Cons. Stato Sez. VI sent. 7472 del 4 giugno 2004
Limiti di compatibilità fra tutela delle aree naturali e dei parchi naturali ed apertura , nelle stesse, di discariche.
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A N A
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez-VI) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul
ricorso in appello proposto da ENTE PARCO NAZIONALE DEL VESUVIO rappresentato
e difeso dal prof. avv. Mario Sanino, congiuntamente agli avvocati
Andrea Abbamonte e Giovanni Corporente, ed elettivamente domiciliato
in Roma presso lo studio Sanino viale Parioli n. 180 ;
contro
PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI in persona del Presidente del Consiglio pro tempore ;
PREFETTO
DI NAPOLI –DELEGATO PER L’EMERGENZA NEL SETTORE DELLO SMALTIMENTO DEI
RIFIUTI NELLA REGIONE CAMPANIA;
CONSORZIO
BACINO NAPOLI 4;
rappresentati
e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati per legge in Roma alla via dei Portoghesi n. 12;
e
nei confronti di
COMUNE
DI TERZIGNO e la REGIONE CAMPANIA non costituiti
ASSOCIAZIONE
ITALIANA PER IL WWF (WWF ITALIA ), associazione onlus, per gli effetti del
d.lgs. n. 460/1997, in persona del suo legale rappresentante pro tempore
rappresentata e difesa dall’avv. Libero Petrone congiuntamente o
disgiuntamente all’avv. Giovanni Corporente ed elettivamente domiciliata in
Roma presso Angelo Migliozzi, alla via Augusto Conti
n. 6- INTERVENTORE AD ADIUVANDUM;
FEDERAZIONE
ITALIANA DEI PARCHI E DELLE RISERVE NATURALI in persona del Presidente pro
tempore,
rappresentata
e difesa dall’avv. Agatino Cariola, ed elettivamente domiciliata in Roma
presso l’avv. Giovanni Serges, alla via Veneto n. 7;
per
l'annullamento
della
sentenza del Tribunale
Amministrativo Regionale della Campania- Napoli -
n. 1014
del 1999;
Visto
il ricorso con i relativi allegati;
Visto
l'atto di costituzione in giudizio dell’appellato;
Viste
le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti
gli atti tutti della causa;
Alla
camera di consiglio del 4 giugno 2004 relatore il Consigliere Giancarlo
Montedoro.
Uditi
l’avv. Gattamelata per delega dell’avv. Sanino e l’avv. dello Stato e
Palma;
Ritenuto
e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
F
A T T O
Con la sentenza impugnata il Tar della Campania ha rigettato il ricorso
proposto dall’Ente Parco Nazionale del Vesuvio, per l’annullamento, previa
sospensione, del provvedimento del Prefetto di Napoli, di data ed estremi
sconosciuti, con i quale si è ritenuto necessario disporre l’adeguamento a
discarica di prima categoria dell’invaso esistente all’interno della
discarica SARI di Terzigno, nonché , ove occorra, dell’interlocutoria del
Prefetto di Napoli, prot. 33658/DIS del 2/9/1997; nonché del provvedimento del
Prefetto di Napoli, di data ed estremi sconosciuti, con il quale si è approvato
il progetto per la realizzazione delle opere necessarie all’adeguamento a
discarica di prima categoria dell’invaso esistente all’interno della
discarica SARI di Terzigno, ed, in ultimo, ove necessario, dell’Ordinanza in
data 2/5/1997, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, solo ora lesiva
della posizione giuridica del ricorrente ente, nella parte in cui ( art. 4 comma
2 ) si è delegato il Prefetto di Napoli, nel rispetto dei principi generali
dell’ordinamento giuridico, ad adottare provvedimenti, anche in deroga agli
articoli 5,7,8 del d.p.r. 5/6/1995, in relazione alla necessità di adeguamento
a discarica di prima categoria dell’invaso esistente all’interno della
discarica SARI di Terzigno.
L’appello, articolato in otto motivi, critica la sentenza ,
ricostruisce la legislazione nazionale sui parchi, censura i provvedimenti
diretti a realizzare una discarica nell’area del Parco.
Si è costituita per le amministrazioni resistenti l’avvocatura
erariale, che resiste all’impugnazione e chiede la conferma della sentenza.
D
I R I T T O
L’appello è fondato per quanto di ragione.
La questione principale della causa attiene ai limiti di compatibilità
fra tutela delle aree naturali e dei parchi naturali ed apertura , nelle stesse,
di discariche.
Non v’è dubbio che uno dei provvedimenti più qualificanti adottato
dall’ordinamento in tema di protezione dell’ambiente sia la legge quadro
sulle aree protette, la legge 6 dicembre 1991 n. 394.
