Cass. Sez. III n. 23701 dell’8 giugno 2009 (Cc 11 mar. 2009)
Pres. Onorato Est. Marmo Ric. Odion
Rifiuti. Veicoli fuori uso
A seguito dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 209 del 2003, con il quale è stata recepita in Italia la direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, deve essere considerato fuori uso sia il veicolo di cui il proprietario si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi, sia quello destinato alla demolizione, ufficialmente privato delle targhe di immatricolazione, anche prima della materiale consegna a un centro di raccolta, nonché quello che risulti in evidente stato di abbandono, anche se giacente in area privata. L’attività di raccolta di veicoli fuori uso in assenza di autorizzazione, già prevista come reato dall’art, 51, comma primo lettera a del D.Lgv. n. 22 del 1997 è nuovamente considerata tale dall’art. 256 comma primo D.Lgv. n. 152 del 2006.
Pres. Onorato Est. Marmo Ric. Odion
Rifiuti. Veicoli fuori uso
A seguito dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 209 del 2003, con il quale è stata recepita in Italia la direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, deve essere considerato fuori uso sia il veicolo di cui il proprietario si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi, sia quello destinato alla demolizione, ufficialmente privato delle targhe di immatricolazione, anche prima della materiale consegna a un centro di raccolta, nonché quello che risulti in evidente stato di abbandono, anche se giacente in area privata. L’attività di raccolta di veicoli fuori uso in assenza di autorizzazione, già prevista come reato dall’art, 51, comma primo lettera a del D.Lgv. n. 22 del 1997 è nuovamente considerata tale dall’art. 256 comma primo D.Lgv. n. 152 del 2006.
Fatto e diritto
Con decreto del 13 ottobre 2008 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona convalidava il sequestro preventivo disposto in via di urgenza dalla Guardia di Finanza di Verona in data 6 ottobre 2008 e disponeva il sequestro preventivo di un’area della superficie di circa 3.000 mq. sita in Palù, via Pila Acquabona, nei confronti di Odion Osas Mark, indagato con altra persona in relazione ad un’attività di gestione di rifiuti e veicoli fuori uso non autorizzata, nonché di spedizioni transfrontaliere e traffico illecito di rifiuti in violazione: a) dell’art. 256 comma 1, lettere a e b, del D.lgs. n. 152 del 2006 e 81 cpv. 110 c.p.; b) dell’art. 259, comma 1, D.lgs. n. 152 del 2006, 81 cpv. e 110 c.p.; c) dell’art. 260, comma 1 del D.lgs. n. 152 del 2006, 81 cpv. 110 c.p.; d) dell’art. 13, comma 1 del D.lgs. n. 209 del 2003, 81 cpv. c.p. 110 c.p. (per fatti accertati in Verona il 6 ottobre 2008).
Con ordinanza del 7 novembre 2008 il Tribunale del riesame convalidava il sequestro preventivo.
Ha proposto ricorso per cassazione Odion Osas Mark chiedendo l’annullamento dell’impugnata ordinanza.
Tanto premesso il Collegio rileva che, con il primo motivo, il ricorrente rileva che il Tribunale di Verona, sotto il profilo indiziario, aveva ritenuto che i beni rinvenuti sul terreno fossero da considerare come rifiuti e veicoli fuori uso non autorizzati e che quindi sussistesse il fumus in ordine alle violazioni degli artt. 256, comma 1, lettera a e b, dell’art. 259, comma 1, dell’art. 260, comma i del D.lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 e dell’art. 13, comma 1 del D.lgs. n. 209 del 24 giugno 2003.
Rileva il ricorrente che, ai sensi dell’art. 2 del DPR del 10 settembre 1982, n. 915, si definiva come rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umana o da cicli naturali, abbandonato o destinato all’abbandono e che nella definizione data da tale decreto presidenziale emergeva chiaramente l’associazione tra il concetto di rifiuto e quello di abbandono. Successivamente, con il D.lgs. del 5 febbraio 1997, n., 22, in attuazione anche della Direttiva 91/156/CEE, è stato definito come rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi.
