Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2238, del 22 aprile 2013
Elettrosmog.Installazione d’impianti radioelettrici consenso del proprietario e sanzioni penali

Il combinato degli artt. 90, 91 e 92 del D.lgs. n.259/2003: “Codice delle Comunicazioni elettroniche”, relativi alla procedura di espropriazione in caso di mancato consenso del proprietario, dispone che detto consenso, ove non si faccia luogo dell’espropriazione, debba essere richiesto e ottenuto in quanto necessario ai fini dell’autorizzazione dell’impianto. Più in generale il consenso dei proprietari degli immobili interessati ad attività edilizia, che ricomprende l’installazione degli impianti radioelettrici, è principio generale del nostro ordinamento desumibile dall’art. 11 del D.P.R. n.380 del 2001, volto a tutelare la ordinata gestione del territorio e la tutela della proprietà privata e dunque deve configurarsi come presupposto di carattere sostanziale di avvio del procedimento e non un suo aggravio. Inoltre, le infrastrutture di comunicazione elettronica specificate al co.1 dell’art. 87 del d.lgs. n.259/2003 restano sottoposte pur sempre, alle sanzioni penali specifiche delle opere soggette a permesso di costruire di cui all’art. 44 del T.U. n.380/2001 in quanto il mutamento della disciplina per l’abilitazione all’intervento edilizio non incide, sulla disciplina sanzionatoria penale, che non viene correlata alla tipologia del titolo abilitativo, bensì alla consistenza concreta dell’intervento; correlativamente, se sono applicabili le sanzioni penali, a maggior ragione devono ritenersi applicabili anche le sanzioni amministrative di competenza del Comune. Il fatto che l’art. 87 del D.lgs. n.359/2003 preveda che dopo 90 giorni l’intervento debba intendersi assentito per silenzio assenso, non comporta l’assimilazione della procedura alla DIA e non esclude che la disciplina sanzionatoria sia quella relativa al permesso a costruire. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02238/2013REG.PROV.COLL.

N. 03577/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3577 del 2012, proposto da: 
Wind Telecomunicazioni s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Sartorio, con domicilio eletto presso Giuseppe Sartorio in Roma, via Luigi Luciani n.1;

contro

Comune di Monterotondo in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Alessandra Mari, con domicilio eletto presso Alessandra Mari in Roma, via S. Anastasia, n.7;

nei confronti di

Arnaldo Rosati, Sofia Rosati, rappresentati e difesi dagli avv. Gaetano Lepore, Maria Claudia Lepore, con domicilio eletto presso Gaetano Lepore in Roma, via Cassiodoro n.6;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA SEZIONE II BIS n. 01141/2012



Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Monterotondo, e dei signori Arnaldo Rosati e di Sofia Rosati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2013 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Sartorio, Mari e Lepore Gaetano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto davanti al Tar del Lazio, sede di Roma e successivi motivi aggiunti, la società per azioni Wind Telecomunicazioni (d’ora in poi Wind) aveva impugnato, proponendo una serie di censure di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere, i seguenti atti:

-la nota prot. 19569 del 5.5.2010 con la quale il Comune di Monterotondo, in relazione alla comunicazione inoltrata da Wind in data 4.5.2010 per l’esecuzione di lavori di adeguamento/reinstallazione dell’impianto di telecomunicazioni sul fabbricato di Via Matteotti 17/19, aveva diffidato la società stessa a non porre in essere alcuna ulteriore attività “in quanto priva di autorizzazione all’installazione”;

-la determinazione prot. 17745 del 22.4.2010, con la quale il medesimo Comune aveva annullato il silenzio - assenso formatosi sulla richiesta di autorizzazione prot. n. 12155 del 13 marzo 2008 ai sensi del D. Lgs. n. 259/2003 per l’esecuzione di lavori di adeguamento/reinstallazione dell’impianto di telecomunicazioni sul fabbricato di Via Matteotti 17/19;

-l'ordinanza n. 8 del 22.06.2010, con cui il Comune di Monterotondo aveva ordinato la demolizione e la riduzione in pristino dell’impianto di telecomunicazioni realizzato e attivato da Wind sul fabbricato di Via Matteotti n.17/19 entro il termine perentorio di giorni novanta “considerato che, in conseguenza dell’annullamento del silenzio assenso, la stazione radio base risulta priva del titolo edilizio e pertanto ricorrono i presupposti di fatto e di diritto per ingiungere la demolizione delle predette opere abusive ed il ripristino dello stato dei luoghi”.