Si tratta di una legge cornice, o legge quadro, tipica attuazione del
previgente art. 117 Cost., una legge adottata in attuazione diretta degli
articoli 9 e 32 della Carta fondamentale, al fine di dettare principi
fondamentali per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al
fine di garantire e promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la
valorizzazione del patrimonio naturale del paese.
E’ stato notato in dottrina , con efficacia, che la protezione della
natura mediante il parco, è la forma più alta ed efficace tra i vari possibili
modelli di tutela dell’ambiente, il cui peggior nemico è senza dubbio la
produzione economica moderna.
Le idee di parco in senso moderno nascono negli Stati Uniti, e poi in
Europa, agli inizi del diciannovesimo secolo, ed appaiono legate ad una
filosofia di protezione integrale della natura, intesa come isola protetta,
riserva integrale, concezione di tipo radicalmente conservativo, mirante alla
cristallizzazione nel tempo del quadro paesistico e dell’ecosistema globale
del territorio.
Fin dall’origine il parco è legato all’idea di spazio
pubblico protetto, integralmente controllato, in modo da escludere forme di
interesse economico e lucrativo incompatibili con la missione di protezione
integrale della natura affidata al parco.
Certo la logica economica ed i mutamenti e le innovazioni tecnologiche
hanno consentito di superare in parte quella logica puramente conservativa,
tipica delle origini, e
fondante l’istituto del parco o dell’area protetta, ma non v’è
dubbio che ogni volontà di utilizzazione economica delle aree tutelate come
parchi naturali debba fare i conti con le esigenze di salvaguardia delle
caratteristiche essenziali del bene tutelato, spostandosi il centro di gravità
dalla protezione integrale allo sviluppo equilibrato ed eco-compatibile
dell’are protetta.
Non può in sostanza porsi in dubbio che la ragione d’essere della
delimitazione dell’area protetta risieda nell’esigenza di protezione
integrale del territorio e dell’eco-sistema e che, conseguentemente, ogni
attività umana di trasformazione dell’ambiente all’interno di un’area
protetta, vada valutata in relazione alla primaria esigenza di tutelare
l’interesse naturalistico, da intendersi preminente su qualsiasi indirizzo di
politica economica o ambientale di diverso tipo, sicché in relazione
all’utilizzazione economica delle aree protette non dovrebbe parlarsi di sviluppo
sostenibile ossia di sfruttamento economico dell’eco-sistema compatibile
con esigenza di protezione, ma, con prospettiva rovesciata, di protezione
sostenibile, intendendosi con tale terminologia evocare i vantaggi economici
che la protezione in sé assicura senza compromissione di equilibri economici
essenziali per la collettività, ed ammettere il coordinamento fra interesse
alla protezione integrale ed altri interessi solo negli stretti limiti in cui
l’utilizzazione del parco non alteri in modo significativo il complesso dei
beni compresi nell’area protetta.
Ciò premesso va rilevato che gli aspetti più qualificanti della legge
394 del 1991 sono l’individuazione del fondamento costituzionale della
protezione integrale della natura negli artt. 9 e 32 della Carta fondamentale ;
l’istituzione di alcuni parchi nazionali, tra cui il Parco Nazionale del
Vesuvio, il superamento di una concezione pan-urbanistica del territorio,
ponendosi il parco proprio come ambito nel quale è necessario evitare gli
effetti dell’antropizzazione, al fine di tutelare valori estetici,
scientifici, ecologici di raro pregio, la
priorità assegnata alla conservazione dell’ambiente, e ciò in sintonia
alle indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza costituzionale intervenuta in
materia di parchi.
Quanto poi alla concreta istituzione e gestione dei parchi, le procedure
relative sono improntate al rispetto del principio di leale collaborazione.
Come la Corte Costituzionale ha
numerose volte affermato (v. ad esempio sentenze n. 175 del 1976, e n. 1031 del
1988) l’istituzione di parchi nazionali coinvolge varie competenze, sia dello
Stato che delle regioni, le quali si atteggiano differentemente nei diversi
momenti in cui la procedura di istituzione si svolge (decisione istitutiva;
individuazione, provvisoria e definitiva, delle aree e determinazione dei
confini; stabilimento delle misure di salvaguardia; creazione di enti o autorità
di gestione, e così via) a seconda dell’incidenza delle relative
determinazioni sulle competenze statali e regionali. Quando si abbia a che fare
con competenze necessariamente e inestricabilmente connesse, il principio di «leale
collaborazione» — che proprio in materia di protezione di beni ambientali e
di assetto del territorio trova un suo campo privilegiato di applicazione —
richiede la messa in opera di procedimenti nei quali tutte le istanze
costituzionalmente rilevanti possano trovare rappresentazione.
