualunque lavoro eseguito senza autorizzazione, in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico, possa costituire un'offesa al bene giuridico protetto rappresentato dall'armonia paesaggistica e come, di fronte ad un'opera ultimata, vi fosse il requisito della concretezza e dell'attualità cautelare, che sussiste proprio perchè l'offesa al territorio è destinata in tal modo a perdurare ed a consolidarsi, (così questa sez. 3, n. 43880 del 30.9.2004, Macino, rv. 230184).

Nella fattispecie in esame i giudici salernitani hanno ritenuto di aderire ad un'interpretazione più favorevole all'imputato, sul presupposto che non possa esserci una sorta di "automatismo" tra detto uso e l'alterazione dell'ecosistema tutelato dal vincolo.

Tuttavia, a ben leggere la motivazione del provvedimento impugnato, appare evidente che gli stessi non si discostano di molto dal principio di diritto oggi riaffermato da questa Corte.

Il tribunale del riesame di Salerno, infatti, ritiene che, se "anche l'uso dell'immobile, realizzato in violazione di vincoli, si palesa idoneo ad aggravare le conseguenze dannose prodotte dall'opera abusiva sull'ecosistema protetto da vincolo paesaggistico o di altra natura e giustifica l'applicazione della misura cautelare diretta ad impedire la protrazione e l'aggravamento delle conseguenze dannose del reato", sia altresì indubitabile che "la valutazione sul punto ha ad oggetto l'incidenza negativa della condotta su un più delicato equilibrio rispetto a quello riguardante genericamente il carico urbanistico sul territorio, sicchè la esclusione della idoneità dell'uso della cosa a deteriorare ulteriormente l'ecosistema protetto dal vincolo deve formare oggetto di un esame particolarmente approfondito" (in tal senso, richiama, tra le altre, questa sez. 3, n. 40486 del 27.10.2010, Petrina e altro, rv. 248701).

L'ulteriore lesione del bene protetto - viene ancora ricordato - deve, però, essere esclusa soltanto ove si accerti la assoluta compatibilita di tale uso con gli interessi tutelati dal vincolo, tenendosi conto della natura di quest'ultimo e della situazione preesistente alla realizzazione dell'opera.

Ebbene, sulla base di tali principi, i giudici salernitani ritengono sussistente anche il periculum di cui all'art. 321 c.p.p., comma 1, - e ritengono di integrare sul punto la motivazione del provvedimento impugnato - evidenziando come dall'informativa di P.G. in data 1.4.2014 e dagli allegati rilievi fotografici emerga chiaramente che i lavori realizzati per conto dell'indagato, benchè ultimati, hanno comportato un evidente deterioramento dell'ecosistema protetto dal vincolo ed un evidente aumento del carico urbanistico attraverso la realizzazione di opere, così come descritte al capo A) della rubrica, ontologicamente suscettibili di determinare un consistente aumento del numero dei frequentatori dell'immobile ed un oggettivo aggravio su opere collettive (quali ad esempio viabilità, rete idrica e fognaria, condutture elettriche e del gas).

Viene ritenuto, come visto, che si sia realizzato un invasivo intervento strutturale tale da determinare la creazione di un organismo edilizio del tutto diverso con modifica, quanto meno, della destinazione d'uso.

Da qui la ritenuta necessità di evitare la protrazione della condotta illecita e l'aggravamento del reato, impedendo il paventato aumento del carico urbanistico e il godimento dell'opera abusiva al di fuori di ogni controllo prescritto in funzione della tutela degli interessi pubblici coinvolti.

A fronte di una motivazione siffatta, pare evidente che non possa ritenersi che siamo di fronte ad una violazione di legge.

Va peraltro rilevato, quanto alla questione oggi introdotta secondo cui depositi interrati non avessero un allacciamento proprio alla rete del gas e fossero in parte autoalimentati in quanto a corrente elettrica, che la circostanza pare ininfluente, in quanto pare evidente che, come correttamente motivano i giudici salernitani, vi sia differenza per l'ecosistema se, laddove prima c'era una caverna, ora ci sono 175 mq interamente piastrellati, muniti di tutti gli impianti, di sei celle frigo, di un ufficio, spogliatoi, wc e zona per il lavaggio delle stoviglie.

Si tratta di una valutazione che il Tribunale ha effettuato, con coerenza e logica, sulla base di dati fattuali acquisiti al fascicolo processuale al quale questa Corte di legittimità non ha accesso e che non possono essere oggetto di nuova o diversa valutazione in questa sede, così come le deduzioni difensive, pure articolate in fatto, concernenti la immutata ricettività della struttura di ristorazione.

Va ribadito, infine, che ciò che in ogni caso assume rilievo determinante (e non è stato oggetto di particolare menzione da parte del ricorrente), è la circostanza della ubicazione dell'intervento edilizio abusivo in area sottoposta a vincolo paesaggistico, in quanto tale evenienza, in base ai principi in precedenza riaffermati, rende ad avviso di questa Corte di per sè legittima la misura reale applicata indipendentemente dall'effettivo aggravio del carico urbanistico, stante la persistente incidenza sull'assetto del territorio vincolato determinata dall'esistenza stessa dell'opera abusiva e dalla sua utilizzazione.

6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di _ 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2015.