Si costituivano in giudizio il Comune di Monterotondo nonché i signori Arnaldo e Sofia Rosati.

Il Tar, esaminati analiticamente i vari motivi dedotti, respingeva il ricorso.

Nell’atto di appello la società Wind assume la erroneità della sentenza sotto molteplici profili.

Si è costituito il Comune di Monterotondo chiedendo una pronunzia di inammissibilità e nel merito di infondatezza dell’appello.

Si sono altresì costituiti i signori Rosati.

Alla pubblica udienza dell’8 febbraio 2013 la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. La società Wind, sulla base di un contratto di sublocazione stipulato con la società di gestione di un albergo sito in Monterotondo, intendendo procedere alla installazione di un impianto di telefonia mobile mediante la realizzazione di un sistema di antenne, presentava al Comune un’istanza di autorizzazione ex art. 87 del D. Lgs. n. 259/2003.

Con atto prot. n. 44333 del 29.9.2009, il Comune di Monterotondo si pronunziava negativamente sull’istanza di autorizzazione; tuttavia a seguito di impugnativa in sede di ricorso straordinario, con il successivo provvedimento prot. n. 9466 dell’1.3.2010, l’amministrazione annullava il predetto diniego avviando un ulteriore procedimento di annullamento in autotutela del titolo originario formatosi per silenzio-assenso.

Detto procedimento si concludeva con l’annullamento dell’autorizzazione, basato sostanzialmente sul motivo che i proprietari dell’immobile avevano negato che la locatrice Emis Immobiliare srl avesse titolo a sublocare parte dell’immobile a Wind per l’uso in questione, per cui il titolo in questione si era formato in assenza dei requisiti richiesti dalla normativa vigente.

A detto annullamento facevano seguito altri atti conseguenziali tra cui l’ordine di demolizione parimenti impugnati con il ricorso e con i motivi aggiunti.

3. La Sezione ritiene di superare i profili di inammissibilità sollevati dal Comune di Monterotondo in quanto il ricorso è infondato nel merito.

Con il primo motivo l’appellante critica il passaggio della sentenza in cui il primo giudice, nell’esaminare i primi due motivi di impugnativa riteneva che la questione privatistica, la quale costituiva il presupposto di tutta la conseguente attività dell’Amministrazione, rientrava legittimamente nella cognizione del giudice amministrativo in via incidentale in base all’art. 8 del codice del processo amministrativo.

Secondo l’appellante il giudice amministrativo ed anche la stessa autorità amministrativa in sede di rilascio di provvedimenti può sì svolgere indagini sulla titolarità di diritti di carattere civile, ma nei limiti di un sindacato incidentale ai sensi dell’art. 8 del codice del processo amministrativo, senza però sconfinare nella tutela dei diritti riservata alla autorità giudiziaria ordinaria e quindi limitandosi a svolgere accertamenti e eventuali valutazioni sulle situazioni giuridiche quali appaiono da fatti e da atti che l’ordinamento appresta per dare concretezza alle situazioni stesse. In ogni caso al giudice amministrativo sarebbe precluso di accertare o costituire, modificare o estinguere fatti o atti modificativi delle medesime situazioni giuridiche.

Calando i principi di cui sopra al caso di specie, secondo l’appellante, il Comune aveva il potere-dovere di accertare la legittimazione della Wind a richiedere l’autorizzazione alla realizzazione dell’impianto di pubblica utilità sul lastrico solare dell’albergo, dovendo tuttavia limitare la propria indagine alla esistenza e ai contenuti oggettivi del contratto di sublocazione regolarmente esibito dalla stessa Wind in sede di domanda del titolo ad aedificandum. Dalla semplice visione del contratto emergeva che la società Emis, che attualmente detiene e gestisce l’albergo, aveva ritualmente concesso in sublocazione alla società di telefonia l’uso della limitata porzione di lastrico solare per la realizzazione dell’impianto di telefonia.