Tuttavia, il primo momento del procedimento, cioè la decisione iniziale
che attiva le procedure in vista della creazione di uno specifico parco
nazionale (decisione che prelude ma non è ancora, come detto, l’«istituzione»),
attenendo alla cura di un interesse non frazionabile regione per regione, rileva
essenzialmente della competenza statale, quale espressione di tale interesse.
Tale competenza, il cui esercizio è finalizzato alla tutela dei valori protetti
dall’art. 9 Cost., può essere organizzata in modo che trovino espressione
punti di vista regionali e locali, quale integrazione degli elementi valutativi
a disposizione dell’istanza nazionale decidente e contributi in vista di
soluzioni condivise. Sarebbe tuttavia contraddittorio, rispetto al carattere
nazionale dell’interesse ambientale e naturalistico da proteggere, ritenere
che sia costituzionalmente dovuto l’assenso o l’intesa regionali o locali
dotati di forza giuridicamente condizionante.
In questo senso, la l. 6 dicembre 1991 n. 394 (legge quadro sulle aree
protette), per l’individuazione dei parchi naturali nazionali, dopo avere
affermato, in principio (art. 1, 5° comma), che «nella tutela e nella gestione
delle aree naturali protette, lo Stato, le regioni e gli enti locali attuano
forme di cooperazione e d’intesa ai sensi dell’art. 81 d.p.r. 24 luglio 1977
n. 616, e dell’art. 27 l. 8 giugno 1990 n. 142», e dopo avere stabilito (art.
2, 7° comma) che la classificazione e l’istituzione dei parchi nazionali è
effettuata «d’intesa» con le regioni, ha previsto procedure complesse di
dimensione nazionale, facenti capo agli organi dello Stato. Secondo l’art. 8,
1° comma, con decreto del presidente della repubblica, su proposta del ministro
dell’ambiente, sentita la regione, si provvede all’istituzione e alla
delimitazione definitiva dei parchi nazionali individuati e delimitati secondo
le modalità di cui all’art. 4 stessa legge. Tale ultima disposizione
prevedeva un «programma triennale per le aree naturali protette», nel cui
ambito era approvato (art. 5) l’elenco ufficiale delle aree naturali protette.
Il programma triennale e l’elenco ufficiale erano adottati dal comitato per le
aree naturali protette previsto dall’art. 3, come organo nazionale, costituito
con decreto del ministro dell’ambiente e da esso presieduto, e formato da
esponenti dell’amministrazione centrale e da rappresentanti delle regioni; in
mancanza dell’approvazione del programma entro il termine stabilito
dall’art. 4, 6° comma, si provvedeva direttamente con decreto del presidente
del consiglio dei ministri, previa deliberazione del consiglio dei ministri, su
proposta del ministro dell’ambiente (art. 4, 7° comma). Il programma
triennale e, conseguentemente, la procedura incentrata su di esso sono stati
successivamente aboliti con l’art. 76 d.leg. 31 marzo 1998 n. 112
(conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed
agli enti locali, in attuazione del capo I l. 15 marzo 1997 n. 59), il quale
poi, all’art. 77, riconosce rilievo nazionale ai compiti e alle funzioni in
materia di parchi naturali statali attribuiti allo Stato dalla legge quadro n.
394 del 1991 e, su questa premessa, li esclude dal conferimento alle regioni e
agli enti locali, a norma dell’art. 1, 4° comma 4, lett. c), l. 15 marzo 1997
n. 59, aggiungendo però, al 2° comma, che l’individuazione, oltre che
l’istituzione e la disciplina generale dei parchi nazionali, è operata «sentita
la conferenza unificata».
Parallelamente alla procedura amministrativa, la legge quadro sulle aree
protette, nelle sue disposizioni finali, prevede per l’intanto direttamente
l’«istituzione» di alcuni parchi nazionali (art. 34, 1° e 2° comma),
disciplinando, al 3° comma, le procedure attuative. L’individuazione di
parchi nazionali direttamente per legge, come il Parco nazionale del Vesuvio (
art. 34 comma 1 lett. f della legge n. 394/1991 ), anziché tramite procedimento
amministrativo, è espressione della posizione eminente del Parlamento nel
rappresentare l’interesse nazionale e dell’importanza dell’area protetta.