Su questa materia la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, con la sentenza 11 novembre 2004, nella causa C 457/02 si era pronunciata espressamente affermando che” affinché un residuo di produzione o di consumo sia sottratto alla qualifica di rifiuto sarebbe sufficiente che esso sia o possa essere riutilizzato in qualunque ciclo di produzione o di consumo, vuoi in assenza di trattamento preventivo e senza danni all’ambiente, vuoi previo trattamento, ma senza che occorra tuttavia un’operazione di recupero”.
La normativa italiana attualmente in vigore, ossia il D.lgs. del 3 aprile 2006, n. 152 all’art. 183, comma 1, prevede che si debba intendere per rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi.
Rileva il ricorrente che, alla luce di tale normativa, non era possibile sussumere il fatto attribuitogli in nessuna fattispecie di reato contestata poiché soltanto nel caso in cui i beni gestiti dall’indagato dovessero considerarsi rifiuti e veicoli fuori uso non autorizzati potrebbero eventualmente configurarsi i reati contestati. Nel caso in esame invece, rileva il ricorrente, i beni gestiti da esso indagato non erano assolutamente trattati come rifiuti e come veicoli fuori uso non autorizzati, ma come merci destinate alla spedizione, rientrando tale attività tra quelle svolte dall’impresa del ricorrente. L’autoveicolo guasto ma riparabile o usato da vendere a terzi non può essere infatti qualificato come rifiuto ma lo è soltanto nel caso in cui si trovi nelle condizioni tali da non conservare più tale caratteristica.
Nel caso in esame si trattava di beni che lo stesso ricorrente recuperava per poi riutilizzare nell’ambito delle attività consentite dalla legge che svolgeva l’impresa di cui egli era titolare, non risultava che fossero stati trattati come rifiuti o come veicoli fuori uso e non autorizzati, sicché non sussisteva il fumus commissi delicti .
Rileva il Collegio che il motivo è infondato.
Il Tribunale del riesame, infatti, a fronte di analoghi rilievi dell’indagato, con adeguata motivazione, dopo aver rilevato che ai fini del provvedimento di sequestro è sufficiente sussistenza del fumus ovvero dell’astratta configurabilità dei reati contestati (SU 29 gennaio 1997 n. 23) ha rilevato che nel caso in esame i reati configurati erano sicuramente ipotizzabili posto che dalle indagini espletate direttamente dai verbalizzanti, dall’esame del materiale fotografico, dalle dichiarazione acquisite, dalla presenza di due bisarche atte al trasporto dei rifiuti e pronte per il carico, gli indagati erano stati individuati come soggetti che si occupavano del traffico transfrontaliero non autorizzato dì veicoli fuori uso.
Per quel che attiene alla qualità di rifiuto dei veicoli fuori uso trova applicazione il principio affermato da questa Corte, ( v. per tutte Cass. Pen. sez. III sent. 23 giugno 2005, n. 33789, Bedini, rv. 232480), secondo cui “a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 209 del 2003, con il quale è stata recepita in Italia la direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, deve essere considerato fuori uso sia il veicolo di cui il proprietario si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi, sia quello destinato
alla demolizione, ufficialmente privato delle targhe di immatricolazione, anche prima della materiale consegna a un centro di raccolta, nonché quello che risulti in evidente stato di abbandono, anche se giacente in area privata”.
Questa Corte ha ulteriormente specificato (Cass. Pen. sez. III sent. 30 settembre 2008, n. 41835, Russo , rv 241503) che “ l’attività di raccolta di veicoli fuori uso in assenza di autorizzazione, già prevista come reato dall’art. 51, comma primo lettera a del D.lgs. n. 22 del 1997 è nuovamente considerata tale dall’art. 256, comma primo, D.lgs. n. 152 del 2006”.
Va quindi respinto il primo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che il Tribunale di Verona in sede di riesame non aveva formalizzato espressamente alcuna motivazione circa la sussistenza delle esigenze cautelari.