In seguito intervenivano nel procedimento soggetti terzi, i signori Rosati, proprietari, ma non detentori dell’immobile, i quali senza avere impugnato il titolo abilitativo dell’appellante e sollevando una questione interpretativa di un diverso contratto stipulato tra parti estranee al rapporto principale poi dedotto nel giudizio amministrativo, secondo la prospettazione dell’appellante richiedevano ed ottenevano che il Comune di Monterotondo si ergesse a giudice del rapporto locativo in essere tra essi e la Emis, interpretando una clausola contrattuale riguardante i limiti e la estensione del potere di sublocare attribuito alla società detentrice e giungendo così ad annullare in autotutela un atto amministrativo valido ed efficace rilasciato in favore di un soggetto estraneo al rapporto privatistico dedotto.

Il primo giudice anziché censurare il dedotto sviamento di potere del Comune avrebbe finito per conoscere una questione incidentale non direttamente riguardante le due parti in causa e il rapporto dedotto in giudizio bensì involgente la interpretazione della volontà contrattuale espressa in un contratto stipulato tra due parti diverse (Rosati e Emis), concretizzando così un palese difetto di giurisdizione.

Conclusivamente l’appellante soc. Wind lamenta che la sentenza impugnata sarebbe viziata per un difetto di giurisdizione in quanto il giudice così come il Comune avrebbero dovuto limitare la propria indagine alla astratta idoneità del contratto di sublocazione ad essere titolo idoneo a garantire la disponibilità dell’immobile senza potere verificarne la idoneità in concreto.

4. Tali argomentazioni tuttavia non sono condivisibili.

La sentenza del primo giudice, nell’ambito dei poteri riconosciuti al giudice amministrativo dall’art.8 del codice del processo amministrativo, di conoscere la questione incidentale necessaria per risolvere quella principale, si è limitato a prendere atto che la facoltà di sublocare l’immobile era espressamente ed oggettivamente circoscritta alle attività turistiche, alberghiere e ristorative, dettagliatamente elencate nel certificato camerale della società Emis Immobiliare. Sicchè emerge che non vi era alcuna attinenza tra le suddette attività e la realizzazione e gestione di un impianto volto alla trasmissione del segnale di telefonia mobile.

Analoghe considerazioni la sentenza effettuava con riferimento all’operato del Comune di Monterotondo, che si era limitato a prendere atto di alcuni elementi ostativi emergenti dalla semplice lettura degli atti del procedimento, introdotti dalle parti che ne avevano interesse.

Il Consiglio di Stato ha rilevato che in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste, in generale, l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto, da parte dell’istante, dei limiti privatistici a condizione che tali limiti siano immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei rapporti tra i condomini (v., ex plurimis, Sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6332; Sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1654).

Se, dunque, l’amministrazione normalmente non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza di una richiesta edificatoria presentata da un comproprietario, al contrario, qualora uno o più comproprietari si attivino per denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio del titolo edificatorio, il Comune è tenuto a verificare se, a base dell’istanza edificatoria, sia riconoscibile l’effettiva sussistenza della disponibilità del bene oggetto dell’intervento edificatorio (VI, 20 dicembre 2011 n.6731).

Applicando al caso di specie tali principi giurisprudenziali, correttamente il Comune di Monterotondo, venuto a conoscenza dei particolari accordi che erano stati stipulati tra i signori Rosati e la società Emis Immobiliare in caso di eventuale sublocazione, ha provveduto a verificare tale circostanza in modo da poter accertare se il contratto di sublocazione presentato da Wind fosse un titolo astrattamente idoneo ad assicurare la disponibilità dell’immobile, peraltro limitandosi ad un esame, per così dire esterno, del contenuto oggettivo di tale contratto.