Essa indubbiamente non consente di inserire formalmente nel procedimento
legislativo che conduce alla decisione di istituire il parco la partecipazione
delle regioni e degli enti locali interessati; ma, fino a tanto che non si abbia
una distorsione degli apprezzamenti del legislatore e un evidente abuso della
sua funzione, con l’attribuzione ad aree evidentemente prive di valore
ambientale e naturalistico di importanza nazionale della qualificazione di parco
nazionale, la Corte Costituzionale ha sempre ritenuto
non vi sia motivo di negare al legislatore il potere di provvedere
direttamente all’istituzione di parchi nazionali.
D’altro canto, il provvedimento legislativo di istituzione del parco
non comporta di per sé ancora, come si è detto, l’interferenza concreta con
specifiche competenze regionali. E, per quanto riguarda il seguito, a norma
dell’art. 34, 3° comma, l. n. 394 del 1991, richiamato dalla legge impugnata,
per la delimitazione provvisoria del parco, il ministro dell’ambiente procede
sulla base degli elementi conoscitivi tecnico-scientifici disponibili, in
particolare, oltre che presso i servizi tecnici nazionali e le amministrazioni
dello Stato, presso le regioni; per l’adozione delle necessarie misure di
salvaguardia, poi, il ministro dell’ambiente procede previa consultazione
delle regioni e degli enti locali interessati; la delimitazione in via
definitiva è stabilita con decreto del presidente della repubblica, su proposta
del ministro dell’ambiente, sentita la regione (art. 8, 1° comma, l. n. 394
del 1991); il decreto istitutivo del presidente della repubblica, infine, è
adottato d’intesa con la regione. Il principio di leale collaborazione,
può utilmente essere invocato in relazione a sue eventuali violazioni
che in ipotesi si verifichino in tali momenti amministrativi successivi, ferma
restando la spettanza dei poteri di istituzione del Parco nazionale allo Stato e
la preminente importanza delle aree protette così definite.
In materia di compatibilità fra parchi e discariche, occorre ricordare
che l’art. 11 comma 3 della legge n. 394 del 1991 contiene l’iniziale
affermazione che l’apertura e l’esercizio di cave , di miniere e di
discariche, nonché l’asportazione di minerali sono vietate nei parchi
pubblici.
Il successivo quarto comma, però, ridimensiona fortemente la perentorietà
dell’affermazione, statuendo che il regolamento del Parco stabilisce eventuali
deroghe ai divieti di cui al comma 3.
Non vi è quindi un’incompatibilità assoluta fra
aree protette ed interventi invasivi quali l’attivazione e la
realizzazione di discariche nei parchi naturali, ma ciò nel rispetto del
principio generale che vuole garantita , per quanto possibile, in forma
tendenziale, la conservazione integrale dell’area protetta ed ammette
l’alterazione dell’ecosistema del parco solo in quanto non vi siano
alternative possibili alla scelta adottata ed in quanto sia garantita una
successiva bonifica e ripristino dell’area.
Ciò premesso in via generale, va rilevato che la controversia attiene
all’impugnativa di atti di ri-attivazione della discarica SARI, esistente nel
Comune di Terzigno, nell’area protetta del parco; discarica già esistente al
momento dell’istituzione del parco e chiusa nel 1994, a seguito dell’entrata
in vigore della legge regionale 10 febbraio 1993 n. 10.
La discarica insiste sulla coltre lavica del 1855, in cui sono presenti
reperti rilevanti sotto il profilo geologico, e, si sostiene da parte
dell’Ente Parco, la sua riattivazione contrasterebbe con esigenze di
risanamento ambientale dell’area e determinerebbe un impatto ambientale
notevole ( verbale della seduta del 5 maggio 1995 del Comitato di Gestione
provvisoria del Parco).
Gli atti prefettizi impugnati, ed in particolare la nota 2/9/1997 prot.
33658/DIS, dispongono l’adeguamento a discarica di alcuni invasi, ed in
particolare, per quanto qui interessa, dell’invaso
esistente all’interno della discarica SARI di Terzigno, ricadente in
zona 2 dell’area del Parco nazionale del Vesuvio.
Ciò per l’impossibilità di individuare siti alternativi nel bacino NA4 e
,nel contempo, per la dichiarata necessità
di ripartire lo smaltimento di rifiuti fra più invasi.
Il Prefetto di Napoli ha agito come commissario delegato per
l’emergenza rifiuti, giusta ordinanza della Presidenza del Consiglio dei
Ministri 2 maggio 1997, che , in via astratta, avrebbe consentito anche
l’intervento nell’area del Parco, in quanto l’art. 4 comma 2, della OPCM
citata così recita : “Il Prefetto di Napoli delegato può adottare, ove
necessario e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico,
provvedimenti anche in deroga agli articoli 5,7 ed 8 del d.p.r. 5/6/1995 ( atto
di costituzione del Parco nazionale del Vesuvio), in relazione alla necessità
di adeguamento a discarica di prima categoria dell’invaso esistente
all’interno della discarica SARI in provincia di Napoli.”
