Beloardo SrL (Ghiraldi) contro Cons. per la gestione della riserva naturale del Sebino (non cost.)
(Rigetta, Trib. Brescia, 27 marzo 2000).
CACCIA - ORDINAMENTO AMMINISTRATIVO - REGIONI - IN GENERE - Fauna selvatica - Ristoro del pregiudizio non altrimenti risarcibile - Legittimazione passiva della regione - Configurabilità - Illecito aquiliano -Legittimazione passiva del Comune per il risarcimento dei danni - Configurabilità - Portata - Richiesta di risarcimento ex art. 2043 cod.civ. nei confronti dell'autore del danno - Ammissibilità - Condizioni - Conseguenze - Fattispecie.
Il ristoro del danno non altrimenti risarcibile arrecato alla produzione agricola dalla fauna selvatica deve essere richiesto nei confronti della Regione, a norma dell'art. 26 della legge 11 febbraio 1992, n.157 (e, nel caso di specie, anche dell'art. 47 della legge regionale n. 26 del 1993 Regione Lombardia).Detta forma di compensazione dell'interesse leso ( qualificata dalle leggi regionali talvolta come risarcimento e talvolta come indennizzo) non rientra nell'ipotesi di responsabilità aquiliana, non trattandosi di danno ingiusto, non potendosi tuttavia escludere in astratto che, allorché tale danno abbia i caratteri dell'ingiustizia, di esso debba rispondere l'autore secondo i principi propri della responsabilità aquiliana.(Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ammesso la citazione ai sensi dell'art. 2043 cod.civ. del consorzio di comuni gestore della riserva avicola dalla quale provenivano gli uccelli che avevano prodotto danni alle colture, rilevando che l'intervento della Regione ex l. 157 del 1992 cit.era previsto solo in ipotesi di danno "non altrimenti risarcibile").
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo - Presidente -
Dott. PERCONTE LICATESE Renato - Consigliere -
Dott. TRIFONE Francesco - Consigliere -
Dott. DURANTE Bruno - Consigliere -
Dott. SEGRETO Antonio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BELOARDO SRL, in persona dell'Amministratore unico Nulli Vigo,
elettivamente domiciliata in ROMA Via Baldo degli Ubaldi 66, presso lo
studio dell'avvocato Vincenzo Rinaldi, difesa dall'avvocato Francesco
Ghiraldi, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
CONSORZIO PER LA GESTIONE DELLA RISERVA NATURALE DELLE DEL SEBINO TORBIERE;
- intimato -
avverso la sentenza n. 1004/00 del Tribunale di BFESCIA, prima sezione
civile emessa il 22/3/2000; depositata il 27/03/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/05/04 dal Consigliere Dott. Antonio SEGRETO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 25.11.1995 la
snc Beloardo conveniva davanti al pretore di Brescia il Consorzio per
la gestione della riserva naturale delle Torbiere del Serbino,
chiedendone al condanna al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c.,
assumendo che gli stornelli avevano danneggiato gravemente le colture
del suo fondo. Si costituiva il convenuto che eccepiva, fra l'altro, il
difetto di legittimazione passiva, in quanto la responsabilità per i
danni da fauna selvatica faceva capo alla regione, e contestava nel
merito la domanda. Con sentenza in data 26.7.1997 il pretore di Brescia
rigettava la domanda. Proponeva appello la snc Beloardo. Si costituiva
e resisteva il convenuto.
Il Tribunale di Brescia, con sentenza depositata il 9.4.2001, rigettava l'appello.
Riteneva il giudice di appello che era pacifico che gli stornelli
avessero causato danni alle colture dell'attrice e che il fondo della
stessa si trovava all'interno della riserva naturale, ma che tanto non
bastava per affermare la responsabilità aquiliana del consorzio;
che la fauna selvatica è di proprietà dello Stato, mentre le funzioni
di pianificazione e di coordinamento nonché la responsabilità
risarcitoria per i danni provocati dalla fauna selvatica è a carico
delle Regioni, ai sensi dell'art. 26 legge dello Stato n. 11/1992; che
norma analoga è contenuta nell'art. 47 della legge regione Lombardia n.
26/1993; che detto indennizzo spetta per il solo fatto di aver subito
un pregiudizio economico per il danneggiamento causato dalla fauna
selvatica,- che, se la domanda fosse stata proposta sotto questo
profilo, vi sarebbe stato il difetto di legittimazione passiva del
convenuto. Riteneva il tribunale che tuttavia la domanda era stata
proposta a norma dell'art. 2043 c.c. nei confronti del consorzio; che
era quindi necessario allegare e provare una responsabilità per colpa
del convenuto e quindi la violazione di un obbligo comportamentale
dello stesso ed il nesso di causalità fra quella violazione e l'evento
dannoso; che nella fattispecie non vi era stata nessuna allegazione in
merito ad una condotta o ad un'omissione del Consorzio, alla quale fare
riferimento ai fini di una sua responsabilità per colpa. Avverso questa
sentenza l'attrice ha proposto ricorso per Cassazione ed ha anche
presentato memoria, si è costituito l'intimato. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione
dell'art. 13 l. r. 30.11.1983 n. 86, che modificava la l. r. 27.7.1977
n. 33 in relazione all'art. 113 c.p.c. ed art. 2043 c.c. ed in
relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c..