Pertanto correttamente il giudice si è mosso nell’ambito circoscritto riconosciuto dall’art. 8 del codice del processo amministrativo conoscendo e prendendo atto della esistenza di accordi tra le parti interessate, ma non invadendo affatto, come sostenuto dalla appellante, il potere giurisdizionale del giudice ordinario

Il primo e fondamentale motivo di appello deve quindi essere respinto.

5. Con il secondo e terzo motivo la società Wind si duole che il Comune non abbia applicato il principio di conservazione degli atti giuridici e di buon andamento per non avere riesaminato l’autorizzazione illegittima e verificato se era possibile sanarla. Anche tali doglianze, variamente articolate dall’appellante, non meritano accoglimento.

L sezione osserva che il Comune, nella comunicazione di avvio del procedimento, aveva evidenziato la mancanza di un presupposto di carattere sostanziale e cioè di un titolo idoneo attestante la disponibilità dell’immobile interessato dal progetto e tale circostanza non si configurava, secondo quanto dedotto dalla società, come una sorta di fase viziata del procedimento suscettibile di sanatoria tramite ripetizione o integrazione, implicando invece un comportamento operoso da parte di Wind, che è mancato o non è andato a buon fine. Ed infatti Wind avrebbe dovuto attivarsi per raggiungere un accordo con i proprietari dell’immobile in modo da acquisire al procedimento l’elemento mancante e cioè la mancanza del titolo di disponibilità. D’altro canto, nel bilanciamento degli interessi, quello relativo al rispetto del titolo di proprietà non poteva, contrariamente a quanto sostenuto dalla società, considerarsi recessivo rispetto all’interesse della medesima società alla realizzazione dell’impianto di telefonia mobile, pur tenuto conto della corsia privilegiata riservata dal legislatore a siffatti generi di impianti. Si tenga poi conto, sotto altro profilo non meno importante, che nel procedimento di annullamento in autotutela erano anche emersi indizi circa la mancata tenuta statica dell’immobile in caso di realizzazione dell’impianto, circostanza che viepiù imponeva al Comune una particolare cautela a protezione anche della pubblica incolumità.

6. Nel quarto e quinto motivo di appello la società Wind insiste nel sottolineare che la disciplina della autorizzazione prevista dal D.lgs. n.259/2003 non presuppone un consenso del proprietario e cioè l’esistenza di un titolo idoneo a dimostrare la disponibilità dell’immobile interessato dall’intervento, ma solo dei documenti e delle informazioni elencate nell’allegato 13/A a detto Decreto legislativo, integrando, la richiesta del consenso del proprietario, un aggravio del procedimento in violazione dell’art. art.1 della legge n.241/1990.

Anche tali motivi non meritano accoglimento venendo in applicazione al riguardo il combinato degli artt. 90, 91 e 92 del D.lgs. n.259/2003 relativi alla procedura di espropriazione in caso di mancato consenso del proprietario: è implicito che detto consenso, ove non si faccia luogo dell’espropriazione, debba essere richiesto e ottenuto in quanto necessario ai fini dell’autorizzazione dell’impianto.

Più in generale il consenso dei proprietari degli immobili interessati ad attività edilizia è principio generale del nostro ordinamento desumibile dall’art. 11 del D.P.R. n.380 del 2001, volto a tutelare la ordinata gestione del territorio e la tutela della proprietà privata e dunque deve configurarsi come presupposto di carattere sostanziale di avvio del procedimento e non un suo aggravio.

7. Nel sesto motivo la società Wind censura la sentenza appellata per avere ritenuta legittima la ordinanza di demolizione emessa dal Comune ed in specie:

- per avere erroneamente applicato il regime sanzionatorio di cui all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 (opere realizzate in assenza di permesso di costruire), laddove, secondo la società, le sanzioni edilizie non si applicano alla materia disciplinata dal D. Lgs. n. 259/2003 e dalla L. n. 36/2001;

- anche a voler applicare il D.P.R. n. 380/2001, il riferimento andrebbe piuttosto individuato negli artt. 37 (“Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio attività e accertamento di conformità”) e 38 (“Interventi eseguiti in base a permesso annullato”), nella parte in cui prevedono l’applicazione di una sanzione pecuniaria;

- non potrebbe consentirsi agli enti locali il potere di incidere in maniera così radicale su un impianto che è diretto a garantire la diffusione del segnale telefonico di pubblica utilità, per il quale al più è consentita la disattivazione, che comunque spetterebbe all’Amministrazione centrale;

- occorrerebbe infine tenere conto del disposto dell’art. 2933 c.c., che impedisce la distruzione della cosa ove la stessa sia di pregiudizio all’economia nazionale.