L’ente parco lamenta la mancata considerazione dell’ambiente, dei
valori costituzionali, censura gli atti prefettizi per eccesso di potere, e
prospetta pericolo per l’ecosistema del Vulcano, riportando la relazione
geologica del luglio del 1997, che evidenzia in sito fenomeni di crolli di
porzioni di roccia, condizioni di precaria stabilità, esistenza di colate
laviche, pericoli di dissesto idrogeologico.
La difesa erariale sostiene che non sussiste alcuna radicale
incompatibilità fra discariche e parchi naturali ed invoca l’ordinanza che ha
istituito il regime emergenziale, anche in deroga alle regole di gestione del
Parco; in ordine alla relazione del servizio geologico nazionale del mese di
luglio del 1997 rileva che essa conclude favorevolmente imponendo una serie di
prescrizioni.
Ritiene il Collegio che, scontata la legittimità dell’ordinanza della
Presidenza del Consiglio dei Ministri,
atteso che l’art. 4 dell’OPCM 2 maggio 1997 – come giustamente rilevato
dal Tar - si è limitato a derogare al procedimento autorizzatorio per
l’apertura delle discariche in situ già previsto dal d.p.r. 5 giugno 1995 ,
sia fondato il terzo motivo del ricorso in appello ( corrispondente al
terzo motivo del ricorso di primo grado) : ed infatti non v’è dubbio che
l’art. 4 comma 2 della OPCM del 2 maggio 1997 non attribuisce al Prefetto di
Napoli il potere di realizzare senz’altro la discarica in Terzigno, ma solo
“ove necessario” , con ciò evidenziando, anche in relazione alla necessità
di rispettare i principi generali dell’ordinamento giuridico ( che in materia
di aree protette, ne impongono, per quanto possibile, la conservazione
integrale), che la soluzione volta alla riattivazione della discarica
nell’ambito del parco, in via diretta, ed in deroga al procedimento
autorizzatorio, deve essere intesa come
extrema ratio, perseguibile solo dopo avere esperito tutte le indagini ed i
tentativi possibili per evitare tale alterazione dell’ambiente protetto.
In particolare come evidenziato dal ricorso in appello, vi sarebbero
altri siti disponibili in luoghi di minore pregio ambientale, ciò risulta, in
particolare, rispetto ai siti indicati dall’appellante, nel bacino Na3, ma
anche dalla relazione del 4 marzo
1998 inviata dalla Prefettura di Napoli all’Avvocatura Distrettuale dello
Stato di Napoli ( pag. 7) e prodotta dalla difesa erariale, ove si richiamano
gli accertamenti condotti per la scelta dei siti, e che , con riferimento al
bacino Napoli 4 nel quale insiste la discarica SARI , analizzano siti nel comune
di Ercolano, valutando positivamente ad es. il sito in località Novella Scappo
( allegato 12).
Ancor più pressante appare l’esigenza di valutare la soluzione
adottata solo con la logica della extrema ratio, in considerazione dei pericoli
di dissesto idrogeologico pure segnalati dalla citata relazione del servizio
geologico nazionale.
In sostanza non appare che gli atti prefettizi adottati con i quali si è
decisa la riattivazione della discarica nel parco siano assistiti da istruttoria
e motivazione adeguate, nonostante l’ampia partecipazione invero garantita
alle amministrazioni interessate, dovendosi procedere ad accertamenti che in via
definitiva accertino che nel bacino NA4 o in bacini limitrofi non vi sono altri
siti disponibili , non oggetto di tale penetrante forma di protezione a tutela
dell’ambiente.
Se ne impone quindi, in accoglimento del ricorso di primo grado,
l’annullamento.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio.
P.
Q. M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta,
accoglie il ricorso in
appello indicato in epigrafe, annulla la sentenza appellata, ed per l’effetto
accoglie il ricorso di primo grado, nei limiti indicati in parte motiva, ed
annulla gli atti prefettizi impugnati.
Compensa
tra le parti le spese di giudizio.
Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma, il 4 giugno 2004 dal
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di
Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Giorgio
GIOVANNINI
Presidente
Luigi
MARUOTTI
Consigliere
Giuseppe
ROMEO
Consigliere
Giuseppe
MINICONE
Consigliere
Giancarlo
MONTEDORO
Consiglie