Lamenta la ricorrente che la
sentenza impugnata, pur ritenendo in astratto concepibile una
responsabilità ex art. 2043 c.c. da parte del Consorzio di Comuni,
soggetto gestore dilla riserva per i danni non altrimenti risarcibili
arrecati alla produzione agricola dalla fauna selvatica e pur avendo
ritenuto provati e pacifici detti danni da stormi di stornelli nella
fattispecie, aveva poi escluso una responsabilità del consorzio.
Ritiene la ricorrente che nella fattispecie sussiste il danno ingiusto,
inteso come lesione di un interesse giuridicamente protetto e, poiché
la vigilanza della riserva naturale faceva capo al consorzio, egli
doveva rispondere di detti danni.
2,1. Ritiene questa Corte che il motivo sia infondato e che lo stesso vada rigettato.
Osserva preliminarmente questa Corte che l'art. 1 della legge statale
11 febbraio 1992, n. 157, contenente norme per la protezione della
fauna selvatica, dispone:
- che la fauna selvatica è patrimonio
indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità
nazionale ed internazionale (primo comma);
- che le regioni a
statuto ordinario provvedono ad emanare norme relative alla gestione ed
alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica (terzo comma).
Si deve aggiungere:
- che le regioni esercitano le funzioni amministrative di
programmazione e di coordinamento ai fini della pianificazione
faunistico - venatoria di cui all'articolo 10 dalla legge prima
richiamata e svolgono i compiti di orientamento, di controllo e
sostitutivi previsti dalla stessa legge e dagli statuti regionali. Alle
province spettano le funzioni amministrative in materia di. caccia e di
protezione della fauna secondo quanto previsto dalla legge 8 giugno
1990, n. 142, che esercitano nel rispetto della legge (art. 9).
L'art. 26 legge 11 febbraio 1992 n. 157 dispone infatti che "per far
fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati a la produzione
agricola ... dalla fauna selvatica .... è costituito a cura di ogni
regione un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti ... Le
regioni provvedono, con apposite disposizioni, a regolare il
funzionamento del fondo ... prevedendo per la relativa gestione un
comitato in cui siano presenti rappresentanti di strutture provinciali
delle organizzazioni professionali agricole maggiormente
rappresentative a livello nazionale e rappresentanti delle associazioni
venatorie nazionali riconosciute maggiormente rappresentative.
l
proprietario o il conduttore del fondo è tenuto a denunciare
tempestivamente i danni al comitato ... che procede entro trenta giorni
alle relative verifiche anche mediante sopralluogo o ispezioni e nei
centottanta giorni successivi alla liquidazione". Alle Regioni, quindi,
compete l'obbligo di predisporre tutte misure idonee ad evitare che gli
animali selvatici arrechino danni a persone o a cose e, pertanto,
nell'ipotesi d;. danno provocato dalla fauna selvatica ed il cui
risarcimento non sia previsto da apposite norme, la Regione può essere
chiamata a rispondere dei danni non altrimenti risarcibili.
2.2
Secondo la giurisprudenza prevalente il danno cagionato dalla fauna
selvatica, che ai sensi della l. 27 dicembre 1977 n 968 appartiene alla
categoria dei beni patrimoniali indisponibili dello Stato, non è
risarcibile in base alla presunzione stabilita nell'art. 2052 c.c.,
inapplicabile con riguardo alla selvaggina, il cui stato di libertà è
incompatibile con un qualsiasi obbligo di custodia da parte p.a., ma
solamente alla stregua dei principi generali della responsabilità
extracontrattuale di cui all'art. 2043 e, anche in tema di onere della
prova (Cass. 1 agosto 1991, n. 8470;
13 dicembre 1999, n. 13956; Cass. 14 febbraio 2000, n. 1638; Cass. 24.9.2002, n. 13907).
2.3. Quanto alla responsabilità delle Regioni, le S.U. di questa Corte
(n. 1050/2000) hanno osservato, sia pure in tema di regolamento di
giurisdizione, che non interferisce sulla questione la sentenza delle
Sezioni Unite n. 500 del 1999 in materia di "risarcibilità degli
interessi legittimi". Essa, infatti attiene pur sempre la
responsabilità aquiliana della p.a. per il risarcimento di un danno
ingiusto, a norma dell'art. 2043 c.c., per cui in siffatta ipotesi è
irrilevante se trattasi di un diritto soggettivo o di un interesse
legittimo o di altra posizione giuridica meritevole d. tutela secondo
l'ordinamento.