Considerato che non era stato provato che i beni gestiti da esso ricorrente fossero stati trattati come rifiuti o come veicoli fuori uso non autorizzati non si riteneva che sussistesse il pericolo che la libera disponibilità dei beni potesse aggravare o protrarre le conseguenze di qualche reato o agevolare la commissione di altri reati.
Anche il secondo motivo va respinto.
Premesso che la richiesta di riesame è stata proposta genericamente dall’indagato per quel che attiene al periculum in mora con il mero richiamo all’insussistenza del fumus in ordine al reato contestato (v. pag 5 della memoria difensiva), sicché il Tribunale del riesame non era tenuto ad una
specifica motivazione, rileva che comunque le esigenze cautelari erano state chiaramente evidenziate dal GIP con riferimento al grave pericolo di inquinamento ambientale e di reiterazione delle condotte criminose.
Consegue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
Con decreto del 13 ottobre 2008 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona convalidava il sequestro preventivo disposto in via di urgenza dalla Guardia di Finanza di Verona in data 6 ottobre 2008 e disponeva il sequestro preventivo di un’area della superficie di circa 3.000 mq. sita in Palù, via Pila Acquabona, nei confronti di Odion Osas Mark, indagato con altra persona in relazione ad un’attività di gestione di rifiuti e veicoli fuori uso non autorizzata, nonché di spedizioni transfrontaliere e traffico illecito di rifiuti in violazione: a) dell’art. 256 comma 1, lettere a e b, del D.lgs. n. 152 del 2006 e 81 cpv. 110 c.p.; b) dell’art. 259, comma 1, D.lgs. n. 152 del 2006, 81 cpv. e 110 c.p.; c) dell’art. 260, comma 1 del D.lgs. n. 152 del 2006, 81 cpv. 110 c.p.; d) dell’art. 13, comma 1 del D.lgs. n. 209 del 2003, 81 cpv. c.p. 110 c.p. (per fatti accertati in Verona il 6 ottobre 2008).
Con ordinanza del 7 novembre 2008 il Tribunale del riesame convalidava il sequestro preventivo.
Ha proposto ricorso per cassazione Odion Osas Mark chiedendo l’annullamento dell’impugnata ordinanza.
Tanto premesso il Collegio rileva che, con il primo motivo, il ricorrente rileva che il Tribunale di Verona, sotto il profilo indiziario, aveva ritenuto che i beni rinvenuti sul terreno fossero da considerare come rifiuti e veicoli fuori uso non autorizzati e che quindi sussistesse il fumus in ordine alle violazioni degli artt. 256, comma 1, lettera a e b, dell’art. 259, comma 1, dell’art. 260, comma i del D.lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 e dell’art. 13, comma 1 del D.lgs. n. 209 del 24 giugno 2003.
Rileva il ricorrente che, ai sensi dell’art. 2 del DPR del 10 settembre 1982, n. 915, si definiva come rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umana o da cicli naturali, abbandonato o destinato all’abbandono e che nella definizione data da tale decreto presidenziale emergeva chiaramente l’associazione tra il concetto di rifiuto e quello di abbandono. Successivamente, con il D.lgs. del 5 febbraio 1997, n., 22, in attuazione anche della Direttiva 91/156/CEE, è stato definito come rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi.
Su questa materia la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, con la sentenza 11 novembre 2004, nella causa C 457/02 si era pronunciata espressamente affermando che” affinché un residuo di produzione o di consumo sia sottratto alla qualifica di rifiuto sarebbe sufficiente che esso sia o possa essere riutilizzato in qualunque ciclo di produzione o di consumo, vuoi in assenza di trattamento preventivo e senza danni all’ambiente, vuoi previo trattamento, ma senza che occorra tuttavia un’operazione di recupero”.
La normativa italiana attualmente in vigore, ossia il D.lgs. del 3 aprile 2006, n. 152 all’art. 183, comma 1, prevede che si debba intendere per rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi.