Tutte le censure di cui sopra non meritano accoglimento.

La sezione osserva come nel nostro ordinamento non è possibile escludere a priori ogni possibile rilevanza, quantomeno concorrente, dell’ordinario regime sanzionatorio edilizio, con riferimento alle strutture del genere di quella in esame, in quanto anche siffatti manufatti sono potenzialmente suscettibili di incidere sull’assetto del territorio e sulla estetica e stabilità degli immobili.

Anche la giurisprudenza della Cassazione Penale ha rilevato che “…le infrastrutture di comunicazione elettronica specificate al co.1 dell’art. 87 del d.lgs. n.259/2003 restano sottoposte pur sempre, alle sanzioni penali specifiche delle opere soggette a permesso di costruire” di cui all’art. 44 del T.U. n.380/2001 in quanto “Il mutamento della disciplina per l’abilitazione all’intervento edilizio non incide, infatti, sulla disciplina sanzionatoria penale, che non viene correlata alla tipologia del titolo abilitativo, bensì alla consistenza concreta dell’intervento” (Cass. Pen. III, 16.9.2005 n.33735); correlativamente, se sono applicabili le sanzioni penali, a maggior ragione devono ritenersi applicabili anche le sanzioni amministrative di competenza del Comune.

Il fatto che l’art. 87 del D.lgs. n.359/2003 preveda che dopo 90 giorni l’intervento debba intendersi assentito per silenzio assenso poi non comporta la assimilazione della procedura alla DIA e non esclude che la disciplina sanzionatoria sia quella relativa al permesso a costruire.

Esattamente quindi il primo giudice ha richiamato come termine di riferimento normativo la disposizione dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001, co. 1, applicabile, in specie, per la parte relativa alla riduzione in pristino che con riferimento alle antenne è normalmente praticabile e non applicabile per la parte relativa alla rimozione di vizi procedurali venendo in rilevo la mancanza di un presupposto sostanziale quale la disponibilità di un titolo di disponibilità.

Né appare conferente il richiamo alla nota del Ministero delle Comunicazioni del 28.2.2003 che si riferisce al caso in disattivazione e spostamento di antenne già autorizzate e che vengano gestite in difformità alle autorizzazioni ricevute o alle norme applicabili mentre il caso in esame attiene ad una antenna priva di autorizzazione in una fattispecie rientrante nel potere di controllo del territorio spettante al Comune.

Inapplicabile è infine l’art. 2933 secondo co. che si riferisce ad ipotesi del tutto eccezionali, di beni volti a produrre e distribuire ricchezza la cui distruzione recherebbe un danno irreparabile all’economia nazionale là dove il caso esame attiene ad un semplice smantellamento di una antenna facilmente allocabile in altro luogo.

8. Sull’ultimo motivo di impugnazione relativo all’asserito mancato avvio del procedimento con riferimento all’ordine di demolizione si richiama l’art. 21-octies della legge 241/1990 che prevede che la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento non costituisce motivo di annullamento qualora la amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato.

Peraltro la Wind aveva partecipato al procedimento di annullamento ed, in tale sede, aveva già presentato le proprie osservazioni, per cui l’esito del procedimento volto alla emissione dell’ordine di demolizione non avrebbe potuto avere un esito differente neppure sotto tale profilo.

9.In conclusione l’appello è infondato e va pertanto rigettato.

10. Spese ed onorari tuttavia, per la peculiarità e l’andamento della vicenda, possono essere compensati.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore

Hadrian Simonetti, Consigliere

Dante D'Alessio, Consigliere

Alessandro Palanza, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 22/04/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)