Nell'ipotesi del danno causato dalla fauna
selvatica, si è fuori dal paradigma della responsabilità aquiliana e
quindi per danno ingiusto. Neppure può essere invocato il divieto di
neminem laedere, posto dall'art. 2043 c.c., poiché nessun pirofilo di
illiceità, nel comportamento delle Amministrazioni, viene posto nella
norma statale o nelle norme regionali che prevedono il risarcimento o
l'indennizzo, nè sono previste circostanze qualificabili in termini di
dolo colpa, come la norma di cui all'art. 2043 c.c. invece richiede.
Per cui di volta in volta occorrerà esaminare se la legge ragionale che
prevede l'erogazione, individui la stessa come risarcimento, senza
alcun potere discrezionale della p.a., nel qual caso sussiste la
giurisdizione del giudice ordinario, ovvero se trattasi di un
indennizzo, rimesso nell'an e nel quantum ad un potere discrezionale
della p.a., nel qual caso sussiste un interesse legittimo, rientrante
nella giurisdizione del giudice amministrativo. Se, pertanto,
l'effettiva consistenza della posizione soggettiva dedotta deve essere
verificata con esclusivo riferimento a detta legislazione, deve
rilevarsi che la giurisprudenza al riguardo formatasi non è univoca:
hanno, infatti, qualificato in termini di diritto soggettivo la pretesa
del privato le sentenze di questa C.S. nn. 5501/91, 11173/95 e 7301/97
(tutte relative alla pregressa legge quadro 27.12.1977 n. 968 ed alla
legislazione regionale rispettivamente, della Lombardia, del Veneto e
della Toscana), n. 12901/98 (relativa invece al Parco lombardo della
Valle del Ticino di cui all'art. 15 legge quadro n. 394/91) e n. 587/99
S.U. (relativa alla legge quadro 11.2.1992 n. 157 ed alla legislazione
regionale della Lombardia); per contro è stata affermata la natura di
interesse legittimo relativamente a pretese risarcitorie avanzate
nell'ambito del Parco naturale della Maremma (Cass. 21.3.1983 n. 2246)
e del Parco nazionale d'Abruzzo (Cass. 23.11.1995 n. 12106), della
regione Emilia (Cass. S.U. n. 1232/2000), della regione Veneto (Cass.
S.U. n. 1050/2000), della regione Puglia (Cass. S.U. n. 559/2000). 3.1.
La sentenza delle S.U. 10/08/1999, n. 587, ha invece statuito, quanto
alla regione Lombardia, la giurisdizione del giudice ordinario per la
domanda di risarcimento nei confronti della regione sul rilievo che dal
contenuto degli art. 10 lettera f. e 26 della legge statale 11 febbraio
1992 n. 157 e 47 della legge della Regione Lombardia 16 agosto n. 26,
(conformi alle precedenti leggi dello Stato 27 dicembre 1977 e della
Regione Lombardia 31 luglio 1978 n. 47) risulta l'inesistenza di un
potere discrezionale dell'Amministrazione pubblica con riguardo all'an
e al quantum del risarcimento, da esse previsto a favore dei conduttori
dei fondi rustici, per i danni arrecati dalla fauna selvatica alle
produzioni agricole (si legge nell'art. 26: "Per fare fronte ai danni
non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola ... è
costituito un fondo destinato ... ai risarcimenti"; nell'art. 10
lettera f.; "I criteri per la determinazione del risarcimento in favore
dei conduttori..."; nell'art. 47: "risarcimento dei danni prodotti
dalla fauna selvatica ...").
3.2. L'art. 47 della legge regione
Lombardia n. 26/1993, nell'originaria formulazione, poneva a carico
della regione il risarcimento dei danni, non altrimenti risarcibili,
arrecati alla produzione agricola, attraverso la costituzione di un
fondo regionale, e secondo la procedura ivi prevista. Solo con la
modifica apportata dalla l. reg. n. 8/2003, al predetto art. 47, l. n.
26/1993, è stato sostituito il termine "risarcimento" con il termine
"indennizzo", ed esso è stato posto a carico delle province,degli
ambiti territoriali di caccia o dei comprensori alpini di caccia, dei
privati titolari di strutture, a seconda dei casi, per quanto
prelevando le somme da un fondo regionale. "La provincia, nei limiti e
con le modalità previste dal piano faunistico venatorio provinciale,
provvede .... alla liquidazione dei danni accertati". Ne consegue che,
quanto al risarcimento del danno, non altrimenti risarcibile, da fauna
selvatica verificatosi nella ragione Lombardia nel corso dell'anno
1994, come nella fattispecie, il risarcimento del danno può essere
domandato solo alla regione stessa, a norma dell'art. 47 l. regionale
n. 26/1993, nell'originaria formulazione. 3.3 Sennonché proprio perché
la norma prevede detto risarcimento ad opera della regione solo nel
caso di danni, non altrimenti risarcibili, come sopra detto e come
ritenuto dalla dottrina prevalente, detta forma di risarcimento o di
indennizzo (secondo i casi) non rientra nell'ipotesi di responsabilità
aquiliana, non trattandosi di danno ingiusto, in quanto nel
bilanciamento degli interessi ha la prevalenza l'interesse pubblico
alla tutela dell'ecosistema.
L'attivazione della responsabilità
aquiliana non dipende in via esclusiva dal verificarsi di un danno, ma
è subordinata alla formulazione di un giudizio di disvalore (Cass. S.U.
n. 500/1999), nel bilanciamento dei contrapposti interessi, che
determina che il danno sia prodotto non iure. Pertanto, nell'ipotesi in
cui il danno venga configurato dal legislatore quale sacrificio imposto
al soggetto l'interesse pubblico e la valutazione dell'evento
pregiudizievole sfoci non già in un giudizio di disvalore bensì in una
qualificazione giuridica del fatto lesivo, come ispirato a detto
interesse pubblico,e quindi compiuto iure, è fuori dalla tutela
aquiliana e costituisce una forma di cempensazione dell'interesse leso,
ove anche definita atecnicamente "risarcimento", integrando una tutela
indennitaria, con funzione compensativa dovuta per un danno non
antigiuridico.
Ne consegue che, anche nelle ipotesi in cui la
legislazione ragionale faccia riferimento a "risarcimento del danno"
provocato dalla fauna selvatica ed esso sia determinato nell'an e nel
quantum (con conseguente giurisdizione del giudice ordinario, secondo
il riparto della stessa effettuato dalla giurisprudenza delle S.U.), si
è fuori dall'ipotesi della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c..
4.1. Ciò non esclude che in astratto, allorché detto danno abbia i
caratteri dell'ingiustizia, di esso debba rispondere l'autore, secondo
i principi propri della responsabilità aquiliana, ai sensi dell'art.
2043 c.c..
Infatti, come sopra visto, sia la legge statale che la
normativa della regione Lombardia (per quanto attiene al caso in
esame), pongono a carico della regione il risarcimento del danno "non
altrimenti risarcibile" .
Solo in questi termini, come esattamente
ha rilevato la sentenza impugnata, può ritenersi ammissibile nei
confronti del Consorzio convenuto la domanda proposta, e cioè quale
demanda avanzata ai sensi dell'art. 2043 c.c..
Sennonché perché
possa essere accolta detta domanda occorre che siano anche dedotti e
provati la condotta colposa (o dolosa) del consorzio convenuto ed il
nesso di causalità tra dotta condotta e l'evento dannoso.
La sola prova del danno di per sè non integra la responsabilità di cui all'art. 2043 c.c..
4.2. Ritiene la ricorrente che detta condotta colposa del consorzio
convenuto consisterebbe nell'aver omesso i comportamenti cui lo stesso
era tenuto a norma dell'art. 13 della legge regionale Lombardia n.
86/1983.
L art. 13 detto prevede che la gestione delle riserve sia
affidata, come è avvenuto nella specie, ad un consorzio fra gli enti
interessati e dispone tra l'altro che "il gestore provveda alla
vigilanza ai sensi del successivo art. 26".
Quest'ultima norma
statuisce che "la vigilanza sull'osservanza dei divieti e delle
prescrizioni in materia di tutela dell'ambiente naturale .... è
esercitata dagli enti che gestiscono le rispettive aree protette,
tramite il proprio personale, a ciò preposto". L'obbligo di vigilanza
predetto, quindi, non attiene anzitutto all'impedire che la fauna
selvatica cagioni danni ai fondi privati. Inoltre, ed in ogni caso,
l'attrice avrebbe dovuto dedurre quale comportamento positivo concreto
avrebbe dovuto tenere (e che, invece, non avrebbe tenuto) il soggetto
obbligato alla vigilanza per impedire che nella fattispecie gli
stornelli causassero danni alle colture della convenuta. Tanto , come
rilevato dalla sentenza impugnata, non è stato ne' alligato ne' provato.
Nè il ricorrente nel ricorso assume di aver alligato o provato forme di
colpa generica consistente in imperizia, imprudenza o negligenza del
convenuto consorzio.
5 Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Esistono giusti motivi per compensare per intero tra le parti spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, il 20 maggio 2004.
Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2004