Rileva il ricorrente che, alla luce di tale normativa, non era possibile sussumere il fatto attribuitogli in nessuna fattispecie di reato contestata poiché soltanto nel caso in cui i beni gestiti dall’indagato dovessero considerarsi rifiuti e veicoli fuori uso non autorizzati potrebbero eventualmente configurarsi i reati contestati. Nel caso in esame invece, rileva il ricorrente, i beni gestiti da esso indagato non erano assolutamente trattati come rifiuti e come veicoli fuori uso non autorizzati, ma come merci destinate alla spedizione, rientrando tale attività tra quelle svolte dall’impresa del ricorrente. L’autoveicolo guasto ma riparabile o usato da vendere a terzi non può essere infatti qualificato come rifiuto ma lo è soltanto nel caso in cui si trovi nelle condizioni tali da non conservare più tale caratteristica.
Nel caso in esame si trattava di beni che lo stesso ricorrente recuperava per poi riutilizzare nell’ambito delle attività consentite dalla legge che svolgeva l’impresa di cui egli era titolare, non risultava che fossero stati trattati come rifiuti o come veicoli fuori uso e non autorizzati, sicché non sussisteva il fumus commissi delicti .
Rileva il Collegio che il motivo è infondato.
Il Tribunale del riesame, infatti, a fronte di analoghi rilievi dell’indagato, con adeguata motivazione, dopo aver rilevato che ai fini del provvedimento di sequestro è sufficiente sussistenza del fumus ovvero dell’astratta configurabilità dei reati contestati (SU 29 gennaio 1997 n. 23) ha rilevato che nel caso in esame i reati configurati erano sicuramente ipotizzabili posto che dalle indagini espletate direttamente dai verbalizzanti, dall’esame del materiale fotografico, dalle dichiarazione acquisite, dalla presenza di due bisarche atte al trasporto dei rifiuti e pronte per il carico, gli indagati erano stati individuati come soggetti che si occupavano del traffico transfrontaliero non autorizzato dì veicoli fuori uso.
Per quel che attiene alla qualità di rifiuto dei veicoli fuori uso trova applicazione il principio affermato da questa Corte, ( v. per tutte Cass. Pen. sez. III sent. 23 giugno 2005, n. 33789, Bedini, rv. 232480), secondo cui “a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 209 del 2003, con il quale è stata recepita in Italia la direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, deve essere considerato fuori uso sia il veicolo di cui il proprietario si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi, sia quello destinato
alla demolizione, ufficialmente privato delle targhe di immatricolazione, anche prima della materiale consegna a un centro di raccolta, nonché quello che risulti in evidente stato di abbandono, anche se giacente in area privata”.
Questa Corte ha ulteriormente specificato (Cass. Pen. sez. III sent. 30 settembre 2008, n. 41835, Russo , rv 241503) che “ l’attività di raccolta di veicoli fuori uso in assenza di autorizzazione, già prevista come reato dall’art. 51, comma primo lettera a del D.lgs. n. 22 del 1997 è nuovamente considerata tale dall’art. 256, comma primo, D.lgs. n. 152 del 2006”.
Va quindi respinto il primo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che il Tribunale di Verona in sede di riesame non aveva formalizzato espressamente alcuna motivazione circa la sussistenza delle esigenze cautelari.
Considerato che non era stato provato che i beni gestiti da esso ricorrente fossero stati trattati come rifiuti o come veicoli fuori uso non autorizzati non si riteneva che sussistesse il pericolo che la libera disponibilità dei beni potesse aggravare o protrarre le conseguenze di qualche reato o agevolare la commissione di altri reati.
Anche il secondo motivo va respinto.
Premesso che la richiesta di riesame è stata proposta genericamente dall’indagato per quel che attiene al periculum in mora con il mero richiamo all’insussistenza del fumus in ordine al reato contestato (v. pag 5 della memoria difensiva), sicché il Tribunale del riesame non era tenuto ad una
specifica motivazione, rileva che comunque le esigenze cautelari erano state chiaramente evidenziate dal GIP con riferimento al grave pericolo di inquinamento ambientale e di reiterazione delle condotte criminose.
Consegue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali